martedì 30 dicembre 2014

Visioni e letture del 2014


Il 2014 si chiude con una bella gita a Milano e una foto un po' autoreferenziale, ma, portate pazienza, era la prima volta che mi ritrovavo alla Feltrinelli di Piazza Duomo!

È arrivato il momento del secondo bilancio dell'anno, quello tradizionale dei libri e dei film/telefilm che hanno segnato il mio anno.

Visioni
Quest'anno, causa i mille impegni, sono andata al cinema infinitamente meno di quanto avrei voluto. L'esempio l'ho avuto in questi giorni. Un film che voglio fortemente vedere (L'amore bugiardo), lo scopro relegato in orari infami, una sera ci sono gli auguri da fare, una sera ci vince il freddo e il sonno, una sera non si sta bene e così via fino a che non lo troviamo più in cartellone. 
Poco male. Qui vicino resiste ora e sempre, come Asterix in Gallia, una delle ultime videoteche, gestita anche con non comune gusto cinefilo. Un po' più tardi del dovuto, magari su uno schermo che non ha reso onore, ma alla fine il cinema non mi è mancato e, tirando le somme, non è stato un anno affatto male. 
Ormai non distinguo più tra cinema e televisioni. Sono tutte quante storie a schermo e queste sono quelle che hanno segnato il mio 2014:

Secondo anno di fila segnato da Wes Anderson che ha smesso di essere "un regista da seguire" per diventare "un regista da non perdere". Come dicevo nella recensione, sembra aver trovato la ricetta della leggerezza perfetta. Presenta una surrealtà agrodolce e quell'apparente semplicità dei grandi trucchi di magia, che sembrano eseguiti con genuina facilità, ma nascondono una mostruosa perizia tecnica.
Ripensandoci a distanza di mesi, non c'è proprio luogo del 2014 dove tornerei con più piacere del Gran Budapest Hotel!

Secondo posto per una serie televisiva che si è imposta per il suo fascino infinito.
Ci ripenso a distanza, dopo le polemiche sul vero o presunto plagio, sul finale che però non torna... E penso: chissenefrega! Non è una serie che possa essere inquadrata solo solo dalla (im)perfezione della trama o da qualche riga scopiazzata in sceneggiatura. È una serie in cui tutti i comparti, regia, fotografia, recitazione, scrittura, mirano alle massime suggestioni possibili. Ogni gesto, ogni inquadratura si apre a mille sfumature, mille interpretazioni. E sì, alla fine è solo la solita vecchia storia, con quel finale un po' così, come tutti i finale. Perché da sempre vale più il viaggio della meta. Ed è stato un gran bel viaggio, uno di quelli in cui alla fine ci si scopre diversi

3- (parimerito) Wolf children
Chi l'avrebbe detto che mi avrebbe conquistato il cuore un cartone animato giapponese non di Miyazaki? Ok, l'animazione non è allo stesso livello, ma questa madre single di due piccoli bimbi-lupi è una di quelle eroine che rimane dentro. 
Forse la miglior storia sull'essere madre che abbia mai visto, che dice tutto sulla necessità di proteggere e di lasciare andare. Da vedere 

3- (parimerito) La fine del mondo
La genialità più pura che si presta a fare l'elogio della massima stupidità.
In tutta la sua follia, un ottimo film di fantascienza, con una semplice variante: il campione dell'umanità è un alcolista impegnato a fare il giro dei pub della sua città. Anche questo è da vedere


Letture
Meno intense le letture del 2014, che pure sono state molte, tra saggistica (devo inserirli tutti i manuali letti per il PAS?), fumetti, racconti e romanzi. Molte riconferme, molte letture piacevoli, molti bei libri italiani, tanti di autori che conosco, pochi romanzi, però, da folgorazione.
Ecco la mia classifica. Come sempre mi rivelo lettrice eclettica, l'unica cosa che questi tre romanzi hanno in comune è la lunghezza... 

1- IT
Forse l'unica vera folgorazione del 2014. Un libro che avrei dovuto leggere molto tempo fa, ma l'idea del pagliaccio demoniaco mi aveva sempre lasciata perplessa.
Funziona, invece. Funziona alla grande.

Scrivevo l'anno scorso a proposito de Le ultime gocce di vino, della stessa autrice, "il miglior romanzo sull'antica grecia che abbia mai letto". Questo perché non avevo ancora letto questo.
Se Le ultime gocce di vino ha l'ineluttabile limpidezza di una tragedia di Eschilo, qui c'è tutta la complessità e i chiaroscuri di Euripide. Il V secolo a.C., del resto, volge al termine, e l'autrice riesce a portarci nel cuore di un'epoca di crisi e cambiamento, senza sminuirne la complessità politica, filosofica, letteraria e religiosa. Un romanzo che è riuscito persino a farmi rappacificare con Platone (che al liceo consideravo un nobile viziato e nostalgico).
A distanza di mesi, rimane la gratitudine verso Castelvecchi per averlo riproposto e la somma perplessità verso una quarta di copertina che parla di "una storia d'amore proibita" che nel romanzo non c'è, neppure come accenno.

Lettura dell'ultimissimo minuto che si aggiudica di forza la terza piazza.
Sanderson è l'autore che negli ultimi anni più riesce a tener desto il mio senso del meraviglioso, con ambientazioni inusuali e trame ad orologeria. 
Secondo romanzo di una saga che si presenta infinita non lascia sul palato alcun retrogusto di incompletezza, anzi. Ormai inizio a fiutare qualche colpo di scena anche in Sanderson e non rimango più a mascella spalancata, ma mi godo ancora di più la complicata architettura della trama. 
Il fantasy così come deve essere scritto.

Con queste mie classifiche, vi lascio ai festeggiamenti per l'arrivo del 2015.
Il blog si prende qualche giorno di pausa per riposo/studio.
Ci si rilegge nell'anno nuovo.


domenica 28 dicembre 2014

Il 2014 di Tenar


Con sguardo perplesso il Persiano si rivolge al futuro, ma prima di buttarci nel 2015 è giusto anche voltarsi un momento indietro a contemplare i cammino percorso.

Il 2014 a livello personale non è stato un brutto anno, intenso, stancante, ma un anno che di certo ricorderò con piacere. Un anno di passaggio, per certi versi, non di novità immediate, ma di decisioni, preparative. Un anno progettuale.
È stato l'anno della Scuola col Pontile, con le sue mille attività e un modo di intendere la scuola inclusiva che finalmente sento mio. Non so se riuscirò ad esserlo, ma almeno adesso so che tipo di prof voglio essere e a che tipo di scuola voglio tendere. Mi è stato dimostrato che è possibile, anche nella scalcagnata scuola pubblica italiana. Forse è per questo che il PAS mi pesa meno che ad altri colleghi. Intendiamoci, è una stancante tortura con vette di inutilità difficilmente raggiungibili, ma alla fine, se davvero credo al mio ruolo di prof, mi tocca. Da tutto può uscire qualcosa di buono, anche dal PAS. O, almeno, mi sforzo di crederlo.

