mercoledì 27 aprile 2016

Prospettive rinascimentali – impressioni dai Saggi di Montaigne


Sono un po' sotto stress, di questi tempi.
Col concorso che incombe alle porte e altre faccende a cui stare dietro ho l'impressione di tralasciare tutta una serie di cose che prima o poi verranno a bussare alla mia porta con il manganello in mano. Amici che non sento da mesi, incombenze burocratiche un po' meno impellenti accantonate, documenti scolastici che qualcuno si è dimenticato di sollecitarmi e tutto il mondo che riguarda la scrittura. Il blog stesso è un bel po' trascurato e si vede.
Alla sera sono troppo stanca per leggere romanzi. Come intuibile dalle mie ultime recensioni, mi butto sui fumetti, che sono "scritti grandi" (ma non per questo non intellettualmente stimolanti, vedasi Kobane Calling). Quindi non sto leggendo, né il romanzo del caro amico, che pure promette tanto bene, né quello dell'amica blogger che promette altrettanto bene e neppure i due della mia autrice preferita trovati nell'angolo occasioni di una libreria qualche tempo fa. Non vogliatemene, sono tutti lì che aspettano.
Curiosamente, in questo panorama di deprivazione narrativa, mi è venuta voglia di rinascimento. 
Da tempo provavo simpatia per Michel de Montaigne (per altro molto citato anche dai teorici dell'istruzione che sto studiando di questi tempi) e complice un'offerta di amazon ho preso una selezione dei suoi Saggi (era gratuita, mentre quella integrale, 1200 pagine e fischia costava un botto, ma penso che rimedierò).
Non pensavo di mettermi davvero a leggere Montaigne adesso. Insomma, una persona sana di mente, stressata e sotto esami non si mette a leggere per diletto filosofia di fine cinquecento. Pensavo che era semplicemente qualcosa da avere sotto mano. Invece Montaigne va giù che è un piacere.
Considerando il mio stato psicofisico è inutile che mi metta a dissertare su chissà quali grandi verità filosofiche e vi lascio a qualche considerazione sparsa che vale quel che vale.

A – Il classico spaventa più del necessario. Magari si scopre una lettura piacevole e leggera. Nel caso specifico io me ne sto fregando del tutto dell'aspetto filosofico di ciò che sto leggendo (per altro le note potrei averle scritte io, per quel che mi aiutano su questo punto). Quello che mi piace di Montaigne è il gusto per l'aneddoto curioso, il pacato ragionare sul mondo, il tono da chiacchierata. Non c'è neppure la fatica di dover seguire una trama. È una delle letture più rilassanti che mi siano capitate in mano.

B – Il latino insegna a scrivere.
Sicuramente avere una buona traduzione in italiano moderno aiuta, ma la prosa è di rara scorrevolezza. Ha una precisione sintattica e un equilibrio nella costruzione della frase che fanno sì che si legga che è un piacere. È infinitamente più facile da seguire di un medio articolo di giornale. Ho il forte sospetto che questo sia dovuto al fatto che il buon Michel pensasse in latino e scrivesse in francese. Pare infatti che i genitori gli abbiano affibbiato un tutore, quand'era bambino, che lo obbligava a usare solo il latino che è pertanto la sua lingua madre. Si può dire quel che si vuole sull'utilità del latino, ma è indubbio che insegni a organizzare una frase più di altre lingue. 
In ogni caso è evidente anche a una classicista in disarmo come me che quest'opera è stata pensata in latino e che è più chiara di molta prosa contemporanea.
Magari sarebbe il caso di ricordarsene, la prossima volta che viene proposto di abolire il liceo classico.

B.2 – La cultura classica insegna a pensare.
Le inutili note non fanno che evidenziare come questo o quel pensiero siano stati espressi da Montagne per la prima volta in epoca moderna e poi ripresi da Tizio o da Caio. Per quanto io abbia il massimo rispetto per il buon Michel, il 99% di tali pensieri sono applicazioni alla sua vita e al suo tempo di pensieri dell'età classica. Mica lo nasconde, spesso cita un brano antico, lo commenta e ci ragiona da uomo del suo tempo. L'importanza di indagare il proprio animo, lo sguardo sul mondo laico e privo di pregiudizi, il mettere il relazione un comportamento con la cultura e il grado di istruzione di chi l'ha compiuto sono tutte idee che il buon Michel trova in ciò che legge. Ci ragiona, contestualizza l'opera nel momento in cui è stata scritta e poi ci ragione alla luce della propria esperienza. A volte, in effetti, se ne esce con considerazioni di rara acutezza.
Anche di questo mi ricorderei la prossima volta che viene proposto di abolire il liceo classico.

C – Se fossi un'adolescente che riempie la Smemoranda di frasi a effetto avrei fatto caccia grossa. Oggi cercherebbero di arruolarlo in pubblicità. Mi piace pensare che lo farebbero invano.

D – Comunque sia per ragionare bene bisogna avere la pancia piena, una discreta salute e una buona cultura. Forse dell'ultimo aspetto si può fare a meno, ma i primi due sono indispensabili.

E – Ogni tanto fa bene guardare indietro.
Il buon Michel inizia a scrivere dicendo che ormai ha 38 anni, si è ritirato dalla vita pubblica e non gli resta che prepararsi a morire. Dopo tutto, aggiunge più avanti, la maggior parte delle persone che ha conosciuto è morta prima dei 35 anni, riuscendo anche a combinare qualcosa nella vita.
Ora, forse c'è un po' di maniera in queste frasi, ma non dubito che Montaigne dicesse l'esatta verità. Nella seconda metà del '500 la vita media era poco sopra i trent'anni e, superati i 35, ogni raffreddore e ogni taglietto poteva essere l'ultimo.
Proprio ieri via fb qualcuno ha cercato di convincermi che la chemioterapia sia inutile e un giorno sì e uno no si sente dire che i vaccini sono inutili. Ecco, magari sarebbe utile, ogni tanto, andare a vedere come si viveva senza tutte queste cose, scegliendo magari una fonte non di parte. E ricordarci così che chi arrivava a 38 anni era un miracolato.

F – Per essere un tizio del '500 che, sì, ogni tanto viaggiava, ma per lo più stava o nel suo castello o a Bordeaux è straordinariamente consapevole di che sta accadendo nel suo mondo (per altro attraversato da ogni sorta di novità, dato che siamo in anni di scoperte geografiche e guerre di religione). Questo mi dà da pensare sull'importanza dei moderni mezzi di comunicazione.

Confido che queste osservazioni saranno di più e meglio organizzate a fine lettura, per intanto mi sembrava interessante condividerle.
C'è anche nella vostra esperienza qualche opera che si è rivelata molto più piacevole e scorrevole del previsto?

lunedì 25 aprile 2016

Letture – Kobane calling


Si può dire che un fumetto è la cosa più interessante (non più bella o più importante) uscita in Italia negli ultimi tempi?
Sarà il caso che si possa dire.
Piccolo riepilogo per i non fumettofagi.
Zerocalcare è un autore romano che si fa conoscere con il web e una serie di albi a fumetti in cui si pone come la voce di una certa parte della mia generazione (quelli diciamo sui trent'anni), giocando con i riferimenti (più o meno) culturali comuni, raccontando la disillusione nei confronti del sistema Italia, ma anche una non sopita voglia di impegnarsi e ragionare. 
Vende tanto, tantissimo, una quantità così imbarazzante di volumi che alla fine tutti devono occuparsi di lui, anche perché con Dimentica il mio nome è finalista al premio Strega. 
Da qui tutto un gran parlare di cosa sia e cosa voglia fare Zerocalcare, chiacchiere che a lui creano evidentemente un certo fastidio (raccontato ne L'elenco telefonico degli accolli). La domanda "chi è e cosa vuol fare Zerocalcare ora che tutti parlano di lui?", però, deve essere stata pressante in primis proprio per Zerocalcare.
Kobane calling è la risposta.

