mercoledì 29 aprile 2015

Come incentivare la lettura in Italia


Che la situazione della lettura in Italia sia tragica è cosa nota e non ha senso stare ancora a piangerci addosso. È un problema nostro. Basta andare all'estero e prendere un mezzo pubblico per capire che altrove non è così. Quindi non è colpa dello stile di vita, della crisi, dei nuovi media. Quest'estate, sui traghetti delle Orcadi, dove pure internet era disponibile e i cellulari prendevano, tutti leggevano, a prescindere dall'età e dall'occupazione. Riviste, romanzi, ebook. Leggevano.
Da noi non è così.
Lavorando con i ragazzi ho una mia idea precisa del perché questo non avvenga. Ho un'idea anche delle cause, ma la loro analisi mi porterebbe lontana dai toni di solito pacati (o almeno educati) che cerco di tenere sul blog.
Ovviamente devo semplificare, parlo dei miei alunni, ma in senso lato, senza aver in mente quelli attuali in modo particolare (che, per altro, leggono più della media, sopratutto le ragazze).
I miei ragazzi non leggono perché è un'attività che neppure prendono in considerazione. I loro genitori per lo più non leggono se non per lavoro e, in quel caso, con evidente noia (non tutti, ovviamente, mi scuso fin da ora con i genitori che leggono). I loro amici non leggono. I loro eroi non leggono. Leggono persone noiose e che non stimano in modo particolare, professori, gente che in tv fa loro la paternale. Spesso, l'unico ambiente in cui vengono a contatto con i libri è la scuola. La lettura è associata a un dovere, quello dello studio, non certo a un piacere. Fuori da scuola possono passare la loro intera vita senza mai inciampare in un romanzo o in qualcuno che legga.

BISOGNA RIPORTARE LA LETTURA ALL'INTERNO DELL'IMMAGINARIO COLLETTIVO

Passare l'idea che non si debba leggere perché... Ma che SIA NORMALE LEGGERE. Un'attività imprescindibile, ovvia, parte della vita di tutti, come mangiare, andare a passeggio e ascoltare musica.
Prendiamo questo esempio. In quanti film, pubblicità, serie televisive si vedono delle persone che ascoltano musica senza che questo sai il cuore del discorso? Lo fanno semplicemente perché è normale farlo. Quanti invece leggono?

– Rappresentare nei media la lettura come un'attività abituale
Sembra una sciocchezza, come tutte le cose che hanno a che fare con l'immaginario collettivo. 
Prendiamo una pubblicità. L'attore famoso si alza dalla poltrona per andare a gustare la pasta al tonno sul terrazzo vista mare. Facciamogli posare un libro mentre si alza, mostrando che un attimo prima stava leggendo.
Nelle serie televisive nelle scene di passaggio, quando i personaggi sono ripresi intenti a fare attività abituali, di solito prima che accada qualcosa di funzionale alla storia, mostriamoli intenti a leggere. 
Facciamo in modo che gli sceneggiatori inseriscano battute in cui i personaggi citano libri, personaggi, situazioni letterarie. Facciamo in modo che sia chiaro che i nostri ispettori, carabinieri, innamorati di "Un posto al sole", eccetera leggono.
Questa è, ovviamente, una vera e propria operazione culturale che deve essere voluta e organizzata. Meno roboante di tante altre iniziative culturali, ma alla lunga, forse più efficace.

– Far parlare di letteratura gli eroi dei ragazzi
Non in spazi preposti o in terribili spot fatti ad hoc, ma nei discorsi abituali. 
Nelle trasmissioni di approfondimento sportivo chiedere, tra le altre cose, al calciatore, al motociclista e al rapper a quale personaggio letterario sentono di somigliare, in quale libro vorrebbero vivere.
Passare l'idea che sia normale per tutti leggere, anche per i vip. Non tempo perso o un obbligo, ma qualcosa che arricchisce tutti.


PRESENTARE LA LETTURA COME UN'ATTIVITÀ PIACEVOLE

Che la scuola debba portare i ragazzi alla lettura per me è sacrosanto. È inevitabile anche imporre un certo numero di letture ai ragazzi. C'è però modo e modo e lettura e lettura.
C'è ancora l'idea che i ragazzi debbano per forza leggere i classici della letteratura o libri con tematiche forti, importanti, che li facciano riflettere. Questo è sacrosanto, tuttavia non tutti i ragazzi di, ad esempio, una terza media, hanno le competenze linguistiche per leggersi I promessi sposi o la giusta propensione d'animo per affrontare Se questo è un uomo
Cerchiamo, sopratutto noi insegnati, di non passare l'idea che leggere sia solo sorbirsi storie tragiche scritte in maniera complicata. Spieghiamo che ci sono libri che ci aiutano ad affrontare le pagine peggiori della nostra storia, che ci raccontano vicende tragiche e dolorose, ma che la letteratura non è solo quello. Che ci sono libri che fanno ridere, libri che appassionano, storie a lieto fine e che leggerle va bene comunque, così come va bene guardare una sera un film impegnato e una sera uno comico.
Cerchiamo autori che sappiamo parlare ai ragazzi con passione ed entusiasmo e portiamoli nelle scuole. I miei alunni, ad esempio, adorano Antonio Ferrara. Li diverte, li coinvolge e quando leggono i suoi libri, mi raccontano, è come se sentissero la sua voce. È uno dei pochi autori che sia riuscito a coinvolgere e a far leggere davvero anche i maschietti.


NON PRESENTARE LA LETTURA COME UN'ATTIVITÀ DIFFICILE

Io sono dislessica, quindi lungi da me sottovalutare o svilire le difficoltà di lettura. 
Tuttavia negli ultimi anni si è esagerato, secondo me, nel presentare la lettura come un'attività difficile. È passato il messaggio che i testi vanno semplificati, resi più accessibili perché di base non lo sono.
Partiamo dal presupposto, invece, che ognuno ha il suo modo di leggere. C'è chi legge anche caratteri lillipuziani, chi preferisce il corpo 16 (e sia grazie all'ebook che permette di personalizzare). C'è chi legge fluentemente ad alta voce, chi, come me, se deve farlo spesso e volentieri si incarta sulla pronuncia delle parole, ma capisce lo stesso. Chi ama ascoltare un audiolibro. C'è chi legge tomi da 1200 pagine e chi si spaventa se vede un libro spesso.
Che ognuno trovi il suo modo, senza fare graduatorie. 
Ma non diciamo ai nostri ragazzi che leggere è difficile! 
Invitiamoli a trovare il loro modo di leggere e diciamo che va comunque bene perché, appunto, è il loro.

La lettura non ha bisogno di particolari "perché" è parte della vita, come svegliarsi al mattino, mangiare, andare al lavoro, innamorarsi, sognare, arrabbiarsi, fare amicizia, litigare e poi fare pace.
Si può sopravvivere senza mai innamorarsi, senza mai sognare, senza mai fare amicizia, senza far pace dopo i litigi, senza leggere. Ma non è che sia una gran vita.