Il 2014 è stato l'anno di mio nipote, arrivato nel 2013, si è assestato ed è entrato di forza nelle nostre vite. Negli ultimi mesi, lontana a causa del PAS, mi è mancato tantissimo, ma se penso al 2014... La primavera sono i pranzi ad Orta, con lui che mi aspetta all'uscita da scuola, l'estate è la gita allo zoo safari, lui sul pony che sorride, giocare in cortile...

Il 2014 mi ha regalato due viaggio meravigliosi nei luoghi che più amo al mondo, uno nell'isola della mia giovinezza, la Corsica, terra con la quale ho un legame speciale, avendoci vissuto sei mesi durante l'università. Un'isola di cui conosco più l'aspro entroterra e i contrasti sociali piuttosto che le spiagge assolate e che in primavera mi ha regalato il suo volto più dolce, insieme ai suoi mille splendidi fiori.
In estate le Orcadi, l'estremo nord della mia amata Scozia, dove mi sembrava di essere finita nei romanzi fantasy della mia Le Guin.

Dal punto di vista della scrittura, il 2014 è stato un anno altalenante. È stato l'anno di Sherlock Holmes, non solo per il romanzo Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico, ma anche per una collaborazione con l'editore che spero duratura. Nei prossimi mesi dovrebbero uscire alcuni miei racconti in formati ebook che portano avanti la linea narrativa del romanzo.
Ci sono stati i riconoscimenti nei premi di GialloMondadori a Giallo Stresa e a Giallo Grado, particolarmente graditi perché in entrambi i casi ho "battezzato" personaggi nuovi che potrei voler utilizzare per storie più lunghe.
Ci sono stati anche degli stop più o meno inattesi. Il più doloroso, una trattativa con un Big dell'editoria andata molto avanti, con tanto di incontro col direttore editoriale e che poi si è dissolta in nulla. Un lavoro davvero lungo a cui adesso sembra difficile dare uno sbocco. Si vedrà. Se non altro adesso so cosa voglio scrivere. Prima o poi troverò una casa anche per le mie storie più "randagie" (nel senso che gli editori non le adottano).

È stato un grande anno per il blog. Inchiostro, fusa e draghi è e vuole essere un piccolo blog di nicchia in cui si chiacchiera di scrittura, di film e di libri, ma fa comunque piacere vedere che i lettori sono aumentati. 
Certo, con l'aumentare dei lettori, sono giunti a questi lidi anche strani individui. Blogger mi segnala le chiavi di ricerca più strampalate usate per arrivarvi. Devo dire che fino al 2013 attiravo solo lettori serissimi, in cerca di recensioni specifiche o tecnicismi vari. Non so per quale errore della bussola digitale, invece, nel 2014 ha fatto naufragio qui un utente in cerca di racconti porno con animali (mi spiace per la delusione, caro). Sono invece un'indiscussa autorità in fatto di tori scozzesi  e di velieri di Kandisky, due chiavi di ricerca che spuntano con regolarità almeno un paio di volte al mese... Misteri del digitale...

Prima del brindisi del 31 dovrei riuscire a pubblicare l'abituale post con i libri e i film del mio anno. Per il momento vi lascio con qualche scatto di questo mio 2014

L'inverno sul mio lago:




La splendida primavera corsa

Il cuore segreto dell'isola


La mia preferita tra le foto di fiori scattate quest'anno

Il paesaggio magico delle Orcadi


L'alluvione autunnale

L'incontro con il protagonista del mio romanzo!

Alla fine, scorrendo le foto, mi rendo conto che non potevo chiedere molto di più a questo 2014!

martedì 23 dicembre 2014

Buon Natale


Un caro augurio di buon Natale a tutti i lettori del blog

Il disegno nella foto è stato fatto dal mio alunno, Mattia13. Tutta la IIB della secondaria di I grado di Orta san Giulio fa gli auguri alla blogsfera su LIBERamente Librum

Se siete ancora indecisi su cosa cucinare per le feste, vi rimando al mio post animali fantastici – come cucinarli

Buone feste a tutti.

lunedì 22 dicembre 2014

L'espediente narrativo del Madornale Errore – Scrittevolezze


Si sa, l'autore alle prime armi cade spesso nel rischio Mary Sue, il personaggio perfetto che è la somma di tutti i suoi inconfessabili desideri. Eppure dall'alba dei tempi ha vasto successo un espediente narrativo che fa a pugni con l'idea stessa della Mary Sue: il Madornale Errore.

L'espediente narrativo del Madornale Errore
Il Madornale Errore è quell'espediente narrativo che ritroviamo quando un personaggio in piena coscienza compie un'azione sbagliata. Contravviene a un ordine che gli era stato espresso in maniera chiara e non fraintendibile. Sottovaluta in modo clamoroso un rischio palese. Non esegue un compito sensato che gli era stato affidato. Si fida di una persona che tutti gli hanno segnalato come potenzialmente pericolosa (e che lo è davvero)...

Il Madornale Errore è tra i topos narrativi più antichi in assoluto.
"Potrete mangiare ogni frutto, tranne quelli dell'albero della conoscenza del Bene e del Male!" E cosa fa Eva? Subito si fa tentare dal serpente e prende il frutto, con tutto quello che ne è conseguito.
"Non aprire quel vaso, Pandora!" E che fa Pandora? Apre il vaso, ovvio!
Non se la cavano meglio gli uomini. Ulisse riceve in dono da Eolo un otre che contiene tutti i venti contrari in modo da tornare più rapidamente a Itaca. Cosa fanno i suoi compagni? Rubano l'otre a Ulisse e lo aprono, come da tradizione.

A cosa serve l'espediente del Madornale Errore?

– A mettere in moto la vicenda, del resto se Eva non dava retta al serpente tutta la storia dell'umanità di limitava a un eterno pic-nic nel giardino dell'Eden.
– A porre nuovi ostacoli sul cammino dell'eroe. Ulisse era quasi a Itaca, ma ecco che i compagni liberano i venti contrari e l'aedo si assicura ancora libri e libri di peregrinazioni.
– A rendere più umano un personaggio. Il Madornale Errore si compie per curiosità, per testardaggine, per senso di superiorità, per incoscienza. Tutti difetti umanissimi, che il lettore potrà riconoscere come propri. 


Qualche esempio moderno di Madornale Errore

– "E mi raccomando, Frodo, sopratutto non usare MAI l'anello". Sono certa che Gandalf intendesse proprio: "mai, a meno di non trovarti in una locanda dove tutti possono vederti, o quando vieni assalito dagli spettri del suddetto anello"...
– Il manga Fullmetal Alchemist si basa sul Madornale Errore. I due fratelli alchimisti hanno provato a resuscitare la propria madre tramite l'alchimia (cosa vietatissima), tutto quello che segue parte dal tentativo di rimediare ai danni collaterali del folle tentativo.
– Ne Il mago di Earthsea il protagonista Ged per dare sfoggio della sua bravura prova un incantesimo che ancora non era in grado di padroneggiare, con tutto ciò che ne consegue

I gialli sono pieni di personaggi che sottovalutano la pericolosità di un assassino (del tipo, "sì, so che sono la prossima vittima, ma mi guardo bene dallo stare a casa sotto protezione, vado a farmi un giretto, cosa mai mi potrà succedere?"), si fidano delle persone sbagliate, ignorano un indizio chiarissimo...


