lunedì 28 dicembre 2015

Solo qualche piccola modifica... – Scrittevolezze


Oggi non sono un gran che in vena di bilanci di fine anno.
Non che questo 2015 non abbia regalato bellissime cose, tasselli importanti di quello che spero sia il mio cammino, professionale e umano, in divenire. È che oggi ho visto un tot di persone e il saluto è stato più o meno "che sia l'ultima volta quest'anno". Perché le ho incontrate solo in occasione di funerali o rosari, eppure non le ho perse di vista. 
Nessuno di questi lutti ha colpito la mia famiglia, di molti sono solo stata osservatrice lontana, ma da qualsiasi parte mi giri, vedo i vuoti che il 2015 ha lasciato. 
Mi sono resa conto che passo dopo passo quest'anno ci ha fatto camminare su una coltre di malinconia a tratti appena percepibile, a tratti soffocante, ma sempre presente. 

Oggi quindi preferisco parlare di scrittura.

Ho finalmente ripreso in mano il romanzo per operare "le poche modifiche circostanziate" che ritengo  indispensabili.
Il problema delle "poche modifiche circostanziate" è l'effetto valanga. Peggio.
Qualche anno fa, anche grazia al primo film e al romanzo di Jurassic Park, andava di moda la matematica del caos. Quella secondo cui se una farfalla sbatte le ali da noi può esserci una tempesta di neve in Giappone. Ecco, rimaneggiare un romanzo è la più pratica, comoda e inequivocabile prova dell'esattezza della teoria del caos. Nei sistemi complessi una minima modifica nelle condizioni di partenza (e non solo) può dare origine ad effetti su larga scala.
Combi una riga al capitolo 1 e devi buttare via tutto il capitolo 20. 
Non è solo una mera questione di coerenza. Se al capitolo 1 non viene introdotto il personaggio X vicino di casa, il personaggio al capito 15 non può accettare da X un passaggio in macchina, quindi non può arrivare in tempo all'appuntamento con Y. 
Peggio ancora. Se il personaggio al capitolo 1 non ha fatto il ragionamento X non può al capitolo 15 fare il collegamento Y per poi al 32 giungere alla conclusione Z.
Ogni piccola modifica, ogni minuscolo battito di ali di farfalle può provocare valanghe narrative incontrollate. Per ogni battito d'ali bisogna ripercorrere tutti i fili della trama e pettinarli ad uno ad uno per evitare si formino nodi.

Poi ci sono le amputazioni.
Gli editor li chiamano tagli. 
Per gli autori sono amputazioni. Ogni storia, non importa quanto mal scritta e sconclusionata, è un pezzo dell'anima di chi la scrive. Ogni singola parola è un frammento di Io. 
Ma la storia è fine, mezzo e dittatrice di un buon autore. Tutto ciò che è superfluo va tagliato. E non importa che sia il passato di un personaggio che è stata l'occasione per fare i conti con una nostra ferita, che sia un descrizione poetica degna di un nobel, la più bella metafora mai scaturita dalla nostra penna. Va tagliata. Un imperativo assoluto che a mente fredda è assai ragionevole e facile da accettare.
Salvo poi rimanere i quarti d'ora a fissare quella riga senza trovare il coraggio di schiacciare il tasto giusto. 

E infine l'inafferrabile "non so che". Quella sensazione che a quel pezzo, a quella scena, a quel personaggio manchi "un certo non so che". Che né tu, autore, né nessun altro sa meglio specificare. Il personaggio non incisivo. La scena non memorabile. 
Il terribile incubo del 6+.
Il 6+ è quel voto che a scuola si dà per far capire che siamo sopra l'orlo della mera sufficienza, che la strada è giusta, ma si può fare di meglio. Che altri fanno di meglio.
Oggi come oggi un romanzo con delle parti da 6+ non si pubblica, e comunque, da prof, non voglio alcun 6+.
Il problema del 6+ è che non è un completo disastro, non ci sono errori evidenti da correggere. Ma non sono neppure quelle tre virgole da sistemare. Manca "quel certo non so che", che però nessuno, né il lettore beta, né l'editore, né il tuo stesso istinto narrativo sanno meglio specificare.
Perché è facile dire "non è incisivo" o "potrebbe essere più scorrevole", ma è un incubo passare da un personaggio abbastanza incisivo a uno memorabile o da una scena abbastanza scorrevole a una che fila come seta tra le dita.
Sono serie a volte infinite di riscritture, per limare, smussare, cercare e infine raggiungere, si spera, un'approssimazione passabile di perfezione.

Non è la parte del lavoro di scrittura che preferisco. La calibrazione tra testa e istinto non mi viene ancora automatica e la mia naturale impazienza non mi aiuta. Mi diverto solo a tratti, ma spero di arrivare alla fine a quello che davvero era il romanzo che volevo.

Voi come ve la cavate con "qualche piccola modifica"?

24 commenti:

  1. L'ultima volta le modifiche non sembravano così disastrose. Niente capitoli da tagliare o personaggi da riscrivere. Solo qualche aggiustatina: rendere certi passaggi meno traumatici, spiegare meglio alcune cose.
    Risultato: ho riscritto il 60% del libro.

