lunedì 27 dicembre 2021

LLCcallenge 2021 – La lista definitiva


 Ce l'ho fatta!
A ben quattro giorni dalla fine dell'anno, ho terminato la sfida di lettura.

Credevo di non farcela, ma i Jolly si sono rivelati un valido alleato.
Ecco quindi la classifica definita, con il mio insindacabile giudizio di gradimento rigorosamente in gattini (da uno a cinque).

1 – Un libro di una lettura condivisa - Categoria sostituita con Jolly1 (ripetizione di categoria: Premio Nobel)
J. Staibeck
I pascoli del cielo
🐈🐈🐈🐈- una piacevole sorpresa

2 - Un libro tra quelli consigliati da un admin del gruppo - Categoria sostituita con Jolly3 (un libro che vuoi tu)
Kent Haruf
Le nostre anime di notte
🐈🐈🐈🐈- delicato come promesso

3 – Un saggio
Stefano Mancuso
L'incredibile viaggio delle piante
🐈🐈🐈🐈- un saggio pieno di fascino

4 – Un libro uscito dopo il 2010
Barbara Frale
In nome dei Medici
🐈🐈- un polpettone indigesto

5 – Un libro uscito nel 2021
Franco Forte e Vincenzo Vizzini
L'uranio di Mussolini
🐈🐈🐈🐈- un solido giallo storico

6 – Un libro con un fiore in copertina
Umberto Castiello
La mente delle piante
🐈🐈🐈- interessante, a tratti impegnativo

7 – Un romanzo russo
Anonimo
Racconti di un pellegrino russo
🐈🐈🐈- una finestra su un mondo lontano

8 – Un romanzo di un autore cinese o ambientato in Cina
Jin Yong
La leggenda del cacciatore di aquile
🐈🐈🐈- combattimenti, combattimenti e ancora combattimenti

9 – Un romanzo con più di 500 pagine
Brandon Sanderson
Il ritmo della guerra
🐈🐈- il ritmo c'è solo nel titolo

10 – Un libro scritto da una donna vivente
N.K. Jemisin
Il cielo di pietra
🐈🐈🐈- finale non del tutto all'altezza delle premesse

11 – Un classico che ti vergogni di non aver ancora letto
Italo Calvino
Il castello dei destini incrociati
🐈🐈- era meglio se continuavo a vergognarmi

12 – Un libro di poesia
Chiara Carminati e Alessandro Sanna
Poesia con fusa
🐈🐈🐈- leggero e gradevole

13 – Un libro in cui i personaggi salgono su una nave
Julie Otsuka
Venivamo tutte per mare
🐈🐈🐈🐈🐈– un libro a cinque gatti 🔝

14 – Un libro con la copertina rosa o viola
Oscar Wilde
Il ritratto di Dorian Gray
🐈🐈🐈🐈– prosa eccezionale, personaggi odiosi

15 – Un testo teatrale
Patrick Suskind
Il contrabbasso
🐈🐈🐈– capisco che capisco il teatro solo fino a un certo punto

16 – Un libro uscito l'anno della tua nascita
Wilbur Smith
Il volo del falco
🐈🐈– ho coscritti migliori

17 – Un libro scritto da un autore africano
Akwaeke Emezi
Acquadolce
🐈🐈🐈e mezzo - stile così particolare che rischia di "mangiarsi" una storia non banale

18 – Una graphic novel
Teresa Radice e Stefano Turconi
La terra. Il cielo. I corvi
🐈🐈🐈🐈- storia di memorie che vanno tenute vive

19 – Un libro di un editore indipendente
Aislinn
I tuoi peccati ti troveranno
🐈🐈🐈🐈– i vampiri nella provincia piemontese ci stanno benissimo

20 – Libro scritto da un uomo con protagonista femminile (o viceversa)
Thodoros Kallifatidis
Timandra
🐈🐈🐈🐈e mezzo – non per tutti, ma quasi un capolavoro

21 – Libro con una sola parola nel titolo
Carlo Rovelli
Helgoland
🐈🐈🐈– interessante, ma un po' troppo di parte per essere considerato divulgativo

22 – Un libro comprato usato o preso in biblioteca
Arthur Schnitzler
Doppio sogno
🐈🐈– noiosi sogni di trasgressione di persone noiose

23 – Un libro scritto da un premio Nobel
Grazia Deledda
Canne al vento
🐈🐈🐈– carino, ma non il suo capolavoro (vedi sotto)

24 – Un romanzo sudamericano
Isabel Allende
Afrodita
🐈🐈🐈e mezzo – leggero e dolce come un sorbetto tra due portate impegnative

25 – Un'opera prima
Massimiliano Giri
Il senso delle parole rotte
🐈🐈🐈e mezzo – bella indagine in una Romagna tutt'altro che turistica

26 – Un romanzo italiano uscito tra il 1900 e il 1950
Sibila Aleramo
Una donna
🐈🐈🐈🐈🐈– un libro a cinque gatti 🔝

27 – Un libro ambientato in una guerra
Andrea Atzori
Il coraggio salpa a mezzanotte
🐈🐈🐈e mezzo – un buon romanzo per ragazzi su un episodio da noi quasi sconosciuto della seconda guerra mondiale.

28 – Un romanzo storico
Andrea Forcellino
Il cavallo di bronzo
🐈🐈🐈🐈– il lato pettegolo del rinascimento, delizioso

29 – Un libro con protagonista minore di 16 anni
Ray Bradbury
Il popolo dell'autunno
🐈🐈🐈e mezzo – prosa ipnotica, seconda parte un po' in calo

30 – Libro con protagonista anziano
Grazia Deledda
La madre
🐈🐈🐈🐈🐈– un libro a cinque gatti 🔝

31 – Libro con nome di persona nel titolo
Virginia Woolf
Orlando
🐈🐈🐈🐈🐈– un libro a cinque gatti 🔝

32 – Libro con una foto in bianco e nero in copertina
Virginia Woolf
Una stanza tutta per se
🐈🐈🐈🐈– (purtroppo?) sempre attuale

33 – Libro con un'opera d'arte in copertina
Georges Simenon
Tre camere a Manhattan
🐈🐈– dicono che ci sia amore e passione, io ho trovato solo alcolismo

34 – Libro che ti è stato regalato
Matt Haig
La biblioteca di mezzanotte
🐈🐈e mezzo – moraleggiante, ma scorrevole

35 – Libro che possiedi da almeno tre anni
Knud Rasmussen
Aua
🐈🐈🐈– anni '20, Goenlandia, resoconto dell'incontro con uno sciamano inuit. Di nicchia

36 – Una rilettura
Neil Gaiman
Il figlio del cimitero
🐈🐈🐈🐈🐈– non vado certo a rileggere un libro che non mi piace 🔝

37 – Libro consigliato da qualcuno che partecipa a questa sfida
Susanna Clarke
Piranesi
🐈🐈🐈e mezzo – onirico e delicato

38 – Una saga famigliare – Sostituito con Jolly2 "inventa una categoria": libro illustrato
Gregoire Kocjan e  Mateo Dineen
L'incredibile libro dei mostri
🐈🐈🐈🐈🐈– un libro a cinque gatti 🔝

39 – Libro che fa parte di una serie
Lian Hearn
Il canto dell'usignolo
🐈e mezzo – potevo usare meglio il mio tempo

40 – Libro del tuo autore preferito
Ursula K. Le Guin
La mano sinistra del buio
🐈🐈🐈🐈🐈– è la mia preferita, no? 🔝

41 – Libro il cui titolo descrive la tua vita in questo momento
Jordi Lafebre
Nonostante tutto
🐈🐈🐈– leggero e dolce. Forse fin troppo

42 – Libro con un animale in copertina
Taro Abe
La taverna di mezzanotte
🐈🐈🐈🐈– un manga delizioso (astenersi vegetariani)

43 – Libro che ha vinto un premio letterario internazionale
Colson Whitehead
La ferrovia sotterranea
🐈🐈🐈e mezzo – un romanzo pensato come un kolossal sulla fuga dalla schiavitù

44 – Libro che ha vinto il Campiello o lo Strega
Tiziano Scarpa
Stabat Mater
🐈🐈🐈🐈e mezzo – toccante e non scontato

45 – Libro di un autore che viene dalla tua regione
Alessandro Barbaglia
Scacco matto tra le stelle
🐈🐈🐈🐈– quattro gatti per gli adulti, mezzo in più se hai meno di undici anni

46 – Libro da cui sia tratto un film o una serie tv
Walter Trevis
La regina degli scacchi
🐈🐈🐈🐈– ancora meglio della pur bella serie tv

47 – Libro ambientato in una capitale
Ellery Queen
Uno studio in nero
🐈🐈🐈e mezzo – imprescindibile per gli sherlockiani, piacevole per tutti

48 – Libro con meno di cento pagine
Laura Mancinelli
I tre cavalieri del Graal
🐈🐈e mezzo – gradevole, ma è meglio l'originale medioevale

49 – Un giallo o un thriller
Erskine Childers
L'enigma delle sabbie
🐈🐈🐈 – il papà del thriller moderno, affossato dalla traduzione 

50 – Raccolta di racconti
Autori vari
Il grande libro dei racconti di Sherlock Holmes
🐈🐈🐈– per gli sherlockiani vale cinque gatti


Ecco qua! Volevo varietà e l'ho avuta. Ho spaziato dal manga alla fisica quantistica, dai saggi i neurologia vegetale (che neppure sapevo esistesse) ai premi nobel, passando dall'horror. Mi sono obbligata a finire libri che avrei gettato dalla finestra e ho corso come una forsennata per finire in tempo e leggere anche altro (circa una decina di altri libri). Come dicevo qualche post fa, sono soddisfatta ma una volta nella vita basta. Voglio permettermi di abbandonare libri che non mi piacciono e di dedicare il giusto tempo ai "mattoni" che lo meritano.
Una menzione speciale al romanzo Anima di Wajdi Mouaward, comprato appositamente per le belle recensioni e lo splendido serpente che occupa la copertina e che si è rivelato il più pretenzioso virtuosismo inutile in cui mi sia imbattuta. Ho dovuto rimpiazzarlo, per coprire la categoria, con un (bellissimo) manga in cui l'animale in copertina era cucinato a puntino.