Il Madornale Errore nelle storie di Tenar

L'ho usato, ma non spessissimo. 
Forse noi autori alle prime armi abbiamo pudore a far commettere degli errori enormi ai nostri personaggi. Tuttavia qualche ME nei miei scritti si trova. Nel thriller storico inedito il protagonista sottovaluta in modo clamoroso una minaccia, pagandone poi il prezzo.
Nei racconti delle storie del Leynlared, di cui fa parte il racconto Quello che gli uomini sognano uno dei personaggi principali, Amord sottovaluta non una, ma due volte ciò che può produrre il pregiudizio, con esiti drammatici.
Una tragica sottovalutazione, unita a un colpo di testa tipicamente adolescenziale c'è anche in un altro lavoro inedito.
Quindi posso dire che fino ad ora i ME dei miei personaggi sono state delle sottovalutazioni (clamorose) di rischi manifesti.

Voi avete mai usato questo espediente narrativo? In che modo?

venerdì 19 dicembre 2014

Poche idee e in compenso fisse – Scribacchiando




Prendo spunto dal bel post dal blog Il manoscritto del cavaliere per ragionare sulle idee ricorrenti che bene o male tornano sempre nella nostra scrittura.

"Poche idee e in compenso fisse" diceva De André a proposito delle tematiche delle sue canzoni. Credo che sia una realtà da cui non si può sfuggire. Il pittore di metallo della foto trae le idee per il suo immaginario quadro dal paesaggio che lo circonda e non si fa distrarre neppure dalla piena del lago. Lo scrittore (e il musicista o il poeta) rielabora qualcosa che viene dal profondo del suo essere e del suo vissuto. Per quanto poliedrico possa essere un autore, se ne analizziamo l'opera omnia troveremo tematiche, situazioni e vezzi stilistici che si ripetono, tornano, magari mascherati, nascosti, in sotto traccia, ma pur sempre presenti. Ci sono correnti di pensiero che scorrono nel profondo del nostro animo, sgorgano dalle tenebre dell'inconscio. Sono le cose che non possiamo non raccontare e che, per certi versi, ci definiscono come persone prima che come autori.

Molte di queste caratteristiche io le ho già raccontate in questo o in quell'altro post ma non dovrei (sono di rientro dall'esame per il quale ho fatto studiare anche il gatto: il condizionale è d'obbligo) aver fatto ancora una bella lista ragionata come quella di Cristina. 
Eccola, dunque.

La diversità
Questa torna sempre, è centrale nelle mie storie. I miei protagonisti sono sempre diversi rispetto a una qualche norma. Può essere una diversità di tipo fisico, sociale, intellettiva, di comportamento, non importa. È una diversità non cercata, i miei personaggi non vogliono essere diversi e non si sentono tali, sono gli altri a percepirli così.

La Storia
Intesa come "fatti storici del passato". Tantissimi dei miei racconti, anche quelli brevissimi, come L'uomo venuto a fare del bene, si basano su un preciso fatto storico. 
Sono e resto un'archeologa. Scavare nel passato è il mio modo di vivere. Spesso mi imbatto in particolari eventi/personaggi del passato e me ne innamoro, non posso che raccontarli, come è accaduto per La donna col liuto (in cui la protagonista è, ovviamente, una diversa).
Anche se i due esempi che ho fatto riguardano il medioevo sono in realtà onnivora. Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico si basa su eventi ottocenteschi realmente accaduti.

L'intelligenza
Sherlock Holmes non è l'unico tra i miei personaggi ad essere estremamente intelligente. Nel romanzo incontra (a distanza) qualcuno che forse lo è più di lui!
Ho alcuni amici che potrebbero dare del filo da torcere a Holmes. Uno di essi mi spiegava con estrema naturalezza come il curdo, che doveva imparare per lavoro, non fosse un problema per lui: una matrice indeuropea, un po' di termini arabi, che ci vuole?
Essere così intelligenti non è un gran vantaggio sociale e queste persone non sono proprio le più facili con cui avere a che fare (provate a programmare qualcosa con loro!). Inoltre sono sole per definizione, sopra un certo QI c'è il 2% della popolazione, se poi appartengono alla fascia alta di questo 2% va da sé che siano ancora più rare.  Frequentarli può essere snervante, ma è arricchente, non c'è cosa su cui non abbiano un'idea personale (a volte folle, ma pur sempre con un ragionamento dietro). Come faccio a non raccontarli?

L'adolescenza
Non c'è età più raccontata e più stereotipata. Ma l'adolescenza, il momento della possibilità, in cui l'esperienza non ci ha ancora rivestito come una corazza e tutto è più tagliente e doloroso, rimane il momento più affascinante della vita. Non torna sempre, ma spesso sì, come ne La roccia nel cuore, dove la vicenda parte dal presunto suicidio di un adolescente.

Il dubbio
Le mie storie non danno certezze esistenziali. Forse è anche per questo che mi piace il giallo, con la sua dicotomia verità/certezza. Si può arrivare alla verità su un fatto criminoso, ma a certezze sul perché e sulla giustizia?

Personaggi introversi
I miei personaggi sono dei diversi, mica possono essere estroversi!
Sono attratta dai non detti, da silenzi e dai sottintesi. 
Cosa davvero strana, considerando che io sono una che "butta fuori tutto".

L'amicizia come ancora di salvezza
Sarei persa senza i miei amici. Mi rendo conto della straordinaria fortuna di aver avuto sin dalla prima infanzia (la mia testimone di nozze l'ho conosciuta all'asilo!) delle amicizie vere. 
Più disinteressata e spesso più salda dell'amore, l'amicizia non ha grande fortuna narrativa di questi tempi. Eppure è un sentimento che più di tutti mi piace raccontare.

L'idea del drago
Inteso come mostro da sconfiggere. L'idea del drago, non il drago in sé, torna tantissimo, tanto che il titolo originale de La roccia nel cuore doveva essere L'uomo che allontanava i draghi.
Il drago, però, si nasconde, anche dentro di noi.

Mi rendo conto che su questa lista si può lavorare anche al contrario. Quegli elementi che sono importantissimi, ma che non sono un nostro pallino. Ad esempio nel mio elenco le ambientazioni non figurano. Amo le miei ambientazioni, ma le scelgo in funzione alla storia, non sono la prima cosa a cui penso. L'aspetto fisico del personaggi. A parte il particolare che raccontavo nel commento del post di Cristina di far fare spesso una brutta fine a chi ha gli occhi verdi come me (per la serie uccidiamo Mary Sue), di un personaggio penso prima all'anima che al corpo.

