mercoledì 6 settembre 2017

L'educazione emotiva dell'autore – Scrittevolezze


In questi giorni sto seguendo un corso di aggiornamento sull'educazione emozionale. Come spesso accade, questo ha liberato il mio pensiero laterale, facendomi ragionare sulla scrittura.

Spesso si dice, o almeno io lo dico e lo penso fortemente, che la lettura sia una grande palestra emozionale. Leggendo impariamo a riconoscere le emozioni, a dar loro un nome e quindi a gestirle poi nella nostra vita. Leggere narrativa, anche quella di genere più fantastico, ci allena a vivere in modo più consapevole, a essere più in sintonia con noi stessi. 
È un dato di fatto, però, che oggi gli analfabeti emotivi siano sempre di più. Persone che non sono in grado di riconoscere e quindi di gestire le proprie emozioni, con esiti anche violenti e distruttivi.
Quindi mi chiedevo al corso (non me ne voglia il relatore, io penso sempre ad almeno tre cose differenti in contemporanea, è per quello che poi inciampo mentre cammino...) non rischiamo di cadere in un tragico loop? C'è il rischio che gli autori, che dovrebbero scrivere storie che siano palestre emotive non abbiano un'educazione emozionale?

Questa domanda mi è venuta in mente pensando a una certa narrativa "per giovani adulti" che ogni tanto maneggio per motivi professionali. Romanzi in cui la bella di turno trova normale che il suo bello sia ossessionato da lei, la segua, la controlli, le dica cosa fare e faccia a botte (se non peggio) per lei. Romanzi in cui ci sono reazioni stereotipate, per cui se uno è arrabbiato tira un pugno a un muro o se è innamorato sente le farfalle allo stomaco. Romanzi in cui i protagonisti sono preda delle loro emozioni ed è "normale" aggredire qualcuno perché si è arrabbiati, negare la propria paura fino a fare qualcosa di folle per dimostrare di non averne o avere reazioni esagerate a un evento negativo (mi sono imbattuta in una serie di fughe da casa dopo litigate/rimproveri tutt'altro che esagerati).
Ora, fino a questa mattina di fronte a testi simili, sopratutto se pensati per ragazzi mi arrabbiavo, pensavo che fossero volutamente scritti in questo modo per inseguire un pubblico di impulsivi analfabeti emotivi. Oggi l'orrido dubbio. Non è che sono scritti in questo modo perché gli autori stessi non hanno un'adeguata educazione emotiva?

A suscitare la mia domanda anche un altro particolare. Al di là delle mode del momento, i libri che restano sono quelli che le emozioni le trattano meglio. Quindi quello che vedo potrebbe non essere un effetto voluto e alla lunga non paga.

UNA PERSONA PRIVA DI EDUCAZIONE EMOTIVA NON PUÒ ESSERE UN BUON AUTORE.

ATTENZIONE: un autore con un'alta consapevolezza emozionale non deve necessariamente creare personaggi altrettanto consapevoli, anzi. I personaggi migliori sono quelli imperfetti, anche perché non sanno gestire le proprie emozioni. Se poi parliamo nello specifico di letteratura per ragazzi/adolescenti, perché da lì è partito il mio ragionamento, con protagonisti adolescenti, allora sarebbe irrealistico avere un quindicenne perfettamente consapevole e padrone delle proprie emozioni.

– Essere consapevoli delle proprie emozioni permette di scrivere delle reazioni più realistiche e meno stereotipate a determinati eventi. Non tutti coloro che sono arrabbiati picchiano un pugno contro il muro (ce lo vedere Sherlock Holmes a reagire così)? Le reazioni sono le più varie, vanno dall'aggressione di chi ti sta accanto all'autolesionismo, passando per reazioni psicosomatiche, scoppi d'ira ritardati, estrema freddezza di facciata. Insomma un personaggio arrabbiato può reagire in mille modi diversi a seconda del proprio carattere, delle circostanze e del proprio vissuto.
Più è realistica la reazione che descriviamo e più il lettore si immedesimerà. Alcuni lettori riconosceranno proprio la loro reazione o quella dei loro cari.