Visti i tempi che corrono, non mi sento di fare particolari auguri per il 2022, se non per augurarvi delle buone letture.

Se volete, è disponibile il nuovo capitolo de L'assedio degli angeli.


giovedì 23 dicembre 2021

Rimanere negativi per le feste!


Quest'anno il mio augurio non può che essere: che possiate rimanere negativi per le feste!

Eh, sì, perché uno spettro si aggira, almeno qui da noi, per le scuole e le palestre: la quarantena di fine anno. Il sistema di tracciamento per la quarantena "veloce" (due tamponi a cinque giorni di distanza) funziona a singhiozzo, a volte sì e altre meno. Quindi l'incubo maggiore è che qualcuno in una classe o in un gruppo sportivo si trovi positivo proprio a ridosso della chiusura e zac.... Quarantena.
È capitato alla figlia di una mia amica, pur negativa al primo tampone. Quarantena fino al 31 dicembre e ciao ciao Natale.
E noi?

Ieri abbiamo temuto seriamente di essere quelli che facevano partire la quarantena.
Mi arriva a scuola la più temuta delle comunicazioni: figlia con naso che cola e 38° di febbre.
Ci siamo, ho pensato. Tipico caso di variante Omicron. Noi vaccinati asintomatici e lei sintomatica. Il 22 dicembre. Nella corsa disperata per tornare a casa e prenotare il primo tampone disponibile vedevo già sfilare tutta una serie di scenari. In nessuno il covid era un vero problema. Sarei stata linciata prima da un'intera classe di asilo che sarebbe finita in quarantena. Più il gruppetto della ginnastica. Per non parlare dei colleghi miei e di mio marito. Chi non avrebbe un giustificato istinto omicida nel vedersi arrivare la notifica della quarantena il 23 dicembre, magari sul punto per imbarcarsi sull'aereo per raggiungere i propri cari?
Se son qui che ne scrivo con sollievo è perché ho trovato immediatamente la farmacia che aveva disponibilità, ho stanato la figlia da sotto il letto promettendolo caramelle, cioccolati, regali in anticipo, qualsiasi cosa pur di venire a fare questo maledetto tampone (poi me la sono cavata con una singola caramella). Fatto rapido e molecolare, risposte in tempo ragionevolissimi (un'ora il primo, un giorno il secondo), entrambi negativi. Lo spavento è bastato, a quanto pare, a farle passare la febbre.

Alla luce di tutti i meravigliosi scenari che ho avuto il tempo di contemplare in attesa del risultato mando un super abbraccio a chi si trova a passare il Natale in quarantena.

A tutti gli altri un caro e sincero augurio di Buone Feste.

Mettetevi le mascherine, disinfettatevi come se non ci fosse un domani e che possiate rimanere negativi per le feste!
 

giovedì 16 dicembre 2021

Il presepe di casa Tenar

 


Ispirata da un post di Murasaki e colpita dallo spirito natalizio, vi porto alla scoperta del mio presepe di famiglia.

 A dire che siamo particolarmente religiosi mentirei. Mi sono accorta adesso che è all'ultimo anno che mia figlia sta frequentando un asilo aconfessionale, in cui l'ora di religione non è prevista. Immagino ce l'abbiano detto, da qualche parte, anni fa, ma io l'ho realizzato solo quando abbiamo confrontato il numero di maestre dell'asilo con quelle che ci saranno alla primaria. Insomma, qui va così. Per fortuna volenterose amiche insegnanti di religione si stanno facendo carico di spiegare a mia figlia almeno i fondamentali. Però il presepe a casa mia si è sempre fatto. Da sempre. Con sempre le stesse statuine.

La leggenda vuole che esse giungano dirette dall'infanzia di mio nonno, un tempo lontano in cui la famiglia era ricca, prima della bancarotta. Quel tempo coincide all'incirca con la prima guerra mondiale. Non so se sono davvero centenarie, le mie statuine, ma vecchie sono vecchie e i segni degli anni li portano tutti.


Il bue e l'asinello devono appoggiarsi a qualcuno o qualcosa perché sono zoppi. Ogni generazione ha lasciato orgogliosamente il suo segno nel presepe. Ad esempio il mio è l'orecchio mancante dell'asinello. Quello di mia mamma il corno sbeccato del bue. Immagino che generazioni di gatti spieghino perché nessun quadrupede è più tale. La capretta è quasi senza muso e un gruppo di pecorelle sfoggia collari ortopedici in nastro adesivo bellico. Si tratta di pecorelle fornite di mantello in lana vera, ormai di un color grigio stratificato. Un domani le potremo usare per studiare la diversa composizione della polvere nei secoli. Così come le torri sono ormai bene storico. Sono fatte infatti di torsoli di mais mummificati. Un giorno ne estrarremo il DNA come in Jurassic Park e scopriremo che appartengono a specie ormai estinte.


È vecchio il nostro presepe, ma non si tocca. Perché di presepi così non ne fanno più. Nel senso che ora il politicamente corretto lo impedirebbe. I re magi, ad esempio, hanno i cammellieri. Che sono giovani schiavetti piacenti, ovviamente neri. Non risparmiano neppure comportamenti che ora le varie associazioni animaliste disapproverebbero. Perché una delle caratteristiche più particolari del mio presepe è la scarsa collaborazione dei cammelli. Uno si impunta e deve essere condotto avanti a forza.


L'altro ha proprio dichiarato sciopero. Di andare dietro una stella per andare a cercare un bambinello non ne ha proprio voglia. Si è seduto e non c'è verso di farlo avanzare di un passo...


Del presepe, poi, si può ammirare tutta la sua accuratezza storica. Ad esempio la famosa stufa in ghisa romana per le tipiche caldarroste palestinesi.


Sulla freschezza del pesci del pescivendolo di Nazareth non mi sento di indagare, ma da che ho raggiunto l'età della ragione mi interrogo sul nobile settecentesco.


Dove avrà parcheggiato la macchina del tempo? Sarà venuto dalla Francia di Luigi XVI per consegnare il suo vaso? Del resto il suo compare più giovane sembra indossare quasi un capellino frigio e un rivoluzionario davvero non so cosa ci possa fare nel presepe. Si potrebbe obiettare che il berretto frigio viene originariamente dalla Frigia, appunto, che sta da qualche parte verso la Persia in una non meglio precisata antichità. Sarebbe quasi più accurato di un re magio. Ma, vi assicuro, il resto dell'abbigliamento fa terribilmente barricata parigina in tempo di rivoluzione. Cosa ci facciano nel presepe rimane il mistero più affascinante.

Nonostante un'inevitabile drastica diminuzione delle statuine dai tempi di mio nonno, il presepe continua ad occupare il suo posto, sulla ribaltina di un mobile almeno coevo. Probabilmente verso gli anni '60, quando era bambina mia mamma è stato rimpinguato con una notevole fornitura di oche e galline. Il pollaio da allora occupa circa un terzo del totale. E ogni anno, nonostante le sue assurdità storiche e la condizione sempre più precaria dei suoi abitanti, rinnova la sua magia anche agli occhi delle nuove generazioni.


Voi ce l'avete il presepe?

Quali sono le sue stranezze?


Se invece avete voglia di una storia non proprio natalizia, L'assedio degli angeli continua.

martedì 7 dicembre 2021

LLCchallenge2021

 


È arrivato dicembre, l'ultimo mese dell'anno, quello dei bilanci. 
L'anno in sé è stato estremamente faticoso e per molti aspetti vorrei seppellirlo per riesumarlo tra quarant'anni, in una sera davanti al camino, per raccontare ai nipoti: "sai, una volta, quando c'era la pandemia...".
Dato che qui, però, si parla principalmente di libri, è arrivato il momento per tirare le somme con un'iniziativa che mi ha tenuto compagnia per tutto l'anno: la LLCchallenge2021.

La sfida è un'iniziativa promossa da un gruppo FB che si occupa di libri e consiste nel leggere nel corso del 2021 50 libri, uno per ogni categoria indicata nell'immagine.