Ancora una volta, io mi sono confessata e passo la palla a voi. Quali sono le vostre idee fisse? Quali pensate che siano le motivazioni? E quali gli elementi a cui pensate in un secondo momento?

mercoledì 17 dicembre 2014

Il rapporto con l'editore/curatore – praticamente


Abbiamo mandato la nostra creatura letteraria a un editore, il nostro racconto a un concorso, a una selezione editoriale, a una rivista, cartacea, on-line. Dopo un'attesa che ci è parsa eterna (probabilmente lo è stata) ecco che arriva la risposta. Il nostro testo sarà pubblicato e non ci vengono chiesti in cambio denaro o acquisti improbabili!
Da questo momento in poi dovremo rapportarci a un editore o al curatore dell'antologia o della rivista. Aiuto!
Per quel che mi riguarda, io ho commesso ogni sorta di errore. Sono socialmente inetta o quanto meno inappropriata, in quanto timida parlo poco, ma in compenso con una pessima scelta dei tempi. Ho rischiato di offendere senza alcuna intenzione. Mi sono ritrovata (più volte!) a collaborare contemporaneamente con due persone che tra loro non andavano d'accordo. Sono stata danno collaterale in litigi altrui. In litigi altrui ho cercato di salvare il mio rapporto con l'uno e con l'altro risultando inopportuna con entrambi. Insomma, sono un pessimo esempio.
Ecco però quello che mi è sembrato di capire.


TUTTO QUELLO CHE L'EDITORE NON È
– L'editore non è tuo benefattore
Se qualcuno sceglie di pubblicare un tuo scritto è perché tale scritto è piaciuto ed è aderente alla sua linea editoriale e/o adatto a quel particolare progetto. Né più né meno. Non ti ha salvato la vita né ti sta facendo la carità. 
La stima, il rispetto e la fiducia sono basi necessarie per un rapporto che non può che essere paritario.

– L'editore non è il tuo migliore amico
Spesso un rapporto editoriale sano che si basa sul rispetto reciproco e la passione comune si trasforma in amicizia. Questa, sia chiaro, è un'ottima cosa. Però, se chiamiamo un nostro caro amico idraulico per sistemare la caldaia, dovremo comunque pagarlo e se la caldaia poi non funziona chiederemo un risarcimento. Il rapporto professionale e quello amicale meno si mescolano e meglio è. Non potete offendervi se il vostro scritto non viene pubblicato. L'editore, in quanto amico, non vi deve niente. L'editore non può chiedervi, in quanto amico, di riscrivere all'ultimo momento o di rinunciare a quanto vi spetta.
Col tempo ho capito che questo è il punto più importante. Stimare, rispettare ed essere amici è bellissimo, ma quando si parla di lavoro, l'aspetto amicale va lasciato fuori. Mescolare le due cose è la ricetta ideale per il litigio, che l'oggetto sia la caldaia o un racconto.

– L'editore non è tuo marito/tua moglie
Come mio marito mi aspetto di avere in comune una visione del mondo. Spesso dei gusti. Se mio marito arriva a casa dicendo di voler andare al cinema a voler vedere un cinepanettone io chiamo il medico. Se la cosa persiste, l'avvocato divorzista.
Un editore, magari, può pubblicare noi e l'equivalente di un cinepanettone, se ritiene che entrambi rientrino nella sua linea editoriale e abbiano un mercato.
Sta a noi decidere se ci riconosciamo abbastanza in quell'editore per pubblicare con lui. Ma non possiamo offenderci a livello personale per le sue scelte. Non lo abbiamo sposato!


PUBBLICARE TRAMITE EDITORE VUOL DIRE CHE NON C'È SOLO IL TUO NOME IN COPERTINA
C'è anche quello dell'editore. Nel caso di un'antologia c'è spesso anche quello del curatore. In una rivista il responsabile/redattore capo/direttore o che altro.
L'autopubblicazione vi lascia signori e padroni del vostro scritto, l'editoria tradizionale no. Alla fine il prodotto è più solo mio, ma nostro.
Questo implica alcune cose:

– L'editore ha il diritto di non pubblicare ciò che non è aderente alla sua linea editoriale.
Un romanzo capolavoro come Lolita no avrebbe potuto essere pubblicato da una casa editrice gestita da monache di clausura tra una vita di santo e l'altra.
Questo vuol dire che quanto riceviamo una lettera di rifiuto che ci dice che l'opera non rientra nella linea editoriale, spesso non ci stanno mentendo. E non dobbiamo offenderci. 

– Un buon editore/curatore dovrebbe esplicitare la linea editoriale/il tono dell'antologia/rivista, in modo da capire se quella tal opera si può sposare o no con il progetto. Il racconto porno per l'antologia di Natale delle suore potrebbe non essere una buona idea.

– Alla fine entrambe delle due parti devono essere soddisfatte del prodotto. Alla pari. Magari dopo aver fatto entrambe un passo indietro.

Questi vincoli possono stare stretti, ma sono insiti nel rapporto autore/editore. La strada autarchica oggi c'è. Si chiama autopubblicazione, ma è un'altra strada (non sbagliata o inferiore, solo diversa, con regole sue proprie che io non conosco).

TRA TE E L'EDITORE STA IL CONTRATTO
Sempre, come in qualsiasi rapporto di lavoro.
Il contratto, prima che venga firmato, non è scritto con il sangue. I punti che vi sono esplicitati possono essere discussi, patteggiati e rivisti.
Non ha senso vergognarsi nell'esprimere, in fase di contrattazione, un dubbio o un dissenso. La prelazione mi sta stretta? I diritti vanno ceduti per mille anni? Se ne parla. L'editore, del resto, non è né il tuo benefattore né il tuo migliore amico, il tuo rapporto con lui è, almeno all'inizio, professionale. Se non si arriva a un accordo, niente lacrime. In linea di massima, se lo scritto è valido, ha più da perdere l'editore a non pubblicarlo.
Se il contratto ti chiede di vendere l'anima, allora non ne vale la pena.
Non basta che sia un contratto non a pagamento. Quella è la condizione sine qua non. Non vi può chiedere di sobbarcarvi chissà quali impegni di promozione (o, peggio, di vendita delle copie). Non può essere un matrimonio indissolubile come neppure quelli medioevali. Non può essere la fiera della vaghezza (sarà pubblicato non si sa quando, non si sa in quante copie, non si sa con che prezzo di copertina, non si sa con quali diritti riconosciuti all'autore, pagati non sia quando...).
Non è detto che, solo perché un contratto vi viene proposto, vada necessariamente firmato. A volte è il caso di dire no. La letteratura insegna che l'anima non si vende mai.

D'altro canto un contratto è necessario. Non si lavoro sulla simpatia, sull'amicizia o sulla parola. Neppure se si è amici da anni. La caldaia la voglio con la garanzia, anche se me la vende mio fratello.

Una volta firmato il contratto va rispettato. Da entrambe le parti. Come in ogni rapporto lavorativo, entrambe le parti possono rivalersi.

