lunedì 30 dicembre 2013

Correndo verso il 2014


Come i protagonisti della campagna di Gioco di Ruolo sono in fuga dal fuoco del drago (magistralmente costruito in carta da uno dei giocatori), ormai i giorni corrono verso il 2014.
Strano anno questo 2013, denso come zuppa, faticoso come pochi. Strano anno anche quello che attendo, non senza un certo timore.
Ci sono stati giorni di questo 2013 che sinceramente avrei anche evitato, ma è l'anno del mio primo romanzo e quello in cui sono diventata zia.
Riguardando indietro, nessuna sorpresa a essere arrivata esausta alla fine, il 2013 è stato oggettivamente un anno in cui ho fatto moltissime cose, forse troppe per dedicare a tutte la giusta attenzione.
Di certo nel 2013 ho scritto tanto, come mai avevo fatto prima e come dubito di poter fare in futuro. Ho scritto una manciata di racconti e due romanzi.
Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico (titolo quanto meno provvisorio) dovrebbe vedere la luce a ottobre. Avrò modo, se tutto andrà bene, di parlarne diffusamente nei prossimi mesi. Di certo per me scriverlo è stato, come per i suoi protagonisti "principalmente una questione d'onore" e spero davvero di essere riuscita nel mio intento.
L'altro, "una storia piena di struzzi" (no, il titolo non sarà questo, spero) l'ho finito... Ieri. Troppo presto per tentare qualsiasi bilancio, solo la soddisfazione sfinita di essere arrivata alla parola fine. Ne sarà quel che ne dovrà essere, suppongo.

Pensando al 2013 mi verrebbe da dire che è stato un anno in cui non ho avuto tempo per leggere. In effetti è stato un anno in cui ho letto meno di quanto avrei voluto, ma, a conti fatti, dovrei comunque essermi divorata tra i trenta e i quaranta libri, che non sono poi così pochi. Per vari motivi non ho parlato di tutti nel blog. Difficile scegliere quali mi abbiano colpito di più, ma credo che sul podio possa mettere:

1 - Dritto al cuore di E. Bucciarelli
Un giallo di cui ho quasi dimenticato la parte gialla, ma tutto il resto, davvero, è arrivato Dritto al Cuore.

2 - Le ultime gocce di vino di M. Renault
Un libro non perfetto, ma comunque il miglior romanzo storico ambientato nell'Antica Grecia che abbia mai letto. 

3 - L'estate della paura di D. Simmons
Chissà perché non gli ho dedicato neppure un post... Un libro strano, un po' horror, un po' romanzo di formazione, un'estate di fine infanzia che rimane scolpita nella mente del lettore.

Anche di film ne ho visti meno del previsto, recuperando qualcosa in DVD e perdendone altri. Il mio podio (indipendente dall'anno di uscita dei film), più facile da definire di quello dei libri, è questo:

Rivisto di recente, si prende il gradino più alto del podio con orgoglio e sicurezza. Un film così strampalato da risultare alla fine perfetto. Una delle più belle storie d'amore adolescenziale che mi sia capitato di vedere.

2 - Rush
Un film che ho amato anche se non ho alcun interesse per la formula1 a dimostrazione che una buona pellicola può portarti dentro a qualsiasi storia

Io l'ho recuperato nel 2013, chi non l'ha visto lo recuperi al più presto. Forse un film anche migliore dei precedenti, anche se a livello emotivo lo relego al terzo posto. Da vedere.

Buon inizio 2014 a tutti!!!

venerdì 27 dicembre 2013

Visioni - Lo Hobbit, La desolazione di Smaug


Sono giorni che la connessione internet va e viene, oggi sembra stabile, quindi cerco di approfittarne.

Molto D&D, poca Terra di Mezzo. Ai non amanti di fantasy la differenza sembrerà minima, ma per i cultori della materia è fondamentale. Tanto l'ambientazione di Tolkien è malinconica, minimalista, con magia ridotta al minimo e azioni plausibili, tanto quella del gioco di ruolo è fracassona, divertente e a volte eccessiva, così come questo film.
I combattimenti sono la fiera dell'improbabilità, elfi e nani si possono innamorare e le psicologie e i conflitti hanno spessori impalpabili, ma almeno ci si diverte.
Al contrario che col primo film non c'è nulla di inguardabile, niente slitta trainata da lepri, e anche i personaggi creati ex novo non sono disturbanti. Tauriel è un'elfa plausibile (in D&D, ovviamente) e Bard come padre di famiglia non mi è dispiaciuto. L'unica cosa che proprio non mi è andata giù è l'uso sportivo dell'Athelas, finita, letteralmente, in mano a cani e porci.
Fatta tacere la tolkeniana che è in me, insomma, la visione mi ha divertito, il regista sembra non aver perso del tutto il proprio talento visivo, anche se si affida più alla computer grafica che alle meraviglie della Nuova Zelanda. Il tutto ha il tocco non spiacevole di una storia per bambini, cosa che in fondo corrisponde anche allo spirito del libro, e chiaroscuri e drammi sono tutti rimandati alla terza pellicola.
Il drago, poi, risulta giustamente maestoso e il doppiaggio italiano ha evitato il temuto (almeno da me) "effetto Sherlock" ("È così che sono sopravvissuto alla Caduta, John, so volare...").
Lo Hobbit, La Desolazione di Smaug è un film leggero e godibile, da vedere durante le feste con i bambini, senza aspettarsi troppo.
Voto: 7

PS CON ANTICIPAZIONI: il "Premio Prometheus" per l'azione più stupida vista nel film va assegnato senza dubbio al complicato piano di Thorin per sconfiggere Smaug, che neppure il peggior Lorcan sotto effetto di alcool e droga insieme avrebbe ideato (per i frequentatori saltuari, Lorcan è il ladro incline alle dipendenze del mio gruppo di D&D). Evidentemente Thorin era l'unico a non essersi accorto di essere scivolato, appunto, dalla Terra di Mezzo a D&D, dove anche i bambini sanno che annegare un drago rosso nell'oro fuso non può essere una buona idea...

domenica 22 dicembre 2013

Buon Natale a tutti


Vi lascio con un'altra foto del mio lago in inverno e tanti auguri di Natale.

Internet va e viene, ho un romanzo da finire, uno di cui concludere il contratto, tanti saluti da fare, auguri e regali da consegnare, un nuovo ruolo di zia da imparare... Immaginandovi impegnati almeno quanto me, ci si torna a leggere dopo il 25, quando saremo tutti più calmi e più satolli.

Per chi volesse, ho recuperato un altro dei miei racconti "liberi nella rete", un racconto di Natale decisamente nero (è necessario sottolineare che personaggi e luoghi sono assolutamente di fantasia, non c'è alcun riferimento reale).

Per chi volesse, è il mio regalo:


TANTI CARI AUGURI A TUTTI

giovedì 19 dicembre 2013

Il mio Sherlock Holmes ha trovato casa


Strana giornata quella di ieri.
Iniziata con un duplice prelievo. Prima di sangue e poi finanziario quando ho visto a quanto ammontava il ticket. Non sono svenuta per la siringa, ma ho rischiato sul secondo.
Telefonata per capire il destino del thriller ambientato nella Roma antica. Ho capito che non l'abbiamo capito, ma che le speranze ancora non sono morte. 
Vado a scuola, ho dimenticato il portafoglio, non trovo il registro, però ho il cellulare e sul cellulare c'è una mail: la situazione del mio apocrifo sherlockiano è stata definita, abbiamo una data d'uscita: ottobre 2014.

Ora, i libri sono peggio dei gatti e non puoi nominarli finché non sono nel sacco o in libreria, ma posso dire che sono felicissima.

Perché la casa editrice che se ne occupa non sta cavalcando l'onda del rinnovato successo del personaggio, ma se n'è occupata con costanza e competenza, direi con amore, sin dalla sua nascita. Perché è una casa editrice di romanzi di genere che per la mia generazione è ed è stata fondamentale. Pubblica anche la Le Guin! 

