venerdì 31 marzo 2017

Treccia d'amore – Parte seconda, racconto inedito

Parte prima

Riassunto breve

Eris an'Tay sogna da sempre di essere la prima donna a partecipare, forse a vincere la Corsa dell'isola di Tiv, una famosa gara equestre che si svolge sull'isola in cui sorge la capitale e a cui partecipano i più famosi nobili del Leynlared.
Il padre di Eris acconsente a dare il permesse alla figlia a un patto: dovrà cercare di sedurre (e possibilmente farsi chiedere in sposa) il leylord, Amrod del Leynlared, che da dieci anni siede sul trono senza essere sposato e senza aver generato un erede.
Giunta a corte, Eris riesce inaspettatamente ad attrarre subito l'attenzione del leylord, anch'egli intenzionato a partecipare alla gara. La dama di compagnia di Eris propone quindi alla ragazza di far preparare un incantesimo che obblighi il sovrano ad innamorarsi di lei. Eris dovrà però procurarsi tre capelli del leylord, componente essenziale dell'incantesimo.
Ci riuscirà?

TRECCIA D'AMORE – PARTE SECONDA

Amrod, però, all’appuntamento non c’era.
Al suo posto c’era l’uomo dai capelli neri, il ciambellano, in sella ad un cavallo altrettanto nero.
Fuori dal contesto solenne della sala del trono, aveva un’aspetto meno imponente. Mostrava, anzi, un viso amichevole e non privo di ironia.
– Amrod è stato trattenuto, arriverà appena possibile – disse. – Nell’attesa, mi ha chiesto di tenervi compagnia.
– Grazie… Perdonatemi, non conosco il vostro nome, lord ciambellano.
Non poteva certo continuare a chiamarlo “lord ciambellano” per ore.
Lui sorrise. Aveva un bel sorriso e occhi grigi quasi come quelli di Amrod.
– Adman. Lord Adman Kalay.
– Non credo di conoscere dei vostri parenti.
Eris conosceva quasi tutti i più importanti nobili del Leynlared, ma tra loro non c’era nessun Kalay o an’Kalay.
– Ho avuto il titolo dopo la guerra.
Eris annuì. Quando il vecchio Leylord era morto all’improvviso, Amrod aveva diciassette anni e un gruppo di nobili aveva pensato che sarebbe stato facile farlo sparire e mettere sul trono un sovrano fantoccio. Era stato l’inizio della guerra civile. Due anni dopo, Amrod, leylord del Leynlared, aveva distribuito un certo numero di titoli ai membri più fedeli della sua resistenza. Lord Kalay, però, anche se aveva le spalle larghe, non aveva il portamento rigido di un guerriero. Teneva le redini con una mano grossa, che non avrebbe sfigurato intorno all’impugnatura di una zappa, ma con l’altra accarezzava affettuosamente il collo del suo cavallo.
– È una bella bestia, anche se non mi ci fiderei per una corsa di due giorni – commentò Eris.
– Ah, ma io non mi sogno neppure di lanciarmi in quella corsa da folli. Pare che pioverà, domani, e non mi piace né affrettarmi né infradiciarmi. Quanto a Buio, è un buon cavallo.
In quel momento si udì un nitrito. Laryel, la giumenta di Eris, girò la testa, ma non Buio.
Amrod era arrivato in compagnia di un uomo appena più anziano dai modi seri ed eleganti. 
– Mia signora, perdonate il ritardo – disse il sovrano. – Avrete sentito i pettegolezzi, immagino. Si dice che faccia attendere le belle ragazze preferendo la compagnia degli uomini. Temo che, almeno in questo caso, sia la verità. Vi presento Tivan an’el’Ver, generale del Leynlared. Sarà l’avversario da battere, ha già vinto le ultime tre edizioni della corsa.
Se Aleiana si era aspettata da quel pomeriggio una qualche svolta romantica, ne rimase delusa. Eris, invece, ne fu deliziata. Ispezionarono le miglia finali della gara con occhio esperto. Tivan an’el’Ver spiegò nel dettaglio le possibili strategie. I concorrenti potevano scegliere itinerari diversi, ognuno dei quali li avrebbe portati a compiere un giro completo dell’isola, ognuno aveva pregi e difetti. C’erano dei campi predisposti per la notte. Ognuno poteva decidere in quale far attendere il proprio secondo, anche se era libero di cambiare idea all’ultimo, l’importante era che passasse da uno qualsiasi dei campi, che fungevano anche da punto di controllo. Se avesse piovuto, Tivan consigliava il percorso più vicino alla costa, un poco più lungo. Quello interno, attraverso le colline, prevedeva numerosi guadi a torrenti che, a causa delle precipitazioni delle giornate precedenti, erano già prossimi ad esondare.
Amrod cavalcava uno splendido stallone grigio che rispondeva a tocchi leggeri delle ginocchia e delle mani. 
Quando alla fine tornarono al punto di partenza, un gruppetto di alberi di fronte a un prato, Amrod si avvicinò ad Eris.
– Proviamo i nostri cavalli ora – le disse. – Per sapere chi vincerà, se ci dovessimo trovare insieme in vista del traguardo. 
Eris annuì e, quasi senza aspettare il segnale, lanciò la sua giumenta al galoppo. 
Amrod non perse tempo. Il suo stallone era davvero un animale splendido. Tanto lui che Laryel erano più adatti alle lunghe distanze che a quella corsa forsennata, ma Eris notò con piacere che Amrod non le stava affiancato per cavalleria. Chino sul collo dello stallone, il leylord continuava ad incitarlo con silenziose carezze.
  Alla fine, Laryel giunse agli alberi un refolo prima dello stallone. 
– Ho vinto! – gridò Eris, voltandosi.
Amrod abbassò la testa, in segno di resa. Quando la rialzò, il viso si era fatto serio.
– Ditemi – disse. – Perché siete venuta a Caysal?
– Per essere la prima donna a vincere la Corsa di Tiv.
– Non per sedurmi? 
Aveva parlato con una tale serietà, che Eris rimase sorpresa. Si trattava, però, di un uomo che doveva vivere praticamente assediato da dame che cercavano di sedurlo e da proposte di matrimonio. Doveva ormai aver sviluppato una profonda noia nei confronti di tutti quei tentativi interessati. Tanto valeva essere sincera.
– Questo lo sperano i miei parenti. Una ragazza, secondo loro, è solo una merce da scambiare in una trattativa matrimoniale e non importa che sia la migliore addestratrice di cavalli che mai potrebbero incontrare.
Amrod annuì.
– Dunque non c’è nulla che io possa fare per dissuadervi dal partecipare, vero?
Eris stava per rispondere con una battuta, ma gli occhi grigi di lui erano troppo freddi per uno scherzo.
– Non è perché sono una donna, vero?
– No.
– Non mi direte il perché.
– No.
– Non mi direte neppure perché voi e Adman Kalay cavalcate cavalli sordi.
Questa volta lo vide esitare, come se non fosse più del tutto padrone della situazione.
– No.
– Dev’esserci uno strano rapporto tra voi e il lord ciambellano.
– Peculiare – rispose Amrod. – Ma non del tipo che voi potreste immaginare.