IN CONCLUSIONE
Fate amicizia col vostro editore/curatore/responsabile! Andare a bere una birra con lui, ridete e scherzate. 
Però, quando si arriva al contratto o al rispetto del suddetto, non pensate all'arte, alla scrittura, ma alla caldaia. La volete funzionante e con la garanzia. 

lunedì 15 dicembre 2014

L'uomo venuto a fare del bene – racconto brevissimo

L’uomo venuto per fare del bene arrivò a piedi. 
Spuntò all’alba dalla strada per Marsiglia, aveva un vecchio saio consunto, occhi ardenti e la verità in tasca.
Il prete del paese dubitava che si trattasse davvero di un frate, ma quando l’uomo si mise a predicare in piazza, si sistemò in prima fila. Se anche qualcosa nelle sue parole sapeva un poco di eresia, si trattava pur sempre di una voce nuova, merce rara nel paese. 
Lo straniero aprì le braccia e con voce tonante ricordò alla folla la brevità della vita e lo sguardo rabbioso di Dio sempre attento ai loro peccati. Poi sorrise, rasserenato, e invitò alla bontà e all’unione poiché lui era giunto per fare del bene e lasciare la pace nel cuore della cittadinanza. Di fianco al prete, la vedova e lo storpio avevano gli occhi lucidi di commozione.
Il predicatore se ne andò già nel pomeriggio, con un poco di mal di testa e la coscienza a posto.
Lo storpio non ricevette mai tante elemosine come quel giorno, frutto del vago desiderio di espiare che era rimasto come un profumo nell’aria. La vedova andò a trovare le tre figlie per rappacificarsi con i loro mariti. Il prete, dal canto suo, si trovò la chiesa piena e fece notte con le confessioni.

Era l’inverno tra il 1347 e il 1348. L’uomo venuto per fare del bene morì una settimana dopo e non seppe mai di essere stato lui a portare la peste in Italia.

Racconto inserito nella raccolta  Parole al Vento, Macchione Editore, 2010.

sabato 13 dicembre 2014

Incomprensioni d'autore – Visioni

È da tempo che non dedico un post al cinema, per una ragione ben precisa: non ho tempo per andarci. I film in sala si susseguono senza che io riesca a vederli e alla sera languo sui libri da studiare mentre qualcosa di non meglio identificato passa in tv. Sono e rimango, tuttavia, una cinefila, e quando Sky (che pago apposta per il cinema) mi propone una pellicola di cui ho sentito parlare, di solito la guardo.
È capitato, tuttavia, che si siano susseguite in un arco di tempo limitato (un mesetto, credo), film accomunati da alcune caratteristiche: essere d'autore, aver fatto discutere, trattare tematiche scottanti e aver suscitato in me e nel Nik reazioni inaspettate.
Tutte la pellicole trattate si rivolgono a un pubblico maturo



Nik: – Adesso si vede lei che riguarda se stessa.
Scena in cui lei riguarda se stessa
Nik: – È uscita meglio nello Shield
Tenar: – Non puoi paragonare un telefilm americano a un film d'autore europeo
...
Nik: – Ma non è inutile questa scena del compleanno?
Tenar: – Serve a ribadire che lei è minorenne.
Nik: – Ma non è inutile?
Tenar: – Se non fosse un film d'autore sarebbe un errore di sceneggiatura.
...
Nik: – Adesso il vecchio muore d'infarto
Il vecchio muore d'infarto.
Nik: – Andiamo a dormire?
Tenar: – Andiamo a dormire.



Chiacchieratissimo film, palma d'oro a Cannes, una di quelle pellicole che non si può non vedere.
La vicenda non parte neanche male, molto realistiche le dinamiche adolescenziali, l'imbarazzo e la fascinazione per un mondo sconosciuto, la paura del giudizio altrui.
Poi la timida adolescente senza esperienza di trasforma in un'istante in una dea dell'amore come neppure Venere all'apice del suo divino fulgore.
Inizio a sbadigliare in modo irrefrenabile. 
La descrizione del mondo giovanile cede il passo alla descrizione di una singola specifica attività.
Sbadiglio sempre di più.
L'ultima cosa che ricordo è una discussione in una cena a base di crostacei.
Morfeo ha vinto su Venere.



Dei tre film l'unico che abbia visto tutto, immagino che sia già un merito.
Rimane il fatto che è un film in cui uno dei due protagonisti è un musicista, ma la musica rimane quasi del tutto fuori dalla vicenda. Questa è una mia fisima personale, probabilmente, ma se un personaggio è realmente esistito ed è famoso per qualcosa, un film che racconta di lui dovrebbe raccontare anche questo aspetto. Non basta far apparire il scena un pianoforte due volte per dirmi che Liberace era un grande musicista!
Matt Damon, inoltre, è davvero troppo vecchio per interpretare il giovanissimo Scott, e questo toglie di fatto alla vicenda molta della sua ambiguità. Ne rimane una storia d'amore come un'altra, piuttosto banale nel suo svolgimento (tizio più potente si innamora di giovane fiamma, poi si stanca e passa a più giovane fiamma). 
Un solo interrogativo mi ha tenuto sul divano fino alla fine: ma i cani poi come se li saranno divisi?
(Diamo atto alla pellicola di aver risposto a questo mio dubbio e avermi permesso di andare a dormire serena)

giovedì 11 dicembre 2014

I rischi dell'autoconsolazione – scrittevolezze


Un commento della sempre ottima Anima di Carta mi ha dato lo spunto per il post di oggi, salvando (temporaneamente) alcuni film d'autore dal mio non troppo lucido giudizio.

Perché la scrittura come autoconsolazione è un rischio?
Anni passati a frequentare il mondo della scrittura professionale e amatoriale mi hanno convinto che uno dei motori, spesso inconsci, che spinge la gente a scrivere è il desiderio di autoconsolazione. Di primo acchito verrebbe da dire che questo non è un male. Strafogarsi di dolci per autoconsolarsi nuoce senza dubbio di più alla salute! E ci sono al mondo cose peggiori della cioccolata.
Autoconsolarsi con la scrittura, grazie al cielo, non fa male a chi scrive. Fa male, se mai, alla qualità delle storie.
Vediamo perché.

Il rischio Mary Sue
È il rischio più frequente e ovvio. Mi consolo della mia vita immaginandomi un personaggio alter ego che sia come me, ma senza i miei difetti. Come me, ma con i superpoteri. Diventa trasposizione la perfezione impossibile a cui si aspira. E, si sa, la perfezione è noiossima
Altre considerazioni sul rischio Mary Sue le trovate in questo post

Il rischio "Burattinaio"
Spesso nella vita reale ci troviamo in balia degli eventi e possiamo controllare davvero poco di quello che ci accade. Quando scriviamo, invece, siamo i re del nostro mondo. Decidiamo noi chi punire e chi salvare. Siamo come dei!
Al di là dell'ovvio delirio di onnipotenza che sta dietro a questo atteggiamento, spesso il burattinaio è portato a punire i cattivi e a premiare i buoni in modo eccessivo. I cattivi sono brutti, laidi e fanno una pessima fine. I buoni spesso sono sfortunati, ma candidi e belli come roselline e alla fine il fato arride loro com'è giusti che sia.

Il rischio sfogo
Non c'è nulla di più autoconsolatorio di una bella lamentela! E quindi a volte si scrive per sfogarsi, per raccontare della propria vita e dei propri drammi, semplicemente prendendo un personaggio che è tale e quale a noi, ma ha un altro nome.
Siamo davvero sicuri di essere così interessanti?

Il rischio "la vita che vorrei"
Magari riusciamo ad evitare la Mary Sue, ma ci consoliamo facendo vivere al nostro personaggio la vita che vorremmo. Certo, non vogliamo che soffra troppo! Vogliamo per lui il lieto fine e anche il principe azzurro e persino la reggia con piscina!
Alla fine, i nostri desideri sono spesso banali. Possiamo sognare in santa pace di vincere al superenalotto, ma forse non è il caso di scriverci un romanzo.