E poi c'è la storia. Io adoro questa storia, per mille motivi.
Perché non è sono una storia di Sherlock Holmes. È un romanzo storico a tutto tondo che racconta di un personaggio reale che pochissimi conoscono e a cui invece dovrebbero essere intitolate vie e piazze. Questa storia mi è caduta in mano come un dono, in una sera d'inverno e ho pensato subito che era un mio dovere morale scriverci su e farla conoscere. Poco dopo ho saputo che Sherlock Holmes aveva bisogno di nuovi casi e allora è stato naturale per me chiedere a lui di indagare su questa storia triste e meravigliosa e che, forse, insieme, saremmo riusciti a raccontarla.
Perché adoro Sherlock Holmes. Lo adoro in molte forme, ma l'originale, bipolare più che sociopatico, geniale, sarcastico e ottocentesco è il migliore.
Perché adoro il dottor J.H Watson che non è affatto il tontolone cicciottello con i baffi che alcuni ancora immaginano.
Perché volevo scrivere la storia della nascita di un'amicizia che non avesse a che fare con bambini o adolescenti e questa era un'occasione imperdibile per farlo.
Perché scrivere di Sherlock Holmes mi fa stare bene. La stesura di questa storia mi ha fatto compagnia lungo mesi difficili e mi ha aiutato a superarli e quindi provo grande gratitudine nei confronti di questa storia e spero davvero che come ha fatto star bene me possa far star bene anche i lettori.

La strada per la libreria è ancora lunga, ma spero davvero che vada tutto per il meglio.

Devo scappare.
Vi lascio con la rassegna stampa relativa all'antologia Il carnevale dell'uomo cervo che contiene due miei racconti.
Un grazie davvero a tutti coloro che hanno dedicato attenzione all'antologia e ai miei racconti in particolare. C'è anche chi mi vedrebbe bene come autrice di romance, cosa che mi ha fatto piacere, ma anche un po' sorridere, vista la mia predisposizione ad ammazzare gente (sulla carta). Sono felice, però, che anche il mio lato più dolce sia stato apprezzato

lunedì 16 dicembre 2013

Scrittevolezze - Dialogando


Finora le mie "scrittevolezze" non sono andate molto nel tecnico, perché, secondo me, ormai in rete ci ci sono millemila siti che propongono risorse e lezioni di scrittura creativa in modo molto più chiaro e sistematico di quanto potrei fare io. Tuttavia ho deciso di aggiungere anche la mia personale visione su alcune questioni base delle scrittura, diciamo delle "teorie avanzate" da tenere presente, se si vuole, oltre alle lezioni base. Ritornando all'esempio di ieri di scrittura e arti marziali, ci sono tecniche base che un po' tutti i praticanti devono conoscere e poi delle tecniche che variano da stile a stile, anche da praticante a praticante e che possono essere applicate oppure non a seconda delle necessità. Conoscerle, comunque non fa male a nessuno.
Partiamo dal DIALOGO
Quindi, in qualsiasi buon blog o sito di scrittura (Anima di Carta, tanto per citarne uno linkato a lato) trovate cose imprescindibili sul dialogo, a cui mi sento di aggiungere qualcosina in più di puramente personale e asistematico.

Il dialogo è un costrutto artificiale e non naturalistico
Questo, credo, è l'assunto base per scrivere un buon dialogo. Un dialogo serve a narrare qualcosa, a portare avanti la storia e quindi è un momento funzionale della narrazione. Non può e non deve essere la riproduzione naturalistica di un vero dialogo. Questo per vari motivi. 
- Quando parliamo molto spesso, di fatto, se fossimo in una storia, perderemmo tempo. Spessissimo non acquisiamo nuove informazioni, non cambiamo idea o stato mentale, ci limitiamo a rafforzare i nostri rapporti sociali o a scambiarci notizie contingenti (tipo: cosa preparo per cena) di cui a un esterno non potrebbe importar di meno.
- Quando parliamo usiamo moltissimo il linguaggio non verbale, diamo per scontate informazioni pregresse, ci interrompiamo, maltrattiamo la grammatica. Quando parliamo davvero il nostro unico scopo e capirci tra noi che partecipiamo alla discussione, non rendere tale discussione comprensibile a un esterno.
In una storia il lettore deve capire cosa i personaggi dicono, chi sta parlando e il dialogo deve portare avanti la vicenda. Quindi al diavolo il naturalismo, che non esiste neppure nella letteratura verista. Le domande base che da autore dobbiamo porci sono:
- Il lettore capisce chi sta parlando?
- Il lettore capisce di cosa si sta parlando?
- Il lettore acquisisce le nuove informazioni che gli stiamo dando?
- Il lettore si sta annoiando?
Ovviamente il risultato che dobbiamo ottenere sono tre sì e un no. Quindi per il primo sì dobbiamo avere ogni personaggio caratterizzato anche in un suo modo di parlare (che dipenderà dal suo modo interiore, dal suo vissuto etc, etc). Per il secondo dobbiamo e il terzo dobbiamo avere dei passaggi chiari  e non didascalici di informazioni, se non cadiamo nella noia. Se una o più battute del nostro dialogo si possono tagliare e il lettore non si perde, allora sono superflue e devono essere tagliate.

Il lettore non va imboccato
Questa è una mia convinzione personale su cui si può essere d'accordo o meno. Secondo me un dialogo è tanto più efficace quando più è secco. Emozioni dei personaggi, toni di voce, cambiamenti di tensione sono tanto più forti, quanto più il lettore li avverte dalle parole dei personaggi. Se l'autore è costretto a segnalarli (es: – Sei davvero tu? – domandò con sorpresa) sta già fallendo nel suo intento. Nella mia testa i dialoghi ideali sono quelli dove l'autore interviene solo il minimo indispensabile per far capire chi sta parlando. Tutto il resto deve trasparire dalle parole dei personaggi.

Il dialogo è come una scala
Il dialogo porta avanti la storia. Quindi dall'inizio alla fine del dialogo deve avvenire un, magari minimo, cambiamento nei personaggi (interiore, di stato d'animo, di consapevolezza). Possiamo dire che i personaggi, o almeno il personaggio principale, dall'inizio alla fine del dialogo si sposta da A a B. Idealmente ogni battuta è un passo o uno scalino di questo spostamento. A ogni battuta deve cambiare qualcosa, nel tono, nella tensione, nello stato d'animo nel personaggio. Se questo non avviene, quella battuta è inutile e può essere tagliata. Potete immaginarlo come una scala o come una partita a tennis in cui a ogni colpo il giocatore cambia assetto e posizione. 
L'idea del tennis è anche utile per visualizzare il concetto che, in una narrazione, ogni dialogo è una partita. I personaggi parlano per ottenere qualcosa (informazioni, chiarimenti, conferma, affetto...) e quindi davvero, ogni loro battuta, è come il colpo del tennista volto a ottenere la vittoria.
I dialoghi non sono "momenti morti", anzi, spesso sono il cuore emotivo delle storie, il momento dello scontro di personalità. Più si sente la tensione dello scontro nelle parole dei personaggi e più il dialogo funziona.

Qualche buon dialogo
Colline come elefanti bianchi di Hemingway.
Probabilmente il dialogo più famoso della storia della letteratura. Due personaggi aspettano un treno e parlano. Non accade nient'altro, l'autore interviene pochissimo. Eppure il lettore rimane avvinto alla pagina.

Le avventure di Sherlock Holmes di Doyle.
Lo ripeto da sempre, l'abilità di Doyle è quasi tutta nel dialogo. Lasciate perdere gli spiegoni finali dei racconti e vi renderete conto che Sherlock Holmes è delineato con poche descrizioni e poi dal dialogo, che è quasi sempre secco e fulminante. Noi non sappiamo mai o quasi con quale tono Sherlock Holmes parli ed è per questo che il personaggio funziona.