Al suo ritorno, Eris fu sgridata da Aleiana. Non era riuscita a procurarsi neppure uno dei capelli del leylord.

Quella sera dopo la cena la corte si trasferì nel grande salone delle danze.
Anche le voci sulle qualità di ballerino di Amrod erano fondate. Il sovrano danzava con una grazia impeccabile, alternando negli inviti giovani damigelle di buone speranze e mature lady a cui solleticare l’ego. 
– Non temete, chiederà anche a voi di danzare, prima di mezzanotte. 
Eris si girò di scatto. Lord Kalay pareva avere il dono di materializzarsi ovunque desiderasse, all’interno della reggia. Indossava un abito sobrio, di un grigio scuro, che quasi lo facevano sparire in quella variopinta assemblea di nobili tutti intenti a mettersi in mostra.
– Sono un ballerino assai mediocre, ma, se lo desiderate, mi farebbe piacere danzare con voi – disse l’uomo.
– Amrod vi ha ordinato di tenermi d’occhio per lui, dal momento che ho notato qualcosa sui vostri cavalli che riteneva non fosse evidente? – replicò Eris.
– Anche, mi ha detto che siete perspicace in modo quasi pericoloso. Ma danzare con voi mi farebbe davvero piacere. Del resto, se nella corsa doveste rompervi una gamba, non ne avrei più l’occasione per mesi.
– Certo che voi sapete come lusingare una dama.
Eris sorrise e si fece condurre al centro della sala.
Forse, per gli standard del Sal, lord Kalay era davvero un ballerino mediocre. Eris, però, non si era mai distinta neppure nel più periferico palazzo di suo padre e si scoprì a divertirsi mentre volteggiava nell’enorme sala illuminata a giorno, condotta da quell’uomo dalle mani grandi e delicate.
Quando la loro danza terminò, Eris trovò ad attenderla Amrod in persona.
– Spero che prima di ritirarvi mi concediate un ballo.
Eris quasi esitò. L’Amrod equestre non le metteva soggezione, perché in sella era consapevole di valere quanto i migliori fantini delle Ley e che titoli e bellezza non facevano correre più veloce un cavallo. Ma l’Amrod vestito d’un abito azzurro dai ricami d’oro, al centro del suo palazzo, era tutt’altra cosa. Si chiese se avesse una scusa per rifiutare, ma non la trovò.
Fortunatamente, la danza scelta da Amrod era un ballo tra i più semplici e la sua guida era così sicura da prevenire qualsiasi errore. Sapere di essere al centro dell’attenzione, però, le tolse però gran parte del divertimento. Quando terminarono, Eris aveva il fiato corto e le guance paonazze.
– Venite a prendere qualcosa da bere – le disse Amrod, scortandola verso il tavolo dove servivano bibite rinfrescanti. – Devo chiedervi perdono, non sono stato cortese con voi, oggi pomeriggio.
– Chiedete perdono sapendo già che ve lo darò e che comunque vi terrete i vostri segreti.
– Non sarebbero segreti, se non fosse così – rispose Amrod, divertito. – Vorrei però fare ammenda, purché non mi chiediate di non tentare di vincere, nei prossimi giorni.
– Mi basta che non chiediate a me di non cercare di vincervi.
– Non lo farei mai. Voglio una vittoria che abbia valore.
– Molto bene, datemi allora tre dei vostri capelli – chiese Eris.
A questo punto, tanto valeva provare.
– Volete farvi fare una Treccia d’Amore? – chiese lui, incredulo e divertito.
– Io no. La mia dama di compagnia, laggiù, è convinta di conoscere qualcuno che potrebbe farmela.
– E credete in queste cose?
– No. Tutti sanno che è praticamente impossibile deviare la volontà con la magia. Però la mia famiglia vedrebbe che mi sto impegnando. Se neppure voi ci credete, non avete motivo di negarmi tre dei vostri capelli.
Amrod sorrise.
– E perché no? Se le Trecce d’Amore servissero a qualcosa, sarei già dovuto cadere ai piedi di una ventina di fanciulle. Tenete.
Con un gesto noncurante, si strappò un ciuffetto di capelli e glielo porse.
Eris lo strinse nella mano. Era cresciuta credendo che la magia delle fattucchiere fosse solo una chiacchiera. Si chiese se una parte di lei non desiderasse invece che fosse reale.

Più tardi, quando Eris lasciò la sala, cercò un’ultima volta Amrod con lo sguardo. Stava parlando con Tivan ed entrambi avevano il volto teso. Eris sperò con tutto il cuore che il sovrano non stesse ordinando al più forte dei cavalieri iscritti alla gara di farsi da parte. Il mondo, ne era certa, era pieno di uomini meschini, ma si scoprì a sperare che il sovrano non lo fosse.

Illustrazioni di Viola S.


mercoledì 29 marzo 2017

Seguendo la cometa 18 – Certificato di matrimonio

L'Italia è quel paese in cui se devi presentare un certificato di matrimonio, a un certo punto arrivi a dubitare di esserti davvero sposato!

lunedì 27 marzo 2017

La mia vita da dislessica


Le mille e passa visualizzazioni che il post sulla dislessia ha raccolto in poche ore mi hanno convinta che forse vale la pena di raccontare qualcosa di più di cosa significhi essere uno strano esemplare di letterato dislessico, perché in fondo è curioso, da prof, leggere moltissima letteratura in merito, scritta da qualcuno che ha studiato moltissimo la questione, sa esattamente quali neuroni si attivino a lui mentre legge e quali a me, ma non abbia mai provato che cosa significhi davvero questo.

Piccola premessa noiosa da prof
Innanzi tutto un'infarinatura di neuroscienze. La dislessia è un diverso funzionamento del cervello. Nel riconoscimento delle immagini e nell'associazione tra queste e la loro concettualizzazione lavorano aree del cervello diverse da quelle dalla maggioranza. Questo accade più o meno a una fetta della popolazione stimabile tra il 2% e il 5%. Perché? Non si sa, ma si presume che sia vantaggioso avere una fetta di popolazione con percorsi mentali differenti (giuro che questa spiegazione l'ho letta e mi è piaciuta, ma magari è solo un caso). Questi percorsi mentali differenti di solito interferiscono poco nella vita spiccia, se non nell'apprendimento delle lingue scritte perché per il dislessico è più difficile associare il suono al simbolo e quindi a riconoscere una parola e a ricordarne la grafia. Più difficile ma non impossibile. Per questo si parla di DISTURBO SPECIFICO DELL'APPRENDIMENTO. Disturbo, perché ostacola ma non impedisce, specifico perché è una difficoltà circoscritta. L'intelligenza non ha nulla a che vedere con i disturbi specifici dell'apprendimento (che oltre alla dislessia, sono disgrafia e discalculia), tanto che possono essere diagnosticati solo in presenza di un quoziente intellettivo pari o superiore alla norma.
Fine premessa noiosa.

