giovedì 30 gennaio 2014

TRA LE TRAME DEL LAGO - Ultimi posti disponibili


Ricordo che domenica 9 febbraio inizierà il mini corso di narrazione (più che di scrittura) NELLE TRAME DEL LAGO tenuto da Tenar medesima presso la sede di Ecomuseo Cusius, in via Fara 7/A a Pettenasco (No). 
Il corso si articola in tre incontri:


Domenica 9 febbraio   – 14/18
Domenica 9 marzo  – 14/18Domenica 23 marzo  – 14/18


Costo a partecipante: € 40,00 comprensivo di “tessera amico ecomuseo” (€ 30,00 per amici ecomuseo).



Numero minimo di partecipanti per attivazione corso: 5.

Per info e prenotazioni: tel.0323.89622
ecomuseo@lagodorta.net


Il corso ha anche un numero massimo (12) e quindi, se qualcuno è interessato, è necessario che si iscriva al più presto telefonando o mandando una mail perché mi dicono che i posti si stanno esaurendo.



Che cosa si farà? Si discuterà di storie, sul significato che hanno per noi e sulle storie che ci portiamo dentro. L'obbiettivo primario è trascorrere dei pomeriggi piacevoli e interessanti, mettendoci tutti un po' alla prova (senza ansia alcuna). Inoltre è un'occasione per sostenere Ecomuseo, un'associazione a cui io sono molto legata, ma che da anni si batte per la valorizzazione culturale del territorio offrendo, tra le altre cose, visite guidate gratuite ai musei del Lago d'Orta e laboratori gratuiti per le scuole e che adesso, davvero, ha bisogno di tutto il nostro aiuto!


martedì 28 gennaio 2014

Scrittevolezze - Scegliere il proprio protagonista


Possiamo conoscere tutte le tecniche di scrittura di questo mondo, possiamo essere sapienti alchimisti delle trame, ma guardiamoci negli occhi, siamo scrittori (o aspiranti tali), non ingegneri. Non potremmo scrivere senza un profondo legame emotivo con la nostra opera. E di tutte le scelte emotive che uno scrittore si trova davanti, quella su chi dovrà essere il proprio protagonista è tra le più profonde e tra quelle che più influenzeranno il risultato finale. Cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se la cicatrice a forma di saetta l'avesse avuta Neville e non Harry? Se l'anello del potere fosse capitato a Pipino e non a Frodo? Se fosse stato don Abbondio il protagonista dei Promessi Sposi? Avremmo avuto, semplicemente, un'altra storia.
Non è una scelta semplice. Ce lo dice anche un premio nobel, José Saramago, che nel suo Storia dell'assedio di Lisbona descrive proprio il momento in cui uno scrittore sceglie il suo protagonista:
"Raimundo Silva accetta quindi Mogueime come suo personaggio, ma ritiene che alcuni punti dovranno essere prima chiariti perché non rimangano malintesi che possano finire per pregiudicare, in seguito, quando ormai i legami di quell'inevitabile affetto che unisce l'autore ai propri mondi siano diventati indissolubili, per pregiudicare, dicevamo, la piena assunzione delle cause e degli effetti che dovranno stringere la duplice forza della necessità e della fatalità."

Ci sono alcuni punti di questa frase, a dir la verità un po' contorta e densa come lo sono sempre le frasi di Saramago, mi hanno sempre colpito.

L'INEVITABILE AFFETTO
Non possiamo non amare il nostro protagonista, sembra uno sciocchezza, ma non lo è. 
I nostri personaggi non siamo noi, non sono e non devono essere perfetti, faranno cose terribili. Forse li porteremo a vivere cose terribili. Ma se non li amiamo saranno morti agli occhi di chi legge.
Mi avventuro sempre con difficoltà nel territorio dell'emotività, io che sono così schematica e razionalizzante e che pure ho scelto la via della narrazione, che si dipana sulle paludi dell'inconscio e dell'irrazionale. Quindi con tutta la mia difficoltà di razionalista, affermare che la prima lezione che ho appreso da questo brano è quella dell'amore non è per me cosa da poco. Il protagonista di una storia è un altro da me che prendo in prestito, guardo il mondo con i suoi occhi, penso con i suoi pensieri. Se non lo amo sarà solo una fredda marionetta e non trasparirà alcuna emozione dalla pagina.
Non è così facile amare i propri personaggi. Lo è finché sono altri noi stessi o, peggio, sono i noi stessi che vorremmo essere, privi di difetti (o, peggio, con i superpoteri), ma questo genere di personaggi non funziona. I personaggi che funzionano sono persone vere, deboli e fallibili. Persone a cui urleremmo contro, che schiaffeggeremmo, che possono compiere un'idiozia dopo l'altra. E che tuttavia amiamo.

ALCUNI PUNTI DOVRANNO ESSERE CHIARITI
Questo è banale, ma, come tutte le cose banali, è la più facile a dimenticarsi. Del nostro protagonista non dobbiamo raccontare tutto, ma dobbiamo sapere tutto. Il brano di Saramago continua con l'autore che si domanda chi dica la verità e chi menta nella sua storia. Particolari che magari al lettore non interesseranno mai, che sono essenziali per l'autore. Ai personaggi in generale, ma al protagonista in particolare non è concessa alcuna intimità. Starà ai lettori e ai critici interrogarsi sui silenzi e suoi non detti di quel dato personaggio. L'autore deve sapere e, spesso, tacere. 

LA DUPLICE FORZA DELLA NECESSITÀ E DELLA FATALITÀ
Quanto è in nostro potere il destino dei nostri personaggi e del protagonista in particolare?
Semplificando possiamo dire che l'autore decide tutto sulla fatalità e nulla sulla necessità.
È una fatalità, e quindi una decisione di Manzioni, che don Rodrigo si invaghisse di Lucia. Tuttavia, il contesto storico, il carattere di Lucia e il suo contesto socio-economico rendevano una necessità il fatto che scegliesse di dire addio ai monti e di rifugiarsi a Monza piuttosto che, non so, andare nottetempo a uccidere don Rodrigo. Qui, di nuovo, è una fatalità, quindi una decisione di Manzoni, che Lucia finisca tra le grinfie dell'Innominato e una necessità che passi il suo tempo a pregare piuttosto che tentare di fuggire o di sedurre l'Innominato stesso. 
Una volta che abbiamo definito il carattere del nostro personaggio, la sua collocazione nel tempo e la sua situazione socioeconomica le azioni che possiamo fargli compiere non sono infinite. L'autore crea la condizione (la fatalità), ma come poi il personaggio possa reagire a tale fatalità è una necessità. 
Quindi, secondo me, hanno poco senso discussioni del tipo "uccideresti mai il tuo personaggio?". In date situazioni le possibilità di azione di un personaggio sono davvero poche e la volontà dell'autore conta fino a un certo punto. 
Ricordo quanto piansi da bambina per la morte di Lady Oscar. Presentato ai bambini in orario pomeridiano, fu forse il mio primo impatto con una storia "adulta". Ripensandoci oggi, che possibilità mai avrebbe avuto Oscar? Anche senza la tisi, consideriamo gli elementi narrativi. Oscar è di fatto il capriccio di un nobile, suo padre, che nel proprio delirio di onnipotenza pensa di poter sfuggire a qualsiasi regola e alleva la figlia come fosse un maschio. La donna in questione, però, ha un carattere forte e sa ragionare con la propria testa. Allo scoppio della rivoluzione, non può che schierarsi con i rivoluzionari. Ma quanto sarebbe durata, lei che era diventata così solo in quanto capriccio di suo padre? Lady Oscar è il classico personaggio che nasce già col proprio destino segnato, nessun espediente narrativo sensato avrebbe mai potuto regalarle un lieto fine, con buona pace di generazioni di bambine. Eppure sono convinta che la autrice l'abbia amata alla follia.