Fin dal subito mi sono resa conto che rispettare tutte le regole perché le mie recensioni fossero rendicontate nel giusto modo, complice anche una tecnologia ostile, sarebbe stato al di sopra delle mie capacità. Ma è rimasta la sfida personale, il puntiglio a provare a leggere (e ascoltare) non tanto cinquanta libri, obiettivo prendibile, ma cinquanta libri che fossero rappresentativi delle 50 categorie. Di tutti quelli terminati ho fatto una mini recensione sui canali social, e anche quello si è rivelato un impegno non da poco.

Devo dire che all'inizio ero molto scettica sulle mie possibilità di terminare la sfida e anche adesso non sono sicura di riuscire a farcela. Se non ho fatto male i conti, però, sto terminando di leggere e di ascoltare rispettivamente i libri numero 45 e 46. Il 47 l'ho già individuato e quindi mi restano fuori due categorie, rivelatesi più ostiche del previsto: il testo teatrale e il libro che ho in casa da più di tre anni (ho scoperto che se non ho letto un libro in tre anni un motivo c'è). Considerando che il 45 (un libro di un editore indipendente) si è rivelato più lungo del previsto, con oltre 450 pagine, è serio il pericolo che io mi fermi a un passo dal traguardo. È comunque un risultato molto migliore rispetto a quello che mi ero prefissata all'inizio: coprire almeno 40 categorie.

Ho deciso di partecipare per due motivi: darmi un ritmo costante nella lettura e obbligarmi a uscire dalla mia zona di comfort e sono soddisfatta su entrambi i fronti. Non avevo mai tenuto il conto dei libri letti in un anno, quest'anno complice la sfida l'ho fatto e al momento sono sui 55. Penso di essere decisamente sopra la media degli anni scorsi, in parte per l'introduzione degli audiolibri e in parte perché a metà di un libro ero già a pianificare le due o tre letture successive. Inoltre ho letto il mio primo romanzo africano, ho affrontato mostri sacri che non avevo mai osata avvicinare e ho scoperto autori del tutto nuovi.
Certo, neppure questa sfida mi ha fatto passare il sacro terrore per le saghe famigliari, categoria che ho sostituito utilizzando uno dei tre preziosissimi jolly previsti.

Ecco una breve classifica dei libri più inaspettati in cui mi sono imbattuta.

IL LIBRO PIÙ PARTICOLARE – Racconti di un pellegrino russo

Alla ricerca disperatissima di qualcosa di russo e di breve, mi sono imbattuta in questo scritto di un anonimo mistico russo della metà del XIX secolo che mi ha profondamente affascinato. Innanzi tutto non avevo mai letto il misticismo raccontato dall'interno, quindi entrare nella testa di una persona che ha scelto di abbandonare tutto per dedicarsi al pellegrinaggio e alla preghiera è stato come entrare in un altro mondo. Il viaggio del pellegrino è ambientato nella Russia rurale ai tempi degli zar. Un mondo povero, dove l'analfabetismo è imperante, la religione spesso confina con la magia e dove tuttavia le idee comuniste si stanno insinuando. Non avrei mai e poi mai preso in mano questo libro senza la spinta della sfida e mi sarei persa una delle letture più particolari della mia vita. Una finestra su un mondo lontanissimo da me e che nessun altro avrebbe mai potuto raccontarmi.

IL CLASSICO DI CUI AVEVO SEMPRE AVUTO UNA IMMOTIVATA PAURA – Orlando

Mi serviva un libro con un nome di persona nel titolo. Complice l'audiolibro disponibile mi sono buttata su questo classicone di cui avevo sempre avuto paura. Mi ha divertito tantissimo e ha del tutto ribaltato l'idea della Woolf che mi ero fatta leggendo Gita al faro (scrittura interessante per raccontare i pensieri non così interessanti di personaggi un po' tristi). Scostata l'autrice dalla patina di tristezza che le avevo sempre attribuito, ho proseguito con  Una stanza tutta per se e non escludo affatto di continuare a frequentare in futuro zia Virginia.
Grazie LLCchallenge.




IL LIBRO CHE RESTERÀ PER SEMPRE NEL MIO CUORE

Avendo in generale un pessimo rapporto con i vincitori del premio Strega, ho approcciato l'apposita categoria con timor panico, certa che la lettura sarebbe stata una sofferenza. Invece mi sono innamorata di Stabat Mater di Tiziano Scarpa.
Intendiamoci, è stata una sofferenza leggerlo. Perché io sono una mamma adottiva e la protagonista è in un orfanotrofio della Venezia del '700 dove le trovatelle vengono instradate alla musica. E la fanciulla, in piena adolescenza, è in crisi. Non sa chi è, cosa vuole, sente enorme il vuoto di quella madre di cui non conosce nulla se non l'abbandono e vive immersa in quella morbosità che solo nell'adolescenza si può provare. Si fiuta la tragedia imminente. Solo che la tragedia non arriva. Arriva Vivaldi, nuovo direttore dell'orchestra di quell'orfanotrofio/conservatorio (particolare storicamente accurato). Mi aspetto una figura salvifica. E invece no. Fa arrabbiare così tanto la protagonista che lei decide di vivere, in pratica alla facciaccia sua. La vicenda affronta anche una marea di altre considerazioni non banali sulle donne e l'arte, oltre che darci uno spaccato di raro fascino sulla Venezia dell'epoca. Di mia spontanea volontà non lo avrei mai letto. Invece lo ora lo consiglio con tutto il cuore.


Parteciperò anche l'anno prossimo? Credo di no. È stato estremamente interessante farlo. Tuttavia riempire 50 categorie è impegnativo. Ci sono state le scoperte inaspettate, ma anche le letture sofferenza portate avanti per puro puntiglio per spuntare una casella. Non ho letto solo all'interno della sfida, ma non mi è rimasto un tempo infinito per altre letture. In particolare ho tralasciato un paio di saggi, quello su Dante di Barbero e due di paleontologia perché lunghi e impegnativi. Ottocento pagine di saggio mi sarebbero valse comunque, al massimo, una casella e davvero non erano letture che si potessero terminare in una settimana. Quindi con l'anno nuovo voglio recupera, col dovuto tempo, innanzi tutto questo tre libri. E ci vorrà un po'.

E voi avete mai partecipato a delle sfide di lettura? Com'è andata?

Per qui invece volesse, ecco il sesto capitolo della mia storia steampunk.

giovedì 25 novembre 2021

Hidamari Ga Kikoeru – Un manga che racconta la disabilità – Letture

 


Quante storie con protagonisti adolescenti vi vengono in mente in cui uno di protagonisti è affetto da una patologia gravissima?
Quante invece in cui uno dei protagonisti ha una disabilità permanente? Scommetto che sono meno.
In quante di queste la disabilità non è così grave da impedire lo svolgimento di una vita "normale" ma è comunque una caratteristica che segna inevitabilmente il carattere e le scelte del personaggio in questione?
Il numero si riduce ancora.
E in quante di queste storie ci si prende del tempo per spiegare in dettaglio cosa significa vivere con una tale disabilità e quali sono gli accorgimenti pratici per rendere la quotidianità più semplice?
Ora siamo a pochissime.

Ringrazio enormemente la mia spacciatrice di letture Manuela per avermene fatto conoscere una, anche se ho pianto da metà del primo volume fino alla fine.

Hidamari Ga Kikoeru – Fumino Yuki

Taichi è uno studente lavoratore al primo anno di università con le idee ancora poco chiare sul proprio futuro. Si imbatte per caso in Kohei che, come sempre accade in queste storie, è il suo opposto. Ricco, bello, focalizzato sui suoi studi di legge, apparentemente snob. Quello che Taichi scopre con sconcerto è che la freddezza di Kohei è dovuta a una causa precisa: da qualche anno l'udito del ragazzo è diminuito. Taichi diventa quindi il suo prendi appunti, cioè la persona che segue insieme a lui la lezione per aiutarlo a non perdere troppi pezzi e entra così a contatto con il mondo della disabilità uditiva. Inizierà ad accorgersi che Kohei non è l'unico studente con questa problematica, che ci sono tanti tipi di ipoacusia e sordità. Taichi finirà per trovare la propria vocazione professionale e l'amore.

Prima di proseguire nella recensione è bene avvisare che la tematica qui a casa Tenar non è esattamente neutra. Quando ho preso in mano in primo volume sapevo che o l'avrei gettato con spregio dalla finestra o sarei andata avanti a leggere a oltranza, singhiozzando in modo indecoroso.