Prima di entrare nel merito credo sia il caso di fare una precisazione, perché solo da questo si può iniziare a ragionare su questa sorta di meteorite alieno caduto nell'editoria nazionale. Kobane calling non era una risposta scontata.
Zerocalcare non ha mai nascosto le sue idee e i suoi interessi, ma avrebbe continuato a vendere come caramelle anche con le sue storie di adolescenza allungata nella periferia romana. Invece si inventa fumettista d'indagine e va a Kobane per vedere che succede e raccontarlo col suo stile.
Ci va una prima volta, da cui nasce un primo reportarge per Internazionale (Con il cuore a Kobane), che rimane una sorta di ponte tra le storie di periferia romana e questo Kobane calling, che racchiude il primo reportage e, soprattuto, la cronaca di un secondo viaggio, fatto molto più in stile giornalista militante.
Nel primo reportage avevamo le impressioni di un ragazzo di Roma che va ai confini dell'Isis (sembrerebbe più o meno per caso) e ci racconta cosa vede. Nel secondo abbiamo un ragazzo che va per capire il movimento curdo, si sposta secondo un preciso  itinerario per capire e intervistarne i capi tra Turchia, Iraq e quel che resta della Siria.
Questo da parte di un ragazzo che avrebbe comunque continuato a vendere migliaia di copie raccontando di come sua madre non sa fare andare un computer. 
Quindi, per come la vedo io, onore al merito, a prescindere.

Il risultato finale è una cosa ben strana. Così strana che ancora non ho capito se questa stranezza è un limite o un valore aggiunto. Mi verrebbe da dire un valore aggiunto, ma ancora non ci metterei la mano sul fuoco.
Kobane calling  è un insieme di tante cose:
– diario personale di viaggio, con tutta una parte di angosce, momenti comici o surreali, sguardi e riflessioni personali.
– un'opera di giornalismo militante come non se ne vedevano da parecchio, scritta da qualcuno che ha una chiara idea politica e del mondo, lo dichiara, è vicino a una parte e si prende anche la responsabilità di raccontare in punti di vista di chi è ancora considerato terrorista (perché comunque il PKK continua a non essere un gruppo scout)
– una parte che il parte cozza con la precedente, vorrebbe aprirsi a un pubblico più vasto, capire e cercare di far capire una porzione di mondo raccontata male, ma con la consapevolezza di avere solo fonti curde, e che pertanto potrebbero essere capziose.
La cosa particolare è che queste due istante, quella del giornalista di parte e quella del desiderio di uno sguardo più oggettivo, danno tutta l'impressione di essere due anime dello stesso autore che ancora non ha scelto o non ha capito del tutto cosa vuole essere.
Quello che ne risulta è, appunto, qualcosa di nuovo anche nel panorama del fumetto d'inchiesta, nell'editoria italiana è una sorta di meteorite alieno.
Mi viene da dire che se c'è una cosa da leggere in Italia, oggi, è questo Kobane calling.
Un'opera per una volta di un artista in fieri, che non ha paura di fotografarsi a metà di un percorso, che si è messo in gioco andando a vedere di persona una realtà, il conflitto tra curdi e Isis, di cui tutti parlano, ma che pochi approfondiscono. Durante questo viaggio, è evidente, Zerocalcare stesso è cambiato profondamente e i pensieri, le emozioni e i dubbi di un ragazzo italiano di colpo a contatto con la guerra vera e di gente che davvero va a morire per una causa in cui crede sono forse la cosa migliore dell'opera.
Da tempo non mi capitava di leggere qualcosa che ponesse davvero una sfida al lettore.
Kobane calling non è e non vuole essere un'opere neutra. La finisci e ti poni delle domande (se non altro perché in ultima pagina scopri che comunque stai finanziando il movimento curdo e, almeno a me, un po' d'ansia l'ha messa, perché, appunto, non sono proprio gli scout), hai voglia di approfondire, di informati. Senti la necessità non tanto di prendere la stessa posizione di Zerocalcare, ma comunque di prendere posizione. E questa cosa di smuovere le coscienze è, nell'Italia di oggi, indispensabile.

E poi, però, mi rimane un dubbio. Kobane calling pare stia vendendo un sacco. Il che è bene. Mi chiedo però se questa sia un'opera per il grande pubblico. Da una parte è bella l'idea che moltissima gente sia chiamata a ragionare sulla nostra attualità, rispondendo comunque all'imperativo che pone il libro: informati! D'altra parte l'idea che ci siano case in cui questo volume stia tra L'intestino felice e l'ultimo libro di Vespa mi crea un senso profondo di malessere.
Kobane calling va di moda. Nonostante tutti i tentativi fatti da Zerocalcare per ribadire il suo non allineamento e il suo non essere una moda, va di moda.
Quindi magari ve lo regaleranno, anche se non vi importa niente di fumetti.
Nel caso, leggetelo.

venerdì 22 aprile 2016

La giornate del drago – draghi nella musica leggera italiana

Il 23 aprile è la giornata del drago!
Quest'anno che sono murata in casa per via del concorso nel paese vicino fanno anche una bella iniziativa a tema
Sul blog, da qualche anno è l'occasione per dare uno sguardo a come vivono i draghi in vari contesti.
Nel 2015 ho elencato i migliori draghi cinematografici
Nel 2014 i migliori draghi nel fantasy contemporaneo
Così quest'anno mi sono chiesta se ci sono draghi nella musica italiana e in particolare in quella che più frequento io, cantautori e similia.

La domanda non è illegittima. 
Al contrario di quello che forse si percepisce una certa corrente musicale italiana ha un piede nel medioevo e in particolare nella mistica medioevale e nella poesia non stilnovistica. Tanto per citare le cose più famose, De Andrè inserisce Jacopone da Todi un po' ovunque e ha musicato la "ballata degli impiccati" del poeta medioevale francese Villon. Eppure non mi risulta che ci siano draghi nelle sue canzoni (?). A voler fare proprio i colti direi che nella musica leggera italiana, non solo De André, si è infiltrata della poesia mistica di scuola francescana, legata alla ricerca del trascendente nell'osservazione della natura, quindi piuttosto lontana dai poemi cortesi in stile "tavola rotonda", dove invece i draghi abbondano.
Ammetto di esserne stata piuttosto delusa da questa mancanza di draghi, proprio perché contavo su l legame medioevo/cantautorato. C'è tuttavia una canzone, dove i draghi non sono mai nominati, ma la cui voce narrante potrebbe persino appartenere a un drago. 
Provate un po' ad ascoltarla
Il denaro dei nani – Branduardi
Certo, Branduardi dice che i nani stessi sono un po' il simbolo dell'avidità, come i peggiori banchieri dei tempi nostri. Però io fatico a non immaginarmi un drago che ascolta i nani e pregusta di papparsi loro e il loro tesoro. Come altro interpretare, del resto "il denaro dei nani in fumo finirà"?