– Essere consapevoli delle proprie emozioni e degli effetti che esse hanno permette di curare la crescita emotiva dei personaggi all'interno di una storia.
Immaginiamo una storia in cui un personaggio all'inizio aggredisca chiunque lo offenda e alla fine sia un pacifista convinto. Quanto è difficile calibrare il cambiamento senza che sembri irrealistico, senza che il personaggio ne risulti snaturato? Pensiamo a Fra Cristoforo, quanto fuoco cova ancora dentro di lui? Quanto è facile intuire il suo passato e il suo sforzo nel cambiamento? 
Troppe volte quando si scopre "l'oscuro passato" di un personaggio questo sembra tirato per i capelli, perché non avvertiamo davvero lo sforzo emotivo compiuto per il semplice fatto che non è raccontato bene. Stessa cosa per il contrario. La trilogia prequel di Star Wars è terribilmente fuori fuoco nel raccontare la trasformazione di Anakin in un signore del male. Fino a metà dell'ultimo film continua a sembrare comunque un bravo ragazzo che poi di punto in bianco stermina dei bambini. La sua rabbia, la sua delusione, la sua paura, è raccontata, ma non viene vissuta davvero dallo spettatore.

– Essere consapevoli delle proprie emozioni permette di controllare il messaggio emotivo di fondo della propria storia.
Io ho il terrore di storie alla "50 sfumature", per intenderci, in cui è considerato normale che un uomo innamorato segua la propria donna, la controlli e le dica cosa fare, come si deve vestire e chi deve frequentare. Mi sembra che trasmettano un messaggio aberrante. E non sono neppure sicura che l'autrice ne fosse consapevole (oddio, forse quella dell'originale sì, ma i cloni non so...).
Non c'è nulla di male nello scrivere una storia in cui una ragazza normale finisce con un bellone ricco, è dai tempi di Cenerentola che che la raccontiamo. Non necessariamente deve passare il messaggio che il bellone può essere stalker e pure un po' violento. Un minimo di gestione emozionale nel rapporto tra i personaggi scongiura il rischio (in Pretty woman, per esempio, non ho mai temuto che la protagonista finisse picchiata da Gere, per dire).

Lo scrittore, o aspirante tale, lavora con parole e emozioni, materiali pericolosissimi da maneggiare. Sull'importanza della conoscenza delle prime si è detto tanto, ma spesso si tace sulle seconde.
Non si può gestire la narrazione di emozioni se non si è educati ad esse

Voi cosa ne pensate?

19 commenti:

  1. Hai pienamente ragione. Ci insegnano a usare le parole, ma dovremmo imparare a lavorare sulle emozioni. Interessante la tua partecipazione a questo corso, non sapevo neppure esistesse.
    Ci sono persone che sanno trasmettere emotività quando parlano o scrivono. Credo che saperla imprimire in un testo è la chiave per incollare un lettore.
    Se non ci lascia indifferente un racconto, ma ci emoziona, ci fa arrabbiare, ridere ha generato emozioni.

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    1. Credo che parole e emozioni siano la materia prima dei narratori, dovremmo quanto meno conoscerle, prima di usarle.
      Il corso è un corso d'aggiornamento per insegnanti, ne facciamo sempre a inizio anno scolastico.

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  2. Come diceva Nanni: "Le parole sono importanti. Chi parla male, pensa male. E vive male". E scrive peggio, dici tu e dico anche io, e fa danni di cui non si rende neppure conto.

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  3. Capisco pienamente il senso del tuo post e in parte lo condivido, però non sono del tutto sicuro che "una persona priva di educazione emotiva non può essere un buon autore".
    Il fluire libero e incontrollato delle emozioni a volte può essere una risorsa lirica notevole, quanto meno per un poeta.
    Ecco, sicuramente un narratore non può permettersi una scrittura priva di autocontrollo (sebbene ci siano stati autori che ci hanno provato, ovviamente autori di avanguardie sperimentali, tipo il nostro Effettì Marinetti, per dire). Ma un poeta può trarre davvero molto da un'emotività straripante e selvaggia.

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    1. Un conto è il controllo delle emozioni e un conto è la loro conoscenza. Per la narrativa credo sia essenziale essere consapevoli di quali emozioni stanno vivendo i personaggi e saper rappresentare le reazioni in modo coerente con loro carattere senza farfalle nello stomaco e pugni al muro obbligatori. La poesia la pratico solo da lettrice, penso che possa diventare un esercizio di consapevolezza. Nel senso che tu scrivi in preda all'emozione e facendolo per forza di cosa ci ragioni su, ma il mio è il pensiero di una che i versi li sa fare solo nel senso di boccacce.

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  4. Molti associano l'educazione emotiva alla repressione emotiva, ma non è così. Anni di vicinanza alle filosofie orientali mi hanno insegnato a sfatare il luogo comune per cui raggiungere la pace interiore significhi negare ciò che si prova. In realtà, le emozioni vanno ascoltate e vissute. Dominarle non significa soffocarle o negare la loro esistenza, ma diventarne testimoni e accettare la loro presenza. Solo così vengono vissute.