Un approccio rispettoso alla disabilità
La prima cosa che colpisce è il modo assai poco romanzesco con cui la disabilità viene raccontata. Kohei non è "il bel ragazzo maledetto dalla propria malattia" come spesso capita in questo genere di storie. È un giovane studente brillante che sa badare a se stesso. Ha degli obiettivi professionali precisi che si impegna a raggiungere con puntigliosa precisione. Non è decisamente il tipo di personaggio malato che deve essere salvato. Quello che è stato bullizzato a scuola è Taichi, cresciuto dal nonno, non certo Kohei, che ha una mamma ricca e famosa. Questo, tuttavia, non vuol dire che sia felice. Innanzi tutto la sua disabilità è recente, a seguito di un'infezione apparentemente banale (cosa che può succedere, purtroppo). La sua è principalmente la storia di un adattamento dalla normalità a una disabilità subdola, che non si vede, si ha la tentazione di nascondere e minimizzare. Kohei impara a leggere le labbra, a convivere con gli apparecchi acustici e i loro mille difetti. E tuttavia, nel costante tentativo di minimizzare e nascondere, finisce per chiudersi sempre più in se stesso. Non chiedere di ripetere, non imporre agli altri le proprie esigenze (come evitare i luoghi affollati con molto rimbombo e scarsa visibilità) lo porta a isolarsi sempre più dai suo coetanei che diventano "gli altri" da cui è diviso da una tenda invisibile, ma per lui ben reale. Inoltre la condizione di Kohei non è stabile. Appena si abitua il suo udito peggiora. Perde un altro tassello di normalità, deve adattarsi a un nuovo apparecchio, a nuovi inconvenienti. I suoi compagni di prima sono diventanti "gli altri", ma i sordi che comunicano con il linguaggio dei segni sono "loro", un gruppo a cui non sente di appartenere, con regole e abitudini che non gli vengono naturali. Kohei si sente in una sorta di terra di nessuno. Troppo sordo per condurre la vita di prima, troppo poco per entrare senza rimpianti nel mondo di chi non ha mai udito alcun suono. Ogni cosa gli costa uno sforzo aggiuntivo, leggere le labbra, come imparare il linguaggio dei segni. Il senso di fatica e di straniamento perenne di Kohei è reso benissimo.

Uno sguardo su un mondo multiforme
In quanto prendiappunti ufficiale di un ragazzo ipoudente, Taichi inizia ben presto a conoscere gli altri studenti audiolesi della propria università e finisce per voler lavorare in un'azienda che si occupa di linguaggio dei segni. Uno dei miglior pregi di questo manga è di dare conto di quanto variegato sia un'universo delle disabilità uditive, sconosciuta persino a chi di quell'universo fa parte.
Kohei è diventato ipoudente da adolescente, ha perciò una perfetta padronanza della parola, sente alcuni suoni e si aiuta con la lettura delle labbra, gli viene proposto l'impianto cocleare (per semplificare al massimo una sorta di orecchio artificiale). Maya, la studentessa a cui Kohei fa da tutor ci sente molto meno di lui. Ryu è sordo dalla nascita, comunica da sempre con il linguaggio dei segni, è perfettamente integrato nella comunità dei parlanti con la lingua dei segni e tratta con sufficienza chi invece vuole tornare a sentire.
Il mondo della sordità è molto variegato e negli ultimi anni si è frazionato ancora di più in due gruppi principali a volte in contrasto molto acceso. Da un lato c'è chi si affida ad apparecchi sempre più sofisticati, come appunto l'impianto cocleare che permettono nel migliore dei casi un recupero che trent'anni fa sarebbe stato definito miracoloso. Questi apparecchi, però, non funzionano per tutti, sono estremamente costosi (in Italia solo alcune regioni li forniscono grauitamente e quando intendo estremamente intendo decine di migliaia di euro), necessitano una costante manutenzione e accorgimenti particolari. Dall'altra c'è chi difende la lingua dei segni come una cultura autonoma e la sordità una condizione con cui si può vivere senza necessariamente medicalizzarla.
Io che mi trovo nella stessa posizione di Taichi faccio fatica a capire l'acredine di certi scontri, dato che mi sembra naturale che chi magari ha ascoltato o suonato musica voglia poter tornare a farlo, come è naturale che chi ha sempre parlato la lingua dei segni voglia che questo linguaggio sia conosciuto il più possibile. Proprio come Taichi non vedo incompatibilità tra le due cose, ma, senza prendere posizioni nette, il manga ci permette, attraverso i diversi personaggi, di empatizzare con tutti i punti di vista.

Uno sguardo sulla società
Questo non è un manga che racconti grandi drammi (l'allungare il brodo è il suo difetto maggiore), ma diciamo che la società nel suo insieme ne esce bene ma non benissimo.
Ci mostra un'università (presumo d'élite, dato che Kohei è ricco) piena di servizi che qui da noi non ho mai visto. Ci sono gruppi di volontariato specializzati nell'aiutare studenti con disabilità. La figura del prendiappunti è istituzionalizzata. Ci sono traduttori professionisti per il linguaggio dei segni. E tuttavia la scuola nel suo insieme è quanto di più ostile si possa immaginare alla disabilità. Perché è pensata per i "normali" e chiunque non rientri in questi parametri deve faticare dieci volte di più o soccombere.
Questo è tanto più vero in Italia. Ogni volta che uno studente da noi si rompe una gamba scatta il "protocollo panico". Sposta la classe al piano terra, chiedi al bidello che per favore porti la cartella al ragazzo, fai entrare il ragazzo prima o dopo gli altri perché ci sono comunque dei gradini e bisogna evitare che venga spintonato. Prega che guarisca presto. Abbiamo una scuola molto migliore della media. Abbiamo tante aule, scale antincendio non fatiscenti, ampi e comodi spazi esterni. Non siamo per nulla attrezzati per uno studente in carrozzina. Le aule sono un incubo acustico. Non mi è mai capitato un alunno non vedente e non voglio neppure pensare a come potrei organizzarmi. Gli insegnanti di sostegno sono formati sopratutto a buona volontà e distribuiti con criteri imperscrutabili. Nessuno dei nostri studenti ipoudenti ne ha mai avuto uno, mentre il prendiappunti, come anche questa storia dimostra, è fondamentale. Alla domanda la risposta qualificata è stata "ma lui capisce". La disabilità intellettiva è devoluta alla fortuna e alla buona volontà, quella fisica, salvo casi gravissimi, è più o meno ignorata, l'idea è che se uno capisce se la deve cavare. La fatica di riuscire ad adattarsi a un mondo che non fa nulla per aiutarli è tutta devoluta al singolo. Quando questa fatica è fatta notare, c'è subito chi pensa (e lo dice) che quello "se la tira", "vuole farsi notare", "sta cercando scuse". Tutti questi aspetti sono raccontati benissimo nel manga, ma valgono pari pari anche per l'Italia.
Se non altro il nostro paese è un pochino, almeno per la mia esperienza, un pochino più aperto e inclusivo, almeno a livello umano. Kohei all'inizio del manga non ha nessun amico, da ragazzo popolare che era si è trovato del tutto solo. Nel mio mondo reale tutte le persone con una disabilità fisica che conosco a vario titolo hanno un giro di amici solido. Taichi viene considerato da tutti speciale per il suo modo empatico di relazionarsi e per la sua scelta professionale, in Italia, almeno per la mia esperienza, i Taichi sono abbastanza diffusi. È anche vero, però, che uscire dal proprio giro ristretto di frequentazioni è difficile, perché la società non è inclusiva e le infrastrutture lo sono meno e perché comunque il rischio è quello di essere considerati solo per la propria disabilità. E la disabilità è ancora una cosa brutta. Poco presentabile. L'amico disabile ti fa sembrare tanto sensibile finché è una cosa limitata nel tempo, però, insomma, portarselo sempre in giro... Nel manga viene detto espressamente che va bene tutto, ma non ci si sposa "con uno di quelli", che poi certo "loro si trovano meglio tra loro". Qui in casa Tenar ci si scherza su queste cose, i disabili che sono come i panda, da tutelare, ma nel loro recinto. Ci si scherza, ma preferiremmo non doverlo fare.

Ci sarebbe anche la storia d'amore
L'autrice nella postfazione al primo volume racconta in modo scherzoso di come, entusiasta per la proposta di pubblicazione ricevuta, non si fosse accorta che la casa editrice fosse specializzata in storie "boy love" e che quindi sti due ragazzi bisognava ben farli innamorare.
Ora il "boy love" in Giappone è un genere estremamente codificato che presenta storie d'amore tra ragazzi non realistiche che si sviluppano come commedie romantiche leggere e sono destinate a un pubblico femminile. Non frequentando il genere non ne so molto e non saprei dire perché alle ragazze giapponesi piacciano storie d'amore tra maschietti in un contesto fittizio che considera (la società giapponese in realtà non lo fa) queste storie del tutto normali.
Ora il tentativo di aderire al genere è il più grosso difetto di questo manga. Non perché un innamoramento tra i due non ci stia, anzi, ma perché la necessità di mantenere il tutto sul tono "commedia degli equivoci leggera" limita moltissimo il potenziale della storia.
Le premesse infatti erano ottime e i protagonisti ben caratterizzati. Kohei, al netto dei suoi problemi, è un ragazzo molto serio e focalizzato sui propri obiettivi, si conosce e sa cosa vuole dalla vita. Taichi, al contrario, è apparentemente aperto, fa amicizia con tutti, ma è stato abbandonato dai genitori, è stato cresciuto da un nonno burbero e chiuso e non ha mai avuto una vera relazione. Gli vengono attacchi di panico ogni volta che viene abbracciato.
Mi immagino già le chiamate tra l'editore e l'autrice: "senta non è che possiamo passare in secondo piano questa cosa? C'è già quella cosa là che appesantisce e noi vogliamo una storia comunque leggera, non un drammone...". Questo, insieme alla propensione giapponese a ignorare il disagio psicologico, ha reso un pessimo favore alla trama. In una storia che ci dice che non bisogna minimizzare i problemi né vergognarsi a chiedere aiuto, una cosa così forte viene derubricata a "ti lascio il tuo tempo, aspettiamo che passi". Il risultato è fastidioso ai limiti della sgradevolezza, perché sembra che la vicenda viaggi su due binari diversi, uno iper realistico e uno favolistico dove problemi gravi si risolvono per puro miracolo. A questo si unisce anche il fatto che il manga ha avuto successo. Così ai primi due volumi praticamente perfetti se ne sono aggiunti altri tre, che potevano tranquillamente stare in uno solo.