... E uno pessimo
Mi piange il cuore a dirlo, perché stiamo parlando di un romanzo per me essenziale, ma uno dei peggiori dialoghi è il capitolo Il consiglio di Elrond de Il signore degli anelli. Una marea di informazioni di cui il lettore sul momento non capisce l'utilità. Battute lunghissime di personaggi mai incontrati prima. A un certo punto sfido chiunque a ricordarsi chi sta parlando in quel momento e a riassumere quanto detto prima. Eppure è un dialogo molto naturalistico. Io credo che a una conferenza internazionale (perché di questo si tratta in fin dei conti) si parli più o meno così. Ma narrativamente non funziona.
Poi, per carità, è anche la dimostrazione che una grande storia sopravvive a un pessimo dialogo, anzi, la ricchezza di quel capitolo viene apprezzata in una seconda (o terza o quarta) lettura. Ma quasi nessuno vi dirà che Il consiglio di Elrond è il suo capitolo preferito all'interno de Il signore degli anelli

Voi cosa ne pensate? Come fate dialogare i vostri personaggi?

domenica 15 dicembre 2013

Scrittevolezze - La scrittura e le arti marziali


Ancora in quarantena da raffreddore, saltato per ovvi motivi il post "Visioni - Lo Hobbit", in compagnia di virus piuttosto affettuosi che vogliono starmi tutti vicini vicini, mentre il Nik sente la necessità di informarmi che i poliziotti londinesi non hanno licenza di uccidere, ma di mordere (non chiedetemi dove l'abbia letto), cerco di buttar giù un ragionamento scrittevole che, già dal titolo, minaccia di non essere troppo coerente.

Si parlava l'altra sera di arti marziali e di come un buon praticante applichi d'istinto, senza starci a pensare, tecniche apprese in anni e anni di studio. L'effetto, negli scontri d'alto livello, è di straordinaria fluidità, tutto accade velocemente e ci si chiede come, in una frazione di secondo, si possa scegliere una tecnica invece di un'altra. La verità è che non si sceglie, corpo e mente sono ormai talmente abituate all'esercizio quotidiano, che non si pensa più alla tecnica, ma solo al risultato che si vuole ottenere. Ne va da sé che questo livello non lo si raggiunge in pochi giorni, né in pochi mesi e neppure in pochi anni.
Il Nik mi racconta di come molti inizino pieni di entusiasmo e poi abbandonano quando dopo mesi di pratica sono ancora anni luce dall'essere karate kid, ancora in imbarazzo con concetti in apparenza banali come quelli di respiro e equilibrio. Eppure il maestro pare che si muova con grazia istintiva, per puro talento...
Io non penso che per la scrittura sia molto diverso. 
Per storia personale e forma mentis ho un approccio molto tecnico alla scrittura e non credo alla scrittura "di getto". Però penso che si debba diventare come i maestri di arti marziali, talmente padroni dei propri mezzi che quando ci si siede a scrivere sul serio non si deve stare concentrati su come di descrive un personaggio, sul mostrare e non raccontare, su come si faccia un dialogo, sul ritmo, ma solo sul risultato che si vuole ottenere. Il risultato è che il brano sembra essere scritto di getto, per pura ispirazione. Ma questa è un'illusione, proprio come quella che fa sembrare i maestri di arti marziali in possesso di riflessi sovrumani.
La verità, temo, è che per arrivare a questo livello bisogna provare e riprovare. Leggere mille volte i propri autori preferiti chiedendosi perché i loro testi funzionano. Provare fino alla nausea a scrivere dialoghi, situazioni e scene e personaggi. Esattamente come un qualsiasi praticante di una qualsiasi arte marziale prova e riporova i movimenti fino alla nausea, fino a che gli entrano fin nel DNA e non ha più bisogno di pensarli per eseguirli al momento giusto.
Sempre il Nik dice che il problema della scrittura, oggi, è l'apparente facilità. È l'arte espressiva più economica da praticare e tutti ritengono di possederne i rudimenti. Il Nik dice anche che tutti credono di sapere come respirare e mantenere l'equilibrio e che nelle arti marziali i primi mesi di pratica servono proprio a far vedere loro che non è così. 

Quindi, temo che la verità a cui dobbiamo abituarci è che nessuno o quasi può scrivere un romanzo di getto al primo colpo (almeno non un romanzo che non vada rivoltato come un calzino in fase di editing). Prima bisogna passare un infinità di tempo a "dare e togliere la cera".

Vi segnalo un blog che mi sembra contenere parecchio buon senso letterario: officina Masterpiece (anche per chi, come me, non segue Masterpiece).

Adesso non mi resta che risolvere un ultimo piccolo problema: domani, prima di andare a fare lezioni ai miei alunni, dovrei presentare il romanzo a quelli del mio vecchio liceo. Al momento sono quasi afona...

venerdì 13 dicembre 2013

X-Factor e la proprietà di linguaggio


Sono a casa con la febbre, un virus cattivo ma veloce, ha detto la dottoressa, cioè mio ospite giusto per il fine settimana (un fine settimana, tra l'altro su cui avevo riposto tante speranze e cose da fare) per cui concedetemi un post meno letterario, scritto col favore della tachipirina e in sottofondo la finale in differita.

Ho iniziato a guardare X Factor per la pura necessità di mettere il cervello in vacanza almeno una sera alla settimana, dato che di solito anche i miei hobby tendono ad essere piuttosto nerd. Però devo dire che quest'edizione mi è proprio piaciuta e per motivi non prettamente musicali: c'è gente in tv che sa usare il congiuntivo.
Morgan è sicuramente un uomo complicato e a tratti insopportabile, ma trasuda musica e letteratura. Elio spande intelligenza e professionalità tutto intorno a sé. Mika a volte mi chiedo se sia daltonico, traballa sulle pronunce, ma ha una proprietà linguistica in italiano che molti nostri concittadini si sognano (e se deve fare un complimento dice "è intelligente", caratteristica quanto meno sottovaluta qua da noi). La Ventura non mi entusiasma, ma sembra comunque usare più delle 300 parole del linguaggio televisivo standard. E poi ci sono questi concorrenti neppure ventenni che, ogni tanto (mica sempre, che poi gli spettatori si spaventano) si lasciano scappare un congiuntivo al posto giusto. E da prof io sono già presa all'amo.
Va beh, oggi mi accontento di poco. Sarà lo spirito natalizio. O il paracetamolo.

mercoledì 11 dicembre 2013

lunedì 9 dicembre 2013

Visioni - Ip Man


Il Nik pratica aikido e pertanto è affascinato dalle arti marziali. Ciclicamente, quindi, si guarda un film il tema. Se il film è cinese, il Nik si gode i combattimenti e io rimango basita per il livello di propaganda che queste pellicole riescono a veicolare.
Questa è la storia, vera verissima, di Ip Man, il buffo nome del fondatore della scuola di arti marziali seguita da Bruce Lee.
Ip Man vive all'inizio inconsapevole dei veri valori cinesi, chiuso nella sua casa, con la sua famiglia modello (perché anche inconsapevolmente è già un cinese perfetto) col suo figlio unico e maschio. Pratica Kung Fu, ma solo per piacere personale.
Poi arrivano i giapponesi cattivi cattivissimi, sadici fino al midollo, Ip Man sprofonda nella povertà, ma capisce i veri valori. Insegna Kung Fu ai lavoratori di una fabbrica (perfetta, perfettissima fondata solo per amore degli operai) che così possono difendersi dai predoni. Picchia i giapponesi cattivi cattivissimi che insidiano moglie e bimbo e sfida il generale dei giapponesi (cattivo cattivissimo) a singolar tenzone. Ovviamente vince, con tanto di predicozzo sul fatto che le arti marziali cinesi sono moralmente superiori a quelle giapponesi. Le scritte finali lasciano intendere che è grazie all'esempio e alla tempra morale di Ip Man e degli altri cinesi bravi bravissimi che i giapponesi hanno perso la seconda guerra mondiale.
C'è da dire che Ip Man è oggettivamente un film ben fatto. Belli i combattimenti (che il Nik assicura filologicamente corretti), simpatico e non stucchevole il protagonista, buono il ritmo. Ecco, se non fosse stata per questa costante e oppressiva propaganda me lo sarei anche goduta.
Mi astengo dal voto per chiari motivi extra cinematografici