La mia vita da dislessica
La mia vita da studentessa ha avuto tre fasi.

Fase uno – La negazione, leggere non mi interessa.
Non c'era nessun motivo per cui io non imparassi a leggere. Avevo iniziato a parlare molto presto ed ero figlia e nipote da insegnante. Giusto per darvi un'idea, mio nonno ci ha lasciato qualcosa di più di cinquemila volumi, tra cui alcuni esemplari antichi. A casa nostra di libri ce n'erano meno, forse all'epoca neppure mille, ma una volta ne ho contati cinquanta solo in bagno. Mia mamma, come ho già raccontato, era una convinta femminista e come tale più che convinta dell'importanza della cultura. Ogni sera mi leggeva pagine di libri, mi mostrava fumetti, mi raccontava storie. Tutte le mie amiche erano bimbe prodigio che ben prima delle elementari leggevano, chi a tre, chi a quattro anni. Io no. Guardavo le parole e quegli assurdi segnetti non mi dicevano nulla.
Ora, io non mi ricordo esattamente cosa provassi, ma so che in prima elementare, superata la fase della sillabazione, leggere mi sembrava uno sforzo insostenibile. Per un po' mi la sono cavata perché in qualche modo convincevo qualcuno a leggere ad alta voce le frasi che poi io avrei dovuto leggere e le ripetevo a memoria, ma con l'allungarsi dei testi la cosa non è stata più sostenibile. Quindi mia madre si è dovuta arrendere all'evidenza. Non leggevo. O, meglio, dal suo punto di vista "non volevo leggere". Probabilmente pur di non ammettere di non riuscire lo dicevo anch'io. Ricordo di aver pronunciato frasi come "leggere è inutile". Credo che mia madre ci fece un mezzo esaurimento nervoso. Comunque alla fine sfoderò un'arma pedagogica imbattibile: il taglio della televisione. Non avrei più guardato nulla fino a che non avessi imparato a leggere. Ho imparato a leggere.
Non so dire quali risorse intellettive abbia sfoderato, ma è chiaro che se a un bambino degli anni '80 tagli i cartoni animati questo farà di tutto per riaverli. Era molto di più che non poter guardare la televisione, era la morte sociale, l'impossibilità di partecipare a una cultura comune. Per dare un'idea del trauma culturale, posso dire che moltissimo tempo dopo, all'università ho passato una sera intera a farmi raccontare come finivano le varie serie che avevo abbandonato forzatamente e i pezzi mancanti. Il mio premio fu guardare l'ultima l'ultima puntata di Georgie, ci ho poi messo, appunto, decenni per sapere cos'era accaduto nel mentre, perché nel momento del veto la protagonista stava andando in Europa vestita da uomo e la ritrovai poi di nuovo in Australia.
Comunque ero uscita dalla fase uno.

Fase due – la bambina distratta
Negli anni ottanta non c'erano bambini dislessici, c'erano bambini distratti. Il fatto è che io sono davvero distratta, ma non era la distrazione il mio problema. Ma non puoi convincere la maestra che, davvero, davvero, il testo lo hai riletto cinque volte, se poi devi ammettere di aver dimenticato il libro di matematica. Avevo un serio problema di credibilità. Aggravato e non mitigato dal fatto di aver trovato delle strategie per la lettura. Un po' avevo imparato a leggere e un po' avevo imparato a barare. Mai, mai alzare la mano per proporsi di leggere dal libro di testo. Proporsi di leggere dai compiti. Perché? Perché non leggevo, re inventavo di sana pianta cercando di ricordare cosa avessi scritto davvero. Abitudine pericolosa che in anni successivi mi ha portato a non fare proprio i compiti per inventare al momento. Memorabile la volta (alle medie) in cui la prof si è distratta e mi ha chiesto di rileggere un compito che in realtà non avevo mai scritto (ripetuto parola per parola, ma sudando freddo). 
Il fatto di cavarmela con la lettura ad alta voce non mi rendeva più facile la scrittura. Il dettato era il mio incubo costante. Il giorno del dettato speravo sempre di stare male. Invocavo l'esame del sangue per saltare le prime ore, le più a rischio perché "meglio farlo quando si è freschi". Per il tema rileggevo un'infinità di volte. Usavo meno della metà del tempo per scrivere e tutto il resto per correggere. Perdevo comunque una quantità di errori, ma era sempre meglio del dettato. Questo gettava davvero nello sconforto la maestra (che per altro ho come amica di fb e forse mi legge pure, nel caso sappi che davvero non te ne voglio, sei stata una gran maestra e ti devo moltissimo, tra cui l'amore per la storia) perché, come disse a un colloquio, ero sveglia, volenterosa, interessata e questo neo dell'ortografia proprio non si spiegava. Oggi sappiamo che questo è proprio il classico sintomo di dislessia, ma allora era sintomo di una strana distrazione a fasi alterne, perché invece in matematica non avevo alcun problema. Ovviamente io ero la prima a credere alla storia della distrazione e non mi spiegavo la cosa. Perché la matematica mi annoiava assai di più, ero consapevole di distrarmi mille volte di più mentre facevo esercizi di matematica eppure niente, lì non sbagliavo.
All'inizio della quarta elementare la mia famiglia si è trasferita e io sono entrata nella terza e definitiva fase della mia vita da studentessa.