Insomma, questa è una storia i cui primi due volumi mi sono piaciuti enormemente e che consiglio senza se e senza ma, anche a chi non prenderebbe mai in mano un manga, specie se "boy love". I seguenti tre si leggono comunque con piacere, ma si possono anche evitare.
Di certo è tra le migliori storie con e per adolescenti che racconti la disabilità.

Per chi invece volesse, qui c'è il quinto capitolo della mia storia steampunk


giovedì 11 novembre 2021

Un anno fa


 Un anno fa, più o meno di questi tempi, uscivo dalla quarantena e ritrovavo mio marito e mia figlia.
Il Piemonte entrava in zona rossa, non avrei rivisto amici e parenti ancora per un bel po', con mia figlia che ogni tanto diceva: "mamma, ma una volta avevo delle altre cuginette?". Stava per iniziare lo strano balletto che ci avrebbe tenuto compagnia per tutto il periodo natalizio: si può uscire al massimo in due, il bimbo non conta, non più di una visita al giorno, in un raggio massimo di 30 km, se il tuo comune fa meno di 5000 abitanti. Nelle scuole iniziava la DaD a singhiozzo, l'attesa snervante del tampone per ogni ragazzino raffreddato per sapere se saremmo finiti tutti in quarantena. Era in modo inequivocabile l'inizio di un inverno snervante, eppure io ero folgorata dalla bellezza di quello che mi circondava.

Per quindici giorni ero stata chiusa nella casa dei miei genitori con mio padre malato, mentre mia madre era ricoverata. Su mia mamma non avevamo ancora notizie precise (in effetti poi è stata in ospedale a singhiozzo fino a giugno), ma mio padre almeno sembrava fuori dal momento peggiore. Io, per motivi che non mi sono del tutti chiari, non mi sono ammalata. Mentre ero in quarantena alcuni miei colleghi con cui inevitabilmente ero stata in contatto hanno sviluppato sintomi Covid, ma io che mi prendo ogni raffreddore passi nel raggio di 10 km da me da questa bestiacce si sono (finora) tenute alla larga.

Non credo che questa esperienza mi abbia reso migliore in senso generale, i miei difetti ci sono ancora tutti, belli radicati e in salute. Però mi ha cambiato. La bellezza ci ciò che mi circonda continua a stupirmi. Nonostante siano ormai quasi due anni che i nostri spostamenti sono limitati a poche (graditissime) trasferte continuo a trovare splendida la zona in cui abito. Ogni volta che riesco ad andare a correre, sopratutto quando lo faccio al lago, subito dopo aver finito di far lezione mi lascio abbagliare dai colori. Il privilegio di potermi muovere a piacimento in mezzo alla natura mi appare evidente in tutta la sua grandezza. Fino a che avrò i miei boschi e il mio lago così vicini sarò ricca. Alcune cose hanno smesso di essere fonte di stress. Non sono sparite, ma è sparito l'effetto che hanno su di me. Sia chiaro, lo stress e l'ansia sono parte di me, a livello a volte quasi patologico. Ma ad esempio sono diventata molto più zen per quanto riguarda il lavoro. Non credo di lavorare meglio o peggio di prima, di più o di meno, ma non controllo più ossessivamente le scadenze, non riguardo diecimila volte se preparato tutti materiali per le lezioni, non mi angoscio più per consegnare la verifica sempre la lezione successiva rispetto a quella in cui l'ho svolta. Per altro consegno comunque le verifiche corrette la lezione successiva rispetto a quella in cui i ragazzi l'hanno svolta, ma lo faccio senza angoscia, riuscendo nel mentre anche a leggere più di prima. Anche con la scrittura ho un atteggiamento simile. Ho ripreso a scrivere dandomi degli obiettivi, ma il loro mancato raggiungimento non mi causerà stress aggiuntivo. Le cose importanti sono comunque altre. Mi gratifica di più una passeggiata nei boschi dietro casa con i miei cari di una nuova pubblicazione.

Quello che invece mi preoccupa è il nuovo crescere dei contagi. Mi sono adagiata in fretta in questa parvenza di normalità. Ho scoperto un piacere nel rivedere parenti da cui ero stata a lungo separata che forse non avevo mai provato con tanta consapevolezza. Il tedio delle lezioni in classe mi appaga, il richiamare i ragazzi all'attenzione è mille volte meglio del silenzio innaturale delle videolezioni. Le due mattine a settimana in cui riesco a fare colazione al bar sono le più belle e le riunioni con gli storici gruppi di giochi di ruolo qualcosa che solo fatti gravi mi possono far saltare. L'idea di perdere di nuovo tutto questo mi terrorizza. L'idea che spunti una nuova variante che mi faccia tornare a vivere con l'angoscia di portare il virus ai miei cari mi paralizza.
Non ha senso che sia io a parlare di quale sia l'unica via per sfuggire a tutto ciò. Mio marito lavora in assicurazione di qualità in azienda chimico-farmaceutica. Non solo è pagato da Big Pharma, ma "se non ce lo dicono, chissà cosa c'è dentro" la colpa è del suo ufficio (e i suoi superiori sono quelli che eventualmente vanno in galera). Io sono pagata dallo stato, quindi dai Poteri Forti. Quindi, nonostante la mia anima anarchica, metterei il vaccino obbligatorio seduta stante e poche storie. Il fatto è che con una bestiaccia così nuova non si può sapere quanto effettivamente durerà la copertura vaccinale, né si può escludere l'insorgere di nuove varianti. Quindi non sono più in ansia per le verifiche non corrette che si accumulano, ma ogni volta che accendo un notiziario mi si stringe lo stomaco.

Per il momento cerco di godermi in qui e l'ora e il privilegio di una mattina con i ragazzi nella più bella delle aule



Per chi invece volesse leggere la mia saga steampunk, è disponibile il quarto capitolo de L'Assedio degli angeli.

giovedì 28 ottobre 2021

La mano sinistra del buio – Letture


 È il mio libro preferito. Dopo anni è di nuovo disponibile con una nuova traduzione. Non posso non dedicargli un approfondimento.


La mano sinistra del buio

Ursula K. Le Guin


Un libro sul tema dell'altro

Questo è un libro strano. Ogni sinossi, anche quella ottima di questa edizione, ne darà comunque un'impressione sfalsata. È uno di quei libri che andrebbe letto senza saperne niente, ma questo non è possibile. Si presenta, quindi, come un libro sul genere. Anzi come IL libro sul genere. Questo perché la trama, ridotta ai minimi termini è "inviato terrestre si trova su un pianeta abitato da una popolazione androgina". È, quindi, non potrebbe non essere, un libro sul genere. Ma principalmente è un libro sull' ALTRO, sull'alieno, sull'incontro di culture. 

La sua ispirazione, infatti, ha poco a che vedere con i discorsi sul genere. Il padre di Ursula era Alfred Kroeber, uno dei papà dell'antropologia culturale (l'unica materia per cui avrei tradito i miei studi di archeologa) e l'assistente di Alfred, nei primi decenni del '900, era Ishi. Ishi era l'ultimo sopravvissuto della sua etnia nativo americana, l'ultimo parlante della sua lingua. Ishi era l'altro, l'alieno. Un uomo che conosce e sa muoversi nella cultura degli invasori (Ishi lavora in università), ma che non è la sua. Anzi, maneggiare la cultura dell'invasore è l'unico modo per lasciare traccia della propria. E in qualche modo suppongo che il rapporto tra Alfred e Ishi fosse quel genere di rapporto personale che riesce a gettare un ponte attraverso il buio che separa i mondi differenti. Non solo Ishi frequenta la casa dei Kroeber (non è "il buon selvaggio" è una persona di cui viene riconosciuto il valore intellettuale in un periodo in cui raramente questo accadeva ai nativi), ma la fattoria dei Kroeber in Oregon diventa una sorta di "luogo di passaggio sicuro" per nativi e altre strane personalità (gli anarchici pacifisti che saranno fonte di altra narrazione di Ursula). Sempre il buon Alfred ha anche altri amici, che di professione fanno i fisici. Uno dei suoi migliori amici è Oppenheimer (Ursula scriverà di essere troppo poco intelligente per capire davvero la fisica moderna, considerando con chi si confrontava, va beh, forse aveva ragione). Solo la fantascienza sociale poteva tenere insieme tutte queste ispirazioni!