domenica 8 dicembre 2013

Scrittevolezze - La fatica di scrivere


Scrivere per me è gioia.
Quando mi metto al computer e scrivo dimentico completamente tutto il resto, sono nella storia, sono la storia e sono felice.
Anche quando corro sono felice. Oggi ho fatto il primo allenamento degno di questo nome da non so quanto tempo e forse per questo mi è venuta l'idea per il post.
Ricordo quando a quindici anni sono entrata in una squadra di atletica. Prima uscivo a correre per distendermi, quando mi pareva. Quando ero stanca mi fermavo. Poi ho avuto orari fissi di allenamento e scadenze da rispettare. Mentre correvo ero felice, ma spesso c'era la fatica di uscire di casa col freddo o con la pioggia, la fatica di riprendere a studiare dopo un allenamento, la fatica di alzarsi la domenica all'alba per le gare. La gioia non era scalfita, e la soddisfazione di correre una gara nazionale ai Fori Imperiali a Roma la ricorderò per tutta la vita, ma tutto ciò non rende la fatica meno reale.
Passare da scrivere per hobby a provare a farlo in modo professionale è un po' come il salto che ho fatto a quindici anni per lo sport. Forse, il romanzo che non trova casa, quello dell'Antica Roma, è stato l'ultimo scritto in un determinato modo, alla cieca, seguendo solo la mia ispirazione e fermandomi quando ero stanca.
Adesso sto provando a seguire un metodo nuovo. Del progetto non posso dire molto, se non che è un romanzo pieno di struzzi. Sto cercando di seguire una tempistica. La storia è mia al 100% e mi piace un sacco, ma per stare nella tabella di marcia, o almeno per non sforare troppo, sto conoscendo anche la fatica di scrivere. Torno a casa, preparo tutto per il giorno successivo a scuola e poi scrivo. Preparo cena, ceno e poi scrivo. Nel fine settimana scrivo (questa è parte della mia pausa merenda). A Novembre ho letto solo Paradisi Perduti e qualche fumetto che, per i miei standard di lettrice onnivora è praticamente niente. Non sono andata al cinema, ho dedicato ai regali di Natale veloci missioni mirate.
Ora una parte di me mi dice che la scrittura è (anche) ispirazione e mettersi al computer quando non ne si ha voglia non può generare buone storie. Dall'altra la mia esperienza di sportiva mi dice che è proprio questa la strada per far le cose sul serio e che quando da un'attività che si da per puro hobby si passa a un livello semiprofessionale la fatica è inevitabile. 
Voi che ne pensate?
Io intanto torno ai miei struzzi

giovedì 5 dicembre 2013

Temibili predatori: leoncini e editori a pagamento


Oggi parliamo di due temibili predatori, il leoncino di cui sopra e gli editori a pagamento, perché questi ultimi non meritano un post tutto per loro.

Il temibile leoncino
Il Persiano, si sa, è una creatura perfettamente adattata all'ambiente in cui vive, il salotto. Gli necessitano i venti gradi costanti, un suolo soffice (il divano) e la vicinanza alla ciotola che in ambienti più ostili non riuscirebbe a trovare. Solo in condizioni ottimali può allontanarsi per esplorare le Terre Selvagge (il prato di casa), perché vi assicuro che nulla è peggio da avere in casa di un persiano col raffreddore o la diarrea. Quindi il Persiano d'inverno non esce, se non nelle ore più calde, per brevi periodi. Capita però che si annoi. Da brava padrona quale sono, cerco quindi di recuperare i suoi giochini, ma sembrano finiti tutti in anfratti irraggiungibili. Ricordo quindi di possedere il leone peluches di cui sopra, lungo 4 cm, morbido. E tento di invogliare il Persiano a giocare con lui. Ma il Persiano fugge terrorizzato e si rintana nell'angolino del castigo, dove va quando viene sgridato o quando in casa si palesa un bambino. Guardo il leone e guardo il Persiano, senza capire. Provo un approccio più soft, ma nulla, il Persiano gonfia il pelo e fugge di nuovo. 
Sono passati tre giorni. Sto tenendo il leoncino in vista. Il Persiano tollera di stare nella stessa stanza, ma fa ampi giri per evitarli o tenta timidi approcci.
Qualche esperto di psicologia felina (ma quanto di felino ci sarà nel Persiano?) può fornire una spiegazione?

I temibili Editori a Pagamento (EAP)
Non ne ho mai parlato esplicitamente nel blog.
In effetti non ritenevo che ce ne fosse ancora  bisogno. Quando mi sono avvicinata al mondo dell'editoria pensavo fossero estinti per un motivo molto semplice. A 16 anni ho letto Il pendolo di Foucault di U. Eco dove la pratica veniva descritta nei dettagli. Gli editori a pagamento rispondono a qualsiasi aspirante scrittore dicendo che il loro testo è un capolavoro, solo che c'è la crisi, le cavallette, l'analfabetismo di ritorno e quindi è necessario che l'autore contribuisca alle spese o compri un tot di copie. Di fatto l'editore campa con i soldi dell'autore, non con le vendite dei libri, che neppure vengono distribuiti.
Ecco, io a 16 anni ero già vaccinata e, data la diffusione del libro di Eco, pensavo che il vaccino fosse diffuso nella comunità degli aspiranti scrittori e che la malattia fosse estinta, come il vaiolo.
Poi ho scoperto che gli EAP sono più vivi che mai. Come sia possibile, in un'epoca in cui blog, forum e siti hanno sviscerato ed eviscerato il fenomeno è cosa che mi incuriosisce parecchio, ma la verità è che gli EAP esistono ancora e cercano ancora di vampirare gli aspiranti scrittori.
Questo post (e il video) di Scrittori in Causa lo dimostra, quindi un po' tutti i blog di scrittura stanno ribadendo il concetto.
Lo scrittore deve guadagnare dal proprio lavoro, non pagare per essere pubblicato.
L'EAP non è reato, non è una truffa e chiunque può fare dei propri soldi ciò che vuole.
Se è un buono scrittore, però, troverà un editore disposto a pubblicarlo senza che debba sborsare.
Se vuole il pieno controllo del proprio testo e non vuole aspettare i tempi e sottostare alle regole degli editori, può diffondere il proprio testo su internet o dedicarsi all'autopubblicazione.
Ciascuno, è ovvio, è libero di fare ciò che più desidera, ma pagare per farsi pubblicare e sperare che l'editore che ha già intascato i tuoi soldi promuova il libro è razionale quanto scappare dal leoncino di cui sopra. Spero che gli aspiranti scrittori siano più svegli del mio Persiano...

martedì 3 dicembre 2013

Lettere di rifiuto di qualità superiore

Più o meno in questo periodo, l'anno scorso, terminavo il thriller ambientato nell'antica Roma e avevo chiara la sensazione di avere per le mani un figlioletto problematico, un testo con delle potenzialità, ma di cui un'autrice con pochi racconti pubblicati al suo attivo non poteva farsi carico. Ho quindi deciso di "affidarlo alle acque", inviarlo a un concorso importante, su cui non avevo alcun controllo e vedere cosa sarebbe successo. Il romanzo ha viaggiato, onestamente più di quanto avrei ritenuto possibile al momento dell'invio, è stato "raccolto" più di una volta, più di una persona se n'è fatta carico,  cercando di portarlo verso una sponda accogliente. Io a dir la verità, sono stata a guardare la lontano, a volte senza neppure sapere verso dove stesse navigando. Purtroppo le ultime notizie mi sono arrivate ieri e sono queste:

Il libro non è affatto male. Il problema è che abbiamo in programmazione tanti libri storici su Roma, sia italiani che stranieri. E al momento sarebbe difficile per noi gestirne un altro.

La mail non è stata inviata direttamente a me, ma mi è stata girata e non ha importanza raccontarvi da quale scrivania sia partita, tanto le case editrici con in programmazione tanti libri storici su Roma si contano sulle dita di una mano di un monco e che sia l'una o l'altra ai fini del mio ragionamento non ha importanza.