Fase tre – la studentessa dall'oscuro segreto
Nella nuova classe non mi sono fatta amici. In effetti non me li sono fatta sul serio fino alle superiori. Quindi è iniziata una lunga fase di deserto affettivo mitigata dalle amiche di prima che ancora frequentavo (e che sono tutt'ora tali) e dalla lettura. Essendoci trasferiti vicino ai nonni ho impattato con i famosi cinquemila volumi. Nei primi tempi abitavamo da loro e io non avevo amici, non avevo posti in cui andare, non avevo i miei giochi, dispersi nel trasloco, ma avevo libero accesso ai libri. Come ho già raccontato, mi sono imbattuta in una prima edizione illustrata di Capitan Tempesta di Salgari. Una meraviglia per gli occhi, con la copertina liberty e tavole dai tratti fiabeschi. Noi degli anni ottanta, cresciuti con cartoni animati come, appunto, Georgie e Lady Oscar avevamo un'idea tutta nostra di cosa fosse adatto a noi e quella storia piena di ammazzamenti in cui era la fanciulla ad andare a salvare il suo bello aveva per me un fascino tale da farmi superare la fatica che ancora provavo per la lettura. E ovviamente finito un libro ne volli un altro e un altro ancora.
Ecco, c'è una differenza enorme tra saper leggere e leggere per ore e ore al giorno. Si acquisisce una famigliarità con la parola scritta che non può avere in altro modo.
A pochi mesi dal cambio scuola ero completamente trasformata. Da alunna titubante a prima della classe, pur con un oscuro segreto.
Il fatto è che la lettura compulsiva dell'opera omnia di Salgari e Verne mi aveva fatto fare il salto di qualità. Ora leggevo, anche se, appunto riconoscendo le parole e non scomponendole. Cioè a una velocità da studente universitario e non da bambina di nove anni. In più la mia strategia di sopravvivenza fino ad allora era basata sulla memoria. Quindi di colpo ero una bambina dalla lettura veloce e la memoria di ferro. Con una certa attitudine a improvvisare compiti non fatti. Le mie pagelle sono state del tutto rivoluzionate. Come se appartenessero a un'altra persona. Credo che i miei siano ancora convinti che quel trasferimento che mi ha distrutto emotivamente sia stato un bene per me, perché "mi ha sbloccata". Sinceramente stavo meglio con meno libri e più amici, ma almeno i miei erano contenti ed era qualcosa.
Il problema era che io sapevo che quello era un inganno. Che io non ero davvero così brava e non sarei potuta andare avanti senza in qualche modo barare. 
Innanzi tutto pur con tutto il mio impegno l'ortografia è sempre stata ed è tutt'ora un problema. Ho imbroccato una serie di prof illuminati che prendevano la cosa con filosofia. Sul liceo c'è stata una profezia del mio prof di prima media "per forza andrà al classico. Al primo tema prenderà quattro, poi o smetterà di fare errori o smetteranno di valutarli". Quel "per forza andrà al classico" mi ha forse cambiato la vita. Perché voleva dire che potevo farcela
Lingue straniere sono e sempre saranno un incubo. Di fatto si tratta di rifare il folle lavoro di memorizzazione fatto per l'italiano. Imparare a memoria la grafia di ogni singola parola senza che questa abbia senso. Per ogni lingua. E si arriva al punto in cui imparare a memoria è più facile di fare un altro sforzo di apprendimento. Sono sopravvissuta al classico e al greco in università imparando a memoria la letteratura greca e fingendo di tradurre. Una particolare memoria a medio termine che ora forse non saprei più neppure attivare. Ecco quello che mi sono detta "La letteratura greca è un numero finito di testi, il programma ne prevede ancora meno e fai prima a impararli a memoria". Lo so che è una follia, ma tra l'otto/nove di letteratura e il quattro nei test di grammatica me la sono sempre cavata senza debiti. Non ho idea di cosa pensasse la prof di una studentessa che non sapeva scrivere correttamente un paradigma che fosse uno, ma poi sembrava arrabattarsi a tradurre e conosceva benissimo la letteratura. Certo, ho ancora degli incubi sull'esame di greco all'università. Ma appurato che il prof faceva sempre tradurre un pezzo da una tragedia e sempre dai primi duecento versi, si è poi trattato di imparare a memoria qualche migliaio di versi greci e fingerli di tradurli. Ho persino preso 28.
Per tutto il liceo, però, ho avuto la sensazione avere un oscuro segreto, di giocare sempre sul filo di un rasoio. Non solo per la dislessia, un po' era caratteriale, il mio ostinarmi a fare i compiti di matematica solo in bus andando a scuola era puro amore per il rischio, tanto per dirne una. Ma non mi tornava il fatto che materie che non mi piacevano e in cui non mi applicavo, come matematica, mi riuscissero semplici, mentre in altre a cui dedicavo quasi tutto il mio tempo, come le lingue straniere, era tanto se ottenevo un sei stiracchiato. C'era la costante sensazione di innaffiare alcuni campi con acqua di mare, con una sproporzione tra sforzo e risultato ai limiti del paradosso e che non poteva risolversi con un semplice "non sono portata". Una sgradevole consapevolezza di non essere pienamente padrona dei miei mezzi, con qualcosa che sfuggiva allo studio, all'impegno e alla volontà. Il tutto unito a una testardaggine che mi portava ad incaponirmi e tutto sommato a trovare più interessanti proprio quelle materie il cui controllo continuava a sfuggirmi. C'è stato del masochismo, suppongo, nel perseverare col greco e col latino anche all'università.

Cosa resta di tutto questo
Questo lunghissimo post è stato un parto, perché non è poi così facile parlare di se stessi. Però ho pensato che c'è interesse per l'argomento, ci sono migliaia di esperti, ma magari un occhio interno aiuta. Può aiutare gli studenti che pensando di non potercela fare e i professori che non sanno che pesci pigliare. In realtà non c'è nulla nello studio per cui la dislessia sia un impedimento. Però, c'è un però. Rimane indelebile un'insicurezza di fondo. Pensate di passare tutta la vita senza saper dire se avete consegnato il compito in classe, il curriculum o l'inedito da valutare con o senza qualche terribile strafalcione. Senza saperlo dire neppure con il testo davanti. Non si è mai, mai sicuri di se stessi e del proprio operato. Incaponirsi per notti intere a ricopiare i verbi irregolari francesi e poi prendere l'insufficienza a fronte magari di un dieci in matematica senza aver mai fatto un esercizio. Mi sarebbe piaciuto, davvero, che qualcuno mi avesse detto che non era colpa mia. 
Essere terrorizzati, tutt'ora, dal leggere in pubblico, dover arrivare sempre preparati. Mi è capitato di reinventare sul momento il pezzo di un mio racconto che dovevo leggere in pubblico per paura di impapinarmi sulle mie stesse parole. 
Sbagliare, costantemente, queste maledette password, anche con qualcuno di fianco che te le detta (io odio, odio, odio le password).
Tutto questo non è un dramma, attenzione. Non lo è per niente, se non solo gli altri a fartelo pesare come un dramma. Mi pesa molto di più essere miope come una talpa. Quella è una limitazione. Oltre tutto il computer non annulla il problema, ma lo semplifica moltissimo, anche solo perché scrivendo a computer si associa ad ogni parola anche un movimento delle dita e su quello paiono non esserci problemi di automatismi. Essere dislessici vuol dire avere un modo di pensare alternativo, se c'è più di una strada per arrivare a una soluzione state certi che scelgo la meno battuta, sulle mia strade scendono obelischi e si si aprono inaspettati scorci narrativi. 
Pero, prof che passate di qui, genitori di dislessici, non ponete freni alle possibilità dei vostri figli/alunni, ma cercate anche di capire quel surplus di insicurezza che deriva dal non sapere cosa si ha davvero scritto su un foglio.

venerdì 24 marzo 2017

Treccia d'amore – racconto a puntate, parte prima.