Voi cosa ne pensate?

lunedì 27 aprile 2015

Fare e disfare è sempre lavorare


Così diceva mia nonna, quando qualcosa andava storto nella maglia che stava sferruzzando e doveva disfare tutto e ricominciare da capo.
Immagino che valga più o meno lo stesso anche con la scrittura.
L'estate scorsa mi ha tenuto compagnia la stesura di "una storia piena di streghe". Doveva essere il secondo capitolo di un progetto praticamente già andato in porto, così sicuro che l'editore ha cambiato idea. E quindi mi trovo con il capitolo due di niente.
In più il mio bel lago è stato preso d'assalto da altri scrittori, al punto tale che si è reso necessario un cambiamento d'aria. Cambio d'ambientazione, dunque. Cambio d'ambientazione che comporta un cambio di cast. Dei tre personaggi principali, due non hanno senso senza il "capitolo uno". Non sono cose da poco. Di fatto, si tratta di prendere il romanzo, buttarlo nel cestino e scriverne un altro, salvando magari qualche mezza pagina qua e là. Nel clima generale di questi giorni, con una riforma della scuola che minaccia di lasciarmi a piedi nonostante l'abilitazione e tanti "se" e "forse" in vari ambiti della vita, non la prospettiva più entusiasmante.
C'è, però, il buon senso della nonna a salvarmi. 
Fare e disfare.
Quindi ho ritagliato tre ore sotto la pioggia per fare un sopralluogo approfondito alla nuova location, che è sempre un lago, ma non il mio abituale, quello della Scuola col Pontile. Del resto abito in una zona con un surplus di laghi.
Respirando l'aria umida, mentre scendevo lungo i vicoli tortuosi, l'entusiasmo è tornato. La sensazione, vaga, eppure presente di aver ritrovato la corrente giusta. 
Tanti piccoli particolari che sgomitano per entrare tra le pagine. Il vecchio olmo secolare al centro della piazza. Due oche dall'incedere regale che presidiano il parco giochi. Le ossa di granito del paese, che gli danno un sentore di antico, di cose in attesa appena sotto la superficie.
Certo, c'è ancora molto da fare.
Non sono neppure lontanamente vicina al momento di scrivere la scaletta. Mi sfugge ancora qualcosa nel carattere del personaggio maschile di punta (questa volta la protagonista sarà una lei) e finché non l'afferro non posso andare avanti. Mi sfugge anche il suo nome. Roberto? Alberto? Forte indecisione, dal momento che il personaggio in sé è già presente in un racconto come Roberto, ma nel cast è già presente un Riccardo, personaggio meno importante, ma più definito.
Mi sfuggono ancora gli antagonisti, che sono almeno tre, e di questi solo uno ha un nome e un carattere. 
Sento tuttavia che qualcosa si è sbloccato. Inizio a visualizzare scene, dialoghi.
Ho un'atmosfera, proprio quella uggiosa e malinconica della fotografia. Credo pioverà parecchio nel romanzo, cosa che crea a me e alla protagonista non pochi problemi tecnici.
Sopratutto, cosa tutt'altro che abituale, ho il titolo, prima ancora di iniziare a scrivere, cosa che non mi era mai successa.
Gli scheletri di Montorfano.

domenica 26 aprile 2015

The avengers, Age of Ultron – visioni


... Sì, la città sta volando e io ho arco e frecce. Nulla ha senso.
Ecco, in questa frase di Occhio di Falco c'è un po' tutto un film che si può definire la miglior gestione possibile per una storia ingestibile.

La passione del marito per i supereroi mi ha ormai dato solide basi per districarmi nel complicato universo Marvel. I Vendicatori, gli Avengers, quindi sono un raccogliticcio gruppo di super eroi che, nella versione cinematografica comprende: il miliardario con il buon senso inversamente proporzionale all'intelligenza, l'altro genio che però si trasforma in un mostrone verde e animalesco, la più o meno divinità belloccia, figlio di papà, il bravo ragazzo rimasto surgelato per settant'anni, la ragazza dal passato tenebroso che non sa decidere se uccidere le piaccia davvero o no e l'arciere che sembra aver sbagliato film.
Un simile gruppo di prime donne sarebbe il terrore di qualsiasi regista, anche considerando che dietro i personaggi ci stanno attori dalle personalità più o meno ingombranti e ciascuno lotta per sovrastare le altre. La sceneggiatura, poi, ci aggiunge: un congro numero di super eroi di seconda linea alla ricerca di visibilità, un esercito di robottoni cattivissimi con a capo un robottone più cattivo, due gemelli con i superpoteri in crisi esistenziale/adolescenziale, un altro robottone rosso. Per condire il tutto una serie di personaggi secondari, amici e nemici, di cui è comunque bene ricordarsi nome e ruolo. Il tutto per una durata di poco più di due ore che per un tale minestrone è una cottura a malapena sufficiente. Qualsiasi regista avrebbe gettato la spugna al solo leggere lo script.
La cosa sorprendente è che il lavoro sui personaggi è fatto bene.
Ognuno dei personaggi principali ha un suo approfondimento, anche Occhio di Falco, che nel film precedente sembrava davvero aver sbagliato pellicola e cercare con disperazione gli orchi. I due nuovi super eroi, pur con una storia ritagliata un po' malamente a causa della dispersione dei diritti delle storie originali a fumetti (chissà cosa pensa il buon Magneto di essere stato dichiarato morto a causa di una granata...), sono ben presentati. Tutte le scene di interazione, siano esse di battaglia o di relax, sono assai godibili con un bilanciamento tra azione pura e introspezione quasi perfetto.
Certo, considerato il tempo a disposizione e i personaggi in gioco non si può pretendere che tutto funzioni. Quello che è stato concesso alla gestione dei personaggi è stato tolto, a mio avviso, alla trama in sé.
La creazione del nemico, Ultron, è a dir poco frettolosa, poi questo si sveglia e zac, vuole distruggere l'umanità. E quindi, invece di ragionare un attimo sul perché e il per come sia spuntato, che diavolo, sbrighiamoci a farlo fuori a mazzate! 
Alla fine il succo degli Avengers non è questo? Non importa se sei un super scienziato, l'importante è che tu ti possa trasformare in un mostrone verde che picchia forte, perché, si sa, l'umanità di salva sempre e solo a mazzate!
Accettato questo assunto di base: i problemi si risolvono con il picchia picchia, perché a usar l'intelligenza si fanno solo danni, tutto scorre.
Le location italiane fanno la loro figura (carino che ci abbiano scelto per rappresentare un immaginario scalcagnato stato filorusso...) e le scene d'azione sono allo stato dell'arte.

Insomma... La città sta volando, io ho arco e frecce. Nulla ha senso!
Ma se questo non vi disturba particolarmente, non si può dire che non ci si diverta.

PS: un salutone speciale ad Aislinn, incontrata per caso all'uscita dalla sala.

venerdì 24 aprile 2015

Io sono una lepre – racconto breve

Mi ero ripromessa di continuare a portarvi nel Leynlared, nel cuore delle mie storie fantasy e ho ancora intenzione di farlo. Non riesco a decidere, però, l'ordine dei racconti da presentarvi, perché un banale susseguirsi cronologico di eventi non darebbe giustizia dei complicati intrecci dei personaggi. D'altro canto, presentarvi dei racconti che sono legati tra loro, ma si ambientano a trent'anni l'uno dall'altro ha degli inevitabili lati negativi.
Mi prendo, quindi, ancora una settimana (forse due) di meditazione. Nel mentre vi propongo un racconto breve, uno dei primissimi che ho scritto, quasi una vita fa. Se ben ricordo, si trattava di un esercizio su un tema dato. La parola d'ordine era "plastica".


IO SONO UNA LEPRE

  Fulvia è un parrocchetto dalle piume sgargianti. Io sono una lepre spelacchiata e magra. Lucia è un pasticcino burro e panna, bello da vedere e da gustare. Io sono una creatura di sottobosco, dal sapore di selvatico. Carlotta è un fuoco d’artificio, da cui lasciarsi abbagliare. Io sono luce di candela.
  Me lo dice lo specchio, me lo dicono gli occhi che scivolano sull’olio opaco della mia immagine, senza fermarsi. Loro tucani, io corvo. Loro orchidee, loro gatte persiane di razza. Io micio nero senza coda, fiore di campo senza nome. Io invisibile ad attraversare la gente, tutta attenta a non farmi calpestare. 
  Oggi mi voglio travestire. Voglio anch’io una pelliccia bianca da gatto d’angora e la mia parte di sguardi e di sorrisi. 
  Via la felpa e i pantaloni, via foglie secche all’arrivo dell’autunno. Sotto, braccia e gambe sono rami d’inverno, nodosi e magri. Ma io faccio fiorire unghie fucsia sulla punta delle dita. Faccio apparire fiori e spirali arancione e verdi sul top e sulla gonna. Oggi voglio essere orchidea e farmi guardare. 
  Ho sete degli occhi di Claudio. Lui alto, lui biondo, lui arrogante. Lui all’ultimo anno di liceo, io al primo. 
  Voglio solo bere un poco il suo sguardo.
 E allora avanti, alta sulle zeppe. I lacci dei sandali sono viticci che si arrampicano sul polpaccio e grappoli di braccialetti scendono a tintinnare sui polsi. E poi verdi ombreggiature sulle palpebre, nevicano brillantini sulle labbra insieme al gloss…

 … Lo specchio mi guarda corrucciato. Adesso ho uno splendore di labbra turgide, rosa e luccicanti. Uguali ai piccoli ciondoli di plastica che porto attaccati alla cartella. E il top e la gonna hanno i colori delle confezioni colorate delle patatine. O di quelle altre cose che, ormai, non sono fatte neppure più di patate, estrusi di mais, qualsiasi cosa siano. Sanno solo di sale, senza un sapore proprio.
  Io ho già il mio sapore. Io so di selvatico.
  Io sono una lepre, tutta gambe e orecchie, brava a correre e a saltare.
 Adesso sembro una lepre mendicate, di quelle che vanno a raspare nella spazzatura, scoperta con il muso in un sacchetto di plastica. Pronta a soffocarsi da sola.