È inutile dire che, pur cercando di farsi meno illusioni possibili, ricevere una mail così fa lo stesso piacere di un calcio sui denti. Poi però ho avuto tutto una sera per metabolizzare la cosa e sono arrivata a elaborare qualche pensiero che forse vale la pena condividere con quanti sono, sono stati o saranno nelle mie stesse condizioni.

Un romanzo di un esordiente è un'opera d'ingenio che parte dalla libera iniziativa di un autore. In altre parole, nessuno mi ha chiesto di scrivere. Quando ho terminato il romanzo avevo pubblicato qualche racconto quando ho iniziato il romanzo ero del tutto esterna al mondo dell'editoria. Quindi di mia iniziativa ho iniziato a costruire un prodotto (fa male parlare di un proprio libro come di un prodotto, ma lo è) senza sapere se ci fosse una domanda, se a qualcuno importasse qualcosa della mia storia ambientata nell'Antica Roma. Scrivere un romanzo non vuol dire avere diritto a pubblicarlo. È una verità semplice, ma che va accettata per com'è, fa parte del gioco. Se uno pensa di non poter sopravvivere a un rifiuto editoriale, forse è meglio che non parta neppure.
L'esordiente, poi, lavora alla cieca, magari basandosi su realtà editoriali vecchie di qualche anno. Ad esempio più di un addetto ai lavori mi ha fatto notare che il mio romanzo era troppo corto rispetto ai libri storici pubblicati adesso, problema non da poco e non aggirabile, dato che ogni buona storia ha un respiro e cambiarlo vuol dire snaturarla. Quindi anche un buon libro può non essere un buon prodotto commerciale in un dato momento.
Infine, io sono convinta che un capolavoro si faccia notare sempre e comunque, ma sono anche convinta che (ancora) un capolavoro io non l'ho scritto. Forse ho scritto dei buoni libri, ma non capolavori e quindi è giusto che un editore se ne prenda carico se e solo se per lui in quel dato momento è un buon investimento. Il mio per questo editore non lo è e con le mie nulle conoscenze di mercato non posso certo dirgli che si sta sbagliando.

E quindi adesso cosa mi resta da fare per questa storia? 
Continuare ad aspettare, sperando che giunga a lidi più accoglienti, credo, anche se il problema vero è che si tratta di un'opera di nicchia che solo poche case editrici potrebbero supportare. Non riesco a immaginare, ad esempio, il mio editore attuale alle prese con questo romanzo, che ci azzecca con la sua linea editoriale come il proverbiale cavolo a merenda. Quindi temo di dover accettare l'ipotesi non così remota che non veda mai la luce.
Di certo non lo autopubblicherò, per due principali motivi. 
Il primo è che se lo autopubblicassi non gli darei il massimo. Non avrebbe editing, non avrebbe un grafico, non avrebbe distribuzione. Per tanto così, sta comodo nei file del mio computer, agli amici l'ho già fatto leggere.
Il secondo è che questo libro non è morto. È un romanzo ambientato nell'antica Roma. Di sicuro non invecchia, tra x anni magari andrà bene così. L'ultimo romanzo storico che ho letto, Le ultime gocce di vino è degli anni '50 e ripubblicato ora (in effetti è lunghino). 
Non è detto che la mia storia non si trasformi in qualcos'altro. Questo romanzo nasce da alcuni racconti scritti quand'ero all'università, dieci anni fa. È evidente che alla base per me c'è un interesse profondo per il periodo e per alcune tematiche. Forse tra dieci anni riuscirò a rielaborarle in qualcosa di diverso, magari di migliore.

Infine questo romanzo ha già fatto un sacco di strada (e non è detto che abbia smesso di camminare) e un sacco di persone se ne sono fatte carico. Io da sola non l'avrei potuto portare fino alla scrivania di chi ha scritto la mail di ieri e quindi forse più che delusa dovrei essere grata, davvero, a tutti quelli che hanno letto, apprezzato, incoraggiato e valutato, a partire proprio da chi ha scritto quella mail. Quel "non è affatto male" è per me davvero prezioso.
Ultima nota: quanto ho speso in questo percorso?
Tantissimo tempo di scrittura, progettazione, documentazione. Pochi euro di copisteria per le due copie cartacee per il Premio Tedeschi (e una per me per ricordo) e il costo della spedizione, altri pochi euro.
Cosa ho guadagnato?
Enorme esperienza. 
A livello tecnico questo romanzo è la cosa più difficile che io abbia mai scritto. Credo che adesso nessun lavoro di documentazione (e anche nessun personaggio) possa spaventarmi davvero.
È la mia prima esperienza con la grande editoria e devo dire che non posso considerarla negativa, anche se non si dovesse arrivare a niente. Non mi sembra di aver incontrato squali, ma persone che fanno il loro lavoro con passione, anche se devono far quadrare i conti, come chiunque altro.

domenica 1 dicembre 2013

Tempo di regali di Natale

È arrivato dicembre, tempo di pensare ai regali di Natale!
Posso esimermi dal darvi qualche consiglio? Quest'anno, abbiate pazienza, non posso che consigliarvi tre libri che mi vedono in veste di autrice



Un giallo dai toni gentili, dove si alternano indagini e sorrisi, adatto a tutti i lettori, dai 12 anni in su.



Venti racconti gialli tutti ambientati sui laghi del Piemonte. Un libro per chi ama il giallo in tutte le sue sfumature



La miglior antologia di racconti fantastici del 2013. Racconti che esplorano il fantastico in tutte le sue declinazioni di generi, spaziando dall'Italia all'Europa.

Cliccando sui titoli, potete trovare tutte le informazioni per gli acquisti.
Quanto a me, questa notte ho sognato una creatura che non mi spiacerebbe trovare tra i regali di Natale: il gatto a energia solare. Un buffo, grassoccio felino che non necessita di mangiare, ma si rotola per ore sui tetti, ricaricandosi con i raggi del sole (no, vi giuro, non mi drogo).

venerdì 29 novembre 2013

Quello che impariamo dai nostri maestri


Ognuno ha i propri scrittori preferiti. A volte vorremmo essere i nostri scrittori preferiti o quanto meno vorremo essere stati noi ad aver scritto quelle storie meravigliose. A volte ci viene la tentazione di provare a diventare i nostri scrittori preferiti. Essere il "nuovo X" o "l'Y italiano". Che magnifica, pericolosa tentazione!
Da prof so che devo insegnare ai miei alunni a trovare la propria forza, devo aiutarli a formulare le loro idee, non le mie. Da autrice, so che devo trovare la mia voce, le mie storie, che siano mie, non pallide fotocopie sbiadite di storie già scritte. 
E tuttavia mi chiedo, cosa posso imparare dai miei autori preferiti? C'è qualcosa che può aiutarmi a rafforzare la mia voce? 
In parte l'amore per un autore è una questione affettiva/emozionale. La mia scrittrice preferita è Ursula Le Guin anche perché ho incontrato sempre i suoi libri al momento giusto, a nove anni il mio primo fantasy è stato un suo libro per bambini, andavo alle medie quando ne ho scoperto i seguiti, scritti per adolescenti, all'università mi sono imbattuta nei suoi capolavori. Avessi trovato questi libri in ordine inverso non li avrei capiti o li avrei ignorati.
Eppure in ogni cosa impariamo per esperienza, osservazione e imitazione. Anche nella scrittura. Quindi vi propongo un esercizio. Chiedetevi perché amate un dato autore. Isolate gli elementi che più vi colpiscono e chiedetevi se potete applicarli alle vostre storie. La scrittura è una questione di consapevolezza. Quindi non possiamo che avere vantaggi, credo, da questo esercizio.

Quali sono, dunque, le caratteristiche che vorrei rubare alla mia autrice preferita?