È difficile, quindi l'equilibrio che si crea tra autore e protagonista. Siamo noi autori che creiamo i nostri protagonisti, li ceselliamo fin nei più minuti particolari (anche se è meglio non rivelarli tutti), diamo loro concretezza e difetti. Li amiamo, perché sono nostri, anche se non siamo noi, ma non siamo del tutto padroni del loro destino. A volte diamo loro vita solo per raccontarne la morte.
È una responsabilità non da poco. Perché quando saranno su carta o su web saranno vivi agli occhi dei lettori che vivranno le loro emozioni. Del resto, quanta della nostra personalità la dobbiamo alle nostre letture e, in particolare, ai personaggi che abbiamo amato?

domenica 26 gennaio 2014

Navigando sui velieri di Kandisky


Il Freccia Rossa di impegni è all'orizzonte, ma ancora non è giunto. 
Nel mentre mi faccio portar via da quello che per me è un piacere, ma per un aspirante scrittore dovrebbe essere un obbligo. Navigo a vista ai confini dell'ignoto, osservando con curiosità il mondo, lasciandomi incantare dall'inaspettato e l'inconsueto.
E così mi regalo una di sole tanto tersa che anche Milano è bella, in un fulgore di invernale nitidezza. Mattinata a curiosare alla Borsa del Fumetto, dove non trovi mai ciò che vuoi comprare, ma esci sempre con la borsa piena di ciò che non avevi previsto di incontrare. Poi pranzo all'Osaka, il mio ristorante giapponese preferito, assaggiando piatti di cui forse mai conoscerò il nome. E infine alla mostra su Kandisky.
Conosco poco dell'arte del novecento, e forse è questa la condizione migliore per entrare a una mostra. Pronti a lasciarsi stupire, senza alcuna certezza di ciò che vi si può incontrare.


E tutte le foto viste, comprese quelle postate qui, non potevano prepararmi all'esplosione di colore che mi aspettava e all'eleganza estrema delle composizioni.
Che fossero opere giovanili ai confini dell'impressionismo, suggestioni geometriche, o meno catalogabili esperimenti di forme, colori e linee, l'effetto era lo stesso. Un'avvolgente armonia di colori, dove nulla era fuori posto (eccetto che per alcune opere in inchiostro su carta del periodo russo, che per me rimangono scarabocchi per vedere se la penna scriveva, riesumati poi dai critici). Una sinfonia in cui navigare a vista, fidandosi delle profonde concettualizzazioni dell'artista senza alcuna pretesa di volerle capire. L'arte, dopo tutto, è questo, apprezzare la bellezza anche dove il significato più profondo sfugge. Non capisco tutti i sottintesi della pittura di Leonardo, così come non pretendo di capire Kandisky. Ma l'uno e l'altra mi colpiscono con la loro immediata bellezza.
E su queste immaginifiche navi mi lascio portar via, alla ricerca di nuove suggestioni e chissà quale storia da raccontare.

PS: l'opera che mi è piaciuta di più, a quanto pare è piaciuta solo a me, perché pare irreperibile anche in rete. È un acquerello del periodo russo, sempre una variazione sul tema del veliero, quasi un tratto d'unione tra la prima post impressionista e l'ultima che ho postato. Purtroppo il fatto che sia "senza titolo" e datata "circa1917" non mi rende più facile la ricerca...

venerdì 24 gennaio 2014

Letture - Elantris


Mentre nel paese vicino al mio la realtà supera la letteratura (purtroppo) e vengono trovate in freezer distinte signore, mi rifugio nel fantasy

ELANTRIS
B. Sanderson
Elantris è una storia semplice raccontata da un autore complesso.
Da tempo sostengo che quello di Sanderson sia fantasy allo stato dell'arte. Per ambientazione e trame è un passo avanti a tutti. Proprio per questi motivi ero un po' titubante davanti a Elantris, opera giovanile di un autore oggi neppure quarantenne.
In effetti quella di Elantris è la più lineare delle storie fantasy. Il buon principe deve sposare la buona principessa, ma il fato li divide. Dovranno riunirsi, possibilmente salvando il mondo.
Ad avere la penna in mano, però, c'è Sanderson. E allora ecco qui piazzata in una paginetta l'idea centrale: Elantris, la città abitata da uomini divinizzati, bellissimi, immortali e capaci di compiere magie è di colpo e inesplicabilmente caduta. Gli elantriani sono diventati creature miserevoli, cadaveri ambulanti prossimi alla follia e la città stessa si è coperta di una melma nera e putrida.
È tutto nel mistero di questa catastrofe così recente (appena dieci anni prima dei fatti narrati) il fascino della narrazione. Principesse, principi e sacerdoti, tutti si muovono nel dubbio della non conoscenza. C'è chi dice che la città sia stata maledetta da dio, chi che la sua magia sia sempre stata solo menzogna, chi afferma che non c'è spiegazione. Nel territorio un tempo controllato da Elantris si è installata una monarchia traballante, presto presa di mira dall'aggressiva teocrazia di uno stato confinante. In questa cornice la vicenda dei "promessi sposi" esce facilmente dai canoni del già visto e il senso del meraviglioso del lettore ne è costantemente gratificato.
Certo, rispetto alle opere più mature di Sanderson la trama è oggettivamente lineare, tre personaggi portanti, pochi colpi di scena, per quanto ben assestati, nulla che faccia rimanere davvero a bocca aperta (io non mi reputo una lettrice ingenua, ma nella saga dei Mistborn e ne La via dei re un paio di cose mi hanno davvero sbalordita), ma, pur non essendo un capolavoro, Elantris è, per gli amanti del fantasy, un pasto corposo e ben cucinato che si legge con soddisfazione.

mercoledì 22 gennaio 2014

Scrittevolezze - L'Agente Letterario, chi è costui?


Oggi ci stacchiamo un poco dalle abituali questioni tecniche inerenti alla scrittura per dare uno sguardo a una particolare figura editoriale che per molti anni, in retrospettiva probabilmente a torto, ho ignorato.