    Poteva andare peggio XD

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  2. Oh, me la cavo male, come tutti suppongo. Ho ancora in mente il delirio di spostare una scena anticipandola di 50 pagine e il delirio che ha portato con sè. Gente che aveva litigato e che si parlava come se niente fosse, clima sballato, io con post it attaccati ovunque e appunti multicolor. Alla fine ce l'ho fatta e spero di essere uscita dal dramma del 6+. Sandra

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    1. Già, spostare una scena anche solo di poche pagine cambia completamente l'equilibrio emotivo dell'insieme.
      E il 6+ è terribile.

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  3. Sul 2015 abbiamo lo stesso punto di vista. Io ho anche avuto un lutto vicino. Il lavoro, per la prima volta in quasi dodici anni, mi ha stancato. La mia convivenza durata cinque anni è finita già a inizio anno, era febbraio. Insomma: un anno in salita. Però è stato un anno anche importate, di crescita. Ho venduto i miei primi racconti a Mondadori, ad esempio. È stato un anno duro ma soddisfacente. Incrociamo le dita per il 2016.

    Per quanto riguarda le piccole modifiche… non saprei. Al momento scrivo solo racconti e quindi la brevità aiuta molto. I romanzi continuano a spaventarmi.

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    1. Sì, i racconti da questo punto di vista sono più gestibili, anche se quando superi le 30000 battute alcuni problemi iniziano ad esserci anche lì, secondo me.

      Il 2015 è stato faticoso un po' per tutti, mi pare di capire. Speriamo meglio per il 2016!

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  4. Non tanto i racconti che sono più gestibili, ma certe novelle di 70 / 80 pagine le ho odiate a furia di rileggerle per scovare le incoerenze interne e correggerle con le famigerate "piccole modifiche" di cui parli.
    Come me la cavo? Faticosamente ;-)
    Sul 2015 non mi pronuncio perché, pur avendo sopportato sei mesi di cassa integrazione, riduzione di personale (colleghi che conoscevo da anni) e crisi aziendale, dopo quel che ho dovuto sopportare solo pochi anni fa tra lutti diretti e ricoveri urgenti in ospedale di persone care, beh, il 2015 almeno mi ha risparmiato quel tipo di mazzate.

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    1. Quando vai sulle 70/80 pagine hai già tutti i problemi del romanzo. L'ultimo racconto lungo per Sherlockiana, il più lungo che abbia mai scritto finora, ci ho messo una vita a revisionarlo.

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  5. "Quel non so che" rende alla perfezione quello che sente lo scrittore e che nessuno potrà mai scoprire in un testo di narrativa. L'ho sentito diverse volte: ti fa capire se la storia ti rappresenta, ti soddisfa.

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    1. Il problema è cercare di aggiungerlo a posteriori...

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  6. Il mio è un problema di lune: se oggi leggo ciò che ho scritto mi piace e lo tengo così com'è, ma non è detto che rileggendolo domani il mio entusiasmo rimanga lo stesso: sono capace di cancellare e rifare tutto da capo. La mia prova del nove è tornare a leggere sempre lo stesso pezzo per qualche giorno di seguito: se il "non so che" di cui parli non interviene a farmi storcere il naso, allora vuol dire che può andare bene. In genere, comunque, non mi accontento mai.

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    1. Non accontentarsi mai credo che sia una delle prime regole!

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  7. «Gli editor li chiamano tagli.
    Per gli autori sono amputazioni.»
    A volte il mondo fatica a capire la bellezza delle nostre creature con sei dita per mano e tre orecchie. Certo a guardarle fanno un po' impressione ma sarebbero ancora loro se le operassimo per riportarle nei canoni di bellezza comuni?

    :D

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    1. Canoni della bellezza comune magari no, ma l'umana comprensibilità immagino si debba perseguirla, almeno se si desidera essere letti.

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  8. "Qualche piccola modifica"... certo... ormai potrei intitolare il mio libro "La trama infinita"!

    Non ci arriverò mai in fondo, soprattutto se continuo a cambiare il finale e tornare a rimaneggiare tutto quel che ne deriva (anzi, quel che lo precede!)

    Sei in buona compagnia, come vedi. Forza e coraggio!

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  9. Io spero che sia imminente l'editing del mio romanzo, so già che sfrondare sarà la regola fondamentale. Rendere essenziale la narrazione, semplificare.
    Forse in fondo questa è la norma di tutte le norme possibili.

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  10. Per me ogni modifica è una tortura (ho già ammesso di essere parecchio pignola) tant'è che mi sto auto-sabotando fin dalla prima stesura. Non so se ciò mi aiuterà a lavorare meno in revisione, però già tremo se penso a ciò che succederà quando dovrò fare lo stesso lavoro che stai facendo tu. Spero comunque che i miei suggerimenti ti siano utili! :)
    Un abbraccio

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    1. Utilissimi, così come quelli di Lisa!
      Il problema che il sapere quale risultato finale si vuole ottenere non aiuta un gran che. Anzi, ad ogni modifica ho paura di peggiorare il tutto, invece che migliorarlo...

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  11. L'inafferrabile nonsoché è terribile. Cerco di cambiare gli elementi della scena uno alla volta (nella mia testa) per scoprire dov'è il problema, ma spesso finisco con l'accontentarmi dei ritocchini perché non sono arrivata a una diagnosi efficace.

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  12. Le considero "potature", peggio di "tagli" ma meglio di "amputazioni" ;-)

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    1. Potature è bello. Ha un significato completamente positivo. Non so se ci riuscirò a considerarle potature... Però ci provo.

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