- Eleganza stilistica anche nella scrittura di genere
Scrivere letteratura popolare, scrivere letteratura di genere non significa essere sciatti. Perché mai chi scrive storie di genere non deve essere elegante? Diretto, certo, chiaro, sicuramente, non noioso. Ma questo non vuol dire rinunciare all'eleganza stilistica. Vorrei rubare alla mia autrice preferita la capacità di tessere una prosa che scorra come seta, a prescindere dal genere della storia.
Ecco un esempio di descrizione di un'asettica astronave:
"... Niente che si nasconde in minuscole fessure, agita viticci, sgaiattola nell'ombra, depone le uova, si lava la pelliccia o fa tre giri su di sé prima di stendersi col naso sulla coda. Non c'è niente con la coda. Nel mondo non c'è niente che ha tentacoli, pinne, zampe o artigli. Nel mondo non c'è niente che volteggia. Niente che nuota. Niente che fa le fusa, abbaia, ringhia, ruggisce, cinguetta, trilla o lancia ripetutamente due note, una quarta discendente, per tre mesi l'anno. Non esistono mesi dell'anno. Non esiste la luna. Non esiste l'anno..."

- Una scrittura densa
Di cosa parla il romanzo che inizia con la citazione con cui si apre il blog, La mano sinistra delle tenebre? La trama è facile da riassumere. È la relazione, mischiata con pagine di diario, di un inviato terrestre su un pianeta che non ha mai avuto contatti con altri mondi. Ma di cosa parla? Di solitudine, di differenze culturali, di intelligenza emotiva, di adattamento ad ambienti ostili, di utopie politiche e della loro perversione, di come nascono le condizioni che portano alla guerra, di relazioni interpersonali e quindi, in senso lato, di amore e di come queste vengono condizionate dalle barriere culturali. Di come la divisione di genere condiziona la nostra società e di come potrebbe essere una società dove maschile e femminile non esistono. Ma anche del desiderio di controllo che hanno gli esseri umani e quanto esso sia inutile e di come le profezie potrebbero solo dimostrare l'inutilità di conoscere il futuro. Tutto questo in quanto? la mia edizione (francese) è di 340 pagine. Un libricino. Ursula Le Guin è una scrittrice che non ha paura di intersecare tematiche importanti e di aprirsi a speculazioni filosofiche in quelle che in apparenza sono storie d'azione. I suoi libri migliori sono, a mio avviso, proprio i più densi.
Dalla mia autrice preferita ho imparato a non avere paura delle idee complesse e che una buona storia non si misura a spanne o a centimetri di spessore.

- I protagonisti come uomini e donne di pensiero
Nei romanzi della Le Guin c'è tutta un'ampia casistica di personaggi improbabili, specie come protagonisti di romanzi di genere. Un fisico teorico. Una vedova di paese. Una matematica. Una ragazza che sa di essere il personaggio incompiuto di un poeta morente. Sono tutte persone poco atte all'azione. Animi introversi e filosofici. E funzionano. Proprio perché così palesemente inatti all'azione, quando ci si trovano dentro, non possono che attirarsi le simpatie dei lettori. E ragionare, il loro essere attori coscienti degli eventi, dona spessore alle storie. I protagonisti de La roccia nel cuore sono un ragazzo appassionato di fisica e un prete esperto in storia del vicino oriente antico. Piuttosto improbabili. L'averli pensati come protagonisti possibili lo devo senza dubbio alla lettura dei romanzi della Le Guin e di dialoghi di questo tono (inseriti in una storia d'avventura):
— L’ignoto. L’imprevisto, l’indimostrato, è tutto questo la base della vita. L’ignoranza è la base del pensiero. La mancanza di prove è il terreno dell’azione. Se fosse provato che non esiste un Dio, non ci sarebbe religione. [...] Ma anche se fosse provato che esiste un Dio, non ci sarebbe religione… Ditemi, Genry, che cosa è conosciuto? Che cos’è sicuro, prevedibile, inevitabile… la sola cosa certa che voi sappiate sul vostro futuro e sul mio?
— Che dobbiamo morire.
— Sì. In realtà c’è una sola domanda alla quale si può rispondere, Genry, e noi sappiamo già la risposta… La sola cosa che rende la vita possibile è la permanente, intollerabile incertezza: non sapere che cosa verrà dopo. ( La mano sinistra delle tenebre)

Voi che cosa avete imparato o vorreste imparare dai vostri maestri?


giovedì 28 novembre 2013

Voglio più tempo (e meno follia)!

Nonostante i luoghi comuni che ci vogliono tutti nullafacenti, quello del prof sarebbe un lavoro a tempo pieno. Perché è vero che in classe si sta 3/4 ore al giorno e qualcuno riesce a evitare di perdere anche solo un altro minuto in attività correlate, ma per preparare in modo decente le cose da dire in quelle 3/4 ore e correggere quanto prodotto, dobbiamo aggiungerne almeno altre 2/3 al giorno. E poi ci sono i Consigli di Classe, i Collegi Docenti, i Dipartimenti, i Consigli Orientativi i PDP... Altre 5 ore a settimana di media.
Quello dello scrittore, a ben vedere, sarebbe pure lui un lavoro. Perché una storia va pensata, scritta, rivista. Una volta pubblicata va promossa. Ci sono contatti da prendere, presentazioni da organizzare etc...
Vogliamo aggiungere pure che il marito ogni tanto due minuti ce li ha bisogno, i genitori con i loro malanni anche più di due e pure il gatto ha le sue esigenze, poveretto.
Una volta avevo anche qualche altra collaborazione e degli hobby, ma lasciamo perdere, mettiamoci pure solo i tempi di percorrenza da un posto all'altro.
Dove cavolo lo caccio il corso per abilitarmi al lavoro che già svolgo da anni? Da svolgersi, leggo nella gentile mail informativa "di pomeriggio e/o di sabato e/o nei periodi di sospensione dell'attività scolastica", ma "con esame finale nel luglio 2014" (quindi lezione a Natale?)
Ah, dimenticavo, i corsi dovrebbero partire a metà dicembre (tra due settimane?) ma non si sa dove.
Dimenticavo ancora. Il corso non è gratis. Ma non si sa quanto costi.

PS: aggiorno in corsa per segnalare il bell'articolo che Fantascienza.com dedica all'antologia Perché nulla vada perduto
Nella mia rincorsa al tempo che si perde spesso ometto queste segnalazioni, ma fa sempre piacere quando si parla (bene) dei progetti a cui si partecipa!

lunedì 25 novembre 2013

Visioni - Pacific Rim


Dei grandi gozzilloni provenienti da un'altra dimensione sbucano in mezzo al mare e per combatterli non si trova niente di meglio che costruire dei super robottoni guidati da dei piloti che al loro interno ne simulano i movimenti, in connessione neurale tra loro e con i robottoni stessi, come nei cartoni animati giapponesi.
Il fatto è che un medio cartone animato giapponese con i robottoni (senza scomodare Evangelion) batte Pacific Rim su introspezione psicologica e approfondimento della trama 90 a 0.
Qui i gozzilloni sono proprio cattivi cattivi, i buoni sono proprio buoni buoni, al massimo un po' ribelli nei confronti dei propri padri, ma neppure tanto, gli scienziati pazzi sono geniali e dal cuore d'oro e tutto si riduce in un "ammazza i mostri fino a che non ne rimangono più". 
A fare da contraltare a questa pochezza narrativa c'è l'indubbio talento visivo di Del Toro. Il film è visivamente splendido, i mostri sono ognuno diverso dall'altro, tutti dotati di una loro terrificante eleganza, in grado di distruggere le città con un realismo sconcertante. I robottoni sono meraviglie della tecnica e della computer grafica e i combattimenti, pur nella loro folle implausibilità, incantano anche gli occhi più critici. 
Quindi, accettato che intellettualmente questo film ha il valore di una carta di cioccolatino accartocciata, basta staccare il cervello per godersi due ore di puro spettacolo visivo, città distrutte ed esplosioni. Ore che passano anche in fretta perché, in fondo, non pensare a volte è piacevole.
Certo, se ti accorgi a un certo punto che stai tifando per i gozzilloni, come è successo a me, forse qualche problema c'è.