Chi è e che cosa fa un agente letterario?
Un Agente Lettarario fa da tramite tra un autore e un editore. Presenta le opere di un autore agli editori, si presume con più cognizione di causa e di mercato rispetto all'autore stesso e ne tutela i diritti quando viene stilato in contratto. Vigila sul pagamento dei diritti d'autore, in generale dovrebbe semplificare i rapporti tra autore e editore e favorire i contatti con agenzie/case editrici estere per la diffusione dell'opera in paesi europei.

Quando non serve un agente letterario?
Ci sono autori, anche affermati che aborrono gli agenti, quindi ne si può fare a meno. 
Per come la vedo io, come in ogni campo, chi fa da sé fa per tre, probabilmente guadagna per due, ma si sbatte per quattro. Quindi gli autori che vogliono avere il controllo totale su tutto ciò che fanno, pronti a vigilare come falchi sui propri diritti possono vivere tranquillamente senza un agente. Immagino ad esempio mio padre, uno che non ha paura di citare in giudizio chiunque secondo lui non abbia rispettato un qualsivoglia accordo preso e che quando sa di aver ragione non arretra di un millimetro, non avrebbe alcun bisogno di un agente letterario, se fosse uno scrittore (anzi, entro un numero non infinito di mesi porterebbe in tribunale anche l'agente, vincendo, probabilmente, dato che fino ad ora ha sempre avuto ragione). 
Se ci si trova talmente bene col proprio editore, sicuri che tutte le proprie opere troveranno lì una casa sicura non si ha alcun bisogno di un agente.
Se si scrivono opere di nicchia che possono interessare un numero limitato di editori nessun agente sarà mai interessato a rappresentarvi.
Quando si lavora con la piccola editoria è inutile mettere in campo una terza figura (anche da un punto di vista economico).

A cosa serve, in pratica, un agente letterario?
Ad avere qualcuno dalla tua parte. Non per bontà d'animo, badate bene, ma perché un agente guadagna sui guadagni degli autori. Nessun guadagno per l'autore, nessuno per l'agente. Quindi l'agente, si presume, accetterà di rappresentare solo autori in cui crede e farà di tutto per "piazzarli". Per lo stesso motivo contrattare per un anticipo e vigilare per un puntuale pagamento dei diritti d'autore è tutto interesse dell'agente.
Si presume, inoltre, che un buon agente possa bussare anche a quegli editori che non accettano manoscritti e riesca a ottenere risposte in tempi ragionevoli. Un buon agente deve avere la fiducia delle case editrici che sanno che da lui/lei arrivano opere di buona qualità e con un potenziale commerciale (non parliamo di enti di beneficenza) e che quindi vengono valutate in tempi molto più brevi rispetto a quelle degli "invii spontanei".
Infine un buon agente, in virtù del contatto continuo con gli editori sa meglio di un autore cosa il tale editore cerca in quel momento agendo con più cognizione di causa.
Un agente, sia chiaro, non dà certezze. Può essere che, nonostante la buona volontà di tutti, vada buca e nessuna casa editrice sia interessata a quel romanzo che l'agente con tanta dedizione ha proposto. In questo caso, per lo meno, le spese di spedizione e di tempo sono solo a carico dell'agente.

Come si contatta un Agente Letterario?
Qui vengono le dolenti note, almeno per gli aspiranti scrittori ancora sconosciuti.
La buona notizia è che gli agenti letterari fanno scouting. Vanno a cercarsi gli autori da rappresentare. Certo, si entra nel circolo un po' assurdo del "per pubblicare devi aver già pubblicato". Nel senso che per fare scouting gli agenti devono poter leggere qualcosa dell'aspirante scrittore, non arrivano né ai cassetti né ai file criptati dei computer. Tengono d'occhio concorsi letterari, blog molto visitati, siti di scrittura, piccole case editrici di qualità, riviste cartacee e virtuali. Va da sé che, però, perché si accorgano di un testo, deve già essere accaduto un piccolo miracolo e il testo deve essersi fatto notare.
Se nessun agente vi viene a cercare si può andare a bussare alla loro porta e, qui viene la cattiva notizia, in quasi tutte le agenzie letterarie per essere letti si paga. Il costo della lettura varia, si va dalle decine alle centinaia di euro, e non garantisce nulla. Se il testo convince l'agente si viene rappresentati, in caso contrario, amici come prima (dopo aver pagato). La cosa ha un suo senso, il tempo dell'agente non è gratis, ma mi rendo conto che può essere frustrante. Essere rifiutati da una casa editrice, per quanto importante, è gratis, essere rifiutati da un agente spesso non lo è. Inoltre mi viene riferito che i tempi di lettura non sono brevissimi, paragonabili a quelli delle case editrici.

Tenar e le agenzie letterarie
In modo non così lineare come può sembrare, ho da poco firmato un contratto di rappresentanza. È troppo presto per sapere se la cosa avrà effetti oppure no, ma per il momento posso riassumere il processo mentale che mi ha portato a questa decisione. 
A oggi ho due contratti "attivi" firmati senza intermediari, uno per il romanzo edito e uno per il romanzo che uscirà a ottobre, entrambi con case editrici che stimo e di cui mi fido, che hanno una precisa linea editoriale. Io, come autrice, ho una linea editoriale meno definita, cioè non so cosa potrei scrivere tra tre mesi quindi, avendo anche un lavoro, una famiglia e un'associazione culturale con cui collaboro il tempo per stare dietro a tutto iniziava a scarseggiare, l'agente semplifica la cosa. Spedisco il romanzo a lei e me ne dimentico finché non mi giungono notizie. Per carattere, inoltre, sono un'insicura cronica, quindi avere qualcuno che mi sta dietro e mi sprona a scrivere è già di per sé un enorme aiuto. Infine, il guadagno dell'agente sta tutto nei miei (ipotetici) guadagni. Al momento le entrate economiche sono, nel mio rapporto con la scrittura, del tutto secondarie, non è così con le uscite, quindi il sapere che se va male non ci perdo nulla mi rassicura molto.
L'agente non l'ho cercata, l'ho incontrata. Questo è un punto da non sottovalutare. Per il discorso di cui sopra sulle uscite, non so se l'avrei cercata. Forse non ho mai creduto abbastanza in me per spendere per una valutazione. Qui, però, si entra molto nel personale e non mi sento di fare commenti netti.

Qualche link
I link che seguono servono solo a farsi un'idea di cosa sia un'agenzia letteraria, non hanno valore di consiglio. Ce ne sono molte altre, queste sono solo le prime tre che mi sono venute in mente, in ordine rigorosamente alfabetico.



lunedì 20 gennaio 2014

Iniziativa Tesori Sommersi


Il mio fine settimana di libertà mi ha dato molto più di quanto osassi sperare, dato che sono stata coinvolta in attività insolite e impreviste che senza alcuna premeditazione hanno bussato alla mia porta. Sabato mi sono trovata ad assistere a delle lezioni di arti marziali, attività che io non praticherò mai (correre è la migliore disciplina di difesa personale), ma che sono sempre belle da vedere. Adesso, poi, saprei anche descrivere la tecnica per deviare un pugno, dovesse mai servirvi. Domenica concerto pomeridiano pro Sardegna. Tre ore e mezza di musica a prezzo veramente modico (15€) che poi, chissà perché, il concerto è cosa che mi concedo una volta ogni due o tre anni.