Al di là di questa vena (mai sopita) di medioevo in agguato, si sa che i cantautori italiani hanno per lo più cantato il loro presente. Gente di periferia e senza soldi che "drago" può fare solo di soprannome.
La ballata del Cerutti – Gaber
Il suo nome era Cerutti Gino, ma lo chiamavan Drago...
Non so cosa ne pensino i draghi veri di questo povero Cerutti Gino, finito anche in prigione, ma in questa rassegna non poteva proprio mancare.

Eppure, a ben vedere, c'è tutto un filone nelle canzoni italiane in cui il drago (non sempre chiamato così) non manca, anzi è proprio il protagonista.
La musica italiana a un certo punto è diventata un modo per cantare la diversità e il non allineamento. E allora il drago, il mostro, quello che viene sconfitto e ucciso dal san Giorgio di turno (espressione senza dubbio del potere costituito), diventa qualcosa da cantare, da rivalutare. Non da salvare, purtroppo. Il drago, in quanto diverso e spaventoso, è condannato dal sistema. Si può solo raccontare la sua fine ed empatizzare con lui, ma, purtroppo, non salvarlo.
A ben vedere non sono poche le canzoni di questo genere. Ne ho scelte tre, le mie preferite.
Il mostro – Bersani
Una delle più famose di queste canzoni.
Non si sa se questo mostro "ultimo esemplare di mostro a sei zampe" sia un drago, ma io l'ho sempre immaginato così.
È una canzone di una tristezza infinita, che difficilmente riesco ad ascoltare fino alla fine, mi viene il magone e mi salgono le lacrime agli occhi. Fa proprio venir voglia di urlare:
IO STO CON IL DRAGO!
Povero drago – Bussoletti
Canzone scelta per i 40 anni di Amnesty internetional. Il drago questa volta è prigioniero, prigioniero in quattro mura, non può più né volare né sputare fuoco.
No, povero drago, non ti lascio!
L'ultimo drago
Di questa canzone non so praticamente niente. L'ho scoperta giusto ieri, nel preparare questo post e me ne sono subito innamorata. Per quel che ne so, potrebbe essere la progenitrice delle altre due. Di certo è struggente. L'immagine dell'ultimo drago che sceglie di morire perché ormai è l'ultimo della sua specie ormai non mi lascerà più. 
Difficile non versare una lacrima per l'ultimo drago.
Se qualcuno ha notizie precise su questa canzone sarò felice di saperne di più!

Questo è il frutto di una mia breve e veloce ricerca sulla figura del drago nella canzone italiana.
Qualcuno ha qualcos'altro da segnalarmi? 

martedì 19 aprile 2016

Regole infrante a regola d'arte – Scrittevolezze

È un po' che non parlo di scrittura. Forse perché un po' che non mi dedico alla scrittura o, meglio alla narrativa. Scrivere scrivo un sacco, ma solo cose di rara noia, relazioni sulla mia esistenza (se mai avessi avuto dubbi, ora so perché non scriverò mai la mia autobiografia) o prove di tracce per lo scritto del concorso a cattedra. Anche perché, considerando che il programma in sé è impossibile da padroneggiare (tutta la pedagogia dell'universo mondo, tutta la legislazione scolastica, buona parte della psicologia dell'età evolutiva, tutta la letteratura italiana, tutta la storia dell'universo mondo e tutta la sua geografia), se posso cavarmela è con la scrittura.
Devono essersene accorti anche gli altri, perché negli ultimi giorni si stanno moltiplicando dei manualetti di scrittura ad uso dei docenti allo scopo di ottimizzare i propri testi in vista del concorso. Ad averci pensato prima, potevo gettarmi nel business. Sia come sia, questo sovrappiù di regole inizia a darmi l'orticaria. Ho una gran voglia di tornarne alla narrativa.
Dove tutte le regole sono frangibili a patto di sapere cosa si fa, come lo si fa e con quali scopi.
Ci sono delle regole in narrativa, ma nascono per indirizzare un'opera alla massima fruibilità. Seguendole sei sicuro che chi legge capirà cos'hai scritto. Ma se entri in campo artistico, allora puoi sostanzialmente fare quello che vuoi. Ovvio è che più regoli infrangi e più attenzione chiedi al lettore sarà bene, quindi, che ne valga la pena. 
Oggi mi sento particolarmente anarchica, per cui ho deciso di fare un'elenco di opere che presentano regole infrante a regola d'arte. Dove l'andare oltre la norma è valore aggiunto. Come mio solito, giganti della letteratura e mero intrattenimento si alternano senza imbarazzi.

SINTASSI, PUNTEGGIATURA E DIALOGHI
José Saramago – opera omnia
La prosa di Saramago ha la consistenza del plutonio. Apri un libro e trovi pagine fitte fitte fitte, senza mai un a capo. Lui scrive così, saltando dentro e fuori dal dialogo, e quindi dentro e fuori dalla prima alla terza persona.
Non si può leggere Saramago alla sera, quando si è stanchi. Ma nella giusta condizione d'animo, può essere delizioso. Tra le sue opere, il mio romanzo preferito è Le intermittenze della morte e non saprei immaginarlo in una prosa differente.





UN LETTORE DEVE AVERE DEI PUNTI DI RIFERIMENTO PER CAPIRE CHI PARLA, DI COSA SI STA PARLANDO E DOVE SI È
Alain Damasio – L'orda del vento
È probabilmente una delle cose più sperimentali che abbia mai letto. Le pagine scorrono letteramente al contrario, dalla seicento e rotti verso la prima, con numerazione inversa. All'inizio tutto è spiazzante. Non si capisce chi parli, cosa racconti e dove sia ambientato il romanzo. Dei simboli identificano le voci narranti e pian piano qualcosa si riesce ad intuire di un mondo percepito per pezzi e bocconi dallo sguardo di chi lo sta vivendo. Ma anche questo è vero fino a un certo punto. L'unica narrativa importante di questo romanzo potrebbe essere la punteggiatura...
Un'opera davvero sperimentale, che prende tutte le norme di buona scrittura e le getta nel cestino. Rimane l'impressione di un virtuosismo un po' fine a se stesso, ma anche un fascino davvero difficile da eguagliare. 

NO A CAMBI REPENTINI DI PUNTI DI VISTA
In questa categoria ho tutta una serie di romanzi che delle regole sul punto di vista se ne fregano altamente. In generale ho l'impressione che prima degli anni '70 se ne fregassero assai di più di quello che oggi è un dogma. Forse sono io che adesso ci faccio più caso, perché una delle prime regole che ti vengono insegnate, di quelle che non si possono infrangere per nessun motivo. Giusto qualche mese fa, però, raccontavo di quanto mi fosse piaciuto il romanzo L'esorcista di W. P. Blatty, pur saltellando allegramente da un punto di vista all'altro anche nello stesso paragrafo. In una pagina ne ho contati addirittura cinque. Eppure il libro funziona alla grande. Ho adorato Venere Privata di Scerbanenco, eppure anche lì, nelle pagine iniziali, il punto di vista un po' saltella, terza persona focalizzata su Duca Lamberti che tre righe dopo diventa onnisciente, che poi torna a focalizzarsi, magari su altri personaggi. Però funziona, funziona alla grande.