Voto: 7 (ma solo a cervello spento)

sabato 23 novembre 2013

Quegli splendidi libri che nonostante tutto abbiamo odiato

Torna la splendida falce di pessimo gusto per la seconda puntata di confessioni.
Nel post precedente ci siamo concentrati sui libri letterariamente imbarazzanti che tuttavia abbiamo amato, perché sono riusciti a farci sognare, innamorare o semplicemente ci hanno svagato al momento giusto.
Inevitabilmente ci sono anche libri splendidi che abbiamo odiato. Testi che sono riconosciuti capolavori della letteratura di cui, a mente fredda, individuiamo gli indubbi pregi, ma la cui lettura ci ha lasciato freddini o che ancora ricordiamo come un incubo. Perché l'innamoramento, si sa, non si può decidere a tavolino e a volte la scintilla non scatta nonostante tutte le nostre buone intenzioni.
Credo che un po' per tutti gli splendidi libri che abbiamo odiato coincidano con quelli che ci sono stati fatti leggere dalla scuola. Capolavori affrontati, però, per dovere, in tempi non maturi, con l'incubo della valutazione. Libri odiati, nonostante tutto.
I miei?
Madame Bovary
Ne ho già parlato, si tratta del mio più grande trauma letterario. Io a quattordici anni costretta a leggere delle lagne di questa donna irrisolta che non mi ha suscitato neppure un briciolo di empatia. Sono tutt'ora convinta che la buona Emma avrebbe dovuto sporcarsi un po' le mani, andare a lavorare, altro che a lezioni di piano, e forse tutta quella voglia di piangersi addosso le sarebbe passata.
Addio alle armi
Frederic caro, ti sei arruolato come volontario e poi hai scoperto che la guerra non è un pic-nic? Un po' prevedibile, non trovi? E non trovi niente di meglio per risolvere la situazione che trascinare la tua innamorata (incinta) in una fuga fino alla Svizzera? E poi io dovrei stupirmi se la cosa finisce in tragedia e magari commuovermi?
Altro libro che sono stata costretta a leggere a quattordici anni (nella stessa estate di Madame Bovary). Ero un'adolescente decisamente priva di pietà.
Cronaca di una morte annunciata
Più o meno lo stesso periodo, letto forse l'anno dopo rispetto ai primi due. Ne ho un ricordo sfocato e non riesco a ricostruirne con precisione la trama. Mi ricordo benissimo, invece, che era un testo breve, ma non finiva più, lo trovato del tutto freddo e poco coinvolgente e le pagine erano corte, ma non le riuscivo mai a finire... Ci ho fatto anche un incubo, ero inseguita dai sicari, sapevo che mi avrebbero presa, era inevitabile, ma continuavo a correre e a correre e loro non mi raggiungevano mai, invece io volevo solo farla finita...

Quali sono stati, per voi, gli splendidi libri che avete odiato?

giovedì 21 novembre 2013

Pessimi libri che abbiamo amato, nonostante tutto

Prendo spunto da questo simpatico post di Giramenti e da questo delizioso attrezzo scenico di pessimo gusto fotografato a Lucca per una piccola riflessione/confessione.
A volte ragione e passione coincidono, leggiamo e amiamo dei gran bei libri. Sollazzo intellettuale e emozione vanno a braccetto, con somma gratificazione di mente e cuore. Tutti, tuttavia, ci siamo scontrati con dei classici, libri oggettivamente belli, che non siamo riusciti ad amare. Nulla e nessuno al mondo mi convincerà che Madame Bovary non è una lagna pazzesca a cui sarebbero serviti due ceffoni. Lucia l'avrei senza problemi lasciata a don Rodrigo, con i miei auguri e sono sempre convinta che l'Innominato avrebbe dovuto soffocarla nel sonno, altro che pentirsi.
D'altro canto tutti noi abbiamo letto anche dei pessimi libri. Alcuni di essi li abbiamo anche amati. Ebbene sì. Libri letti da ragazzi o solo per svagarci, che sappiamo avere il valore letterario di un foglio di carta da forno unta d'olio, e che tuttavia ci hanno tenuto avvinti fino all'ultima pagina. Sapete una cosa, non ci trovo niente di male, come sempre è una questione di consapevolezza. Del resto io amo il cinema, ma non tutte le sere ho voglia di un capolavoro epocale. A volte voglio solo staccare la spina e posso rimanere ipnotizzata da pellicole imbarazzanti, che pure sono quello che in quel momento ho bisogno di vedere.
Stessa cosa con i libri. 
I peggiori libri che ho amato?
La saga di Dragonlance
Una trilogia fantasy letta quand'ero alle medie. Riesumati i libri anni dopo, li ho ripresi in mano. Mi sono venuti i crampi e l'orticaria. Sono letterariamente porcheria, non c'è proprio altro modo per definirli. Però a dodici anni io ero un po' innamorata di Raistlin, il mago con gli occhi a clessidra (che gusti, eh?)
I libri di Clive Clussel
Quand'ero alle medie mi annoiavo davvero tanto. Mi sono sparata una decina di libri tutti uguali con un'eroe che più perfetto e figo non si può che con disinvoltura e battuta pronta salva il mondo con la naturalezza con cui io vado al supermercato. Pessimo. Inqualificabile. E la giustificazione della minore età non vale (nel mentre mi stavo facendo una cultura anche sull'epica medioevale con tanto di letture in francese antico). Ma che ci posso fare, allora li ho amati.
Poi c'era anche un'altra serie, ancora più imbarazzante, con un nobile scozzese, ricco, bello e più volte reincarnato che portava a termine complicate indagini grazie al suo acume e alle sue capacità sovrannaturali, ma ho censurato autori e titoli (i libri devono essere rimasti da qualche parte a casa dei miei). La cosa peggiore è che questi li ho letti ben oltre i dodici anni, temo addirittura all'università...
E quali sono stati i pessimi libri che voi avete amato?

Sperando invece che LA ROCCIA NEL CUORE non sia un libro di cui doversi vergognare, devo dire che Giove Alluvio lo ama molto, visto che non perde una presentazione. Anche ieri sera un tempo da lupi e pochi coraggiosi presenti. Pochi ma buoni. Davvero super le letture di Etta Rispoli e la presentazione della sig.a Fantino che mi hanno fatto sentire una scrittrice seria! E tra il pubblico che emozione trovare un'altra Mecenero che non conoscevo!

Su Kultural, invece, un mio articolo su una lettura di cui non mi vergogno per niente, il fumetto Magico Vento.

martedì 19 novembre 2013

Mentre scende la pioggia


Piove.
Andassi oggi sul lago, troverei molte meno foglie nel bosco riflesso sull'acqua che vedete il foto.
È un tempo strano, questo uggioso di novembre, un tempo d'attesa.
Aspetto.
Aspetto che la pioggia finisca di cadere.
Aspetto che decidano quando e dove devo frequentare il maledetto corso abilitante.
Aspetto alcune novità nell'assetto famigliare.
Intanto lavoro, scrivo, leggo, rifletto.

Ieri e oggi, sui blog letterari non si parla che di Masterpiece, il talent per aspiranti scrittori. Sembra che tutti l'abbiano guardato per parlarne male. Io non l'ho visto. Sono diurna e con poca pazienza nei confronti dei programmi televisivi non narrativi. Mi rimane l'impressione di un'occasione sprecata. Al di là dell'operazione in sé, che mi lascia qualche perplessità di base (poche cose sono anti televisive come la scrittura) credo che ci fossero delle potenzialità. Il maggior pregio dei talent sta, dal mio sguardo di prof, nel far capire che dietro il successo c'è sempre un gran lavoro. Di solito in questi programmi, per il poco che li guardo, viene ribadito quanto studio e allenamento ci sia dietro una performance e che il talento, da solo, non basta a vincere. Un discorso analogo sarebbe stato di estrema importanza anche per la scrittura. Spiegare magari due o tre tecniche di base e ribadire che scrittori non ci si improvvisa, che ci sono anni di lavoro a monte, male, secondo me, non avrebbe fatto. Pare l'occasione non sia stata colta, peccato.