 Fulvia è un parrocchetto dalle piume colorate, Lucia è un pasticcino burro e panna, Carlotta è un fuoco d’artificio. Che si prendano la gabbia, i morsi e gli sguardi di una sera. Io sono una creatura di sottobosco e devo stare attenta se non voglio farmi servire su di un piatto da portata con contorno di verdure al forno. Non sono nata per catturare sguardi, per imprigionare i ragazzi come un pianta carnivora. Per me ci vuole un cacciatore attento, che sappia aspettare e inseguire. 
 Claudio è biondo è alto ed è arrogante, ma io non chiedo un’elemosina di sguardi. 
 Rimetto i miei abiti mimetici da animale da foresta, jeans e scarpe basse, così potrei riuscire anche a ballare. Libero i capelli dalla prigione di nastrini, niente fuliggine colorata a nascondere la pelle, niente più labbra fatte in serie. 
 Non c’è più nessun gatto d’angora a sorridermi allo specchio. Solo la solita figura dai capelli lisci come pioggia, fatta solo di gambe e braccia, dove gli sguardi scivolano come sul burro. Ma sono io. 
  Se qualcuno mi vuole guardare mi deve inseguire.
  Io sono una lepre.  

mercoledì 22 aprile 2015

Giornata del drago 2015 – i migliori draghi della mia vita, cinema

Oggi, 22 aprile, è la giornata della Terra, ma domani, 23 aprile, è la GIORNATA DEL DRAGO.
Un blog che ha la parola "draghi" nel titolo e che viaggia abitualmente su diversi piani di realtà non può certo esimersi dal festeggiare i nostri scagliosi amici dall'alito di fuoco.
L'anno scorso, per l'occasione, vi parlavo dei migliori draghi della mia vita in letteratura.
Quest'anno non posso che continuare il discorso con

I MIGLIORI DRAGHI DELLA MIA VITA – CINEMA

3° posto – Maga Magò in forma di drago

L'apparizione è breve, ma di quelle che non si dimenticano.
La sequenza del duello di magia tra Mago Merlino e la Maga Magò all'interno de La spada nella roccia della Disney è tra le mie preferite di sempre.
Al termine della gara di portenti la maga si trasforma in niente di meno che in un drago. Già dall'inizio, in effetti, stazza e carattere erano piuttosto dragheschi. Ma non è finita, Merlino sconfigge la sua avversaria trasformandosi in un virus.
Questo ci ricorda che i draghi, per quanto grandi, grossi e forti, non sono imbattibili, anzi, spesso sono inaspettatamente delicati. Raccomando quindi a tutti gli allevatori di draghi di non trascurare la salute dei loro cuccioli e di portarli sempre dal veterinario guaritore, anche se fanno i capricci.


2° posto – Sdentato 

Difficile non innamorarsi del delizioso Sdentato, il giovane esemplare di Furiabuia in Dragon Trainer  e Dragon Trainer 2.
Felinissimo, affettuoso, fedele e, quando serve, letale, è il drago che tutti noi abbiamo sempre sognato di avere.
Ulteriore bonus è il fatto che Dragon Trainer è un film delizioso, proprio quello che ci vuole per avvicinare le giovani generazioni all'amore per queste splendide creature. Il secondo episodio, a mio avviso, non regge il confronto con il primo, ma rimane comunque gradevolissimo.
Sono i film che Daenerys de Il trono di spade dovrebbe affrettarsi a vedere! Capirebbe che i draghi non si possono assolutamente tenere in delle cantine!

1° posto – Draco

Ai miei tempi, quand'ero giovane, non era facile imbattersi in un drago sullo schermo. Non era come oggi, epoca in cui i draghi li mettono un po' ovunque.
Quando avevo 16 anni, tuttavia, uscì nelle sale Dragonheart e io e una mia sodale corremmo subito a vederlo.
Eccolo lì, il miglior drago cinematografico della mia vita, Draco, forte, dragoso, intelligente e generoso, proprio come un vero drago deve essere. Un drago adulto, mostrato come il dio dei draghi comanda. E poco importa che gli effetti speciali fossero quelli del 1996. Draco lo Smaug cinematografico se lo mangia a colazione!

Quali sono i migliori draghi cinematografici della vostra vita?

Approfitto per segnalare che i miei alunni, a loro modo dei veri draghetti, stanno continuando con il progetto di illustrazione della Divina Commedia. Siamo arrivati al famoso episodio di Paolo e Francesca e trovate i loro bei disegni qui

lunedì 20 aprile 2015

Come organizzare la presentazione di un libro – Praticamente


Da tempo meditavo questo post ma, se già oggi non mi sento del tutto coerente, nei giorni scorsi non lo ero per nulla e ho preferito rimandare.
La premessa necessaria è che io sono una pessima organizzatrice di presentazioni librarie. Non amo scocciare la gente e quindi imporre la mia presenza e sono sempre tesa all'idea di parlare in pubblico. Poi, quando mi tocca, mi ci diverto anche, ma inizio ad essere nervosa già dalla mattina. Un collega giallista una volta mi ha detto che per lui gli incontri col pubblico sono la parte migliore della scrittura. A me piace incontrare i lettori, ma mentirei dicendo che è la cosa che più amo fare, sono un'anima schiva. 
Ciò nonostante mi sono fatta un'idea di cosa funzioni e cosa proprio vada evitato come la peste. Sono solo mie idee personali, ovviamente, ma mi fa piacere condividerle.

UNA PRESENTAZIONE VA ORGANIZZATA SOLO DOVE HA SENSO CHE ABBIA LUOGO
So che sembra la banalità della banalità, ma ho visto presentazioni organizzate in bar senza alcuna vocazione letteraria, solo perché il gestore era amico dell'autore. Ovviamente nessuno che non fosse amico/parente dell'autore vi è andato. Anche la presentazione in libreria ha senso fino a un certo punto. Non si può prendere al lazo il cliente occasionale, è necessario che il pubblico interessato sia venuto apposta per la presentazione.
In linea generale è bene inserire la presentazione in una manifestazione già esistente, in un calendario di incontri analoghi e svolgere la presentazione in un luogo dove già se ne svolgono abitualmente.
Biblioteche e alcune librerie propongono ogni anno un programma di presentazioni, la cosa migliore è farsi inserire nei loro calendari. Hanno già una loro rete di divulgazione e un loro bacino d'utenza esterno alle conoscenze dell'autore e una modalità rodata di rendere pubblico l'evento. Quindi se siete autori alle prime armi e non sapete da dove partire e la vostra casa editrice non vi aiuta, il primo consiglio è quello di sentire le biblioteche vicine, è probabile che scopriate che hanno già una loro manifestazione a base di presentazioni letterarie e sarà possibile inserivi.
Presentazioni in luoghi più eccentrici hanno senso solo se c'è un legame tra il libro e quel luogo o tra voi e quel luogo. Ci si può proporre nelle scuole se il libro è per ragazzi, ci si può rivolgere al comune nel quale è ambientato, etc. sottolineando la motivazione della proposta.