Adesso bisogna rientrare nei ranghi. Non prima, però di avervi cercato di coinvolgere in una bella iniziativa di Kultural: TESORI SOMMERSI

Copio-incollo dalla mail giuntami dalla redazione:

«Spesso passiamo accanto a edifici storici ridotti a ruderi e non gli diamo importanza, neanche ce ne accorgiamo, perché vi siamo nati in mezzo. Abbiamo migliaia di monumenti rurali, religiosi, civili, dipinti ed affreschi la cui sorte è legata alla nostra cura: è inammissibile consegnarli all'oblio del tempo, al flagello degli agenti atmosferici, o peggio ancora ridurli a discariche, a luoghi saccheggiati o spianati per far posto a strutture volgari, destinate a un rapido abbandono.
Grazie all'incuria si è creato il degrado ambientale, architettonico e culturale che oggi ci opprime, e mortifica il tessuto sociale di quartieri, paesi, e perfino intere vallate. Per combattere una deriva che ha assunto proporzioni spaventose abbiamo pensato di promuovere, nel nostro piccolo, un'iniziativa, intitolata Tesori Sommersi. Non sarà riservata ai soli professionisti, tutt'altro: chiunque conosca un'opera d'arte, un luogo dimenticato eppure meritevole, potrà scriverne un pezzo e inviarlo alla webzine.
Non ci sono limiti di lunghezza né vincoli di sorta. La redazione si riserva soltanto di operare un minimo editing sugli elaborati prima di pubblicarli.
Il migliore fra quelli pervenuti sarà premiato con un assegno di 500 euro.
Chiunque intenda partecipare all'iniziativa può inviare i propri lavori (massimo tre) sino al giorno 30 Marzo. Il criterio di valutazione terrà conto, in ugual misura, dei seguenti fattori:
1) La quantità di letture del pezzo relativa ai primi tre giorni dalla pubblicazione, onde evitare che lo stesso ne accumuli svariate migliaia durante le settimane (inutile cliccarci sopra venti volte al giorno: se provenienti dallo stesso computer, ne verrà registrata una sola);
2) Il giudizio della giuria della webzine»

Non vi resta che mettervi al lavoro. Il link lo trovate sopra o qui a fianco sotto "collaborazioni"

sabato 18 gennaio 2014

Visioni - America Hustle


Due provetti truffatori, un uomo e una donna, vengono smascherati dall'FBI. A loro viene data una scelta: la galera oppure una truffa in più grande stile, con tanto di arrivo di uno sceicco fittizio con lo scopo di incastrare un giro di tangenti che parte da un giovane sindaco rampante fin troppo pieno di iniziative e pronto, "per il bene della gente" a trattare con tutti (non vi ricorda Renzi?), anche con la mafia. Va da sé che i due truffatori intendono evitare la galera, ma anche le ritorsioni della mafia e magari guadagnarci anche un po' su. A complicare il piano, c'è la relazione difficile tra i due re della truffa, lei innamorata di lui, ma disposta a fare un pensiero anche sull'agente FBI, lui innamorato di lei, ma sposato con una donna che ha un'unica spiccata dote: riesce a manipolarlo.
Ne esce una commedia brillante e piacevole, che vorrebbe forse essere più intelligente e profonda di quello che è. Di fatto non lascia il segno, ma si fa guardare col sorriso.
Lasciano un po' perplessi i personaggi che alla fine sono un po' tutti troppo buoni (il sindaco ben intenzionato, il mafioso capace di chiudere un occhio, la truffatrice compassionevole, il capo dell'FBI paziente) per essere davvero credibili. In questo senso l'intera pellicola dà l'impressione di un potenziale  sprecato. Con qualche ombra in più, con un tocco di malinconia, un approfondimento maggiore, insomma, con una regia più orientata ad analizzare e meno a limitarsi a raccontare ne sarebbe uscito un gran film.
Così com'è è solo piacevole. Cosa comunque tutt'altro che da disprezzare.

7 +

giovedì 16 gennaio 2014

Calma apparente


Da qualche tempo la mia vita funziona così. Periodi in cui succede di tutto, in cui anche quello per dormire sembra tempo rubato, alternati a brevi istanti di calma apparente la cui durata è talmente imprevedibile che non si riesce né a farci affidamento né a goderseli.

Queste prime due settimane lavorative del 2014 sono state così. Da un momento all'altro potrebbe iniziare il mitico corso abilitante che attendo da due anni al quale se non altro sono ufficialmente iscritta, per cui ogni sguardo a più di due giorni di distanza è precluso.
L'apocrifo sherlockiano è in fase avanzata di editing e finché non saranno pronte le bozze posso lasciarlo a mani altrui e più esperte.
A fine anno, come da me incautamente promesso a metà ottobre, quando non mi ero resa del tutto conto cosa avrebbe significato scrivere cinque capitoli a settimana, ho spedito il nuovo romanzo, "una storia piena di struzzi". Questa volta ho deciso di lavorare con un'agente letteraria, decisione di cui riparlerò più avanti, quando magari anch'io me ne sarò fatta un'idea più chiara. Per intanto vuol dire che non mi devo preoccupare di spedirlo agli editori.
Quindi sono in quella fase un po' spaesata, orfana dei personaggi che mi hanno ossessionata, con l'abitudine radicata a dedicare 3/4 ore della mia giornata (serata) alla scrittura e non avere più nulla da scrivere. Razionalmente so che è il momento di non avere nessuna idea, perché tutte quelle che avevo sono state buttate su carta e quelle che stanno nuotando nell'inconscio sono ancora girini sprovvisti di polmoni, non in grado di affrontare il mondo sulla terra ferma della carta. In pratica c'è qualcosa che mi manca, come la sensazione di girare su me stessa un po' spaesata, tra l'ansia per gli scritti che non sono più sotto il mio controllo, la voglia di non fare nulla di impegnativo nel mio (poco) tempo libero e la fretta di recuperare tutte le attività trascurate.
E poi la certezza che se appena mi rilasserò abbastanza per godermi, ad esempio, questa serata deliziosamente libera di impegni/cose non fatte, ecco che tutto tornerà a succedere e un freccia rossa di impegni mi investirà in pieno petto.

martedì 14 gennaio 2014

Visioni - Sherlock stagione 3


Vista, non senza qualche difficoltà tecnica, anche la terza puntata, non mi resta che tentare una prima recensione a caldo, cercando di evitare qualsiasi anticipazione che non sia un riferimento ai racconti di Doyle.