La mano sinistra del buio nasce da queste esperienze. È il racconto di un uomo che è solo, separato dalle barriere del tempo e dello spazio, in un mondo che è altro. Ed è il racconto di un essere umano di quel mondo che incontra l'alieno, che è infinitamente diverso da lui, per alcuni tratti persino ripugnante, e decide di fidarsi O, meglio, per usare una metafora interna, di trainare insieme la stessa slitta per un fine in cui credono entrambi. In mezzo a questo c'è tutto lo spaesamento del confronto con l'ALTRO. Un altro verso cui tutte le abituali categorie mentali sono inutili. L'incontro con l'altro è difficile, destabilizzante e foriero di disgrazie personali. La potenza di questo libro, il motivo principale per cui lo amo, è il fatto che riesca a rendere tutto ciò e che l'altro sia l'alieno e sia il terrestre. In molti romanzi i punti di vista si intrecciano. Ma in questo l'effetto è di rara potenza.


Un libro sul genere

Nell'immaginare un mondo in cui le nostre categorie mentali non fossero applicabili, Ursula immaginò un pianeta di androgini. Perché la prima cosa che spesso una persona sa di un'altra è se è maschio o femmina (la prima cosa che si chiede di un nascituro) e inevitabilmente questo incide nei rapporti, nel modo di porsi. Fu chiaro immediatamente alla stessa autrice che questa scelta spostava la sua narrazione su un piano differente, quella della riflessione sul genere. Questo è diventato IL romanzo sul genere. Non so se volevo esserlo. Di certo Ursula ha capito e accettato la sfida.

Come dicevo, ogni sinossi tende a essere sbagliata. La prima che lessi, quando avevo vent'anni, mi spaventò parecchio. Conoscevo e amavo già l'autrice e comprai il libro non potendo credere che fosse un porno spaziale come quelle poche righe lasciavano a intendere. Non lo è, infatti, nella maniera più assoluta. La questione del genere è trattata da un punto di vista molto intellettuale (persino troppo, secondo alcuni). È affidata alle osservazioni degli scienziati e a quelle del protagonista terrestre, Genly Ai, che cerca di avere alla cosa un approccio molto freddo (cerca, senza riuscirci del tutto). Meno sappiamo di cosa ne pensi il protagonista androgino, se non che a un certo punto ne è sconvolto.

Genly Ai sa che il suo lavoro consiste nell'essere ambasciatore in un mondo di androgini. Lo sa. Lo ha studiato. Eppure non lo capisce. Continua ad attribuire inconsciamente a ciascun individuo un genere preciso e questo ne sfalsa la sua percezione e i rapporti. Non può nascondere un certo istintivo disprezzo per la condizione androgina. Via via che la narrazione prosegue, le osservazioni si susseguono le une sulle altre. Questo non è un libro a tesi. Immagina e pone domande.

Quanto cambiamo nel nostro atteggiamento nel rivolgerci a un uomo o a una donna? Quanto vogliamo che le caratteristiche attribuite al nostro genere siano apprezzate? Quanto ci condiziona sapere che una donna sarà mediamente sempre meno forte fisicamente di un uomo? Quanto ci condiziona sapere che solo le donne possono partorire?

Come sarebbe una società senza tutto questo?

Le società di Gheten non sono perfette. E Ursula è figlia di un antropologo. Immagina Gheten come un pianeta gelido e il freddo condiziona le società forse più del genere. Come spesso viene notato, è difficile attribuire una caratteristica della società a una causa precisa. Però su Gheten nessuno nasce con un pregiudizio biologico. Nessuno su Gheten nasce con le etichette "più debole, dotata di istinto materno, poco portata per la matematica, portata per l'accudimento" o "fisicamente più forte, dotato per il comando e le discipline astratte, con istinto alla violenza". Tutti possono essere madre a tutti è chiesto, pertanto, l'accudimento. Nessuno ha un ruolo precluso. La società di Gheten è, anche, terribile. Ma non ci sono stupri, i bambini sono sacri per tutti e non ci sono guerre. Quest'ultimo dato è analizzato e smentito all'interno della narrazione stessa che è, anche, la storia di come qualcuno si adoperi per sventare una guerra. E tuttavia la suggestione che ci viene data è che in un mondo così paritario la sopraffazione fisica sia molto più rara che nel nostro. 

La cosa che colpisce, però, è quanto siano radicati i pregiudizi culturali legati al genere. Genly Ai è un uomo, vive da due anni su Gheten, ma ancora si aspetta che ogni interlocutore tenga conto del fatto che lui è un uomo e di ciò che questo comporta. Quando lavora con un ghetiano entra in competizione fisica e si aspetta di essere apprezzato in quanto più forte, si vergogna nel mostrarsi debole o di farsi vedere piangere. Ragiona da uomo perché è un uomo o perché gli è stato insegnato così? Il libro è del 1969. Offre molte più domande che risposte. Ma sono domande importanti. 

In questo libro è stato scelto di usare il maschile per riferirsi ai ghetiani neutri. È molto difficile immaginare Estraven, il protagonista ghetiano, se non come un "lui". Questo è parte del pregiudizio di Genly Ai, che lo pensa come un uomo. Anni dopo questo romanzo, Ursula decise di scrivere un racconto ambientato su Gheten (vado a memoria, Re d'Inverno nell'antologia Il diario della rosa) usando per tutti i ghetiani il femminile. L'ho letto. Vi assicuro che cambia moltissimo la percezione del lettore. Anche questo esperimento genera più domande che risposte. E un'unica certezza. Le parole sono importanti. Riferirci a qualcuno o a qualcosa o a una carica con il maschile o il femminile ne cambia la percezione. Ha a che fare con quella questione di immaginazione che plasma la Verità. Non è una questione oziosa.

Una questione di immaginazione

Questo libro è, per i primi due terzi, molto intellettuale e nell'ultimo terzo tutto legato all'azione e all'emotività. È uno squilibrio voluto. Questo è un libro che racconta di gente che vuole cambiare il mondo in modo radicale. Non si può portare cambiamento senza prima operare un proprio cambiamento interiore. E per cambiare il proprio modo di vedere il mondo fino a rimescolare le proprie categorie mentali ci sono alcuni passaggi da fare. La conoscenza intellettuale è il primo. Ma senza coinvolgimento emotivo non ci può essere comprensione profonda. Oggi per questa comprensione profonda abbiamo una terminologia "intelligenza emotiva". Vent'anni fa, quando lo lessi, non avevo mai sentito parlare di intelligenza emotiva e immagino che il termine fosse del tutto sconosciuto nel 1969 quando questo romanzo è stato pubblicato. Quindi Ursula se la cava con una frase bellissima, La Verità è una questione dell'immaginazione. Intende con immaginazione quell'empatia che ci permette di immaginare, sentire i sentimenti altrui fino a comprendere altre visioni del mondo. Ma questo non è facile, né indolore.

Per due terzi del libro i due protagonisti, il terrestre e il ghetiano si rincorrono, si parlano senza capirsi e si insultano senza volerlo. Senza fare spoiler, si troveranno poi, letteralmente, a trainare la stessa slitta. Isolati. Non più due alieni, ma due esseri umani che devono bastare l'uno a all'altro (o morire nel tentativo). Non sono persone qualsiasi. Genly Ai ha studiato per tutta la sua vita e ha fortissimamente scelto di essere l'inviato su Gheten. Estraven, il ghetiano ha scelto da tempo di puntare tutto sulla sincerità di Genly Ai. È anche un individuo peculiare, che riesce a infrangere due dei tre tabù che il suo popolo, straordinariamente privo di tabù, osserva. Pur con tutta la loro apertura mentale, tutti i precedenti tentativi di comprensione erano falliti. Per capire l'altro come categoria bisogna passare dal singolo e probabilmente dal trauma.  Non so se ci sia altra via, del resto quasi tutte le conversioni sono dolorose. Perché la paura dell'altro è quasi sempre paura di se stessi. Di quella parte che non vogliamo perdere, mettere in discussione per non far crollare l'idea che che avevamo di noi. Piccolo avviso spoiler. Nell'ultima parte di questo libro si piange. Almeno, io piango, tutte le volte.

Che dire ancora su questo libro? È il mio preferito. Probabilmente perché l'ho letto a vent'anni, quando cercavo una chiave di lettura per molte questioni e il tema dell'Altro mi affascinava profondamente (del resto studiavo archeologia e ero tentata proprio da antropologia culturale). E siccome sono lenta, ostinata e fedele lo amo tutt'ora. Non è un libro, ovviamente, d'azione. Chi si aspetta intrighi su pianeti ghiacciati con sparatorie e inseguimenti resterà deluso. Ha una forte componente intellettuale astratta che può risultare pedante. E tuttavia ha cambiato il mio modo di vedere il mondo. Io voglio, nell'incontrare chiunque altro, incontrare un altro essere umano e considerarlo in primo luogo come tale, cercando di dimenticarmi (anche se, proprio come Genly Ai non sempre ci riesco) di tutte le categorie preconcette che mi spingono ad etichettarlo. Dopo vent'anni continua a ritenere che sia uno sforzo che vale la pena di fare.