Come mamma sto affrontando una tappa inevitabile, il primo malanno della pupattola. Nulla di grave, ma mi sto addentrando in tutta una serie di particolari "che solo le madri possono capire". Immaginavano qualcosa di più romantico, invece ho scoperto che ci sono capacità dei cuccioli d'uomo malati che se non se hai viste non ci credi proprio. Oggi, quando le cose sono iniziate a migliorare ho preso a pulire. Non voglio tediarvi con particolari di nessun interesse, basti sapere che ho trovato residui di latte parzialmente digerito in punti che mi hanno fatto dubitare delle leggi della fisica.
Questo per dire che la lucidità è andata a farsi un po' friggere ed è un peccato, perché volevo parlavi di un racconto che è un unicum nella mia produzione e che ho deciso di farvi leggere. Per tre volte è stato a un passo dalla pubblicazione poi ha cambiato strada. In una rivista specializzata in fantasy, ma aveva note troppo rosa, in una collana di racconti rosa, ma era troppo fantasy, infine nell'antologia La spada, il cuore e lo zaffiro, ma lì bisognava scegliere e sono convinta che quelli scelti siano quelli giusti.
Rimane un racconto che amo molto, perché è, in effetti, un rosa fantasy, l'unico che abbia scritto. Appartiene alla saga del Leynlared. In una serie di storie in cui uno dei temi ricorrenti è "gli amori impossibili" spesso vi dominano la malinconia e i temi plumbei. Questo racconto è, per certi versi, proprio una cavalcata liberatoria, con tutto quello che di solito non posso mettere, toni da commedia sofisticata, unita a un po' d'azione e un pizzico di magia. Infine, anche se è inserito in una saga, è del tutto autoconclusivo.
Per tre volte è stato considerato papabile per una pubblicazione per poi rimanere fuori. Se lo trovate qui è per merito di Viola. È tornata dal suo viaggio del Leynlared con un'illustrazione da questo racconto così bella che, semplicemente, non potevo non renderla pubblica. Quindi ho deciso che Treccia d'amore farà compagnia, a puntate, per qualche fine settimana.
Spero che vogliate leggerlo, anche se non amate il fantasy, anche se non amate il rosa. Spero che vogliate dare anche voi una possibilità a Eris, la protagonista. Del resto, come potete leggere in questa prima parte, una possibilità è tutto quel che chiede.

Per chi poi volesse saperne di più sui personaggi coinvolti, può ritrovarne alcuni sull'antologia, nei tre racconti finali. In particolare questo è ambientato tra il penultimo e l'ultimo.



TRECCIA D'AMORE – PARTE PRIMA

Illustrazione di Viola S.
Eris an’Tay era arrivata a Caysal per realizzare un sogno e compiere un’impresa impossibile. 

Nella mente di suo padre, però, il primo non era che il premio per il compimento della seconda. A Eris non importava molto. Sarebbe stata la prima donna a partecipare alla corsa dell’Isola di Tiv, la lunga gara equestre che in due giorni portava i concorrenti ad attraversare l’isola sulla quale sorgeva la capitale. Poteva essere anche la prima a vincerla. Era il suo sogno fin da quando era bambina e, pur di ottenere il permesso di iscriversi, aveva promesso a se stessa che avrebbe fatto di tutto. Anche cercare di sedurre il leylord.
      Erano dieci anni che Amrod sedeva sul trono e nessuna ragazza era ancora riuscita ad attrarre il suo sguardo. Il sovrano doveva avere quasi trent’anni ed Eris non vedeva come lei potesse riuscire nell’impresa che era fallita a dame più belle, più argute e più spietate. Non aveva remore, tuttavia, a provare. La figlia di un lord finisce comunque, presto o tardi, volente o nolente, per sposare qualcuno di gradito alla propria famiglia. È questo, dopo tutto, il matrimonio, il fine ultimo per cui viene allevata una figlia femmina e tutti i giovani rampolli che fino a quel momento le erano stati presentati si erano rivelati di una noia mortale. Quindi perché non il leylord? La semplicità del ragionamento di suo padre, inoltre, l’aveva divertita: se era vero, come si vociferava, che il leylord preferiva gli uomini, allora bisognava fargli conoscere una ragazza che fosse il più possibile simile ad un uomo!
Mentre attendeva in silenzio insieme al padre di essere ricevuta dal sovrano, Eris riusciva a pensare solo a una cosa: perché mai suo padre pensava che assomigliasse a un uomo? 
Di sicuro era alta più di molti ragazzi, più di suo fratello, ad esempio e, come lui le faceva notare, altrettanto priva di curve. Diceva spesso quello che pensava, ma quella era un’abitudine stupida sia per un uomo che per una donna. Se le fosse stato permesso, avrebbe passato tutta la sua vita in stalla o in sella e si portava sempre dietro l’odore dei cavalli, ma quel giorno era stata strigliata, ripulita e quasi annegata nel profumo di violetta. Per l’occasione, Aleiana, la sua dama di compagna, aveva acconsentito a farle indossare un abito da amazzone di ottima fattura, ma senza fronzoli e ad acconciarle i capelli bruni in una semplice crocchia e aveva dovuto cedere a un velo di cipria sulle guance alabastrine. L’insieme le donava una certa sobria eleganza. A suo modo femminile. Di sicuro meglio di quando scappava nelle scuderie con indosso gli abiti smessi di suo padre, che aveva requisito di nascosto!