Perché la scrittura NON può essere autoconsolatoria?
La narrazione è ricerca e autoanalisi.
Non amo il mondo new age e rifuggo l'uso di termini che possano essere associati alla spiritualità spiccia, però, sì, la scrittura è, anche una ricerca interiore. È un viaggio nella penombra dell'animo umano ed è tanto più interessante quanto più riesce ad inoltrarsi negli interstizi delle anime. La prima anima che un autore ha a disposizione è la propria e non c'è gran che di consolatorio nell'andare a spasso nelle zone oscure del proprio animo. Se ne può uscire più consapevoli e tutto sommato più sereni, ma, in termini di autoconsolazione, la cioccolata è più efficace.
Come tutti i viaggi, inoltre, l'arrivo e il percorso sono sottoposti a infinite variabili. Si sa cosa si parte per cercare, non si sa cosa si trova. Come raccontavo nel post scorso, sono partita per scrivere storie fantasy disimpegnate, ho finito per scrivere di delitti andando a scavare nelle psicologie degli assassini.

La scrittura può essere consolatoria?
Per ragioni che mi sono rimaste oscure il libro del liceo con le poesie di Catullo era introdotto da un testo teatrale, un dialogo tra due personaggi (indovinate, uno era Catullo!). All'epoca mi affascinò parecchio. Una delle battute finali suonava più o meno così (cito a memoria e chiedo venia):
"Possiamo solo farci coraggio a vicenda, come facciamo noi due, parlando così e raccontandoci delle storie"
L'uomo ha da sempre avuto bisogno di storie per consolarsi, nel senso di farsi coraggio, riconoscersi nell'altro. Le mille e una notte raccontano che la narrazione allontana, ancor più della morte stessa, l'idea della morte. Le storie tengono in vita il re non meno di Sharazad, perché notte allontanano da lui il pensiero della morte. Attraverso le storie viene a contatto con l'umanità di Sharazad non meno che con quella dei personaggi, fino ad innamorarsi di lei.
Le storie consolano perché ci dicono, se non altro, che siamo tutti soli allo stesso modo e che il dolore è esperienza comune.
Le storie ci rendono consapevoli del nostro essere uomini (e donne) e di condividere con gli altri la stessa condizione umana.
In questo senso sono consolatorie. 
Non consolano l'autore, però, se mai lo sono nel confronto col lettore. Finché l'autore è chiuso nell'ottica di un'immediata autogratificazione è difficile che ciò avvenga.

Inevitabili  lodevoli eccezioni
"Scrivo un racconto immaginando una storia che farebbe star bene me se la leggessi adesso".
Ecco questo è un atteggiamento autoconsolatorio che può anche funzionare. Voglio gratificarmi attraverso una storia che mi scrivo da solo. La storia che vorrei leggere in questo momento.
Può funzionare, ma solo a delle condizioni.
Che l'autore ne sia consapevole
La scrittura è al 90% consapevolezza. Quando siamo a conoscenza di un rischio già automaticamente mettiamo in atto tutto quelle misure correttive che ci evitano di cadere in errore.
Che la storia non sia consolatoria per la presenza di Mary Sue, autore burattinaio et similia
In questo momento mi andrebbe di vedere un film disimpegnato d'azione in stile anni '80. Indiana Jones, per intenderci. Se non avessi la febbriciattola, le tesine da scrivere e i compiti in classe da correggere, potrei decidere di sfruttare questo mio desiderio estemporaneo per creare una storia con un certo tono e un certo ritmo. Dovrei però stare attenta a non creare un clone, non usare le Mary Sue e tutto il resto. Dovrei lavorarci duramente, ma, in effetti, potrei.

Le mie storie autoconsolatorie sono gli apocrifi di Sherlock Holmes. Lo so io, lo sa l'editore e lo sa Sherlock Holmes, quindi c'è il giusto grado di consapevolezza.
Sono consolatorie perché, per come la vedo io, una storia in cui all'inizio abbiamo un investigatore tossico e sregolato e alla fine abbiamo un apicultore sessantenne con un certo grado di saggezza è una bella storia a lieto fine. Quello che sta in mezzo può anche essere orribile, ma so quale vecchiaia attende i miei protagonisti, quindi nulla può angosciarmi davvero.
Scrivo di Sherlock Holmes quando sono stressata (ad esempio in questi giorni). Quando sono più tranquilla, invece, parto per esplorare luoghi più oscuri e insicuri.

Voi cosa ne pensate? Ritenete che l'autoconsolazione in scrittura sia un rischio?

martedì 9 dicembre 2014

Tutti i miei sbagli (in scrittura)


Mentre anche sul mio lago (tornato più o meno negli argini), è arrivato l'inverno, giunge anche il mio turno di confessare (quasi) tutti i miei errori in scrittura, come fatto da tanti altri amici blogger prima di me.
Pronti? Si parte.

Il grande romanzo senza nome
Ho sempre inventato storie, ma solo a 19 anni, al primo anno di università ho iniziato a scrivere. Prima,  tra studio e allenamenti, me ne mancava il tempo materiale.
E quindi come si parte?
Ma con un romanzo fiume, ovviamente!
Un fantasy con guerre, amori impossibili, uomini gatti, draghi, spade magiche, re, maghi, psionici e chi più ne ha e più ne metta.
L'errore fondamentale
Non aver chiaro quale fosse il cuore della storia. Cercare di mettere dentro tutte le idee che mi frullavano nella testa senza alcuna pianificazione, nella folle, romantica idea che tutti i tasselli sarebbero andati a posto da soli.
I tasselli sono ancora lì che se la ridono.
La cosa che ho imparato nonostante tutto
Che ho delle idee. Né i personaggi né le singole situazioni erano scontati. Certo, era tutto assemblato come un vestito di Arlecchino, ma le singole pezze, prese una per una, non erano male. Sopratutto, non erano copie.

Il drago nel medaglione
Ok, diamoci una calmata, proviamo con una storia più gestibile.
Quindi è stato il mio turno del romanzo YA con protagonista sedicenne minuta con i capelli rossi.
Sono tutt'ora convinta che il risultato finale sia stato più che dignitoso. Se solo l'avessi scritto, diciamo, negli anni '60, avrei fatto il botto. Però negli ultimi decenni ne erano scesi di romanzi YA sotto i ponti. Aggiungiamo il fatto che la mia protagonista sedicenne arrivava a fine romanzo a dare un bacetto al suo lui. Nel mentre erano usciti romanzi in cui le sedicenni se la facevano con vampiri e lupi mannari, concupivano il loro (presunto) fratello. Insomma, non c'era storia con la mia educanda anni '60.
L'errore fondamentale
Non osare
La cosa che ho imparato nonostante tutto
Un minimo di pianificazione, oltre tutto appresa in modo del tutto incidentale. L'idea base si fondava su un colpo di scena finale. Per avere un colpo di scena finale bisognava aver già in mente il finale e avere un'idea di come raggiungerlo.
Cosa mi sono portata a casa
Un racconto mai pubblicato I tesori mai scoperti che considero comunque uno dei miei primi racconti maturi