CHIARIRE A CHI TOCCHI VENDERE IL LIBRO
Logisticamente, la presentazione in libreria, o organizzata da una libreria, è la più semplice. Voi presentate il libro, loro vendono e tutti sono contenti. In qualsiasi altro luogo bisogna capire bene a chi tocchi vendere il libro. La casa editrice può lasciare dei libri in conto vendita ad associazioni, biblioteche etc? Oppure si può chiedere al un libraio di fiducia di accompagnarvi per la vendita, oppure ancora si può coinvolgere un librario della zona, se si è lontani da casa.
Questo ha un ulteriore effetto positivo, la libreria sarà invogliata a ordinare il vostro libro e a tenerlo ben in vista a ridosso della presentazione, aumentandone la visibilità a prescindere dal successo della presentazione.
Io sconsiglio sempre la vendita diretta da parte dell'autore. Innanzi tutto mi sa di pratica non etica da parte dell'editore e poi l'autore ha bisogno di tempo per chiacchierare con i lettori, firmare le copie... Non può occuparsi, tranne rari casi di forza maggiore, di resti e monetine.

Chiarito il dove la presentazione deve avere luogo e a chi tocchi il compito di vendere le opere, ci si può focalizzare su altri particolari.

Chi deve presentare il libro/l'autore?
Qualcuno che conosca l'opera e l'autore. È piuttosto imbarazzante trovarsi all'ultimo momento con un presentatore che tenta l'arrampicata libera sugli specchi o, peggio, riempie le proprie lacune con uno show personale. Meglio parlarsi francamente. L'organizzazione della manifestazione deve presentare un libro alla settimana e non può leggerseli tutti? Poco male, concordate qualche breve frase prima che la parola sia ceduta all'autore.
Se invece il presentatore è una persona di fiducia, un amico o qualcuno che ha apprezzato il libro si può progettare una presentazione a intervista, con un rapido botta e risposta.

Presentazioni con più autori?
Io, in generale, sono assai favorevole alle presentazioni con più autori, che evitano l'effetto noia. Ci devono, però, essere delle condizioni. Ci deve essere un filo conduttore tra le opere e/o gli autori che diano un senso alla cosa. E ci deve essere un moderatore che garantisca lo stesso spazio a tutti. Se le opere sono di uno stesso genere è interessante vedere come autori diversi rispondono a una stessa domanda. Mi è capitato di partecipare a una presentazione presso Gli amanti dei libri che ricordo con particolare piacere. Eravamo tutte gialliste con romanzi ambientati a poca distanza l'uno dall'altro e ci era stato chiesto di portare un oggetto che parlasse di noi e la foto del nostro autore di riferimento. Ne è uscita una serata briosa e arricchente, sia per noi che per il pubblico. Al contrario ricordo una tavola rotonda in cui non sono quasi riuscita a prendere la parola.

Lettura di brani dell'opera?
Questa può davvero trasformarsi in un'arma a doppio taglio. 
Può funzionare solo a determinate condizioni. Il brano da leggere deve essere breve e di senso compiuto, al peggio meglio scriverne uno ad hoc pensato appositamente per la lettura ad alta voce. A leggere deve essere un attore o comunque qualcuno abituato a farlo.
L'improvvisazione è deleteria e può far sprofondare nel sonno anche il pubblico più attento. A me è capitato di staccare letteralmente la spina dell'attenzione durante letture particolarmente verbose. 
Sconsiglio gli attori dal leggere brani della propria opera a meno di non possedere comprovate doti attirati.

Inserire video e/o immagini?
Dal mio punto di vista il rischio maggiore di una presentazione letteraria è la noia. Quindi qualsiasi cosa possa aiutare a rendere la presentazione maggiormente interattiva è la benvenuta. Bisogna però informarsi bene sulla logistica. Più volte mostrare un banalissimo power point si è rivelato molto più complicato del previsto... 

A questo punto non mi resta che chiedervi qual è la vostra esperienza in merito alle presentazioni di libri, sia come autori che come spettatori.

E non posso non lasciarvi con il calendario delle presentazioni di Delitti di lago. Quelle in blu sono le date a cui anch'io dovrei essere presente.

  • mercoledì 22 aprile ore 21 Spazio Melampo Via Tenca 7 Milano #ioleggoperché Noir - Sabrina Minetti parla dei Delitti di Lago

  • giovedì 23 aprile - giornata mondiale del libro - ore 20.00 Libreria Alberti Verbania - Corso Garibaldi 74 Intra

  • venerdì 24 aprile 21 al Comune di Golasecca Piazza della Libertà, 3

  • sabato 25 aprile ore 17.30 Feriolo di Baveno - Ristorante Vistacqua - Lungolago

  • sabato 2 maggio 16.00 Villadossola La Fabbrica di Carta Corso Italia, 13, Villadossola

  • domenica 3 maggio - Alzo di Pella - 16.30 Associazione Culturale Famiglia Alzese Via dell'Asilo 1 - organizzato in collaborazione con Libreria del Lago di Laura Spinelli (con degustazione tisana di Stresa

  • mercoledì 6 maggio 19.30 Libreria Russomanno piazza San Rocco 
  • 16 6537 Grono  (Canton Grigioni - Svizzera) 

  • sabato 9 maggio ore 17.30 Belgirate sala Borsieri - Via Borsieri 

  • giovedì 14 maggio ore 21 Varese - Villa Panza

  • venerdì 5 giugno 20.30 Nebbiuno  Sala Casa Fassi Piazza IV novembre (in collaborazione Biblioteca Teresa Donati)

  • sabato 6 giugno Gallarate 17.30 Libreria Rinascita Vicolo del Prestino 3 - presenta Emiliano Bezzon

sabato 18 aprile 2015

Prima che venga il gelo – ultima parte

Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza
Parte Quarta
Parte Quinta

Eccoci, siamo arrivati in fondo a un racconto che forse non presenta particolari colpi di scena, ma è comunque un punto di partenza necessario. 