Qualche considerazione sulla nuova edizione

Per ragioni affettive il mio cuore rimarrà con la vecchia traduzione il cui titolo era La mano sinistra delle tenebre e che era stata letta e approvata da Ursula stessa.

Quando è uscita l'anteprima della nuova copertina ho avuto una mezza crisi isterica. Sapevo che il titolo sarebbe cambiato, ma così, con quell'impronta di mano viola mi sembrava orribile. La mano sinistra del buio - un horror tra i ghiacci. Questo era quello che mi suscitava.

Devo dire che il titolo continuo a trovarlo orribile. Mi sono state offerte spiegazioni. Non me le aspettavo e sono molto grata a Nicoletta Vallorani, che ha scritto la postafazione, di aver speso qualche minuto del suo tempo per interagire su facebook in proposito. Capisco, ma non comprendo e il titolo continua a non piacermi. La copertina, invece, dal vivo, con il viola molto meno evidente, mi sembra un pochino più presentabile. Non bella. Ma meno respingente.

Sulla traduzione in sé non ho le competenze linguistiche per sbilanciarmi. C'è una parte dell'incipit che mi genera grande perplessità (io questo incipit lo cito ovunque e quindi la cosa mi disturba parecchio), ma poi devo dire che scorre bene. Amavo la precedente, ma questa la posso tollerare. Alcune scelte però non le capisco. Siamo su un pianeta altro. Alcuni nomi sono in lingua locale, altri hanno un significato. perché questi ultimi devono essere in inglese? Perché devo avere l'impressione che ovunque su Gheten, a dispetto della varietà delle culture che l'autrice ha voluto presentarci, si parli inglese?


Se dopo aver letto tutto questo volete ancora leggere qualcosa di mio ecco in link per il 

secondo capitolo

terzo capitolo 

de L'assedio degli angeli

lunedì 18 ottobre 2021

La finestra di Orfeo – Letture


 

Sto trascurando il blog in modo indegno.

Questo principalmente perché Ottobre, che teoricamente potrebbe essere il mio mese preferito, è denso come melassa, è difficile muoversi dentro quando sempre nuove incombenze arrivano ad avvilupparmi con i loro tentacoli da polipo. C'è anche da dire che alcune cose su cui intendevo scrivere dei post sono state spostate. In ogni caso, non passo da qui da troppo tempo.

Con la promessa (che probabilmente non manterrò) di essere più assidua, oggi vi propongo un approfondimento su un manga storico (in tutti i sensi, perché datato e perché appartiene al genere storico) attualmente in corso di ristampa.


Riyoko Ikeda

La finestra di Orfeo

Riyoko Ikeda era nella mia testa "Quella di Lady Oscar" (o, meglio quella de Le rose di Versailles) e quindi mi sono avvicinata a quest'opera con un misto di attrazione e repulsione. Attrazione perché mi attendevo uno sguardo illuminante sul periodo storico trattato (Germania, Austria e Russia subito prima della Grande Guerra), repulsione perché temevo l'effetto minestra riscaldata. Esteticamente, infatti, Julius, la protagonista di quest'opera, è identica a Oscar e, come lei, è una donna cresciuta come un uomo. Forse, nel raccontare di quest'opera, è il caso di partire da qui.

Di donne in abiti maschili

Non so cosa attragga davvero la Ikeda nel raccontare di donne cresciute come uomini, ma so che la sua è un'indagine pungente, approfondita e dagli esiti tutt'altro che scontati. 

Tutti, più o meno, anche se solo grazie alla serie animata, conosciamo Oscar, quella cresciuta in ambiente militare perché "suo padre voleva un maschietto". Oscar cresce quindi per essere un soldato. Ama essere un soldato. Prova una vaga tristezza per le donne in generale e per sua madre e le sue sorelle in particolare che non hanno avuto la sua istruzione e non hanno la sua libertà. Quando viene delusa in amore, non perché mascolina, ma perché lui è innamorato di un'altra, un'altra con cui Oscar non può competere, essendo la regina, reagisce cercando di essere ancora più uomo. Abbandona il suo posto privilegiato nelle guardie reali, entra nella guarnigione di Parigi, si guadagna con le armi in mano il rispetto della truppa e le vengono aperti gli occhi sulla condizione della popolazione francese. I drammi di Oscar sono dovuti in minima parte al suo vivere da uomo e il suo ruolo di soldato le calza a pennello, al punto che appena decide di diventare "la donna di André" si mette a capo di un gruppo di disertori, facendo (e facendo fare al suo uomo) la fine che sappiamo. 

Julius è fatto di tutt'altra pasta. Julius odia essere considerato un maschio. Lo fa perché è obbligata e, in fin dei conti, per denaro. Suo padre ha avuto solo figlie femmine. Per un erede maschio è disposto a sposare l'ultima amante e intestare a quest'ultimo tutti i suoi averi. Pertanto la madre ha cresciuto la figlia come un maschio, ingannando tutti. Julius, divenuta adolescente, accarezza l'idea di rivelare la propria identità, ma poi si fa due conti e desiste. Come Oscar la sua condizione gli dà accesso a un'istruzione e una libertà inimmaginabili per una donna, ma Julius non ne gode, si strugge per gli abiti di trine mancati. Ha una sorella maggiore intelligente, che ha la capacità di guidare gli affari di famiglia, ma, in quanto donna, può solo se a capo di tale famiglia c'è un uomo, non può ereditare la parte maggiore degli averi e finisce per rimanere zittella. Julius se ne fa beffe, senza rendersi conto di guardare in una sorta di specchio distorto. L'amore non le manca, perché nel giro di breve ben tre suoi compagni di studio al conservatorio scoprono il suo segreto e si innamorano di lei. Tre bravi ragazzi, per altro, pronti a difenderla. Eppure Julius si strugge.

Lo strano specchio Oscar/Julius è uno dei punti di fascino della serie che, proprio nel paragone diventa uno dei più profondi ragionamenti sul genere e sulla femminilità in cui mi sia imbattuta. Un'analisi in cui, alla fine, l'unica conclusione a cui si può arrivare è che ogni individuo è un universo intero e che solo in parte l'istruzione e l'ambiente può plasmare. Il padre di Oscar voleva l'ufficiale perfetto, ha ottenuto una donna soldato dal libero pensiero che diventa rivoluzionaria. La madre di Julius vuole che sua figlia faccia tutto pur di ottenere l'agio economico. Otterrà una creatura priva di buon senso, fragile e disposta a tutto pur di inseguire la propria idea d'amore. 

Un dramma novecentesco dove ognuno è maschera

L'altra cosa che colpisce è quanto quest'opera sia immersa nella cultura mitteleuropea di primo novecento. Julius nasconde la propria identità, ma non è certo l'unica. Non c'è nessun personaggio che non nasconda, almeno in parte, almeno per un periodo, la propria identità. Ricapitolando brevemente. Julius all'inizio della storia è adolescente e studia piano in un conservatorio. Né il preside né il professore di pianoforte sono chi dicono di essere. Il suo migliore amico per mantenersi suona in una taverna sotto valso nome. Il ragazzo di cui si innamora è un esule russo sotto falso nome. Gran parte dei primi volumi è occupata dall'indagine di Julius per scoprire chi fosse davvero suo padre, cosa centrasse con un atroce delitto del passato. Insomma, non c'è un singolo personaggio che non si nasconda. Ma non lo fanno per alti ideali.

Questo è un dramma borghese in cui si mente per sposarsi bene, per difendere o accrescere il proprio patrimonio, per opportunità politica. Non ci sono alti ideali. Persino i patrioti russi sembrano non aver scelto il proprio destino, lo hanno ereditato o è stato loro imposto. Julius decide di mentire per difendere i propri acquisiti privilegi, ma non è né migliore né peggiore degli altri. Ognuno dei personaggi ha lampi di grandezza o di romanticismo brevi e spesso fatali in una vita di meschinità. L'impressione generale è che Oscar e André, se passassero da queste parti, prenderebbero tutti a ceffoni. In quella storia c'erano gli eroi, con i loro drammi epici, qui ci sono esseri umani, che si dibattono nel fango.

Ne Le rose di Versailles cedevano i corpi. André perdeva la vista, Oscar si ammalava di tubercolosi. Qui cedono (anche) le menti. Grazie al gruppo di lettura ho di recente letto due romanzi di Arthur Schnitzler e ho trovato moltissimo di questo autore viennese amico di Freud ne La finestra di Orfeo. Le fatali indecisioni di Julius mi hanno ricordato moltissimo quelle della Signorina Else. Del resto Julius come Else sono poste dai loro genitori in una situazione insopportabile che finisce per spezzarne la mente. Else, invitata dai suoi genitori a sedurre un riccone per salvare il padre dai debiti, è terribilmente simile nei suoi vaneggi a Julius. La Ikeda si è immersa in modo magnifico nell'atmosfera di inizio novecento e pur non accennando direttamente a nessuna opera di quel periodo affonda nei temi tipici dell'epoca, l'indagine sull'inconscio, il tema della maschera, la disgregazione dell'io, con una maestria strabiliante.