Suo padre attraversò la sala senza esitare, senza rivolgere uno sguardo ai tappeti o ai mosaici del soffitto. Eris cercò di tenere il passo, disinvolta e rispettosa come le aveva raccomandato Aleiana.
La sala era enorme, studiata apposta per far sentire più piccolo il visitatore. Non c’erano altri arredi se non, proprio al centro, una pedana in marmo nero in cima alla quale stava il trono.
Davanti ad esso, in piedi sull’ultimo gradino, stava un uomo bruno sui trent’anni, il lord ciambellano, con tra le mani un enorme bastone di legno su cui erano incise antiche rune di potere. Eris si chiese se non fosse proprio quello, piuttosto che le due guardie armate ai lati della pedana, l’ultima difesa del sovrano. Il bastone sembrava un’arma piuttosto temibile e il lord lo stringeva con mani grosse che avevano tutta l’aria di saperlo usare. Il ciambellano, però, si limitò a batterlo per terra provocando un cupo rimbombo e ad annunciare:
– Lord Evran Tay e sua figlia, Eris an’Tay.
Poi si scostò, mostrando il leylord.
Ad Eris era stato detto infinite volte che Amrod era bello, ma quando un sovrano giovane siede sul trono chi si può azzardare a dire che è brutto? 
Non se l’era aspettato fulgido.
Emanava bellezza. Si irradiava dai capelli dorati, portati lunghi e legati in una coda, dal viso alabastrino in cui brillavano occhi tra il grigio e l’azzurro. Persino il modo in cui muoveva le mani, da suonatrice d’arpa, aveva una sua grazia.
– Non sapevo aveste una figlia, lord Tay – disse Amrod.
Eris pensò che avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e lei sarebbe rimasta ad ascoltare inebetita, come i serpenti che aveva visto una volta, incantati dal suono di un flauto.
– È la mia disgrazia – rispose suo padre. – Testarda come un orso che abbia fiutato il miele. Addestra i cavalli della mia tenuta e si è messa in testa di partecipare alla corsa.
  – Non si è mai sentito di una ragazza che abbia partecipato alla corsa – disse Amrod.
Quello era il suo sogno, per difenderlo Eris ritrovò la parola.
– Nel regolamento non ci sono divieti – puntualizzò. – Possono parteciparvi i nobili sopra i sedici anni, quale io sono.
Amrod sorrise.
– È vero. Il regolamento non dice nulla neppure riguardo ai leylord, e io domani sarò alla partenza.
– Sarà un onore tentare di battervi, mio signore.
– Anche per me. Questo pomeriggio andremo a controllare la parte finale del percorso, ci fareste l’onore di unirvi a noi?
Eris abbozzò una riverenza, sperando di non sembrare, come le diceva Aleiana, una gallina sul becchime.

– Ne sarò onorata.

      Di solito, quando si trattava di accompagnarla in una cavalcata, Aleiana cercava ogni scusa per mandare a monte l’escursione. Non quella volta. Quel giorno Aleiana era euforica, come del resto suo padre. Pochi minuti ed era riuscita a attrarre l’attenzione del leylord! Nell’entusiasmo la dama le permise persino di sciogliere i capelli dalla crocchia, per legarli in una coda ancor più semplice e di indossare gli abiti maschili, tanto più comodi.
  – Conosco una fattucchiera, qui a Caysal, che può fare un’autentica Treccia d’Amore – disse la dama di compagnia, mentre si apprestavano ad uscire. – Non possiamo perdere quest’occasione per  stregare il leylord! Dovete solo procurarvi tre dei suoi capelli.
  – Tre dei suoi capelli? – replicò Eris. – Persino la sua spazzola avrà delle guardie.
Alla fine, Aleiana insistette tanto che Eris dovette promettere che avrebbe rubato, se possibile, tre capelli d’oro ad Amrod.

domenica 19 marzo 2017

Obelischi in autostrada e la poetica della dislessia

In questi giorni sto trascurando in blog. Colpa delle belle giornata che mi portano fuori, insieme alla pupattola, a rubare foto ai fiori selvatici o a famigliarizzare con gli asinelli dello zio. La pupattola è già stata messa in groppa all'asinella Zenobia, con apparente soddisfazione reciproca.
Il poco tempo che riesco a stare al computer cerco di dedicarlo alla narrativa. Ho troppi conti aperti con troppe storie lunghe, alcune da piazzare, altre da rivedere, altre ancora da finire. Ho deciso di chiuderne almeno uno, quello con la storia delle "Piccole Nonne", interrotta per causa di forza maggiore. Mi sono accorta che purtroppo ha più magagne di trama di quanto ricordassi, il che rende il lavoro più incerto e frustrante di quanto vorrei. Avendo poco tempo, vorrei avere una scrittura facile, una storia in cui sguinzagliare la mia creatività e immergermi totalmente in un mondo o in un personaggio, invece litigo con parole e coerenza interna. Ma questo è il motivo per cui i conti in sospeso sono i più difficili da saldare.
Rubo letture qua e là, in momenti persi e nanne improvvise, spesso fuori casa, cosa che acuisce la mia tendenza alla decontestualizzazione. Ricordo i contenuti, ma fatico ad associarli a nomi precisi, faccio il pieno di affermazioni senza autori.
Quindi è su un qualche giornale nella caffetteria sotto casa, cosa che restringe il campo a La Stampa o al bollettino parrocchiale, che mi sono imbattuta nell'intervista a un poeta dislessico. Per me rimarrà solo questo, il poeta dislessico, di cui non ricordo ne il nome ne il viso. Presumo solo di non averne letto le opere, in caso contrario confido che sarei riuscita a fissarlo con più precisione nella memoria. Ecco, come me, un altro dislessico scrivente. Certo, la sua intervista finisce su La Stampa, la mia nel bollettino parrocchiale, ma facciamo parte della stessa sparuta minoranza.
Spiegava, il poeta dislessico, come per lui la dislessia sia strettamente connessa con la poesia. Non so se un non dislessico possa davvero apprezzare l'articolata spiegazione data dal poeta. Ma io potrei dire, con altrettanta sicurezza che la dislessia è strettamente connessa alla narrativa. O, almeno, alla mia narrativa. Della poesia non mi è stato dato il dono, purtroppo, mi sono votata a muse differenti, ma probabilmente il poeta ha ragione. La dislessia è di per sé vocazione poetica o narrativa.
Qui mi tocca fare il solito spiegone per i nuovi arrivati. La dislessia non è, come mi è stato detto "la malattia di chi non vuol studiare". Non è proprio una malattia, è una funzionamento non patologico, ma minoritario del cervello. Si ragiona per percorsi differenti rispetto a quelli percorsi dalla maggioranza. Cosa che rende più lenti degli altri ad associare un'immagine a un suono o a una parola. Si è più lenti (frazioni di secondo, secondo un recente studio pubblicato su Le Scienze) nel ricordarsi il nome di un conoscente incontrato per strada (anche minuti, nel mio caso). Non si crea automatismo nel collegare i simboli, come le lettere, ai suoni. Per la maggioranza questa è una via di collegamento mentale facilmente percorribile, per noi è sbarrata. Io non so dedurre la grafia di una parola dal suo ascolto. Devo imparare a memoria la sequenza di lettere senza riuscire ad attribuire ad esse un senso fonetico. Fatico a ricordare elenchi a cui non so attribuire il senso. Fatico a ricordarmi il posto di ciascuna lettera nell'alfabeto e, dovendolo dire velocemente, è facile che ne perda dei pezzi per strada. 
Sono sopravvissuta al liceo classico in un'epoca in cui la dislessia non era certificata perché comunque il cervello crea altre strade, altre vie. Io non leggo le parole, le riconosco, come se fossero un geroglifico, un'immagine. Questo mi dà, nei momenti migliori, una velocità di lettura invidiabile. C'è però da dire che le parole, per me, sono come le sagome di animali che il cacciatore spia da lontano in un'alba nebbiosa. Il cavallo, il cervo e la renna possono confondersi. Il cacciatore esperto saprà se è più probabile che sia l'uno o l'altro. Le parole lunghe più o meno o uguali con all'incirca le stesse lettere mi sembrano uguali. È il contesto che mi dice se sto leggendo "megera" o "mangerà", ad esempio. 
Se però il contesto manca, si insinua la poesia, o la narrativa. Perché il cervello fa le sue sostituzioni, attraversa le sue vie, arriva poi alla soluzione giusta, ma intanto si è creata un'immagine che può essere l'inizio di una poesia o di un racconto.
Qualche giorno fa ero in autostrada, guidava il marito e io osservavo pigra il paesaggio. Abbiamo incontrato uno di quegli avvisi agli automobilisti. E io come prima parola ho letto obelisco. Ovviamente la parola era "obbligo". Ma io avevo letto obelisco. E mentre la parte della mia mente preposta al linguaggio segnalava il possibile errore e cercava una soluzione logica, l'altra, quella creativa, mi presentava un quadro surrealista con un obelisco, o meglio, un monolito come quello di 2001 Odissea nello Spazio sorto all'improvviso in mezzo a un'autostrada. 
Se fossi un poeta le avrei tratto dei versi, ma essendo il mio animo narrativo, mentre il paesaggio cambiava, mi facevo domande, avrebbe causato incidenti l'obelisco? Perché era sorto? Qualche civiltà aliena che lo aveva inviato? Come avrebbero dato la notizia i telegiornali?
Come raccontava il poeta dislessico nell'intervista, quando si tratta di compilare velocemente dei moduli è un incubo, sopratutto se ci sono delle persone in coda dietro di te che hanno fretta. Però la dislessia ha una sua poesia, si prendono armadilli per armadi (per anni ho pensato che il famoso libro di Lewis fosse "Il leone, la strega e l'armadillo", fino a che non mi sono imbattuta nella pubblicità del film e ho finalmente capito che non era una fiaba africana) e si aprono intuizioni improvvise, immagini non cercate che possono essere porte per altri mondi.