  Entrato in casa, dopo aver bussato col giusto codice, Ven si accorse che c’era una persona in più nella stanza.
  Davvero quella non era più casa sua.
  Il nuovo arrivato era un cinquantenne che trasudava nobiltà da ogni poro. Dalla posa composta con cui sedeva sul pavimento in terra battuta, dai baffi ordinati, dal modo il cui la mano era corsa all’elsa ingioiellata della spada nel momento in cui Ven era entrato.
  – Adrash an’Parshi, Maestro d’Armi del Sal. – lo presentò Amrod. – Ieri ha protetto la mia fuga. Oggi credo che sia il primo dei miei generali.
  – Come l’avete trovato? – chiese Ven, diffidente.
 Non aveva rinunciato a una piccola fortuna perché qualcun altro uccidesse il principe senza lasciargli alcun guadagno. 
  L’uomo sorrise al cipiglio del pastore.
 – Lo stavo giusto raccontando. – disse. – Ieri… Per lo Spirito, sembra passato un secolo… Ieri, quindi, sapevo che il tradimento era nell’aria. Solo, non sapevo quante delle nostre guardie erano coinvolte… Ci stavamo spostando con trenta armati del leyler a lui fedeli e venti Guardie d’Argento giunte con noi dal Sal di Caysal. Io non faccio parte della Guardia d’Argento e sono giunto a Caysal da relativamente poco tempo non sapevo esattamente di chi ci potesse fidare.
  Amrod annuì.
  Non c’erano più tracce di pianto sul suo viso. Era seduto sul giaciglio con un braccio al collo, ma aveva il fare composto che ci si aspetta da un principe.
  – Sospettavate che avrebbero preso Luvan? – chiese.
  – No… Col senno di poi… La vostra amicizia non era un segreto. Era palese che sarebbe stato un vostro punto debole. Ma no, era solo uno dei segretari di vostro padre, famoso per la bella calligrafia con cui copiava le lettere ufficiali. Non ho pensato di proteggerlo. Non l’ho visto ieri mattina, ma c’erano carri che viaggiavano più indietro, ho dato per scontato che fosse su uno di quelli… 
  – Ieri… – iniziò Amord, scegliendo piano le parole. – Quando il leyler ha chiesto se fosse il mio amante… Se avessi fatto qualcosa di diverso, se avessi negato, sarebbe cambiato qualcosa?
  Se non altro, pensò Ven, il principe non sembrava il tipo da sottrarsi alle domande difficili.
  – Non nell’immediato. – rispose an’Parshi. Lui non si sottraeva alle risposte. – Non penso avessero neppure la certezza che Luvan fosse il vostro amante. Speravano di sconvolgervi e quindi di accusarvi di essere un perverso codardo, non certo di scatenare… Quello. Ne avete uccisi quattro in tre battiti di ciglia… In ogni caso, il racconto di quello che è accaduto, di come avete risposto, si spargerà e questo cambierà per sempre la vostra immagine.
  – Mai più proposte di alleanze per matrimonio. – replicò Amrod. – Quando ho attaccato… Non ero molto lucido… Pensavo solo di ammazzarne il più possibile e poi di farmi uccidere a mia volta… Poi ho sentito la vostra voce che mi intimava di fuggire… Ho pensato che Luvan non sarebbe stato soddisfatto se avessi lascito le Ley a Leyler Turis. Uno dei ragazzi della scorta, Amgus, credo, mi ha avvicinato le redini e mi ha coperto mentre salivo in sella. È stato colpito per questo… 
  – Sì. – annuì an’Parshi. – le Guardie d’Argento hanno avuto pochi istanti per scegliere a chi essere fedeli. Più della metà ha iniziato a combattere con me. Eravamo comunque in netta minoranza… Abbiamo visto la freccia colpirvi, ma non siete caduto. A quel punto abbiamo provato a disimpegnarci per confondere le vostre tracce e proteggervi la fuga… Sapendo come cavalcate vi avremmo dato migliori possibilità lasciandovi andare solo e cercando di confondere gli uomini di Turis.
  – Quanti dei miei uomini sono sopravvissuti?
  An’Parshi scosse il capo.
  – Non lo so. Abbiamo cercato di fare più caos possibile e ci siamo dispersi. Nella notte ci siamo ritrovati in tre. Io, Mertin e Ferto. Ho lasciato i ragazzi nascosti in un punto sicuro. Abbiamo incontrato un gruppo di Coyranà, vostra nonna, mia signora, una donna di potere. Ci stavano cercando e mi hanno indirizzato qua. Al momento, le vostre forze sicure sul territorio ammontano a tre soldati e un gruppetto di Coyranà.
  –… Il corpo di Luvan… Non l’avete recuperato, immagino. – sussurrò il principe.
  – Non ne abbiamo avuto la possibilità.
  Amord aveva pianto per suo padre davanti a una strega e a un pastore, ma non pianse per il proprio amante davanti al suo soldato. Distolse appena per un istante lo sguardo.
  – Per fuggire ho usato tutti i vostri sporchi trucchi. – disse invece, cambiando argomento. – Due traditori mi hanno raggiunto. Due Guardie d’Argento che conoscevo da una vita. Hain e Kubert. Ho usato i pugnali avvelenati. Ho nascosto i corpi e ho preso i loro cavalli, facendoli correre uno a fianco all’altro, mentre il mio proseguiva su un’altra strada. Non riuscivo a estrarre la freccia, da solo. Alla fine, quando li ho sentiti dietro di me, mi sono buttato in un fiume. Sono ripassato proprio sotto di loro…  Ma tra il freddo e la ferita ho finito per perdere i sensi… Credo che la mia fuga sia durata meno di quattro ore, poi Ven mi ha trovato.
 Al sentirlo nominare, il nobile si girò verso il pastore, come ricordandosi solo in quel momento della sua esistenza. Anche se sedeva nella sua casa.
  – Ben fatto, ragazzo. A tempo debito questa lealtà sarà ripagata. – disse.
 Ven si trattenne a stento dallo sbuffare. Nonostante il suo fare composto, Amrod non sembrava il miglior investimento del momento. Il principe parve accorgersene e gli rivolse un mezzo sorriso.
  – Cosa ci si aspetta che io faccia? – chiese Amrod.
  – Vostro zio, il leylord dell’Est, riunirà gli eserciti dell’Est e del Centro. – rispose an’Parshi. – Il Sud è in bilico. Dobbiamo riunirci al più presto a vostro zio e studiare con lui un piano d’azione.
 – Mio zio è il miglior generale delle Ley, non ha bisogno di me per studiare un piano d’azione. – replicò Amrod.
 – Cosa volete fare, mio signore? – chiese an’Parshi.
 Amrod si concesse un sorriso amaro.
 – Quello che vorrei fare non verrà discusso adesso. Ora discutiamo di quello che farò. Vilaya, c’è un modo per mettersi in comunicazione con mio zio, nella Ley dell’Est?
 La ragazza si sfiorò il corpetto.
 – Sì. C’è. – rispose.
 Ven annuì. Si diceva che le donne Coyranà potessero comunicare in qualche modo tra loro a grande distanza. Probabilmente c’era del vero in quelle voci.
  – Ven, quanto siamo distanti dalla più vicina miniera prigione?
  Sentendosi chiamato in causa, Ven sobbalzò.
  – Quella in cui hanno rinchiuso mio zio è a mezza giornata di cammino.
 – E, suppongo, è piena di gente del nord detenuta ingiustamente e, di conseguenza, arrabbiata. Queste persone, a loro volta, avranno delle famiglie, anche loro piuttosto arrabbiate.
  – Cosa volete fare? – chiese an’Parshi.
  – Non quello che voglio fare. Quello che farò è far capire alla gente del nord che non è la legge del leylord che li ha resi schiavi. Tutti pensano che io debba fuggire verso sud, per riunirmi all’esercito che mio zio tra qualche decade avrà organizzato. Il leyler non manderà guardie aggiuntive alla miniera prigione. Penso che una bella rivolta sia proprio quello che ci vuole. Penso che, quando avremo liberato i loro cari, molti degli abitanti del nord potranno scegliere un leylord pervertito che fa rispettare delle leggi certe, piuttosto che un virile leyler che li affama e li schiavizza.
  – Questo è… 
  Il nobile era rimasto a boccheggiare.
 Ven sperò che si rendesse conto che tre uomini armati, una strega coyranà e un principe pervertito ferito non avevano alcuna speranza contro qualche decina di guardie armate.
  Amrod, però, adesso stava fissando lui.
  – Ovviamente la gente imprigionata nella miniera non si fiderà di una strega coyranà, di un nobile che ha vissuto all’estero metà della vita o di un leylord pervertito. Ci vuole qualcuno di cui possano fidarsi, che possa garantire per noi, un uomo del nord che senta tutto il peso delle angherie del leyler.
  Ven sbatté le palpebre un paio di volte, non del tutto convinto che stesse davvero parlando di lui.
  – Io sono un pastore. – si trovò a dire, quasi balbettando. – Non so leggere. So contare solo le mie pecore. Non sono mai stato a oltre un giorno di cavallo da qui. Non voglio avere a che fare con questo. È solo un caso che vi abbia trovato io. Domani voi sarete andato e io tornerò a badare alle mie pecore.
  Amrod continuava a fissarlo. Aveva occhi chiarissimi, difficili da ignorare.
  – Non ho scelto di essere leylord. Lo Spirito solo sa se non avesse ragione mio padre. Un leylord dovrebbe essere grande e forte e combattere con uno spadone a due mani. Io non riesco neppure a sollevarlo un spadone a due mani. Non posso essere quello che non sono, ma sarebbe un insulto verso lo Spirito e verso le persone che ieri sono morte per permettermi di vivere se non facessi del mio meglio con quello che sono. Tu mi hai salvato. Non hai scelto di trovarmi, ma hai scelto di salvarmi. Non mi importa quello che non puoi fare. Ma sarebbe un insulto verso te stesso non fare quello che invece puoi fare. Darti una possibilità, per quanto improbabile.
  Impercettibilmente, lo sguardo del principe si era spostato verso Vilaya. Anche lei stava guardando Ven. Lo guardava come nessuna donna l’aveva mai guardato. Non come un pastore pieno di debiti, ma come un potenziale eroe.
  Lei, era chiaro, sarebbe andato con Amrod. Lui poteva fare lo stesso. 
  Era un’infatuazione, nel migliore dei casi un amore impossibile.
  Non ne sarebbe uscito niente di buono.
  – Sono dei vostri. – disse, sostenendo lo sguardo grigio del principe.