NO A CAMBI REPENTINI DI TEMPO VERBALE, PASSAGGI DALLA PRIMA ALLA TERZA PERSONA
Lucarelli – Almost Blue
Lucarelli imbroglia un sacco in questo romanzo. Passa allegramente dalla prima alla terza persona e dal passato remoto al presente. Imbroglia consapevolmente, facendo credere al lettore che un punto di vista appartenga a un personaggio, quando appartiene a un altro.
Imbroglia un po' troppo, a mio avviso, e nasconde sotto il tappeto dello stile qualche sbavatura. Però funziona, sfido chiunque a dire che non funzioni, mannaggia a lui.





NON NARRARE, MOSTRA!
J.R.R Tolkien – Il Silmarillion
Il Silmarillion è un'eccezione narrativa da qualsiasi parte lo si prenda. Non nasce per essere un romanzo, ma come lo sviluppo negli appunti del professor Tolkien sulla storia del suo mondo fantastico, la Terra di Mezzo. Pubblicato postumo è una sorta di storia alternativa di un popolo alternativo (?) che copre svariate migliaia di anni. Ricorda, per certi aspetti (perdonate il paragone) quasi la bibbia o le cronache medievali. Parrebbe solo un susseguirsi di riassunti di eventi. Eppure è un libro amatissimo, conosco più di una persona che lo considera il proprio libro preferito. In effetti ha un fascino suo proprio, una forza evocativa che ha a che fare con l'epos e con il mito e non con la narrativa moderna. Sprazzi di narrazione che si aprono all'improvviso, svelano frammenti di un mondo mai esistito, eppure tangibilissimo. Non è il mio libro preferito e ho faticato in alcuni punti, eppure ci sono episodi che hanno plasmato il mio immaginario assai più di tanti romanzi narrativamente più coesi.

NO INFODUMP!
E. Salgari – Opera omnia
L'infodump in italiano U. Eco lo chiama "salgarismo". Ci sarà un motivo. Infatti i romanzi di Salgari sono infodump con inserti narrativi. I nostri eroi, persi nella giungla, stanno morendo di fame. Ecco lo spiegone sulle piante commestibili e su come costruire una trappola per catturare un maiale selvatico. I nostri eroi non hanno tempo per costruire una trappola, ma non importa, intanto Salgari lo ha spiegato al lettore. Non si fa, lo so. Eppure sono convinta che togliere i salgarismi ai romanzi di Salgari sarebbe togliere loro qualcosa. Non so quante volte ho letto il mio preferito, Capitan Tempesta, quasi sempre ho saltato il capitolo sulla storia dell'assedio di Famagosta, del tutto inutile ai fini della vicenda. Però non lo toglierei per nulla al mondo. Così come mi tengo le spiegazioni sulle armi, sui modi di dire, sulle navi e sui cavalli. Certo, non si può pensare di inserire dei salgarismi oggi in un romanzo se neppure ci si chiama Salgari.

NO PERSONAGGI PIATTI! 
Dante – Divina Commedia
C'è un personaggio più piatto del Dante della Divina Commedia? Per tre cantiche ha paura, sviene, ogni tanto piange, si fa pascolare prima da Virgilio e poi da Beatrice. Tutto intorno a lui selve di personaggi mastodontici, dilaniati, cesellati nella loro psicologia da farci dubitare che davvero quest'opera risalga a così tanto tempo fa. Dante, invece, è un disastro. Qualsiasi editor moderno farebbe riscrivere da capo a piedi questo protagonista. Eppure è perfetto così, pavido e piagnone, in balia delle sue guida. Vero "cronista dell'aldilà", sparisce, quasi, a confronto con i suoi immensi intervistati, a cui non ruba mai la scena. I commenti, se mai, li fa il Dante autore, mai il Dante personaggio, che osserva e annota, anonimo e spaventato, ciò che nessun altro occhio vivente ha mai visto.

RISPETTARE SEMPRE LA STRUTTURA IN TRE ATTI
Omero – Iliade
Non venitemi a dire che non conta perché allora la struttura in tre atti non la si conosceva. La struttura in tre atti c'è nella fiabe e nei miti più antichi. E se davvero Omero è esistito, la conosceva, perché l'Odissea la rispetta (giocandoci per altro in modo sopraffino). Infatti è assai più facile riassumere l'Odissea. Chi si ricorda a che punto dell'Iliade va inserito il catalogo delle navi? E non vi sentite persi alla fine? E come si può dire che Achille ne sia il protagonista, dato che appare poco e i passi migliori ce li hanno sempre gli altri?
L'Iliade non rispetta la struttura in tre atti. La rispetta assai meno della media dei poemi coevi, al punto che gli stessi antichi si sono domandati se fosse completa, se fosse davvero questa la forma originaria. Ancora oggi su questo gli studiosi si scannano. Un fatto però è certo. L'Odissea è più moderna e più fruibile. Ma l'Iliade ha più fascino.

IL CONSIGLIO DEL NIK:
CHE SI CAPISCA ALMENO SE È UN ROMANZO O CHE ALTRO!
R. Zelazny – Creature della luce e delle tenebre
Non ho letto questo romanzo, ma da che leggo in rete e da che dice mio marito, si contende con L'orda del vento il premio "più regole narrative infrante". Da quello che leggo alterna parti in prosa con altre in versi, incapsulando racconti del tutto autonomi. Il punti di vista saltellano come ballerini di tip tap e la parola viene data per lo più a redivive divinità egizie. A quanto pare chi l'ha avuto tra le mani si divide tra chi non l'ha finito e chi lo ritiene un capolavoro.




Le regole, in narrativa, sono fatte per essere infrante, ma a regola d'arte
Questi sono alcuni libri che a mio parere l'hanno fatto. Adesso a voi la parola, quali libri hanno infranto le regole a regola d'arte?

sabato 16 aprile 2016

Il finale che avrei voluto – classici!

Ho voglia di leggerezza, ricordate?
Quindi oggi vi propongo un gioco.
Ci sono sicuramente dei finali di romanzi, racconti o film che non vi hanno soddisfatto o che avreste sognato diversi.
Quindi oggi ci divertiamo a inventarne di nuovi, secondo il nostro umore, raddrizzando la sorte agli sfortunati o condannando a morte certa quei personaggi che non abbiamo mai sopportato.

IL FINALE CHE AVREI VOLUTO

I promessi sposi
Lo dico sempre che con questa pietra miliare ho un rapporto controverso. Quindi, ecco il finale che avrei voluto o che, almeno, mi avrebbe intrigato di più.
Lucia, prigioniera dell'Innominato, lo fa innamorare di sé. Non è lei che converte lui, ma lui che seduce lei, la trasforma in una vera dark lady, degna compagna di un signore oscuro e insieme progettano una sanguinosa vendetta ai danni di don Rodrigo. Lucia in questo modo non andrà certo in paradiso, ma almeno qualche soddisfazione se la toglie.
Renzo, consapevole di non poter competere con l'Innominato, rinuncia a Lucia. I suoi guai in giro per il nord Italia gli fanno acquisire un minimo di coscienza civile e sociale, si convince che l'Italia non fa per lui e parte con fra Cristoforo per le Americhe. Il buon frate andrà a fare il missionario, Renzo magari allarga un po' i suoi orizzonti.

Uomini e topi
Come dicevo nello scorso post, George trova Lennie dopo l'uccisione della moglie del padrone. Prende l'amico, scappa e insieme aprono un allevamento, magari (ok, non è un finale animalista, ma almeno salvo Lennie) di visoni da pelliccia. Così se anche Lennie ne uccide qualcuno mentre lo accarezza non è un gran danno.