Lord Corvo
Adesso mi sentivo pronta. L'università stava finendo, l'idea di iscrivermi a un master sulla narrazione era sempre più forte. Mi sentivo pronta per osare personaggi complessi, tematiche complicate affrontate in modo maturo. Ho scritto il mio grande romanzo fantasy. Questa volta i personaggi funzionavano, la storia era compatta o, meglio, sapevo cosa volevo raccontare.
E allora cosa è andato storto?
L'errore fondamentale
Non capire che, se il cuore della storia erano i personaggi e i loro rapporti, forse il fantasy non era il genere più adatto per quella storia.
Aver paura di affrontare il "mondo reale", pensando che il fantasy potesse in qualche modo proteggermi (l'ho creato io, quindi è casa mia, quindi sono al sicuro...)
La cosa che ho imparato nonostante tutto
I personaggi funzionavano. Funzionano tutt'ora, quando vado a trovarli.
Cosa mi sono portata a casa
Tutta una serie di racconti. Qualcuno l'ho pubblicato, qualcuno no. Molti non sono pubblicabili. Sono lunghi e interconnessi. Ogni tanto penso di pubblicarli su qualche sito di scrittura amatoriale, ma poi l'idea di litigare con le impaginazioni mi frena. Mi piace tornare dai miei personaggi, tutto qui, e scrivere di loro senza pensare ad altro.

Tutto qui?
No, non si smette mai di sbagliare e quindi, grazie al cielo, anche di imparare. 
C'è il thriller storico che non si capisce bene a chi possa piacere. Ha una scrittura piana e semplice che illude il lettore, che poi si trova invischiato in una storia violenta e moralmente ambigua. E la cosa, mi scoccia ammetterlo, non funziona. 
Ho ancora tutta una serie di problemi a raccontare personaggi simili a me. Quando scrivo mi sento rassicurata a nascondermi dietro a personaggi che nessuno mai possa confondere con me. Non voglio sentirmi psicanalizzata attraverso i miei personaggi! Però ogni tanto una protagonista femminile potrei anche usarla!

Adesso io mi sono confessata. Sotto a chi tocca!


domenica 7 dicembre 2014

Animali fantastici – come cucinarli

Quando arrivi a far studiare il gatto al posto tuo sei alla frutta!

Il post di oggi non ha, né pretende avere, molto senso. È nato per via di una concausa di eventi. L'ostinarsi a stare sui libri insieme al gatto invece che buttarsi nello shopping natalizio porta la mente a vagare su tortuosi percorsi. Intorno a me tutti parlano di menù da mettere a punto per le feste. Io associo la cosa all'abitudine dei miei parenti veneti a cucinare qualsiasi cosa si muova (in alto veneto si mangiavano in passato rane, uccellini, tassi, gatti, marmotte e le vipere venivano messe stotto grappa). Da qui l'idea di un'orda di cuochi veneti in un mondo fantasy intento ad elaborare un menù per le feste. 
Il ricettario si è poi arricchito con i contributi di Nik, Jamila, Manu ed Elena.

Ecco cosa ne è uscito.

Menù per festività fantasy – Animali fantastici come cucinarli

Consommé di fenice
L'unico modo per cucinare l'Araba Fenice è bollirla. Come la gallina, fenice vecchia fa buon brodo. La si fa sobbollire a lungo con dittamo e mandragola, un poco di sale e pepe finché il brodo risulta denso e saporito.
Servire decorato con prezzemolo o fiori alimentari.
NOTA: al termine della preparazione la fenice va estratta dal brodo e gettata nel fuoco. Se ne andrà rigenerata e lieta per la cura dimagrante a cui l'avete sottoposta

Brodo di fenice
Pasta con pesto di basilisco
Bendarsi strettamente prima di maneggiare il basilisco. Sminuzzarlo per bene, avendo cura che non restino parti distinguibili degli occhi, aggiungere il basilico e procedere come il tradizionale pesto ligure. Ottimo per condire trofie, gnocchetti e altra pasta.

Filetto di unicorno
Solo una giovane cuoca vergine può cucinare la carne di unicorno senza farla indurire. Sfortunatamente, le giovani cuoche vergini spesso non hanno l'esperienza per cucinare alcunché, da cui la credenza che la carne di unicorno sia stopposa. In realtà il filetto di unicorno può risultare gradevole e delicato. Da servire con un contorno di crescione selvatico

Cuoca che sta per
cucinare l'unicorno
Spezzatino di manticora o chimera
Antica ricetta etrusca.
Sia la manticora che la chimera si prestano per la preparazione di sontuosi spezzatini che, di fatto, possono costituire da soli un pasto completo. Ogni taglio va cucinato separatamente, necessitando di tempi e preparazioni differenti.
Ricordarsi di eliminare eventuali parti velenose.

Piatto per spezzatino di chimera
Granite del drago del gelo
o
Frutta al flambé di drago
Due dessert di sicuro impatto. Per entrambi occorre avere un drago come aiuto cuoco. Nel primo casi si predispongono i frullati di frutta, nel secondo le macedonie già pronte e poi al drago, che sia esso del gelo o del fuoco non resterà che soffiare.
NOTA BENE: assicurarsi di avere con il drago accordi chiari e non fraintendibili. Questo dessert, in caso contrario, potrebbe costarvi caro, anche in termini di ospiti. Assicuratevi infatti che il drago abbia chiaro in che senso è invitato alla vostra cena...
Drago pronto per la frutta flambé
Grappa alla viverna
Per terminare, un bel bicchierino di questa specialità nanica, la grappa alla viverna.

Chi altro vuole divertirsi a immaginare un menù per le feste che abbia un tema letterario?
O avete altri piatti da consigliare?

Le foto delle ricette sono tratte da wikipedia.org
Nessun animale, fantastico o reale, è stato maltrattato nella preparazione di questo post
L'autrice del blog, per quanto non sia vegetariana, non mangia né gatti né unicorni. Si ricorda inoltre che la caccia delle specie protette è contro la legge.

giovedì 4 dicembre 2014

Come gestire i personaggi odiosi? – Scribacchiando


Scrivendo e ragionando di scrittura, spesso ci si interroga sulla gestione dei protagonisti, su quanto di noi ci sia nei protagonisti e di quanto non ci sia. Il protagonista, però, alla fine è il personaggio su cui abbiamo più controllo. Noi lo creiamo e noi lo eleggiamo a protagonista, plasmiamo la storia tutto intorno a lui. In teoria (poi lo so che non è così) dovrebbe essere il personaggio che meno ci dà problemi di gestione in assoluto. Al limite, se proprio non lo sopportiamo più, possiamo elevare qualcun altro al ruolo di protagonista e ributtarlo nel limbo dei secondari, dove ci darà meno fastidio.
Ma come ve la cavate con quei personaggi che vi stanno veramente antipatici, che vi sono odiosi fin nel midollo, me che, ahimé, sono indispensabili allo svolgimento della trama?