*

 – Raccontami ancora di te e di mio papà.
 In sottofondo, un trovatore stava cantando un vecchia ballata nel Salone d’Inverno del Sal.
 Patrize era fuggita dal controllo della sua bambinaia, si era intrufolata tra le gambe dei nobili della corte e si era arrampicato sulle ginocchia del leylord. A cinque anni, non sapeva di essere l’unica persona a cui Amord mostrasse pubblicamente affetto. Nel suo mondo infantile, non le era sembrato strano che, dopo la morte di suo padre, nella ley del Nord, fosse arrivato un uomo vestito di velluto e pellicce per annunciare a lei e al fratello che il leylord li accoglieva a corte, perché, tanti anni prima, loro padre, Ven Sender, gli aveva salvato la vita. 
 Amord le accarezzò i capelli castani.
 Non era figlia di Vilaya, morta in un fulgido tramonto di primavera, durante la lunga guerra civile che lo aveva portato sul trono.
 Da qualche parte nel palazzo, il fratello di Patrize stava probabilmente leggendo con la fronte corrucciata. Aveva quindici anni, un carattere terribile e, quando era stato condotto a palazzo, sapeva scrivere in due lingue, sia pure con una pessima calligrafia. 
 Amrod regnava ormai da più di trent’anni. Non c’erano più schiavi nel Leynlared e quasi nessun analfabeta.
 – La mia storia! – protestò la bambina.
 Il leylord sorrise.

 – Tutto è iniziato per via di Puk, il cane di tuo papà, che era innamorato della femmina di segugio di un lord. Non bisogna mai sottovalutare la forza e gli effetti degli amori impossibili… 

Eccoci in fondo. Sono ancora troppo febbricitante per aggiungere qualcosa di coerente. Vi posso lasciare il link a un'altro storia del Leynlared, una delle poche rese pubbliche, insieme a La recluta muta, pubblicata nell'antologia Il carnevale dell'uomo cervo e altri racconti dal trofeo Rill e dintorni, l'antologia realizzata per l'edizione 2012 del Trofeo Rill (dove il mio racconto si è classificato terzo).

giovedì 16 aprile 2015

Aria sottile – Letture


Per oggi speravo di riuscire a proporre un post ben più corposo, ma mio marito è riuscito nell'impresa di contagiarmi e il termometro segna i 38°. Considerando che lui è a letto che trema e io sono al computer non posso neppure lamentarmi troppo. Posso, anzi, condividere con voi le impressioni sulla lettura che ha ossessionato i miei ultimi giorni (e qualcuna delle notti).

Acquistato domenica e terminato ieri a dispetto di colloqui con i genitori e riunioni scolastiche varie, Aria Sottile è il libro che più mi ha coinvolto negli ultimi anni, tuttavia non augurerei neppure al mio peggior nemico di trovarsi nelle condizioni di scriverlo.
Il riassunto della sua storia editoriale è semplice. Jon Krakauer, alpinista di buon livello e giornalista specializzato in reportage di eventi in ambienti ostili (suo è Nelle terre estreme, libro inchiesta da cui è stato tratto quel capolavoro di film che è Into the wild) nel 1996 viene incaricato dalla rivista per cui lavora di redigere un articolo sulle ascese guidate all'Everest e sullo sfruttamento della montagna. Lui intravede una possibilità per raggiungere la vetta e insiste fino allo sfinimento per non fermarsi al campo base, ma di essere aggregato a una delle spedizioni guidate verso la cima. Evidentemente sono altri tempi e la rivista sgancia i 65000 dollari necessari. Nella spedizione di cui fa parte il giornalista tutto va storto e lui è uno dei sopravvissuti, anzi, come scriverà, delle 5 persone che erano con lui sulla vetta, solo in due ne sono scese vive. Cinicamente non posso che pensare che per la rivista sia stato il miglior investimento mai fatto.
Aria sottile è infatti l'ampliamento a dimensione di libro di quell'originale articolo, scritto pochi mesi dopo la catastrofe.
La forza enorme di quest'opera è propio quella di essere a metà strada tra un reportage giornalistico rigoroso e la catarsi personale.
Jon Krakauer è un professionista metodico. Di lui avevo già letto Nelle terre estreme e apprezzato la sua capacità di ricostruire con perizia una storia avvenuta ai limiti del nulla. Ma se in quel caso era cronista distaccato di un evento drammatico, ma a lui lontano, qui ne è protagonista. Ha vissuto fianco a fianco alle persone che sono morte o sono rimaste gravemente lesionate durante la drammatica discesa, lui stesso è tormentato da immani sensi di colpa e scrive in un momento in cui la distanza emotiva da quanto accaduto non può ancora essere raggiunta. Si sforza, il giornalista che è in lui, di rimanere oggettivo nel giudicare e raccontare fatti e persone, ma non ci riesce, a volte la semplice forza di un'antipatia o di una simpatia spontanea emergono quasi senza volerlo dalla pagina.
È inevitabile, ad esempio, per chi legge pensare che parte del disastro sia stato causato dalla scelta del capo delle guide della spedizione di Krakaur di rimanere indietro per aiutare uno dei suoi clienti a raggiungere la cima, quando invece avrebbe dovuto obbligarlo a desistere. Con la seconda guida in difficoltà per problemi fisici e il capo missione rimasto indietro, infatti, la maggior parte dei compagni del giornalista si è trovata sola nella tempesta a oltre 8000 metri di quota. Ma l'ostinato alpinista che con ogni probabilità aiutato a peggiorare la situazione è quello con cui Krakauer stesso ha stretto un'amicizia più forte, è il suo compagno di tenda, quello a cui si sente affine. Non può quindi, da sopravvissuto, ergersi a giudice del comportamento dell'amico.
Questa impossibilità di distacco unita alla minuzia della ricostruzione della tragedia, minuto per minuto, è di una forza immane.
È difficile non commuoversi leggendo le ultime ore del capo spedizione, rimasto bloccato in prossimità della vetta, ma in contatto radio con i campi più in basso e con la moglie incinta, mentre i tentativi di soccorrerlo fallivano uno dopo l'altro. E ha dell'incredibile la storia dell'alpinista dato per morto quattro volte, lasciato indietro nel tentativo di soccorrere chi aveva più chance, che si sveglia dopo una notte all'addiaccio e scopre di essere completamente solo in mezzo all'Everest.


Krakauer avrebbe dovuto redimere l'annosa questione (mio padre è maestro di roccia e ne sento parlare da che sono nata): è giusto/eticamente corretto scortare in cima all'Everest alpinisti non professionisti?
A questa domanda Krakauer non può rispondere, perché lui stesso, alpinista non professionista, ha rischiato la vita per raggiungere la vetta. È uguale al 100% agli altri alpinisti paganti e non può prendere distacco da loro, come non può non vedere come le ricadute economiche sulle comunità locali siano bifronti. Sempre più giovani cercano fortuna nell'alpinismo, trovando spesso la morte, ma il denaro dei ricchi scalatori paganti porta anche scuole e ospedali a villaggi che ne erano sempre stati privi. 
L'unica verità che emerge è che a 8000 metri di quota è la montagna la padrona e ogni piccolo errore può essere fatale. Alla fine, più che un unico madornale errore, emerge l'accumularsi di tante piccole inezie, non ultima la presenza dello stesso Krakauer, giornalista di una rivista di settore su cui tutte le guide volevano ben figurare, a costo di prendersi qualche rischio in più.