Notre dame de Paris
Il Cielo solo sa quanto ho odiato il finale di questo romanzo.
Frollo ammette a sè stesso una buona volta che fare il prete non è proprio la sua vocazione. In fondo è una brava persona, ha allevato Quasimodo e si è innamorato di Esmeralda, deve solo ammetterlo a se stesso. Si toglie la tonaca nera e lo sguardo arcigno, si dichiara a Esmeralda, recupera la capretta e il campanaro zoppo e fugge con loro verso le corti dell'Italia rinascimentale, lasciando Parigi e il suo perdurante medioevo. Non so se qui, poi, le cose andranno così bene per lui (Esmeralda è e rimane una testolina vuota dalla prima all'ultima riga), ma lui almeno respira un'aria culturalmente un po' più stimolante, Quasimodo fa furore come giullare di corte ed Esmeralda diventa musa dei pittori dell'epoca.

Il deserto dei tartari
Lo so che si perde il metaforone e tutto quanto, ma, per carità, qualcuno convinca Drogo a disertare! Finirà male, ne sono certa, con un bel plotone d'esecuzione. Intanto, però, abbiamo avuto la fuga nel deserto, i tartari visti da vicino, l'inseguimento, la cattura e il processo. Credo che anche Drogo ammetta che ne sia valsa la pena.

Ecco alcuni dei finali che avrei voluto.
Quali sono i vostri?

giovedì 14 aprile 2016

Lontana dalla scrittura...



Buonasera, sono Tenar e già da tre settimane non scrivo nulla.
A volte me ne viene la tentazione, ma di solito a quel punto sono le undici di sera e la mia giornata ancora non è finita.
Mi sono rassegnata, fino alla data dello scritto del concorso non scriverò nulla e ancora fino alla fine di maggio dubito di avere tempo anche solo per una riga. Mi fa impressione. Persino l'anno scorso, col PAS, qualche racconto sono riuscita a metterlo giù e nel periodo di fuoco ancora precedente ho scritto Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico.
Non è tanto una questione di tempo, o, meglio non solo, quanto di energie mentali e di focalizzazioni. Non riesco a focalizzarmi sulla scrittura.
Ho due racconti in mente, uno è già scritto per metà, si tratterebbe in pratica solo di buttare giù il resto. L'altro è in fase di pre produzione avanzata. È un giallo contemporaneo, ho le idee chiare sui personaggi, sul nucleo centrale della vicenda e sui principali snodi di trama. Solo che nel primo caso c'è una ragazza morta a coltellate e nel secondo si parla di pedofilia. Sopratutto nel secondo caso, in realtà ho voglia di confrontarmi con la tematica. Ho letto degli articoli interessanti a riguardo e vorrei coagulare i miei pensieri in forma narrativa. Ma tra una lite con un burocrate e un pomeriggio a studiare legislazione scolastica, con intermezzo di problemi didattici e adolescenti problematici non ce la faccio a rilassarmi con le coltellate o a trattare di pedofilia.
Ho voglia di leggerezza. 
Alla sera spesso mi spiaggio direttamente nel letto e in un nano secondo già dormo. Ma ho il vago desiderio di una lettura leggera prima di toccare le lenzuola. Per il gruppo di lettura dovrei rileggere Uomini e topi e non ho voglia di piangere come una fontana sul finale, come ogni volta mi succede. Per una volta vorrei che i protagonisti se ne andassero insieme, ad aprire un allevamento di topi ballerini.
Se avessi tempo per scrivere, per una volta, non vorrei scrivere di morti.
Vorrei una storia brillante, con personaggi buffi, con una svolta tenera e un lieto fine. Ho cercato di iniziarne una, di scriverla almeno virtualmente, ma non sono approdata a nulla.
Mi manca il talento per il genere di cose che vorrei scrivere, una storia alla Sepulveda stile Gabbianella e il gatto, magari con un dodo, imbranato e inetto al volo, che si trova a covare un uovo di drago. Ma poi finisce che il draghetto nasce, si pappa papà dodo per cena, causando l'estinzione dell'intera specie.
Non so a cosa sia dovuto esattamente questo mio desiderio e questa contemporanea incapacità di tenerezza e leggerezza. Sono indaffarata e stanca, ma non triste o depressa. La primavera è splendida, per il momento non starnutisco neppure. È un periodo incasinato, ma privo di drammi. Oltre tutto i vari impegni si stanno incastrando in modo che sì, non ho un momento di respiro, ma sto riuscendo a fare tutto. Sarà che a scuola siamo in piena spiegazione della Seconda Guerra Mondiale, con tutto il suo contorno di sacrosante letture di testimonianze di sopravvissuti. Sarà che anche il materiale per il concorso non è che brilli per allegria. Sarà.
Vorrei che per una volta i miei personaggi smettessero di incaponirsi sui delitti da risolvere e andassero a bersi una birra tutti insieme. Sherlock Holmes con padre Marco e Alisea del romanzo che forse un giorno finirò. Mi piacerebbe vederli ballare insieme, Holmes e Alisea, lui alto alto e lei piccolina e poi spiarli uscire dal locale mentre parlano di gatti e di violini e non di ossa, io rimarrei con un Watson a cui per una volta non muore né il fratello né la moglie.
A voi capitano mai periodi così, in cui vorreste scrivere, ma non lo fate, anche perché vorreste altre storie rispetto a quelle che la vostra attitudine vi ha dato in sorte?

PS: e poi non è che queste giornate non mi riservino belle sorprese, anzi. Sono sicura che le ricorderò con affetto e con un sorriso. Ieri, ad esempio, tra una noia burocratica e l'altra, per scappare da un improvviso temporale, mi sono buttata in una libreria. Ho trovato nella sezione usati due vecchissime edizioni (del 1994!) di romanzi della mia amata Le Guin che non possedevo. E, tra i libri consigliati...

martedì 12 aprile 2016

La mia libreria si autogestisce...

Il bello/brutto di avere fb è che tutto il mondo sa quando compi gli anni e anche quanti ne compi... Quindi non si sfugge. Oggi invecchio. Come regali ho avuto le seguenti cose: colloqui con i genitori fino a ieri sera alle 19,30, oggi corso d'aggiornamento (gradevole, gradevolissimi i colleghi, ma non il mio ideale di festa in ogni caso), la data ufficiale delle scritto per il concorso per docenti (2 maggio), un nuovo libro da studiare per il concorso... In questo quadro è stata davvero carinissima Delos Digital a pubblicare oggi Sherlock Holmes e la vittima del dottore. Quindi coraggio, non vi resta che scaricarlo nel vostro store preferito, ad esempio qui.