mercoledì 15 marzo 2017

Discorso sul cambiamento climatico e l'immigrazione – racconto breve

DISCORSO SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO E L’IMMIGRAZIONE

L’uomo prese la parola con un sorriso triste nel bel volto massiccio. La luce della saggezza brillava nei suoi occhi chiari, all’ombra delle grandi sopracciglia. 
– Non possiamo più nasconderci davanti all’evidenza. Il clima sta cambiando – esordì. – I ghiacci si stanno ritirando e le calotte si assottigliano sempre più. Chiunque abbia un poco di dimestichezza con i ritmi della natura se ne può accorgere, il nocciolo ormai fiorisce fino ai cinquecento metri d’altitudine. Presto dovremo abbandonare per sempre i ricchi pascoli della Francia, che ci sostengono da millenni e il rimboschimento selvaggio sta distruggendo la tundra.
Ma la cosa peggiore è l’ondata migratoria che questo cambiamento climatico minaccia di portare.
Non possiamo più nasconderci. Gli africani stanno per invadere l’Europa. Non crediate a chi dice il contrario.
     Da troppo tempo i pacifisti indicano il medio oriente come la culla di una possibile convivenza felice, con i suoi insediamenti misti e, orrore, le sue famiglie meticce. 
       No. Loro non vogliono convivere con noi. Loro sono diversi, geneticamente portati alla violenza. Non fatevi ingannare dalla loro struttura slanciata ed esile. Si fanno chiamare sapiens ma la loro sapienza sta tutta nell’uccidere. Dove arrivano loro i grandi animali si estinguono, le risorse si esauriscono e, sopratutto, scompaiono le altre specie umane. Da troppo tempo, ormai, non abbiamo notizie dei nostri cugini australopitechi d’Africa. 
Ora, la formazione di un deserto appena a sud delle coste africane del Mediterraneo li porterà giocoforza ad emigrare e noi dobbiamo essere pronti. Perché io ve lo dico, vengono per uccidere i nostri mammut e i nostri rinoceronti, violentare le nostre donne e uccidere i nostri figli. Come una marea inarrestabile vogliono invadere l’Europa e l’Asia e persino le lontane Americhe dove l’uomo non ha mai messo piede. 

Se non prendiamo provvedimenti ora, fino a che siamo ancora in tempo, ci distruggeranno. Saranno gli unici padroni di un mondo che hanno strappato ai loro fratelli e non avranno pace fino a che non sarà morto l’ultimo neandertal d’Europa, l’ultimo doneviano delle steppe e l’ultimo florensis d’Asia. Padroni di un mondo usato esclusivamente come una carcassa da depredare, dove di noi non resterà che un ricordo sbiadito, evaporato con la fine della glaciazione.

lunedì 13 marzo 2017

venerdì 10 marzo 2017

Dal classico al fumetto, figure femminili da proporre e riproporre

E eccoci alla carrellata di figure femminile in letture poco impegnative da proporre. Tutte ragazze o donne che a un certo punto prendono in mano la propria vita, fanno la loro scelta e si rendono conto che, guarda un po', sono perfettamente in grado di autodeterminarsi. Molte fanno scelte del tutto semplice, quasi scontate, ma sono le loro. Perché quello che dobbiamo dire alle ragazze non è che debbano per forza essere astronaute, solo che possono, se lo desiderano, così come possono diventare moglie e madri, ma solo se lo desiderano davvero.

LETTERATURA PER RAGAZZI
Stargirl, dal romanzo Stargirl di Jo Spinelli.
Stargirl è una ragazza che, a ben vedere, non vuole certo fare la rivoluzione. Vuole solo vestirsi con gli abiti le piacciono, portare la sua buffa borsa e chiamarsi, appunto Stargirl. Questo basta a farla definire una "strana", a farla isolare e quello che le chiede il ragazzo che si innamora di lei è proprio di adeguarsi, essere come le altre. Ebbene, la scelta della ragazza  è un bel no. Non si rinuncia a se stessi neppure per amore, sopratutto da ragazzini.



Jo, dal romanzo Piccole Donne. Ricordato anche nei commenti all'introduzione, il personaggio di Jo è in giro dal 1880 e forse è il caso di farlo scoprire anche alle bambine di oggi. Perché lei, delle quattro sorelle, è quella che prende la difficile via della scelta. Lei è quella che sbaglia, perché questa è la caratteristica di chi sceglie, la possibilità dell'errore, ma anche quella che più di tutte, ha la possibilità di scegliere. Si fa carico della famiglia, vende i propri capelli per portare un aiuto, diventa scrittrice, all'inizio un po' per scherzo e un po' per guadagno. Anche grazie al lavoro si fa via via più indipendente, una di quelle donne di fine ottocento che iniziano prima con incertezza a camminare con le proprie gambe e quasi con sorpresa si scoprono forti.