A vent'anni di distanza dai fatti, alcune delle polemiche che sorsero intorno al libro, e in particolare il violento scontro tra l'autore e una delle tre guide sopravvissute, non hanno più ragione di esistere. Le montagne hanno avuto altri carichi di morte e il dibattito sulle ascese organizzate sono più o meno allo stesso punto di allora (usare o no l'ossigeno? appena pochi giorni fa un articolo su La Stampa riprendeva il quesito).
Rimane intatto l'enorme impatto emotivo del libro. La forza di un resoconto fatto fin troppo da vicino, in cui ogni protagonista emerge vivido, nei suoi chiaroscuri, senza che vi siano davvero né carnefici né eroi.

In queste notti ho sognato l'Everest, il vento e la neve. Era davvero una vita che un libro non mi trascinava così tanto al suo interno.
E a questo punto non mi resta che chiedervi quale sia stato il libro di maggior impatto emotivo che abbiate letto negli ultimi tempi.

PS: spero che il post risulti almeno vagamente coerente.

martedì 14 aprile 2015

Gone girl, l'amore bugiardo – visioni


Finalmente ho visto un film di cui avevo sentito parlare fino allo sfinimento. Nonostante tutto, i colpi di scena non mi erano stati svelati e chissà se anch'io riuscirò a scriverne senza rivelarli?

Gone girl, tradotto neppure così a caso in Italia come L'amore bugiardo è un film sulla frammentazione della realtà.
È una realtà estremamente frammentata quella in cui vive Amy. I genitori, scrittori, ne hanno fatto l'eroina di una serie di libri per bambini, visione distorta, amplificata, ma non indipendente della persona reale. Intelligente, raffinata, sembra l'anima gemella del giornalista Nick. A cinque anni da quello che sembrava un matrimonio perfetto, tuttavia, troviamo Nick, fallita la carriera da giornalista/scrittore, di nuovo nella sua cittadina natale, intento a lamentarsi con la sorella di una moglie insopportabile. Peccato che Amy a casa non ci sia. Sparita? Uccisa? Mentre la televisione non ha dubbi nell'indicare Nick come un omicida e la polizia trova un diario di Amy in cui la donna racconta una storia di ordinaria sopraffazione, una serie di indizi sembra indicare una via del tutto differente.
Qual è la verità? E, sopratutto, qual è la vera Amy? La creatura idealizzata dei suoi genitori, l'animo sensibile che emerge dal diario, la donna insopportabile che Nick descrive alla sorella o qualcos'altro ancora? 
In questo frammentarsi della realtà, gradualmente Nick perde se stesso, risucchiato dal gioco al massacro dei media e delle mille idee contraddittorie che gli altri hanno di lui. Anche la sorella gemella arriva a dubitare di lui e alla fine la sua intera identità sembra evaporare, evanescente, sostituita a un'immagine costruita da altri a cui l'uomo, però, non può che conformarsi.
Gone girl è un film complesso, come sempre lo sono quelli di Fincher, tanto più affascinante quanto più si fa cupo e inverosimile. Perché se il buon senso ci dice che non è plausibile quello che stiamo vedendo, che di certo nella realtà le cose sarebbero andate diversamente, una vocina ci sussurra che magari no, potrebbe essere, se non questo qualcosa di simile, forse peggio. Lo stesso tipo di sensazione che mi aveva dato, a suo tempo, Seven.
Seven, tuttavia, è un thriller classico, per certi versi fuori dal tempo, potrebbe ambientarsi in una qualsiasi città e in una qualsiasi epoca. Gone Girl è un thriller postmoderno. L'ossessione per la nostra immagine pubblica è fondate. Amy e Nick, forse, si confrontano con media "vecchi", i libri e la tv, ma hanno un'ossessione multimediale per quello che gli altri pensano di loro e l'abilità per manipolare la propria immagine fino ai limiti estremi che è tipica della nostra epoca. Fincher, come già aveva fatto in The Social Network, mette a servizio dell'oggi una tecnica di regia classica che ha un filo diretto con la cinematografia di Hitchcock (difficile non pensare a La donna che visse due volte). Il risultato è estremamente affascinante, torbido e denso di spunti di riflessione.
Un film da vedere.

Considerando che è un film in cui il protagonista è uno scrittore fallito e i genitori di lei sono a loro volta scrittori, difficile non trarne una semiseria morale ad uso degli scribacchini: mai, mai, MAI dare il nome del proprio figlio al protagonista della propria opera!


lunedì 13 aprile 2015

Proseguendo il cammino


Mi chiedo che immagine abbiano i miei alunni di Dante, quando racconto loro che "nel mezzo del cammin di nostra vita" intendeva dire che aveva 35 anni.
Quasi sempre alle terze medie assegno un tema in cui devono immaginarsi dieci anni dopo. Quasi nessuno si rende conto che a ventitré anni molti saranno ancora studenti, pochi avranno messo su famiglia o saranno già diventati professionisti affermati. Le ragazze si immaginano quasi tutte già sposate o in procinto di farlo, ma questo, sia chiaro, non è andato a scapito della carriera. Si immaginano laureate e professioniste di successo. Nei temi dei maschietti la famiglia viene nominata poco, ma hanno tutti macchine di lusso, comprate grazie al proprio lavoro. Hanno officine avviate, studi di architettura o carriere da chirurghi.
È difficilissimo, da adulti, rispecchiarsi nei sogni dei ragazzi e non sentirsi inadeguati.
Così com'è difficile entrare a scuola, a trentacinque anni e accettare che sì, si appartiene ormai definitivamente e senza possibilità di fuga alla categoria degli adulti.
Per me, da ragazzina, "adulto" non era un gran complimento. Diventare grandi da una parte voleva dire realizzare i propri sogni, dall'altro chiudere per sempre l'età della fantasia, acquisire quella serietà che era tipica dei miei genitori. Non giocare più, ridere poco, parlare in modo pacato, avere mal di testa per la preoccupazione. Per quanto desiderassi andare avanti nella vita e realizzare i miei sogni non mi entusiasmava il dover accettare anche tutto il resto del pacchetto.
E adesso che sono qui, definitivamente e per sempre adulta, è strano rendersi conto che, in fin dei conti, non si sono realizzate né le speranze né le paure.
All'età dei miei alunni avevo ancora un'idea piuttosto vaga dei sentimenti. Credevo di essere una solitaria destinata alla solitudine. Mi immaginavo, a trentacinque anni, affermata nel lavoro, magari ricercatrice in qualche luogo affascinante e lontano, ma sola. Non mi rendevo conto allora che quella che sembrava una scarsa facilità nelle amicizie era semplice diffidenza verso i rapporti utilitaristici. Non avrei osato sognare il marito, gli amici, il nipote, i gatti, tutte le presenze di una vita colorata. Gli adulti, da ragazzina, li vedevo sempre vestiti di grigio, nero o, al massimo, di beige.
Non avrei immaginato che sarebbe stato il lavoro quello da inseguire, vezzeggiare e corteggiare. Non immaginavo, allora, che non solo non avrei smesso di sognare, ma mi sarei aggrappata a quel mio fantasticare fino a dargli una forma concreta. Mia nonna, quand'ero bambina, mi insegnava a inventare storie dalle forme delle nuvole. Mia mamma, l'essere adulto per eccellenza, sbuffava che era un'inutile perdita di tempo. Né la nonna, né la mamma, ma neppure la bambina di allora, avrebbero detto che avrei imparato a portare a terra quelle nubi, per dare forma più solida a quelle storie per condividerle con altri.