Fin dall'inizio Sherlock è stata un'enorme opera di riscrittura e reinterpretazione di un classico, come forse non si era mai tentato prima. Pur rendendosi fruibile anche a un pubblico del tutto digiuno del materiale originario, non è mai stato tentato di "strizzare l'occhio" agli appassionati, ma di reinventare insieme a loro Sherlock Holmes. Tra autori e pubblico si è quindi creato sin dal primo episodio un fitto gioco fatto di aspettative, punti fissi e rimandi per cui lo spettatore attento sapeva sempre cosa avrebbe trovato negli episodi (e guai a non trovarlo) ma non come.
Attesa per due anni, quindi, si sapeva che questa terza stagione avrebbe dovuto contenere: un ritorno con travestimento, un libraio, un matrimonio con una donna dalla pericolosa eredità, un cattivo manipolatore con una segretaria/cameriera con cui Sherlock si sarebbe fidanzato, una casa vuota, un manichino a fare da esca, un tizio con la cerbottana, un cattivo di nome Moran, un saluto sentito e una partenza. Alla sceneggiatura l'arduo compito di cucire insieme tutto questo senza mancare neppure una appuntamento e allo stesso tempo stupire tanto lo spettatore occasionale che il più meticoloso dei fan.
Per quel che mi riguarda la scommessa è riuscita. Siamo ormai spettatori preparati, osserviamo e guardiamo insieme e sappiamo che sceneggiatura e regia mentono, ma le inquadrature dicono sempre la verità. Così, anche se i colpi di scena non sono riusciti a farmi cadere la mascella, il primo pensiero a serie conclusa è stato "la devo riguardare" e quindi possiamo stare qui a trovare dei difetti fino a domani mattina, ma la verità è che mi ha tenuto incollata allo schermo.
Ovviamente questo lavoro di sceneggiatura può essere sostenuto solo da da regia e interpretazioni all'altezza, in grado di far passare inosservati o quasi anche gli azzardi narrativi più estremi. Se della bravura dei due protagonisti si è già detto fin troppo, la rivelazione della serie, non poteva essere altrimenti, è stata Mary. Una Mary tratteggiata con abilità e messa in scena da un'attrice in grado di far passare quasi con naturalezza dei passaggi improbabilissimi di cui però quasi nessuno si è accorto a prima visione (adesso rileggere i commenti fatti a caldo al primo episodio è uno spasso).

Al centro, come è stato detto, non c'è una detective story, ma la storia di un detective e di chi gli sta attorno. Nei due anni in cui si è Sherlock si è finto morto tutto è cambiato e tutto è rimasto uguale. Lui è sempre un sociopatico ad alta funzionalità e John è sempre un medico militare in deficit d'adrenalina che aspira a una normalità a cui non però non riesce ad adattarsi. Il primo, però, ha definitivamente scelto in cima a un palazzo quali sono i suoi punti fermi e per difenderli è disposto a fare qualsiasi cosa (persino un discorso a un matrimonio), mentre è John quello che deve compiere delle scelte. Questa serie, a ben vedere, è molto più la storia di Watson che di Holmes. È il medico militare che deve decidere se accettare il ritorno dell'amico, che deve dare una direzione alla propria vita, ma anche guardarsi allo specchio e riconoscersi per quello che è (per arrivare, forse, a un nuovo rapporto, più paritario, dove ci si stringe la mano e ci si guarda negli occhi con meno non detti?).

Il tutto viene narrato nell'ormai abituale scansione in tre episodi mistery/commedia - episodio di passaggio - thriller/drammatico. Forse l'equilibrio tra le varie parti, tra commedia, malinconia e tensione è meno bilanciato che nelle serie precedenti. Sherlock che si sforza in ogni modo di comportarsi da persona comune senza sapere come si faccia è intrinsecamente comico e forse si è un po' ecceduto da questo lato, come anche in un generale autocompiacimento/autocelebrazione. Di fatto però basta un cambiamento in uno sguardo perché la tensione salga di nuovo e pensando ai tre episodi come a un unico caso i conti iniziano a tornare.

Questo non vuol dire che i peli nell'uovo non ci siano. Mi è mancata la parte gialla nel secondo episodio, non appagata dalla caccia agli indizi per il finale. La gestione delle linee temporali non sempre mi è sembrata avere uno scopo preciso. Gli attentati al parlamento di Londra si progettano con troppa facilità e sono tutti uguali. Lestrade che non si è praticamente visto. Bruttine e scontate mi sono sembrate le sequenze oniriche/di pre morte e in generale mi è mancato qualcosa nella risoluzione della terza puntata, come a voler a tutti i costi lasciar aperti degli interrogativi che di fatto non ci sono.
Se in rete però c'è già un forte partito dei nostalgici che urla "Sherlock non è più quello di prima" io non sono d'accordo. In parte perché una serie che non sperimenta e non tenta nuovi toni e nuovi equilibri difficilmente sopravvive e in parte perché un sacco di cose mi sono piaciute moltissimo (più nel primo e nel terzo episodio che nel secondo, ma sono gusti). E, se le esaminiamo con la lente d'ingrandimento, neppure le serie precedenti sono perfette (vogliamo parlare di gente che rimane per ore in mezzo a una piazza imbottita di tritolo e nessuno se ne accorge? Nonostante telefoni pure a una polizia che non è in grado di triangolare un cellulare?) Per me rimane il fatto che il gioco continua, i racconti originali non mi sembrano affatto traditi nei modi o nei toni (ce ne sono molti che virano alla commedia) e che sono rimasta incollata allo schermo, non soddisfatta al 101%, ma sicuramente appagata nelle mie aspettative.
Avrei anzi già una lista dei desideri per cosa inserire nella stagione 4...
E un ultimo, sconfortante pensiero: ma in Italia questa terza stagione, con uno Sherlock molto canonico anche nelle sue debolezze, andrà mai in prima serata?

domenica 12 gennaio 2014

Scrittevolezze - Come ti dissuado l'aspirante scrittore


Ultimamente in molti blog stanno apparendo dei post volti a dissuadere gli aspiranti scrittori. Si raccontano un un bel po' di cose vere. Cioè che il mondo dell'editoria inventa modi sempre diversi per spremere soldi agli scrittori, sotto forma di contributi per la pubblicazione, per l'editing, per la promozione, per la pensione della nonna. E se anche se si pubblica con un editore vero spesso non si vendono più di 200-300 copie. Infine, anche se i pubblica con un big dell'editoria, il libro rimane pochissimo sugli scaffali delle librerie e che l'eventuale successo ha molto più a che fare con la fortuna che con il valore letterario.
Tutto ciò è verissimo. Ora, sulla scia di questi allegri post, come potevo esimermi dallo scrivere anch'io un pezzo davvero deprimente?
Senza neppure affrontare il capitolo pubblicazioni ecco alcuni motivi per cui non si dovrebbe neppure iniziare a scrivere.

Scrivere porta via tempo
Un sacco. Bisogna farsi venire le idee, dare a loro una forma narrativamente appetibile e poi scrivere, riscrivere, correggere. Scrivere significa rinunciare a un pezzo della propria vita reale.
Sicuri che ne valga la pena?