CLASSICI
Elisabeth da Orgoglio e pregiudizio.
Molti leggono Orgoglio e pregiudizio come una storia romantica in cui alla fine l'amore trionfa. Può essere, personalmente ci vedo anche molta pungente ironia che a volte sfocia nel cinismo. Sopratutto è la storia di una ragazza di inizio ottocento che, pur consapevole della scarsa indipendenza che la società le concede e non intenzionata a sovvertirne le regole, rifiuta non una, ma due proposte di matrimonio, una più vantaggiosa dell'altra. In un mondo in cui una donna, sopratutto se senza dote, può solo pregare in ginocchio che qualcuno "se la prenda su", Elisabeth è una sorta di rivoluzionaria dolce. Il senso comune è ben esemplificato dalla sua amica, che si sposa a un uomo noiossissimo ma che "non sarà peggiore di altri", le può garantire un avvenire e le darà dei figli su cui riversare amore e affetto. Che altro si può chiedere. Elisabeth legge e pensa, ha le sue idee, le sue passioni e fa le sue scelte. E poi, certo, Darcy è Darcy, ma voi non avete avuto l'impressione, leggendo, che Elisabeth se la sarebbe cavata benissimo anche da sola?

FANTASCIENZA
Cordelia da L'onore dei Vor e Barrayan de La saga dei vorkosigan
La fantascienza, sopratutto cinematografica, ci ha regalato una serie di donne fortissime, in grado di ammazzare alieni che spuntano dalla pancia della gente come di sterminare zombie. Molte di loro, però, hanno poco da scegliere. Si trovano lì e devono ballare o morire. Per quel che mi riguarda preferisco un personaggio dagli angoli più smussati, ma non meno capace di farsi valere. Cordelia è la protagonista di due romanzi di Luis McMaster Bujold. Comandante di una missione esplorativa, si trova isolata su un pianeta sconosciuto con la non voluta compagnia di un militare in aggressivo pianeta rivale. Ovviamente scatta qualcosa tra loro, ma ci sono dei ma. Io adoro le storie d'amore dove ci sono dei ma importanti e sopratutto interni. I loro mondi sono inconciliabili, Barrayan, il pianeta di cui lui è originario ha una mentalità feudale e considera le donne poco più che soprammobili. Quindi Cordelia torna a casa e si arruola poco dopo, ovviamente contro Barrayan. E se alla fine l'amore trionfa è perché Cordelia ha avuto il tempo di ragionare e di fare le sue scelte. Tenersi l'uomo che ama, seguirlo sul suo pianeta natale e cambiare Barrayan. Porsi volutamente come esempio e modello di donna diversa, a partire dalla scelta di dare alla luce e difendere con le unghie e i denti il proprio figlio disabile.

GIALLI
Livia Ussaro da Le indagini di Duca Lamberti di Scerbanenco.
Dopo molti dubbi, poiché il giallo propone molte belle figure femminili, ho optato per Livia Ussaro, dato che il tema è la scelta. E Livia è una che le sue scelte le fa e le paga fino in fondo. Troppo intelligente per la Milano di fine anni '60, entra in scena come una ragazza alla ricerca di emozioni forti. Si delinea poi come un personaggio tutto celebrale, che vuole capire il mondo sperimentando anche il suo lato peggiore. Si fa coinvolgere in un'indagine, insiste per avere un ruolo pericoloso e finisce male. Scerbanenco non indora la pillola su quello che accade a Livia. La cosa che, però, me l'ha fatta amare moltissimo è che Livia non esce di scena così. Rimane se stessa, razionale, solida, capace sempre di chiamare le cose col loro nome e, forse, più consapevole nel scegliere la propria strada nella vita.

FUMETTI
Marjane in Persepolis di Marjane Satrapi

Al contrario che per gli esempi precedenti, qui abbiamo a che fare con una storia vera e quindi a tratti più dura e commuovente. Persepoli è un'autobiografia a fumetti in cui Marjane Satrapi racconta la propria infanzia e la giovinezza tra Iran e Europa, tra modelli culturali, sociali oltre che femminili, differenti. Appartenente a una famiglia che si oppone al regime religioso, a Marjane è richiesta una precoce consapevolezza e capacità di scelta. Non a caso, mandata a studiare in Europa per la propria sicurezza, si stupirà per la vacuità dei discorsi degli adolescenti europei, del loro menefreghismo. Commuovente e doloroso, il racconto di Marjane insiste anche sul peso delle scelte. La giovane cerca di assecondare prima le richieste della società europea, poi di quella iraniana, prima di capire quale possa essere la sua strada. E la sua strada, quella di artista che denuncia le durezze del regime, non può che portare verso l'esilio, con tutta quella lacerazione degli affetti che questo comporta. Dal fumetto l'autrice ha anche tratto un film animato che è subito diventato tra i miei preferiti in assoluto.

Avrei voluto continuare ancora e non è detto che in futuro non riprenda il discorso, ma questa sera mi è ostile la connessione e la stanchezza. Non ho toccato il fantasy, perché il mio personaggio femminile di riferimento nel fantasy già lo conoscete, è Tenar, raccontato a U.K.Le Guin ne La saga di Earthsea 
Giovane prescelta per essere sacerdotessa di divinità oscure, salva, più che essere salvata,  un giovane mago. Che non le regala il suo amore, ma del tempo per scegliere chi vuole essere. E Tenar, che non rinnega se stessa e la propria storia, sceglie di essere una donna comune. Solo molti anni dopo, ormai vedova, incontrerà di nuovo l'ormai non più giovane mago. Si rivelerà una donna fortissima, in grado di tenere testa a draghi, principi e stregoni senza né spade né incantesimi, solo con la propria saggezza e il proprio sguardo disincantato sul mondo. Mi chiedo, adesso, quanto aver incontrato da adolescente questo personaggio sia stato importante per me. Per capire che non c'è niente di male ad essere una persona dai pensieri complessi e dai desideri semplici. Per capire che genere di vita desiderare. Per capire... Chi lo sa... La storia di Tenar, alla fine, è anche la bellissima storia di un'adozione, quella della piccola Teanu. Difficile quindi non chiedersi quale sia davvero l'importanza di queste letture leggere, che però si sedimentano dentro e finiscono per sgrezzare i nostri pensieri.
Speriamo, però, di non aver portato a casa un cucciolo di drago...
Vi lascio con due immagini di Tenar, un giovane e una matura (questa dal purtroppo non soddisfacente film dello studio Ghibli). E la curiosità di sapere qual è il personaggio in cui più vi riconoscete e perché.
Il film non è un gran che, ma alla alla fine io e il Nik
ci assomigliamo proprio a questi Tenar e Ged