A trentacinque anni, iniziano ad assottigliarsi le possibilità. Il bosco delle possibilità di è rarefatto, siamo saliti di quota, dove rimangono i pascoli, prima delle nevi eterne. Avrei detto, da ragazzina, che di sicuro avrei corso, almeno una volta, una maratona. Già allora praticavo atletica, mezzofondo, non sembrava una prospettiva così improbabile, ma è una svolta che non ho imboccato. E il corso di alpinismo fatto a sedici anni? Alla prima occasione utile avrei ripreso a frequentare il CAI e sarei tornata alla roccia. Chissà, invece, in quale solaio sono arrugginiti i miei ramponi! E di sicuro, qualsiasi cosa possa accadere, ormai non diventerò madre di otto o dieci figli. Non prenderò un brevetto da pilota d'aereo ed è sempre più improbabile che possa mollare tutto emigrare in Australia.
Il bosco delle opportunità di dirada, i sentieri si biforcano meno. D'altro canto, dal bosco era quasi impossibile vedere le vette. Capire verso dove dirigersi.
Ma sopratutto, ci si può guardare indietro. Prima del bosco delle possibilità c'è ancora l'immagine di quella ragazzina che ero.
Credo sarebbe soddisfatta di vedere che non mi vesto solo di nero, grigio e beige. Che non ho smesso di sognare, di giocare e di ridere. In fondo, delle cose che sento di non aver raggiunto, le importerebbe assai poco. Sarebbe felice, però, di scoprire che non ho rinnegato nessuno dei libri che amavo allora, nessuno dei film. Sarebbe tra felice nello scoprire che quelle poche amicizie di allora ci sono ancora, sono cresciute e che la ragazzina sentimentalmente inetta è riuscita addirittura a catturarsi l'anima gemella!

Arrivata ai trentacinque anni, questo guardarsi indietro è quasi un obbligo. Ma non posso che chiedere anche a voi che passate di qui che rapporto avrebbe con voi il ragazzino/la ragazzina che siete stati.


venerdì 10 aprile 2015

Prima che venga il gelo – Parte quinta

Parte Prima
Parte Seconda
Parte Terza
Parte Quarta

Riassunto breve: Ven Sender è un giovane pastore della Ley del Nord. È lui a ritrovare il figlio del Leylord, gravemente ferito. Scopre così e poco lontano da lui si è ordita una congiura. Il governatore della Ley ha ucciso il Leylord e ha tentato di uccidere anche suo figlio, in quanto non adatto al governo. Per il giovane principe, nascosto da Ven nella propria capanna, il governatore non aveva altro scopo che impedire che il sovrano si rendesse conto delle sue ruberie ai danni della popolazione. Ven, diciottenne analfabeta, non ha la possibilità di stabilire dove stia la verità, ma è lui ad avere la possibilità di salvare il giovane erede o di consegnarlo ai soldati del governatore.

Questo racconto è, per me, il prequel di un prequel. Visito in mondo in cui è ambientato da una decina d'anni e i miei primi protagonisti appartenevano alla generazione successiva rispetto a quella di Ven e Amrod. Non l'ho scritto, quindi, con l'intenzione di stupire con i colpi di scena, perché pensavo di farlo leggere solo a persone che già conoscevano quanto sarebbe accaduto dopo. Questo è, ovviamente, un forte limite narrativo. Volevo, però, raccontare Ven, in questo momento di stasi apparente. È un personaggio ignorante, ma non inconsapevole o ingenuo e sa che, qualsiasi cosa accada, il mondo di Amrod non potrà mai essere il suo e non c'è nulla che un sovrano possa dargli che a lui interessi davvero.

  Ven e Puk percorrevano i pascoli nel pomeriggio autunnale. L’erba aveva quella colorazione caratteristica, tra il verde e il grigio, che assume prima che venga il gelo. Le nubi, basse nel cielo di soffusa luce giallo arancio del tramonto, potevano essere un presagio di neve.
  Non c’era davvero molto da fare mentre Puk radunava le pecore, in modo che non sconfinassero. Dal pomeriggio prima non vi aveva badato e alcune si erano allontanate troppo. 
  Dare ordini al cane, ascoltarlo abbaiare, contare i capi via via che li vedeva. Era quello che Ven faceva. Che avrebbe continuato a fare quando loro se ne sarebbero andati.
   Adesso che aveva visto una ragazza cucinare con le braccia nude, una strega che si muoveva sola in un territorio percorso da truppe ostili, come sarebbe tornato a guardare le ragazze del proprio villaggio? Certe cose, certe persone, pensò, piacciono fino a che non si capisce che ce ne possono essere di diverse. Persone diverse. Vite diverse. Orizzonti non fatti solo di pecore e nubi.
  Puk prese ad abbaiare in un tono allarmato.
  Non solo pecore e nubi. Un uomo a cavallo era apparso sulla cima della collina. 
 Ven richiamò il cane. Non poteva fare altro, su quelle colline spoglie, senza alberi, non c’erano molti posti per nascondersi. Quello doveva essere proprio il pensiero del cavaliere, un’altra guardia del leyler. Orami dovevano essere arrivati alla conclusione che qualcuno nascondesse il principe.
  Ven decise di prevenire la domanda.
  – Sono già passati ieri – disse, quando il cavaliere gli si fu avvicinato. Era terribilmente alto. – Non ho visto nessuno.
  – Ne sei sicuro? – chiese la guardia.
 Non era uno dei tre uomini del giorno prima e aveva optato per una tecnica migliore. Non alzò la spada, ma un sacchetto gonfio di monete.
  – Sono tutti delfini d’oro – aggiunse.
  Ven ne soppesò le dimensioni.
  Quanto valevano le vite di persone che aveva conosciuto appena ieri? Tutti i loro pascoli e i loro greggi non valevano quanto quelle monete… Il principe si sarebbe fatto ammazzare comunque, prima o poi. Quanto sarebbe durato in una guerra quel ragazzetto piagnuccoloso? E lui? Sarebbe rimasto con la sua giornata da ricordare, con l’immagine delle braccia di Vilaya e i debiti della propria famiglia da ripagare.
  – Ti sei incantato? Dilemma morale? – azzardò l’uomo.
  – Non ho mai visto un sacchetto di monete tanto grande – replicò Ven, con assoluta sincerità.
  Avrebbero riparato il tetto. Avrebbe comprato a sua sorella quella stoffa rossa che desiderava tanto. Non rossa come la gonna di Vilaya, ma incomparabile con la lana non tinta delle loro pecore. Forse, senza più debiti, avrebbe trovato marito. Forse, sapendo che non erano più a un passo dalla schiavitù, le ragazze avrebbero sorriso di più persino a lui… 
  – Allora? – la guardia stava perdendo la pazienza.
  – Io… Davvero, quel denaro mi cambierebbe la vita… A me e ai miei… Sto cercando di pensare se c’è qualcosa che ricordo che possa valere tanto… Ma la verità è che ho visto solo le mie pecore.
  Idiota. Pensò Ven. Non ti ricapiterà più un’occasione del genere. Mai più. Dovevi prendere il denaro e fuggire.
  La guardia annuì.
  – Adesso sai che le informazioni vengono pagate bene. Ripasseremo. Chi altro abita in zona?
  Indirizzare l’uomo verso l’abitazione più vicina, a due ore da lì, fu semplice. 
  Per tutto il tempo in cui spiegò la strada, lo sguardo di Ven rimase fisso sul sacchetto delle monete. E la voce nella sua testa che gli dava dell’idiota non taceva.
  La guardia gli sorrise.
 – Potrebbe scatenarsi una guerra. Questa potrebbe essere un’opportunità per un ragazzo grande e forte come te. Cercheremo dei soldati. La paga non sarà eccessiva, ma potrai lasciarti alle spalle tutto questo.
  Al contrario degli uomini del giorno prima, questo era un quarantenne dallo sguardo gentile e franco. È questo che stai scatenando, pensò Ven, una guerra in cui morirà un sacco di brava gente.
  – Ci penserò, signore. Grazie – rispose.
  Non poteva dire che stava già combattendo.

Continua e finisce il prossimo fine settimana.

Siamo quasi arrivati in fondo alla storia di Ven (per fortuna, ho quasi finito le mie foto con le pecore...). Potete pensare se, per i successivi fine settimana, preferite fermarvi nel Leynlared o visitare un altro mondo.