Scrivere è solo apparentemente facile
Sicuri di ricordare la grammatica? Come ve la cavate con la punteggiatura?
Non c'è nulla di più imbarazzante, da adulti, che incontrare qualcuno che vi fa notare che alla riga tale del vostro racconto c'è un errore ingiustificabile già per un bimbo di terza elementare.
State poi sicuri che della trama e dell'approfondimento dei personaggi non si ricorda nulla. Ma l'errore, quello ce l'ha ben stampato in mente.

Per scrivere bisogna studiare
Un sacco. Non importa di cosa scrivere. Può anche essere l'epopea di un popolo immaginario che abita solo il vostro divano, ci sarà sicuramente almeno un particolare che dovrete controllare. Quindi preparatevi a snervanti sessioni di studio su internet, in biblioteca e in libreria. Ore, giorni, settimane alla disperata ricerca del particolare che non torna. Di cui poi non si accorgerà nessuno. Se è corretto. Se invece andate per approssimazione, sbaglierete e il vostro unico lettore sarà il massimo esperto mondiale di quel dato argomento. Che lo farà sapere a tutti.

Scrivere vuol dire sottoporsi al giudizio altrui
Andavate in ansia a dodici anni davanti alla terribile professoressa sadica? Adesso siete adulti, ma non preoccupatevi, gli editor sono più sadici di qualsiasi prof. Tornerete esattamente a quel momento, col sudore freddo e le gambe che tremano ogni volta che chiederete un parere su un vostro scritto a chicchessia. Generalmente si raccomanda di non fidarsi del giudizio di mamme e innamorati/e, ma, vi assicuro, al momento giusto avrete il terrore anche di vostra madre.

Scrivere vuol dire andare alla ricerca del proprio lato oscuro
Le storie liete di momenti felici occupano solo poche righe. Tutto il resto è sofferenza. Quindi dovrete pensare a storie tristi e sofferte con personaggi tristi e sofferti (o magari sadici e crudeli, fate un po' voi). Per creare di personaggi credibili dovrete scavare nella loro psiche e per farlo non avrete altro materiale che la vostra stessa anima.
Buon viaggio nei meandri oscuri del vostro animo. Attenti a non perdervi.

Non sarete mai all'altezza dei vostri modelli
Non importa quanto buono vi sembri l'ultimo racconto scritto. Aprirete prima o poi un libro del vostro autore preferito solo per misurare la distanza che vi separa da lui. A quel punto il suicidio vi sembrerà un'opzione ragionevole.

Per scrivere bisogna leggere anche libri brutti
Volete scrivere un determinato genere? Per un determinato pubblico? Allora dovete conoscere cosa esiste già. Tutto. Le cose belle, bellissime, ma anche le cose brutte e detestabili. E portare a termine un pessimo libro di successo per dovere di documentazione è una sofferenza.

Tutto è già stato scritto
E chi siete voi per pensare di rifarlo meglio?

Tutti vi faranno notare quanto è improbabile diventare uno scrittore di successo
E la cosa peggiore è che avranno ragione.
Però quasi nessuno mette in dubbio il diritto ad praticare un qualsiasi hobby o sport, mentre ci sarà sicuramente qualcuno, collega, parente, amico, buon samaritano, non importa che sentirà il dovere morale di aprirvi gli occhi sul fatto che state buttando via il vostro tempo. E la cosa peggiore è che potrebbe aver ragione.

I sogni di fama e ricchezza sono destinati a naufragare
Per questo punto fatevi un giro sui vari forum/blog di scrittura e leggete un po' quel che si dice. E poi, davvero, se siete inclini alla depressione fatevi sorvegliare.

Ora non pensate che io abbia avuto una giornata particolarmente no. Anche se ho visto un lampadario cadere quasi in testa alla mia cuginetta appena battezzata e la cosa mi ha tolto qualche anno di vita (evviva l'angelo custode appena assunto e subito messo al lavoro! Nessuno si è fatto male e quindi ci si può ridere su...), questo non è affatto un periodo nero, sopratutto dal punto di vista della scrittura.
Le indicazioni che ho scritto vanno prese con giusto mix di realismo e autoironia. 
Certo è che se dopo aver letto tutto questo ancora pensate, come me, che inventare e scrivere storie sia una cosa bellissima, allora sappiate che nel vostro carattere c'è una buona dose di masochismo (l'importante è esserne consapevoli)

venerdì 10 gennaio 2014

Visioni - Gone baby gone


Come tanti altri, ho apprezzato Argo, pur senza trovarlo un capolavoro. Ieri sera, per caso, mi sono imbattuta in Gone baby gone, il primo film da regista di Ben Affleck. È stato uno di quei casi in cui la forza del cinema si è manifestata in forma pura. Ero distratta, facevo altro al computer e sono stata risucchiata dentro a una storia oscura, sgradevole, ma che non mi lasciava scampo.

Faccio un'enorme complimento alla pellicola dicendo che ho sentito un'eco di Mystic River, uno dei film migliori del mio regista preferito.
In una periferia lontana da ogni bellezza, la zia di una bimba scomparsa si rivolge per ritrovarla a un investigatore privato alle prime armi. Il giovane affianca quindi la polizia, pieno di buona volontà, ma senza alcuna esperienza e tutto sembra finire in tragedia. Ferito nell'animo della vicenda, l'investigatore non può restare a guardare quando un altro bambino scompare. Solo a quel punto, però, si rende conto che qualcosa nel caso precedente non torna e forse, davvero, niente è ciò che sembra e fare ciò che è giusto è semplicemente impossibile.

La regia di stampo classico americano, che io amo, dà il meglio di sé quando si mette al completo servizio di una storia che non si ferma alla superficie delle cose, ma scava nel profondo dell'ambiguità degli animi. L'apparente freddezza della messa in scena è tutta a favore della profondità dei conflitti, cesellati nei chiaroscuri e raccontati tanto dai silenzi quanto dai dialoghi. Ben Affleck dimostra di voler diventare un degno erede di questa tradizione.
Se Argo è impeccabile fino a diventare troppo perfettino, questa prima pellicola risulta meno perfetta, ma colpisce allo stomaco quando deve.
La regia, come si diceva, è al servizio della forza della sceneggiatura, ma riesce a delineare atmosfere e personaggi con poche inquadrature dalla piena forza evocativa. 
Tutto lo squallore della periferia di Boston viene raccontata in un rapidissimo inizio e tre inquadrature della cava dove dovrebbe avvenire lo scambio con la bambina rendono appieno la bellezza inquietante del luogo.
Gli attori si muovono con quella credibilità che solo una mano sicura dietro la macchina da presa può garantire.
Un film da recuperare, anche se, va detto, non è proprio adatto a una serata leggera.
E Ben Affleck sembra avere le carte in regola per diventare uno dei miei registi preferiti.

mercoledì 8 gennaio 2014

Nelle Trame del Lago - Corso di scrittura




Ogni tanto mi chiedono di parlare in pubblico di scrittura. 
La cosa mi sembra ancora un po' strana, ma, dal momento che ho dedicato due anni della mia vita alle Tecniche di Narrazione c'è da sperare che un po' di teoria di base la conosca. E poi parlare e ragionare di scrittura e di didattica di scrittura è una delle cose che mi da più piacere al mondo.
Se poi l'invito mi viene da Ecomuseo del Lago d'Orta e del Mottarone, la magica associazione che ha sede a Pettenasco, sul lago d'Orta, dove quasi tutte le mie storie sono nate, non posso certo tirarmi indietro!