    Ora: non pretendo che i miei personaggi arrivino a tale livello di consapevolezza anche perché spesso nemmeno io riesco a distaccarmi da me stessa. Ma questo tipo di osservazione aiuta a creare un contatto profondo e privo di giudizio con il personaggio, e di conseguenza a rendere verosimili i suoi sentimenti. Poi, per carità, siamo ben lungi dalla perfezione, ma c'è comunque un aiutino. :)

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    1. Ecco io neppure ci ho pensato che si possa associare "educazione emotiva" con "repressione emotiva", succede? Io fatico a pensare che una persona educata a una data cosa la reprima, anzi, ma credo che tu abbia ragione.
      Ovviamente con "educazione emotiva" io intendo l'essere consapevoli di ciò che si prova, chiamarla con suo nome e, se il caso, dominarla. Per essere un buon autore non ci importa se sa dominare le proprie emozione, basta saper definire e gestire quelle dei personaggi. Neppure i personaggi devono essere perfetti, tutt'altro, ma magari presentare, sopratutto in opere rivolte a dei ragazzi, personaggi positivi che evitano di agire in preda alla rabbia non penso sia un male...

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  5. Nella scrittura, anche raccontare un'emozione si fa complicato. Tendiamo a rappresentare sentimenti e reazioni come se vedessimo un film: spesso diciamo di "avere visto" la sequenza nella mente, così la descriviamo nelle sue forme "sceniche." Forse è per questo che "mostrare" rabbia diventa sferrare un pugno: è un gesto visivo, non diciamo, in qualche modo (ovvio, stereotipato) stiamo mostrando. Non so se la consapevolezza da parte dell'autore delle proprie emozioni ne faccia uno scrittore migliore, certo è che dare spessore a un personaggio , caratterizzarlo con tutto il suo bagaglio di emozioni è un'impresa non facile. Ma cosa nella buona scrittura lo è!

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    1. Secondo me sì, se non si è consapevoli di cosa si prova, quando e con esiti, di come questo può avvenire negli altri in modi differenti come possiamo creare personaggi tridimensionali che non siano solo dei nostri cloni?

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  6. Ma soprattutto, cosa diavolo è un corso di aggiornamento sull'educazione emozionale?!

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    1. In realtà è una proposta di progetto per rendere i ragazzi più consapevoli delle proprie emozioni e, in teoria, in grado di controllare quelle distruttive. Se poi funziona te lo dico a fine anno...

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  7. Saper riconoscere le proprie emozioni vuol dire soprattutto elaborarle. Ricordo un corso a scuola elementare di mio figlio in cui insegnavano a gestire la rabbia con vari metodi e anche facendo disegnare ai bambini che cosa provavano nei momenti di rabbia. Mio figlio aveva disegnato un vulcano nella pancia. Si trovava in un momento particolarmente difficile, e il corso era stato utilissimo... anche a noi. Un buon autore dovrebbe comunque dare un nome alle emozioni per farle vivere appieno anche ai propri personaggi, altrimenti sembreranno soltanto delle sagome di cartone.

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    1. Bella l'idea di fare disegnare ai ragazzi le proprie emozioni! Mi sa che te la rubo!

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    2. Sono contenta di averti dato uno spunto! :)

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  8. Penso che tu abbia ragione, il rischio di cui parli esiste. Nel caso della letteratura per ragazzi, forse si tende ad attribuire loro sentimenti grezzi e primitivi, piuttosto che non controllati - gli stessi che poi ritroviamo nei discorsi da bar e nelle cronache. Chi scrive (come chi insegna) ha un ruolo di responsabilità, anche se suona antico.

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    1. Se poi vogliamo dei giovani adulti che si ammazzano in discoteca per uno sgarbo va benissimo così, ma se desideriamo una società un briciolo più civile un pochino dobbiamo impegnarci, temo.

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  9. Concordo su quanto sia ordinaria tanta narrativa contemporanea. Molta di questa narrativa diventa una sceneggiatura cinematografica, il che non fa che moltiplicare esponenzialmente questi cliché.
    Lo stereotipo del bello di turno, la lei delicata in cerca di protezione, la violenza per amore, tutti aspetti che nella vita vera non hanno il filtro della finzione che tutto alla fine sistema, ma diventa altro.
    Diffido di questa narrativa e spingo i miei alunni verso i classici, sempre. E' nei classici che l'animo umano è stato narrato, trasversalmente e universalmente. I classici sono un bene rifugio.

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    1. I classici sono un bene rifugio, i miei però fanno una fatica terribile a confrontarsi con un linguaggio per loro ostico. Così sono sempre alla ricerca di libri "moderni" ma non banali che possano accontentare tutti. Alcuni ci sono, ma è una faticaccia scovarli!

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