Allo stesso modo i disegni urlano Art Nouveau da ogni tavola. Klimt è un riferimento costante nelle illustrazioni. Qui non ci sono i pantaloni a zampa di elefante e i fondali post napoleonici de Le rose di Versailles. Questa è un'opera che non si concede ingenuità e che fa quasi paura nella sua accuratezza.

La musica

Nei primi volumi l'azione si svolge nel conservatorio di Ratisbona. E la musica è tutt'altro che un sottofondo. La Ikeda è anche cantante lirica. Sa di cosa parla e si vede. Non solo sono moltissime le opere citate, i rimandi qui sono costanti e troppo vari perché io li possa riconoscere tutti. Di certo ci sono pagine di questo manga in cui sembra quasi di sentire la colonna sonora. In questo contesto è curioso come Julius spicchi per mancanza di talento. I suoi innamorati sono rispettivamente il pianista e il violinista più talentuosi del conservatorio. Lei no. Suona il piano senza vero trasporto. Quello che davvero manca a Julius è una vocazione che la spinga a costruire la propria vita intorno a qualcosa di più solido del sogno per un amore impossibile.

La finestra di Orfeo è, quindi un'opera che consiglio senza se e senza ma.

Non è un'opera facile, il fatto che sia un manga degli anni '70 non vi tragga in inganno. Ma tra le molte letture di questo periodo è forse quella che più mi ha portato a interrogarmi e mi ha spinto alla riflessione. 

Ah, dimenticavo, se volete leggerla, non tralasciate i fazzoletti. Vi ricordate come finiva Lady Oscar? Sì? Qui le cose non possono certo andare meglio, anzi...

Chi invece volesse leggere una cosina mia scritta per divertimento, può dare un'occhiata qui

mercoledì 29 settembre 2021

Torna Sherlock Holmes!


 

A ottobre torno in edicola!

Anzi, torna il mio Sherlock Holmes e in buona compagnia. Esce infatti, a cura di Luigi Pachì, un nuovo volume di Giallo Mondadori Sherlock

SHERLOCK HOLMES – Indagini fuori Londra

Vi trovate sette avventure scritte da altrettanti autori autori italiani e tutte accomunate dal fatto che il nostro si trova lontano dalla sua fumosa Londra.

Per quanto mi riguarda, troverete la prima avventura in assoluto che io ho scritto per Sherlock Holmes e che segna quindi l'inizio del suo stabile e felice (almeno per me) accasarsi nel mio palazzo mentale.

Insieme io, Holmes e Watson siamo andati a Parigi, città che amo e conosco più di Londra, per un'indagine che si dipana tra sessioni di pittura in plein air e l'animo femminile. 

A questo racconto sono legate due curiosità. 

Quando l'ho scritto ho ideato un delitto con un'arma improvvisata che si trovava in quel momento in casa mia. Per essere giallisti, infatti, ho imparato che non è necessario tanto essere dei potenziali investigatori (nella mia mente Holmes ha avuto tutto l'agio di commentare la mia palese incapacità deduttiva) quanto dei potenziali assassini. La domanda giusta, da un punto di vista narrativo, infatti non è "come risolverei un delitto?" ma "io come fare fuori una persona garantendomi ampi margini di possibilità di farla franca?" Nel corso degli anni ho immaginato tutta una serie di delitti, alcuni dei quali virtualmente perfetti. Sono nella vita una persona abbastanza mite, più tendente all'autodistruzione che alla vendetta e non ho mai avuto la tentazione di fare davvero fuori qualcuno. Dalle poche persone che ho davvero detestato mi è sempre bastato allontanarmi. Tuttavia, se volete un consiglio spassionato da una professionista del settore, la risposta è: funghi. Facili da reperire, basta andare nei boschi di questo periodo. Facili da somministrare, in alcuni casi la dose letale è minima. Facili da spacciare per intossicazione involontaria, basta assicurarsi che nell'arco delle ultime 24h la vittima abbia mangiato altri funghi e sarà impossibile capire che quello letale è stato ingerito dopo. Come vedete sono una persona pratica e diretta. Una mia amica ha la stessa attitudine professionale (scrive cene con delitto, non fa la killer, sia chiaro), ma è più elegante e consiglia un bel risotto mescolato con un ramo di oleandro. Per questo racconto non ho usato il veleno (alla lunga annoia) ma mi sono assicurata che fosse un delitto che io sarei in linea teorica in grado di commettere. 

La seconda curiosità è che in questo racconto è nascosta una citazione. Più che una citazione è proprio la riscrittura di un brano di un libro giallo che mi è particolarmente caro. Pur essendo, una volta svelato, palese, nessuno lo ha indovinato subito, anche chi ha letto il racconto apposta per risolvere l'indovinello.

Non vi resta che leggerlo e provare voi stessi!

sabato 18 settembre 2021

Di nuove metodologia didattiche e dei loro inaspettati esiti


 La scuola dove lavoro si è sempre distinta per sperimentazione didattica.
Capovolgiamo, stiamo senza zaino, facciamo didattica all'aperto, forniamo astronavi ipad e, dopo l'anno scorso nulla ci può più spaventare. O quasi.
Quest'anno proveremo una nuova formula di UDA. UDA sta per Unità di Apprendimento, che qui tra BES, PDP, CdC ormai parliamo con un codice segreto comprensibile solo a noi Insegnanti Iniziati.
Per queste UDA, che non sono UDA generiche, trovate chissà dove, è venuta una docente universitaria per spiegarcene il funzionamento.
Ora, dato che io sono come formazione quasi più una scienziata prestata alle umane lettere, ho l'idea che qualsiasi cosa va prima sperimentata, osservata e bisogna vederne i risultati prima di applicarli su larga scala.

Quindi l'anno scorso iniziato la mia sperimentazione UDA domestica su mia figlia.
Nucleo fondante: musica
Le ho proposto la domanda generativa: secondo te cos'è la musica?
Ho ascoltato la sua risposta ingenua (mica tanto "è l'aria che si muove con un ritmo che ti fa ballare").
L'ho portata in una scuola perché una maestra qualificata sostituisse la sua idea ingenua con una più fondata.
Ho dato mandato alla maestra perché mia figlia potesse scegliere quale branca della musica approfondire secondo il suo genuino interesse. Questo, dice la formatrice, è essenziale perché la libera scelta e l'assunzione dell'impegno aiutano molto lo studente ad applicarsi con costanza su qualcosa che davvero a loro interessa.
La scuola in questione ha svariati corsi, praticamente ogni strumento dall'arpa al flicorno, ma dato che la maestra di propedeutica è anche la docente di pianoforte e che da dietro la porta chiusa io ogni tanto sentivo strimpellare, pensavo a una scelta un po' indirizzata.
Avevo anche ragionato su dove piazzare un pianoforte in casa e già accarezzavo l'idea di una pianista.
Poi c'è il fatto che mio nipote, che abita al piano di sotto, è violoncellista e fin da piccolissima mia figlia ha potuto osservare e ascoltare il violoncello. Che poi è il mio strumento preferito. In teoria sarebbe il caso di evitare il confronto interno, ma insomma, il violoncello è proprio un bello strumento.
Poi c'è stato il momento in cui mia figlia ha visto il film Pixar Coco e la chitarra sembrava il massimo dei suoi sogni. Come suono la chitarra mi piace meno di tanti altri strumenti, ma ammetto che sia pratica, maneggevole e meno costosa di altre cose.
Insomma, ogni venerdì portavo mia figlia a propedeutica serena e sicura della metodologia didattica da me scelta.
Alla fine del percorso di propedeutica, a luglio inoltrato, ecco uscire tutte sorridenti dalla stanzetta figlia e maestra. È arrivato quindi il momento della scelta del "gruppo d'interesse" in cui approfondire la branca della materia ritenuta più interessante. Certo, in periodo covid sarà un "gruppo d'interesse" singolo, figlia e docente, ma va beh.
Dentro di me spero con tutto il cuore che non sia il violino.
Il violino, all'inizio, ha lo stesso suono di un gatto a cui venga pestata la coda. Abbiamo già due gatti in casa, grazie.
La maestra conosce questa mia remora e quindi esordisce subito con un poco incoraggiante:
"Tranquilla, non è il violino".


E così eccoci alla seconda lezione.
Dopo aver spiegato i fondamentali, il maestro (bravissimo) sorride e propone:
"Proviamo una canzoncina?"
E io penso a una cosa tipo Fra Martino. 
Insomma, mia figlia ha 5 anni, ci sarà una qualche canzoncina che si possa ritmare con la batteria.
Poi la canzoncina parte.

Oggi, ovviamente, la pargola si è presentata con in mano le bacchette, pronta a esercitarsi...
Pare che questo metodo garantisca impegno e entusiasmo da parte degli studenti.
Ora, per qualche motivo, sono un po' timorosa all'idea di proporlo a scuola...