È venuta così l'idea di dedicare alla scrittura tre domeniche, tre pomeriggi di full-immersion per navigare tra le diverse tecniche narrative, con particolare attenzione all'ambientazione. L'obiettivo: provare a scrivere insieme delle storie partendo dai luoghi che ci circondano, per imparare a fare dell'ambientazione non un mero sfondo sopra cui far muovere la vicenda, ma un vero e proprio protagonista.

Tre incontri:
Domenica 9 febbraio dalle 14.00 alle 18.00
Domenica 9 marzo dalle 14.00 alle 18.00
Domenica 23 marzo dalle 14.00 alle 18.00

Gli incontri si terranno presso la sede di Ecomuseo a Pettenasco, in via Fara 7/A
Costo: 40 €, 30€ per i possessori della tessera Amici dell'Ecomuseo.
Iscrizione obbligatoria

Per iscrizioni e informazioni:
Per informazioni e iscrizioni: Ecomuseo del Lago d`Orta e Mottarone. Via Fara 7/A - 28028 Pettenasco (NO) - Tel. 0323.89622; fax 0323.888621; ecomuseo@lagodorta.net; - http://www.lagodorta.net
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lunedì 6 gennaio 2014

Scrittevolezze - Nell'occhio di chi guarda, gioie e dolori della narrazione in prima persona

Mentre l'epifania, purtroppo, le feste porta via, torno a ragionare sulla scrittura.

Nell'occhio di chi guarda, gioie e dolori della narrazione in prima persona.
Castelvecchi sta riproponendo alcuni romanzi storici degli anni '40 e '50, leggendo Le ultime gocce di vino e Il principe delle volpi, più o meno coevi, non può non saltare all'occhio come il romanzo scritto in prima persona, Le ultime gocce di vino, sia invecchiato meglio. Tanto scorrevole, immediato e affascinante mi è sembrato il primo, tanto prolisso, pesante e stereotipato ho trovato il secondo. La differenza non l'ha fatta certo solo la voce narrante, ma è ovvio che la narrazione in prima persona risulta più immediata.
Quando si legge una narrazione in prima persona si entra direttamente nella storia, le emozioni scorrono senza barriere dal personaggio al lettore. Se è vero che la bellezza sta nell'occhio di chi guarda, il lettore individua subito ciò che il personaggio trova bello o brutto, lo guarda con i suoi occhi e molte barriere vengono abbattute sul nascere.
Non a caso la prima persona funziona benissimo nelle narrazioni storiche, dove bisogna portare il lettore in un mondo altro, distante per mentalità e convenzioni sociali dalla realtà contemporanea. Memorie di Adriano, Io Claudio e Il nome della rosa sono i primi tre romanzi storici scritti in prima persona che mi vengono in mente. In tutti e tre i casi la scelta del narratore aiuta il lettore a entrare con naturalezza nella vicenda e si tratta di tre romanzi che invecchiano benissimo, come il buon vino sembrano anzi migliorare col tempo.

Ho notate anche che gli scrittori alle prime armi prediligono la narrazione in prima persona, ma i risultati non sono affatto garantiti. La scrittura in prima persona è più immediata per chi legge, non per chi scrive
Per chi scrive, lo dico per esperienza diretta, la gestione della prima persona nelle storie lunghe è un incubo.

Chi scrive, quando e perché?
Queste sono le prime domande che l'autore si deve rivolgere. Perché mai un personaggio dovrebbe scrivere una storia in prima persona? Qual è il suo scopo? Sicuramente ne avrà uno. Che sia il desiderio di mettere su carta eventi straordinari di cui è stato testimone o offrire una diversa versione di fatti già noti, lo scopo del narratore modificherà la narrazione.
Altro fattore importante è il quando il personaggio scrive. In quasi tutte le narrazioni in prima persona ci sono di fatto due narratori. Quello che scrive e ragiona sui fatti e il suo io più giovane che li vive momento per momento. L'alternanza di questi due "io" non è affatto di facile gestione e il giusto equilibrio tra retrospettiva e immediatezza determina spesso il fascino dell'opera.

Quanto chi scrive comprende degli eventi che racconta?
Eco, nelle Postille a Il nome della rosa dice che si è divertito a far raccontare la sua storia da Adso, che non ha una piena comprensione degli eventi (neanche in retrospettiva) e che questo ha rassicurato  quei lettori che durante la lettura non riuscivano a seguire tutto. Da un certo punto di vista ho trovato quella di Eco una scelta affascinante e difficilissima da gestire. 
Il finale de Le ultime gocce di vino è una stilettata al cuore perché il protagonista ha smosso mari e monti per mettere al sicuro Socrate ed è così fiero della ricostruita democrazia ateniese, che, il lettore lo sa, da lì a poco metterà Socrate a morte.
Questo gioco di consapevolezza è difficilissimo da gestire, ma è essenziale per la buona riuscita di una narrazione in prima persona.

E quello che il narratore non vede?
Questo, se non altro, è un problema che tutti gli scrittori si pongono, ma che nondimeno non è di facile soluzione.
Se scrivo in prima persona mi vincolo allo sguardo del protagonista, che non è ubiquo. Mi nego trame complesse, con complicati intrighi che si svolgono in contemporanea in più stati (alla Trono di Spade per intendersi). La narrazione in prima persona obbliga alla linearità. Funziona, appunto, in narrazioni storiche in cui si segue la vita di un personaggio o in gialli in cui seguiamo lo svolgersi lineare di un'indagine. Anche in questi casi, inevitabilmente, qualcosa accadrà lontano dagli occhi del narratore. E allora sono dolori. Gli espedienti sono vari, ma nessuno è perfetto. Lo spiegone funziona solo se ad agire fuori scena c'è Sherlock Holmes, uno che a fare gli spiegoni ci trova gusto. Si possono trovare lettere, pagine di diario, ma se la cosa non ha una gestione perfetta come ne La mano sinistra delle tenebre, in cui la relazione di uno dei personaggi si interseca al diario personale di un altro, risulta artificiosa. Oppure alcuni eventi rimangono non narrati. Ma bisogna essere bravi, bravissimi, a gestire i vuoti.

Ma il narratore può morire?
Altro problema solo in apparenza banale. L'io narrante può morire? Se muore, come può raccontare? Se sappiamo già che non muore, la cosa non toglie pathos alla narrazione?

Lo stile è quello del personaggio, non dell'autore 
O, almeno, è una mediazione plausibile. Quando scrivo in prima persona cambio il mio stile, facendo un lavoro di immedesimazione simile a quello degli attori, per "calarmi nel personaggio". Già questa è un'operazione di difficoltà enorme. Se trovare la giusta voce per una narrazione è difficile, trovare la giusta voce di un personaggio che non siamo noi, che magari ci è distante nello spazio, nel tempo e nei gusti personali è davvero un'impresa. Può essere divertentissimo, ma non sarà mai facile.