Oggi però, visto che in fin dei conti è il mio compleanno, mi concedo una pausa per scrivere un post. Di questi tempi sono un tantino di fretta, leggo i post sui blog, ma li commento in ritardo e accumulo le idee per nuovi post che non ho il tempo di sviluppare.
Luz qualche tempo fa, in questo post si chiedeva come si formano le nostre biblioteche personali.
Io ci ho pensato un po', ho chiacchierato con i miei libri e sono arrivata alla conclusione che le mie librerie si autogestiscono.
Io compro libri come altre donne comprano scarpe o borsette. Mio marito compra libri come altri uomini comprano capi sportivi o attrezzi per i fai da te. I miei genitori comprano libri con la facilità con cui si comprano verdure al mercato. I miei avi materni tutti hanno comprato libri con la frequenza in cui in altre famiglie si raccoglieva l'insalata nell'orto. Ne consegue che da sempre sguazzo nei libri. A casa dei miei si possono trovare libri di ogni genere, argomento e formato, senza alcun nesso logico apparente alla storia familiare. Chi mai avrà comprato il libro in tedesco sull'allevamento industriale dei conigli (che io sappia nessuno ha mai allevato più di due conigli per volta e il tedesco non mai andato per la maggiore)? Quale avo prete avrà acquistato Il gesuita moderno di Gioberti? Lo stesso a cui si devono le circa trenta bibbie che girano per casa, casa, per altro, solo moderatamente religiosa? Insomma, ho sempre sguazzato nei libri, senza trattarli con troppa sacralità e con l'idea che, alla fine, un libro va bene ovunque. Se c'è una mensola in bagno, la si utilizza. Le mensole per i libri, si sa, non sono mai troppe.
Quando mi sono trasferita nella casa in cui abito adesso mi è parso subito chiaro che avrebbero comandato i libri. Due umani, due gatti e circa trecento volumi (al primo censimento). È subito parso chiaro chi avesse la maggioranza. Quindi io e mio marito siamo inquilini in una casa che appartiene ai libri e veniamo comandati dai gatti. Sotto di noi, quanto a potere decisionale, restano solo le piante, che in fin dei conti dipendono da qualcuno che le annaffi (anche se alcune orchidee mi sembra quasi vogliano evadere...).
I libri, dicevamo, la fanno da padrone.
Quando arrivano in casa sostano sul tavolino della sala. Arrivano sempre a gruppetti e quindi lì lottano tra loro per imporsi alla nostra attenzione. Qualcuno ce la fa e passa in lettura. Quindi staziona in qualche stanza della casa, a seconda se sia mio, di mio marito e del carattere stesso del libro. Non credo sia un caso che il saggio sul cannibalismo si sia fatto leggere in cucina...
Dopo un tempo indefinibile, transumano verso la loro casa d'elezione. Ciascuno per proprio conto si raggruppano a famigliole. Da una parte, vicino alla mia poltrona da lettura che è la mia postazione abituale da lavoro, quelli che consulto più spesso. Difficile dire se li ho messi lì io perché li consulto più spesso o se li consulto più spesso perché si sono messi più vicini. 
I saggi scientifici si sono asserragliati in cima alla libreria, forse perché vogliono mantenere almeno uno scaffale tra loro e i troppo irrazionali fumetti, due ripiani più in basso. 
I volumi dal dorso giallo di Einaudi tendono a non mescolarsi ai dorsi gialli del Giallo Mondadori, che ritengono volgari, ma hanno fatto amicizia con la vecchia mitica Serie Oro di Nord. Cujo e It di King non si sopportano e si guardano dai lati opposti della stanza. It, però, ha fatto amicizia con Dampyr, mentre Cujo simpatizza con la serie di Capitan Alatriste di Perez-Reverte. Curiosamente altri libri dell'autore ne hanno preso le distanze e stanno da tutt'altra parte. I classiconi (Iliade, Odissea, Divina Commedia) e la critica letteraria fanno gruppo a sé, un po' ostili, mentre i romanzi dell'ottocento si mescolano più volentieri agli altri, non rinnegando la propria origine borghese.
La cosa curiosa è che tutto ciò funziona.
È difficile che non trovi un libro. Non ho molto il polso su quelli di mio marito (abbiamo ancora qualche problema ad integrare i due gruppi). Sono più o meno conscia del fatto che uno stesso autore può essere distribuito anche in tre posti diversi. E, comunque, se un libro non si trova è perché è lui che non vuole farsi trovare. Ma hanno un buon carattere e succede di rado.

I vostri libri, invece, che carattere hanno?

domenica 10 aprile 2016

Sherlock Holmes e la vittima del dottore – il mio racconto per Delos Digital


Martedì è il mio compleanno e Delos Digital mi ha preparato un regalo adeguato!
È già ordinabile, ma sarà disponibile proprio da martedì 12 aprile Sherlock Holmes e la vittima del dottore, racconto in e-book che potete acquistare sul Delos Store o su Amazon o su un qualsiasi altro store on-line di vostra scelta a 1,99€

Può un uomo ucciderne un altro e non ricordarlo? 
E può essere il dottor Watson l'assassino smemorato?

In una Londra invernale fredda e nebbiosa, il dottor Watson rincasa all'alba dopo una serata passata insieme ad altri reduci della campagna afgana. Quando l'ispettore Lestrade suona al campanello di Baker Street, però, persino Sherlock Holmes è preso alla sprovvista. Il poliziotto è venuto infatti ad arrestare proprio il dottor Watson, accusato di aver ucciso a sangue freddo un ex ufficiale dell'esercito britannico, il cui corpo senza vita è stato rinvenuto nel Tamigi. Watson stesso non fa nulla per discolparsi, c'è un solo uomo al mondo che ha davvero desiderato uccidere ed è proprio il sadico maggiore Hertz! Per di più, non ha alcuna memoria delle ore in cui l'omicidio sarebbe avvenuto, un buco nero tra l'ultimo brindisi con i compagni e il rientro a casa, ore dopo.
Sherlock Holmes, d'altro canto, non ha nessuna intenzione di lasciare che il proprio coinquilino finisca al patibolo come assassino, tanto più che un nemico potrebbe nascondersi nell'ombra. Il detective ha i minuti contati per districarsi tra il riemergere dei fantasmi del passato, ispettori ottusi e vendicativi e nemici fin troppo abili, per salvare la vita di Watson.

Uno sguardo dietro le quinte
È risaputo che Watson è il mio personaggio preferito. Questa figura dolceamara, bistrattata da troppi adattamenti, di medico tornato dalla guerra quasi invalido, con sulle spalle il peso di qualcosa di mai chiarito accaduto in famiglia (suo fratello, ricordiamolo, morirà alcolizzato) eppure affidabile in ogni situazione e non privo di ironia mi ha affascinato fin dall'inizio. Per certi versi è lui il mio eroe, anche più di Holmes. Quindi c'è voluta una buona dose di sadismo per scrivere questo racconto.
L'ho progettato durante un lungo viaggio in treno tra Firenze e Milano cercando il modo perfetto di incastrare il dottore, facendo leva su tutte le sue debolezze evidenti e inconsce. 
Alla fine, mentre lo scrivevo, mi sono sentita un mostro, per come mi ero divertita a giocare con il mio personaggio. Oltre tutto l'avevo messo nei guai così bene che a un certo punto non sapevo più come salvarlo! 
Questo racconto, quindi, contiene forse il miglior cattivo che abbia mai scritto, un sadico, viscido e manipolatore che riesce quasi a sconfiggere persino Sherlock Holmes. Di solito io amo tutti i miei personaggi, anche i peggiori hanno quel nucleo di umanità che li rende cari ai miei occhi. Questo no. Purtroppo non è una figura irrealistica, i sadici esistono, ma ho scoperto scrivendo questo racconto che ho scarsa pietà per chi trae piacere dalla sofferenza altrui. 
Inoltre, finisco più o meno per scriverlo ogni volta, non è affatto vero che i racconti apocrifi non siano personali. C'è moltissimo di me in queste pagine. Tra i racconti di sherlockiana è forse quello più psicologico, in cui indago più a fondo nell'anima e nelle paure di Watson.

