Mettiamo subito le cose in chiaro. Il nuovo film di Inarritu chiede molto allo spettatore. È costruito a misura di uno spettatore ironico e colto, che conosca la grammatica cinematografica holliwoodiana, che riconosca gli attori, abbia famigliarità con la loro storia cinematografica, ma che non disdegni il teatro e che, quando meno, abbia letto Carver.
A fronte di tutte queste richieste, il regista confeziona una sorta di cubo di rubik cinematografico che si può girare, assemblare e interpretare in infiniti modi.
La trama, dopo numerose nomination agli oscar, è nota.
Un attore famoso per aver in passato interpretato un supereroe di successo vuole riabilitare la propria immagine di attore mettendo in scena a New York un proprio adattamento di un racconto di Carver (il celebre Di cosa parliamo quando parliamo d'amore). Il tutto è raccontato con virtuosistici pianosequenza che alternano senza soluzione di continuità scena e fuori scena, i deliri della mente del protagonista e la follia del reale.
L'unica cosa evidente, a film concluso, è che questa pellicola analizza e decostruisce il cinema d'intrattenimento americano, ma non è contro il cinema americano. Inarritu ne conosce e ne utilizza la grammatica, realizzando, tra l'altro, una bellissima sequenza supereroistica con tutti i crismi. Ci mostra i deliri degli attori di teatro, non meno folli e staccati dal mondo di quelli dei blockbuster, solo più coccolati da una critica schizofrenica che applaude solo quando in scena scorre del sangue vero.
Non a caso il film è piaciuto tantissimo proprio ad Hollywood, che, infatti, si prepara a ricoprirlo di oscar.
Detto questo, ognuno può vederci dentro quello che vuole e divertirsi a trovare rimandi e significati, tutti perfettamente giustificati da un testo che è davvero "una macchina per costruire interpretazioni".
Che sia questa, alla fine, l'imprevedibile virtù dell'ignoranza? Quella dei molti significati generati e in origine ignorati dal regista stesso?
Affrontato con la giusta disposizione d'animo, Birdman può essere un film gradevolissimo, perché l'ironia lo pervade dalla prima all'ultima inquadratura e alla fine questi attori disperati, attaccati a una fama effimera, che altro non è che un frammento infinitesimale della carta igienica del cosmo, sono irresistibilmente, e tragicamente, divertenti.
Al momento il più bel film dell'anno.
Non l'ho ancora visto, ma mi ispira molto.
RispondiEliminaRinfrescami la memoria, che oggi sono troppo pigra per googlare: è di Inarritu, vero? :)
Sì, molto più ironico dei precedenti
EliminaMa... il nome del regista l'hai aggiunto dopo, o sono io a non averlo visto? @-@ Inizio a pensare di essere un po' rinco!
EliminaVisto il trailer quando siamo stati a vedere The imitation game, il marito ha detto che lo vedrebbe volentieri, in definitiva però noi si va molto meno al cinema di quanto vorremmo in generale. Bacio Sandra
RispondiEliminaMerita e se vince anche l'oscar come miglior attore, pur avendo apprezzato molto la performance di The imitation game, non penso proprio che me ne lamenterò.
EliminaDeve essere molto bello!
RispondiEliminaLo è!
Elimina"spettatore ironico e colto, che conosca la grammatica cinematografica holliwoodiana, che riconosca gli attori, abbia famigliarità con la loro storia cinematografica, ma che non disdegni il teatro e che, quando meno, abbia letto Carver."
RispondiEliminaBene, mi hai appena detto che non posso vedere quel film :D
Grammatica cinematografica: che sarebbe?
Attori e loro storia: zero assoluto o quasi. Non ho letto Carver e il teatro non mi interessa, ma mercoledì andrò a vederlo.
Poi mi dici come ti è sembrato!
EliminaÈ un lovoro metacinematografico e metateatrale e quindi presuppone che lo spettatore colga determinati riferimenti.
Magari, risulta bellissimo e affascinante comunque. La forza del cinema è questa. Io ho letto Carver e ho studiato cinema, quindi l'ho visto in una determinata ottica, nulla vieta che funzioni anche guardato da un'altra.
Visto ieri sera. Non m'è piaciuto, non è proprio il mio genere. La musica così ossessiva mi risultava fastidiosa, ma qui è questione di gusti musicali.
EliminaLa scena supereroistica non era nulla di che, secondo me, e durava alcuni secondi. L'ho trovata anche inutile nel film, così come altri elementi inseriti nel corso della storia.
Il finale? Cosa significa?
Magari è colpa delle lacune che ho, come hai evidenziato a inizio post, ma resta il fatto che non sia un genere di film che amo vedere.
Come scrivevo, questo film è davvero una macchina per costruire interpretazione. Potrei darti dieci risposte sul finale, anche contrastanti, e tutte assolutamente fondate!
EliminaMi interessava conoscere le tue impressioni proprio per capire se si tratti di un film fruibile da solo, oppure no. Evidentemente no, in quanto meditazione metacinematografica e meteatrale non ha senso staccata dalle opere a cui si riferisce. Non so dirti se questo, per il film, sia un pregio o un difetto.
PS: la scena superoistica è interessante per il modo in cui è girata e inserita nel pianosequenza. Secondo te è un omaggio o una parodia dei film di super eroi? Da un punto di vista narrativo sembrerebbe una parodia, ma da un punto di vista tecnico non lo è per niente e questo genera ulteriore ambiguità.
PPS: la musica è ossessiva per forza, essendo nella testa di un personaggio ossessivo.
Secondo me non è né omaggio né parodia dei film di supereroi. La storia funziona anche se il protagonista avesse avuto una carriera precedente come attore western o porno o thriller e avesse poi deciso di fare teatro.
EliminaSulla musica hai ragione.
Ma, non saprei. Secondo me c'è proprio tutto un discorso sul tema del supereroe, sulla necessità di sentirsi speciale, che attraversa tutto il film. Il supereroe non è affatto un accessorio, è un tema portante.
EliminaComunque prima mi riferivo alla sequenza in sé e al modo in cui è girata, non a tutto il film.
EliminaAh, non avevo capito :)
EliminaBella domanda, allora. Potrebbe essere tutte e due, omaggio e parodia...
Un bel film, "immersivo". Però mi veniva in mente un film per certi versi analogo, "Synecdoche, New York" che mi aveva incantato e convinto ancor più.
RispondiEliminaPS Sei andata per caso a Castelletto a vederlo? Io sì, e mi sembrava di essere ancora nel film vagando per le sale...
Non è così claustrofobico il cinema di Castelletto, dai! Quando sono andata io era nella "dependance", nelle due sale distaccate e più che altro hanno aperto appena prima dell'inizio del film e fuori si gelava...
Elimina"Synecdoche, New Tork" mi manca, lo recupererò.
Ma io non trovavo claustrofobico il teatro in cui era ambientato il film :) Solo (sarà perchè era la prima volta che andavo in quel cinema) i colori e le luci mi facevano sentire ancora un po' con la camera a mano dentro la mente di Inarritu! Anche io ero nella depandance..che posto strano!
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