Decidendo di raccontare una storia lunga in prima persona, l'autore abdica, almeno in parte all'onnipotenza dello scrittore, andando a chiudersi in una serie di vincoli che bisogna saper gestire. Ci si mette, più che con altri generi di narrazione, completamente al servizio della storia e del personaggio, facendosi un poco da parte. Se il gioco funziona, il risultato sarà una narrazione di rara immediatezza, in grado di trasportare completamente il narratore nell'altrove che abbiamo creato per lui.

I tre romanzi in prima persona che più ho amato

Apri le pagine e sei là, sei un imperatore romano morente, intriso di cultura e malinconia. Per me questo libro è la prosa più elegante di sempre. Per tutti è di una potenza evocativa enorme. Il mio libro di storia romana dell'università perdeva un sacco di tempo a giustificarsi quando doveva dissentire con quanto esposto in Memorie di Adriano, come se all'autore dispiacesse constatare che le nuove ricerche storiche smentivano (in pochi punti) la fantasia di una narratrice dei primi anni '50. Potenza (anche) della prima persona.

Libro oggettivamente meno importante degli altri due, ma che ho davvero amato.
Le memorie di Merlino. Un Merlino sorprendentemente giovane, sballottato tra visioni che non comprende appieno, con fede cieca servizio di un Destino che non si palesa mai fino in fondo e che lo porta a compiere azioni di cui porterà per sempre il rimorso.
Un libro che ha plasmato fin nel profondo il mio immaginario, tanto che non sono riuscita a leggere con gusto null'altro che fosse ispirato alle leggende arturiane.

È il mio libro preferito di sempre. Potenza della prima persona. La relazione dell'inviato umano sul pianeta Gheten diventa il diario di un nobile del posto. Chi è l'alieno? Quale punto di vista è quello giusto?

Il romanzo che più gioca con la prima persona

Uno dei romanzi più strani e tecnicamente più estremi che io abbia mai letto. Ventitrè voci narranti che si alternano, segnalate solo da strani simboli. Pagine che scorrono al contrario. Neppure una parola per spiegare l'ambientazione o la situazione (che giustamente i personaggi già conoscono).
Un libro che funziona, nonostante tutto, anche se mi ha suscitato più ammirazione tecnica che amore. Da leggere comunque, per capire le vere potenzialità della narrazione in prima persona.

sabato 4 gennaio 2014

Letture e visioni Sherlockiane

Inizio anno caratterizzato da due fughe, una fisica a Firenze e una altrettanto gradita nell'universo sherlockiano che per me è rimarrà sempre luogo di vacanza.
Ecco quindi il mio resoconto.

Strane avventure di Sherlock Holmes in Giappone Dale Furutani
Marcos y Marcos che pubblica un apocrifo? Wow!
Piuttosto improbabile la tempistica delle avventure (ma quanto saranno duranti questi tre anni?), ma l'insieme della caratterizzazione regge. Un Holmes forse un po' troppo legato alle tradizioni inglesi (difficile pensare che non riesca a imparare il giapponese), ma funzionano i personaggi originali, il ritmo e l'atmosfera. Ciò su cui l'autore cade è la parte gialla, il libro è composto da una serie di mini racconti e con l'eccezione di uno, molto carino, in tutti gli altri casi sono arrivata alla soluzione prima di Holmes, cosa imperdonabile.
Un peccato, perché tutto il resto è davvero godibile.


Sherlock Holmes e l'elemento sorpresa J. A. Taylor
Delos continua a proporre a cadenza regolare apocrifi sherlockiani di comprovata aderenza al Canone. Devo dire che dei tre usciti sin ora questo è quello che mi ha convinto di più. Nonostante sia più un racconto lungo che un romanzo funziona tutto, il ritmo, le caratterizzazioni e l'ambientazione. Personalmente non avevo apprezzato la deriva soprannaturale del precedente volume della collana e quindi che la soluzione del giallo venga data grazie alla chimica è per me un bonus aggiuntivo.
Completa il volume un racconto tutto italiano altrettanto godibile con caccia a un improbabile demone cinese e un Holmes che non manca di dolcezza.
Il tutto si legge nello spazio di un viaggio in treno.

Visioni - Sherlock 3x01 (La carrozza vuota(?))
Dopo due anni di attesa Sherlock Holmes, nella sua visione moderna, è tornato.
Difficile dare un giudizio oggettivo su un evento così a lungo atteso.
Due delle mie preghiere sono state subito esaudite. La prima è che con l'abituale abilità gli sceneggiatori hanno saputo ancora una volta virare con naturalezza dal dramma alla commedia e sin dalle prime scene si sorride molto, senza peraltro che la carica emotiva del precedente episodio sia vanificata. La seconda è che Mary funziona. La poveretta negli apocrifi è spesso bistrattata, ma ne Il segno dei quattro è un personaggio niente male, che strappa a Holmes un apprezzamento tutt'altro che scontato. In questo episodio non ha tantissime scene, ma risulta un personaggio brioso, niente affatto antipatica, che non si fa lasciare indietro da Sherlock (speriamo solo che non debba uscire presto di scena). Del resto il valore aggiunto di questa serie è sempre stato il cast che ancora una volta funziona alla grande e la caratterizzazione dei personaggi è impeccabile. Il tempo è passato per tutti e ognuno ha avuto una sua evoluzione, compreso Sherlock, segno che passare due o tre anni a meditare in Tibet fa bene a chiunque. La parte migliore dell'episodio sono, infatti, i confronti tra i due fratelli Holmes in cui Sherlock prova a suggerire a Mycroft una maggiore umanità.
Qualche perplessità la solleva invece la parte gialla. Se è chiaro che il vero mistero è come abbia fatto Sherlock a sopravvivere (con tutte le divertentissime versioni alternative piene di baci) e non tanto quello dell'attentato terroristico, poco più di una mera scusa per riportare Sherlock a Londra, va detto però che questa è la parte più debole vista in sette episodi, con improbabile scena finale salvata solo dalla bravura degli attori.
Tanti punti interrogativi invece rimangono legati alla scena del falò. Così sui due piedi mi sembra un'idiozia bella e buona da parte del nuovo nemico, utile solo a testare la determinazione di Sherlock e a farlo rappacificare con John, ma io sono anche quella che alla fine della prima stagione aveva detto che questo nuovo Moriarty non era per nulla spaventoso... 
Insomma, alla fine, su tutto prevale la gioia per il fatto che il gioco sia ricominciato con tutti i giocatori in perfetta forma in posizione.
Un ultimo miracolo, per favore  non provo neanche a chiedere un'edizione italiana in tempi umani di questa terza serie (in Italia sono Elementary, eh?), ma non si potrebbe avere almeno un'edizione dvd decente delle prime due stagioni? Non è che chieda tanto. I sottotitoli, un doppiaggio decente, l'episodio pilota e qualche contenuto speciale... Per favore...