Vi prometto azione, quindi, un buon giallo (a livello tecnico tra i migliori che io abbia scritto), ma anche un viaggio nelle zone d'ombra della nostra anima. A cercare, insieme a Watson, la risposta alla domanda: fino a che punto possiamo davvero fidarci di noi stessi?

Domande e questioni pratiche
Un solo racconto, ma quanto mi costa?
1,99€, poco più di un caffè.

In quali store on-line posso acquistarlo?
Tutti. 
Ad esempio qui

Quali formati sono disponibili?
Copio-incollo dal sito:  EPUB per iPad, iPhone, Android, Kobo o altri ebook reader, Mac o PC con Adobe Digital Editions

MOBI per Kindle, Kindle Fire
(potrai scegliere quale formato scaricare direttamente dalla tua pagina di download)

Ma io non ho un e-reader!

Nessun problema. Il formato EPUB è leggibile da qualsiasi Mac, Pc, iPad o dispositivo Android (tablet vari) e il programma necessario per leggerlo è gratuito e si scarica con facilità (del tipo ci sono riuscita pure io)

Infine un grande, ENORME ringraziamento a tutti colore che rendono la vita di Sherlockiana possibile, a quelli che conosco e a coloro che ignoro del tutto, ai lettori e a tutti coloro che permettono ad Holmes di continuare ad indagare. 

venerdì 8 aprile 2016

Orta e la Corsica nello stesso cuore

Spesso si sente dire che la scuola italiana è fossilizzata, ancorata a un passato senza alcuna connessione con la realtà, piena di insegnanti demotivati che ripropongono costantemente le stesse lezioni già vecchie ai tempi di matusalemme.
È uno stereotipo, ma come tutti gli stereotipi ha in sé qualcosa di vero.
A volte a noi prof manca un po' la voglia di rischiare, di provare, di buttarsi nel vuoto. 
I ragazzi non sono così, loro si buttano e, quando cadono, si rialzano.
A volte siamo noi adulti a dover imparare da loro.
Questo scambio con una scuola di Bastia, Corsica, è stata una scossa come non ne capitano tutti i giorni nella vita di un'insegnante. È stato come il primo lancio con il paracadute e scoprire che è bellissimo e che, in effetti, il paracadute si apre.
Non sapevo bene cosa aspettarmi da questa esperienza. La congiuntura che si era formata non era tra le più favorevoli: mio marito in piena emergenza lavorativa, il concorso che incombe e la valanga di burocrazia da gestire, le previsioni del tempo che prospettavano il diluvio universale. 
Mentirei se dicessi che non è stato stancante. Oggi pomeriggio ho dormito come un sasso per due ore e solo dopo i miei neuroni hanno ripreso a funzionare. Era da quindici anni esatti che non parlavo così tanto in francese. Mercoledì siamo stati a Torino con circa 120 alunni, sono stati tutti bravissimi, ma la tempistica e la gestione di così tanti ragazzi ha stremato tutti. Infine gestire lezioni bilingui anche di tre ore di fila con ragazzi italiani e francesi non è la cosa più semplice del mondo. 
Però è stata un'esperienza che non solo non dimenticherò mai, ma che tutti i professori dovrebbero fare. Perché prende gli automatismi mentali e li fa a brandelli. Si entra in contatto con ragazzi che vengono da un mondo scolastico diverso, con professori che vengono da un mondo scolastico diverso. Si entra in un nuovo modo di pensare dove nulla è scontato e nulla "è così perché si è sempre fatto così".
Si fa un gran parlare, oggi, di competenze e di "compiti autentici" cioè non accademici, ma calati nella realtà. Per noi come per i ragazzi questa settimana è stata un enorme compito autentico.
E, alla faccia di tutto quello che si dice della cultura letteraria inutile, abbiamo scoperto che la poesia è un ottimo mezzo per spezzare ogni barriera. I ragazzi hanno letto, tradotto e illustrato le poesie di Ungaretti, con un impegno e una serietà che ha stupito in primis me.

Se volete vedere tutti i lavori prodotti li trovati sul blog didattico Liberamente Librum e ne vale davvero la pena!

Grazie davvero a chi a reso possibile quest'esperienza per i ragazzi, ma anche per noi!
Grazie a Nino, a Therese e alla dirigente che hanno organizzato tutto!
Grazie a Marie Ange, a Gracieuse e a Jean-Marie, super professori-partener!

lunedì 4 aprile 2016

Piovono Libri – Racconti fantastici di T. Gautier (bonus: Il figlio del cimitero)



Vi sarà capitato di scontrarvi con un libro che comunque è parte della storia letteraria, magari non annoverato tra i primi cento capolavori, ma comunque sopravvissuto a decenni se non a secoli di storia, e di non capire se siete voi a non riuscire a cogliere la genialità del libro o è proprio il libro, in fin dei conti, a non essere per nulla geniale?
Un gruppo di lettura serve anche a questo.
I racconti fantastici di T. Gautier, esempio, pare, di romanticismo francese, è la prima opera scelta dal gruppo ad avermi sconfitto. Ho letto i primi quattro racconti e poi non sono riuscita ad andare avanti. Ogni riga mi sembrava interminabile, ogni pagina un mattone di piombo che mi cadeva in testa. Questo è un periodo un po' caotico per me, a fare compagnia al buon Teo Gautier ci sono state le 850 pagine del programma generale per il concorso a cattedra, ieri sono arrivati i francesi per lo scambio, insomma, forse ero io a non essere nella giusta disposizione d'animo.
L'incontro con il gruppo di lettura ha fugato questo dubbio. Eravamo presenti in 14 all'incontro, ma solo due avevano terminato il libro, la percentuale di successo più bassa che io abbia riscontrato. Altre 5 o 6 persone come me si erano arenate. Nessuno avrebbe tenuto il libro sulla torre.
Perché?
Qui trovato un post più serio e motivato, scritto a una dei due coraggiosi lettori arrivati in fondo.
Personalmente ho pensato di essere di fronte al nonno della fanfiction. La fanfiction è la riscrittura da parte di un fan di un'opera famosa, o la continuazione o la variazione su un tema. Dato che spesso il fan non è uno scrittore, finisce per mettere se stesso come protagonista e immaginare per sé una storia d'amore o di sesso con il personaggio di cui è innamorato.
Gautier fa esattamente la stessa cosa. Appassionato di racconti fantastici del primo romanticismo, mette in scena se stesso, un giovane artista sensibile e incompreso dalla società, di cui una donna sovrannaturale, preferibilmente morta (un fantasma, una vampira...) si innamora. Lei si palesa, l'amore si consuma (fuori scena) e poi lei sparisce. Immagino che qualsiasi adolescente maschio  un po' timido abbia sognato di essere concupito da una donna bellissima, di vasta esperienza amorosa  che poi scompare dopo una o più notti d'amore, senza che il giovanotto si debba impegnare in una relazione. Peccato che io non sia un adolescente maschio. Quindi ho trovato curiosa la scelta di far incarnare lo spirito di una ragazza morta in una caffettiera (nel primo racconto) o l'immagine di una bellissima donna che si stacca da un arazzo per andare a sedurre un giovanotto di nessuna attrattiva, ma questo non mi ripagava delle lunghissime pagine di descrizioni inutili. Per tanto così avrei forse preferito qualche particolare piccante in più, dato che comunque al centro del discorso c'è un amplesso, ma nel primo '800 il porno soft non era ancora stato sdoganato. 
Pare che tra i racconti che non ho letto alcuni si distaccassero da questo schema, ma che non ne valesse comunque la pena.
Una delle lettrici ben informate ci ha detto che spesso Gautier scriveva sotto l'effetto di droghe, ma non la considero un'attenuante. La storia della letteratura è piena di scrittori affetti da dipendenze varie, alcolizzati o drogati, che hanno però scritto opere migliori. Forse Gautier avrebbe dovuto cambiare spacciatore. O, meglio, smettere.
Pare che Gautier abbia scritto anche opere migliori (me lo auguro), ma non voglio averci più nulla a che fare. Per me può stare nel fossato della torre con tutte le donne morte che preferisce.