All'inizio tendevo a non inserire alcun personaggio davvero odioso. Non c'erano neppure dei veri cattivi nelle mie storie. C'erano persone benintenzionate che sbagliavano, combinando grossi guai. Forse allora avevo una visione più edulcorata della vita, credevo davvero che la malignità non esistessero e che tutti fossimo in fondo brave persone, per quanto fallibili.

Il mio primo problema con i personaggi odiosi, quindi è ammetterne l'esistenza. Prendere atto che nella società girano delle creature orribili (ma davvero orribili, gente che ammazza donne e bambini, tanto per intenderci, e spesso per futili motivi) e che essi non hanno l'aspetto di mostri. Sono persone e come tali vanno raccontate. E per raccontarle vanno indagate. Per indagarle devo mettermi nei loro panni. Brrr...

Scegliersi il personaggio odioso, quindi, e sforzarsi di vedere il mondo con i suoi occhi.
Che cosa orribile e masochista da farsi!

Molti autori dicono di amare tutti i loro personaggi, anche i peggiori, perché in fondo in fondo...
Di solito questi autori non scrivono gialli.
Io non posso e neppure voglio amare i miei assassini. Io i miei assassini li odio con tutta me stessa e tifo già dalla prima riga perché vengano messi in galera.

Questo è un altro problema. Calarsi nei panni del cattivo, dell'assassino, nel mio caso, ragionare con la sua testa e cercare per lui una via di fuga. E a volte riuscirci.

I miei cattivi stanno diventando più bravi e più apprezzati dai lettori. E io ho sempre più paura di loro.
Tra i tanti personaggi odiosi con cui ho dovuto convivere negli ultimi dodici mesi, due mi hanno creato particolari problemi. Sono entrambi in racconti perché non avrei mai potuto reggerli per un romanzo intero.

Il primo è presente in Certe Mattine, il racconto che è arrivato secondo a Giallo Grado e che sarà pubblicato a breve. È un assassino viscido, manipolatore, che si approfitta delle persone di cui dovrebbe prendersi cura. La cosa peggiore è che la fa franca. L'investigatore è un personaggio dolce e dolente, a cui voglio bene al 100%, che lotta contro l'assassino, contro il tempo e contro se stesso. Ho tifato per lui dalla prima riga. Però, però, però... Alla fine non lo prende. E io ci sono rimasta malissimo. Perché davvero non volevo che finisse così... 
Ma si può rimanerci male per un finale che ci si scrive da soli?
Ancora oggi, a mesi di distanza, ho dei problemi a relazionarmi con questo racconto...

Il secondo se ne sta in un racconti apocrifo Sherlockiano. È un viscido manipolatore pure lui, con l'aggravante del sadismo. Riesce a incastrare Watson in un modo così profondamente subdolo da farmi sentire un mostro solo per il piano architettato. Lo volevo morto a tal punto da usare un espediente che non è al 100% canonico. Il risultato? Più di un lettore cavia ha considerato il mio odioso cattivo un personaggio riuscito e mi hanno chiesto di non ucciderlo per vederlo di nuovo in azione.
Come sentirsi sconfitta da un proprio malvagio personaggio!

Voi come ve la cavate con la gestione dei personaggi odiosi?
Quali sono quelli che avete odiato di più tra i personaggi che avete scritto?
E tra quelli che avete letto?

martedì 2 dicembre 2014

Scrivere per essere ascoltati – Scrittevolezze


Un commento di Jamila al racconto Gli occhi delle ragazze innamorate mi ha invogliato ha scrivere questo post di scrittevolezze.

Può capitare di scrivere un racconto destinato a essere ascoltato?
A me è capitato piuttosto spesso.
Per il programma radiofonico Siamo in Onda (che purtroppo oggi non esiste più) ho scritto racconti che venivano trasmessi, recitati da un attore.
È capitato che mi fosse chiesto di scrivere racconti che venivano letti nelle più diverse occasioni (Gli occhi delle ragazze innamorate è stato letto a chiusa di un incontro di sensibilizzazione sul tema della violenza domestica).
Durante le presentazioni dei romanzi a volte viene chiesto di leggere qualcosa, è meglio, in questi casi, avere qualcosa di breve e di autoconclusivo tra le mani, pensato proprio per l'ascolto.

Conoscere qualche trucco su come scrivere un racconto destinato all'ascolto può sempre venire utile, magari per inserire un brano dal sapore particolare all'interno di una narrazione più lunga o caratterizzare un testo.


Cosa tenere presente quando si scrive un brano destinato all'ascolto?

Un racconto destinato all'ascolto deve essere breve. A meno di non avere le capacità di scrivere un vero e proprio monologo teatrale (che è comunque il nostro modello di riferimento) e un attore in grado di supportarlo, meglio non superare le 5000 battute. 
I miei racconti radiofonici di solito non arrivavano alle 2000.

Usare frasi brevi, con il soggetto esplicitato (meglio se a inizio frase). L'ascoltatore deve poter capire di chi si sta parlando e cosa sta accadendo. Periodi di quindici righe possono funzionare se devono essere letti, ma per leggerli ci vuole un campione mondiale di apnea e un ascoltatore super attento.
Due cose che probabilmente non avrete a disposizione.

Raccontare bene poche cose. 
Guerra e Pace non si presta molto all'ascolto, così com'è.
Meglio decidere bene cosa si vuol raccontare, capire qual è il cuore di ciò che si vuole trasmettere e cercare di raccontarlo nel modo più comprensibile possibile.
Per esperienza personale, al netto della banalità, di solito la sincerità paga. Se nelle poche righe a disposizione si riesce a condensare qualcosa che davvero pensiamo, che per noi è importante, di solito l'ascoltatore lo coglie.

Le ripetizioni possono aiutare.
Se devo scrivere un racconto destinato all'ascolto, spesso ripeto più di una volta una frase, magari con variazioni. L'idea è quella di creare un ritmo, oltre che un'associazione d'idea, come con l'epiteto omerico.

Tenere conto della musicalità delle frasi.
Questa è una banalità, ma tanto vale scriverla. Provate a leggere il testo a qualcuno. Sentite come suona, se le frasi suggeriscono un ritmo. Rendetevi subito conto se sia o no comprensibile (io lo chiamo "il test della nonna", se anche la nonna segue il racconto, allora va bene).

Evitare parole lunghe, termini desueti o tecnicismi.
Leggendo un brano ci si può fermare, controllare su un vocabolario o su un'enciclopedia. Si può rileggere una frase e accertarsi di averla compresa. Ascoltando no.
Non è questo il momento di dare sfoggio della vostra cultura. Non è il caso di usare pteranodonte, anche se si tratta proprio del temine più adeguato. Dinosauro volante andrà benissimo e la lezione di scienze la farete un'altra volta. Apotropaico è tra le mie parole preferite, ma magari in un racconto destinato all'ascolto anche no. Persino io, in questi casi, mi astengo dagli avverbi in -mente.
Possibile eccezione: rendere un termine particolare centrale per il racconto e spiegarne il significato in modo semplice.

Qualcun altro di voi si è cimentato nella scrittura di racconti destinati all'ascolto? Che espedienti tecnici avete usato?

Nella pagina Liberi nella rete trovate sette dei racconti che ho scritto per Siamo in Onda, destinati quindi all'ascolto.