Giusto perché voglio ribadire che il racconto gotico e macabro può essere anche delizioso, aggiungo anche un consiglio di lettura.
The Graveyard Book – adattamento a fumetti da Nei Gaiman

Quest'opera è fantastica. Fidatevi, se volte morti e vampiri, lasciate perdere Gautier e scegliete Gaiman. 
Si tratta della versione a fumetti del romanzo Il figlio del cimitero. Considerata la trama e il fatto che Gaiman sia anche un autore di fumetto, penso che la versione illustrata sia anche meglio del romanzo, ma questi sono gusti personali.
Un neonato sfugge per caso al massacro della propria famiglia e si rifugia in un cimitero. Qui i morti decidono di prendersene cura con l'approvazione della Signora in persona e un vampiro, Silas, diventa il suo tutore. Bod cresce, quindi, vivo tra i morti, con la capacità di vedere i fantasmi e di giocare con loro, con qualche problema di interazione con gli altri ragazzi vivi e un assassino ancora sulle sue tracce. La sua crescita è mostrata attraverso dei racconti godibili da soli, ma che insieme vanno a formare una trama più articolata.
Si tratta di una delle più belle storie d'adozione che mi sia mai trovata a leggere e più di una volta mi si sono inumiditi gli occhi. È semplicemente adorabile il rapporto di Bod con Silas. Silas è un vampiro serio e responsabile, con probabilmente qualche problema irrisolto con la sua condizione, e prende molto seriamente il suo compito di tutore. È un vampiro, però, inerme di fronte alle crisi di ribellione adolescenziale di Bod, con qualche problema a dimostrarsi caloroso. Riesce ad essere insieme paterno, protettivo e terrificante con un sottofondo di pericolosità che non viene mai meno e che contrasta con l'assoluta mancanza di paura che Bod ha di lui.
Tutti i fantasmi del cimitero si sforzano di crescere e di educare Bod, con tentativi ora maldestri, ora comici, ora commuoventi. Nel cimitero di Bod non manca nulla di quello che è l'immaginario fantastico, ci sono streghe, lupi mannari, fantasmi di impiccati, creature antichissime che proteggono dei tesori, ma nessuna di esse è come i vivi la immaginano. Bod si avvicina a loro senza alcun pregiudizio, in quella che per lui è la normalità. I suoi veri problemi sono sempre causati dai vivi, che non capiscono e bramano il potere.

Infine un'informazione di servizio.
Ieri sono arrivati i francesi per lo scambio culturale. Io ospito M.A., una collega francese giramondo e, a parte poche ore libere, come questa, tutte le nostro giornate sono organizzate in funzione dello scambio (alla faccia degli insegnanti che lavorano solo poche ore al giorno) quindi non so se avrò il tempo di aggiornare il blog. Non lo escludo a priori, ma la verità è che non ne ho idea. 
Ci si rilegge appena possibile!

venerdì 1 aprile 2016

Perché io sono io


Oggi è il primo aprile, giornata mondiale dei pesci e degli scherzi. 
Io devo aver per errore invocato lo stesso Spirito del Pesce, oggi.
Intendiamoci, la mia vita è spesso surreale, mi succedono cose buffe, vengo in contatto con storie e persone fuori dalle righe e ho un particolare amore per tutto ciò che esula dall'ordinario che mi porta ad approfondire proprio quelle cose che magari altri tenderebbero a tralasciare.
La mattinata di oggi, tuttavia, ha toccato vette di surrealtà tali che merita di essere condivisa.

La premessa necessaria è che avevo bisogno di certificare che io sono io di fronte a un pubblico ufficiale e già questo non capita tutti i giorni.
Il fatto è che alla mia nascita i miei genitori hanno voluto che io raccogliessi l'eredità di entrambi i miei nonni, battezzandomi Antonella Augusta. Anche se nella pratica già Antonella è troppo lungo e ci si limita ad Anto loro ci tengono, e ci tengo anch'io, che entrambi i nomi abbiano valore legale.  Quindi il mio certificato di nascita è stato redatto in modo che io sia, a tutti gli effetti, Antonella Augusta. Qualcosa poi è andato storto nell'elaborazione del codice fiscale cosicché sulla carta d'identità e sulla tessera sanitaria risulto essere Antonella Augusta, sul tesserino del codice fiscale c'è un inquietante Antonella Augus e ogni tanto il secondo nome salta del tutto. Così, ad esempio, quando ho comprato l'auto mi hanno detto che il libretto di circolazione apparteneva a un'altra persona. L'altra me stessa.
Onde evitare ulteriori problemi con l'Altra Me, oggi sono andata in anagrafe fornita di apposito modulo pre compilato per certificare che io sono io.

Il modulo pre compilato non andava bene, dovevo compilarne lì, a mano, un altro. L'ho fatto.

L'addetta ha consigliato di invertire la formula, invece di dire "io Antonella dichiaro di essere Antonella Augusta" era meglio scrivere "io Antonella Augusta dichiaro di essere Antonella". Ho rifatto il modulo, riportando, come mi era stato detto, la formula già scritta in precedenza.

La formula già scritta in precedenza era errata e mi è stato detto di rifare il modulo con la formula corretta. Ho rifatto il modulo.

Ho consegnato il modulo al Pubblico Ufficiale perché certificasse che io sono io. All'inizio avevo evidenziato che per Motivi Imperscrutabili mi serviva la sua firma in biro blu e non nera, ma nel mentre era passato del tempo e il Pubblico Ufficiale se n'era scordata e ha firmato in biro nera. Il modulo era da rifare.

A questo punto ho rifatto ancora il modulo, era la quinta volta. Ho inserito così tante volte la mia data di nascita (tre volte per ogni compilazione) che alla fine dove andava la data di oggi ho messo per errore il mio anno di nascita.
Io mi sono quasi messa a piangere, il Pubblico Ufficiale ha riso un sacco.
Intanto non avevano più moduli appositi e ho dovuto aspettare che ne recuperassero un altro.
Lo Spirito del Pesce, grazie al cielo, voleva solo divertirsi e quindi il tutto è avvenuto in un ufficio deserto, senza ressa e gente urlante in attesa. Abitare in un paese di 3000 persone ogni tanto aiuta.

Quindi dopo circa 45 minuti dalla consegna del mio originario modulo pre compilato, ho avuto in mano la mia bellissima attestazione che dichiara a norma di legge che io sono io e che l'Altra Me è me.
Perché questo foglio di carta abbia valore devo anche portarlo il Prefettura.
A quel punto il Pubblico Ufficiale mi ha salutato dicendo "benvenuta nell'era della digitalizzazione della documentazione".

Da qualche parte, lo Spirito del Pesce rideva un sacco.