La mia piccola comunità di impenitenti giocatori di ruolo è stata travolta da una polemica che rimbalza in rete secondo cui i giocatori di ruolo sono rincoglioniti. Oppure antisociali potenzialmente pericolosi.
Non credevo fosse il caso, ma forse, alla luce di queste recenti letture (occhio al post linkato nei commenti) è il caso di ribadire che:
- Non sono una satanista
- Non ho alcuna conoscenza di pratiche esoteriche e/o divinatorie
- Non sono seguace di filosofie new age
- Il gioco di ruolo non prevedere alcunché di sessuale
- Se sono rincoglionita non penso sia colpa del gioco di ruolo.
Il gioco di ruolo è un hobby narrativo in cui si crea insieme una storia all'interno della quale ciascun giocatore stabilisce le azioni del proprio personaggio. Si sta tutti seduti a un tavolo (con i vestiti addosso) si usano dadi, matite e fogli. Si consuma una grande quantità di cibo spazzatura, è vero, e questo ritengo che sia l'aspetto più pericoloso di questa "pratica".
Va da sé che qualsiasi passione può trasformarsi in ossessione, conosco corridori della domenica che si sono rovinati la salute nel tentativo di superare il vicino di casa alla corsa del paese, tifosi di calcio che parlano solo di calcio e hanno atteggiamenti violenti nei confronti della tifoseria avversaria. Non dubito che anche tra i giocatori di ruolo ci sia una percentuale fisiologica di idioti, ma non mi sembra superiore a quella che si trova in altri ambiti. 
Come si ricorda su un manuale di gioco:
"Se batti qualcuno a Monopoli non esci e gli ipotechi la casa. Se affondi qualcuno a Battaglia Navale non vai all'arsenale per lanciare bombe contro le navi vere. Quando la sessione di gioco finisce, metti via il libro, i dadi e ti godi la vita e lasci fare lo stesso agli altri."
Per questo non credo che ci sia nulla di vergognoso o socialmente pericoloso nell'hobby che mi sono scelta. E NON INTENDO VERGOGNARMENE

Su www.mondorosashokking.com, intanto, è uscita la seconda parte dell'intervista.
La potete leggere qui
All'oscuro delle polemiche che si stavano per scatenare, quando l'ho rilasciata, non pensato di poter essere identificata come rincoglionita in quanto giocatrice di ruolo...
A qualcun altro è capitato di essere etichettato per via di un suo hobby?

lunedì 18 novembre 2013

INTERVISTA su Mondo Rosa Shokking


Si parla del mio romanzo, LA ROCCIA NEL CUORE, ma anche dei racconti e in generale della mia idea di scrittura nell'intervista che la brava Sabrina Minetti (grazie!) mi ha fatto per il sito www.mondorosashokking.com
QUI la prima parte dell'intervista.

sabato 16 novembre 2013

Letture - Paradisi Perduti


U. K. Le Guin
Oggi in Italia la Le Guin è un'autrice di nicchia, un mito per pochi. Che sia comunque amata, lo dimostra un gruppetto di case editrici medie e piccole (Delos, Gargoyle, Cavallo di Ferro) che negli ultimi anni stanno traducendo o ri traducendo le sue opere meno note, per portarle o riportarle in Italia.
Da fan, il mio ringraziamento va quindi a questi editori coraggiosi che ci regalano tanti piccoli gioielli.
Nell'ambito della sua produzione fantascientifica, Paradisi Perduti, è un'opera tipicamente LeGuiniana. Fantascienza sociale che diventa filosofia.
Una nave, la Discovery, è partita per raggiungere un altro mondo, presumibilmente abitabile. Il viaggio, però, richiede sette generazioni. Via via che ci si allontana dalla Terra (la "palla di fango") la Discovery diventa l'unico mondo che i suoi abitanti conoscano. Le vecchie parole terresti diventano suoni senza significato, il ricordo della vita su un pianeta diventa sfocato, il sogno di quella sulla destinazione una fantasia che a molti sembra oziosa. 
Paradisi Perduti racconta di un universo circoscritto che diventa l'Universo, l'unico possibile, della nascita di nuove religioni e della paura del cambiamento.
Quando il mondo di destinazione da ipotesi lontana diventa una realtà tangibile la scelta arriva improvvisa in una società isolata che fino a quel momento ne è stata protetta, seguendo i rigidi e ineluttabili dettami delle regole di sopravvivenza che la vita in un ambiente chiuso comporta.

Paradisi Perduti è un libro di poche pagine, che pure ha un altissimo peso specifico. Poca azione, pochi conflitti dilanianti. I personaggi, come quasi sempre accade nei romanzi di questa autrice, non sono eroi, ma miti pensatori che si trovano al centro di passaggi epocali e navigano armati solo di buon senso in mezzo alle contrapposte ideologie. Si disquisisce molto, in Paradisi Perduti, e molto spazio è lasciato ai lunghi dialoghi tra i protagonisti, ma le chiacchiere non sono mai oziose. Si fa filosofia, appunto, ragionando sul linguaggio e sulla religione. 
Si finisce la lettura un po' frastornati, ma infinitamente grati per un'esperienza sicuramente più intellettuale che emotiva, ma comunque intensa.
La prosa, poi, è di una limpida eleganza che non ha pari (i capitoli iniziali di descrizione del mondo-nave, poi, sono superlativi).

Sono di parte, è la mia autrice preferita. Anche questo libro, però, mi ha ricordato il perché lo è.

venerdì 15 novembre 2013

Appuntamenti - Con LA ROCCIA NEL CUORE a Sesto Calende


MERCOLEDì 20 NOVEMBRE 2013 - ORE 18.00
Biblioteca Comunale di SESTO CALENDE
-piazza Mazzini 2 -
Sarà presentato il romanzo LA ROCCIA NEL CUORE
Letture di Etta Rispoli

Colgo l'occasione di questa mia prima presentazione fuori provincia per invitare tutti i lettori lombardi.
Ringrazio fin da ora la Biblioteca e la gentilissima Etta per la disponibilità e la professionalità.

mercoledì 13 novembre 2013

Visioni - I delitti del BarLume, Il re dei giochi



Altissima l'attesa per la messa in onda de "I delitti del BarLume - Il re dei giochi", film tv a produzione tutta italiana dai romanzi di Malvaldi andato in onda lunedì su Sky Cinema.
I gialli di Malvaldi sono tra le più belle scoperte la lettura del blog di Alessandra mi ha regalato.
Gialli ironici, dove nella ricerca del colpevole si insinua la risata, i delitti del BarLume raccontano di come quattro terribili vecchietti e il nipote barista di uno di loro elevino il pettegolezzo a arte investigativa arrivando spesso ad anticipare le forze dell'ordine.
Mi sembrava quindi che ci fossero tutti gli ingredienti per la realizzazione di un piccolo gioiellino, non dico alla Sherlock, ma almeno in grado di tener testa ai film tv su Montalbano. A ingolosirmi c'era anche un cast a prima vista perfetto, con lo scomparso Carlo Monni nel ruolo del più terribile tra i vecchietti, Ampelio.
Va detto che proprio lunedì sera una mezza influenza che sembrava sconfitta mi ha dato il suo colpo di coda proprio in faccia, per cui non sempre la mia attenzione era al 100%, ma l'obiettivo mi è sembrato raggiunto per tre quarti.
Scorrevole la trama, forse non la più memorabile della serie di romanzi, azzeccate le gag, fantastici, ma meno centrali di quanto mi fossi aspettata, i quattro vecchietti, da applausi la sigla iniziale.
La regia mi ha esaltato molto meno. Una voce off più irritante che divertente e alcune scelte inutilmente pretenziose (passaggi con camera a mano, sequenze più o meno oniriche) che hanno finito per spezzare il ritmo. Il risultato è stato che la parte gialla mi è parsa più scontata di quanto non mi fosse sembrata in lettura e ho sorriso quando mi aspettavo di sghignazzare.
Particolarmente fastidiose le fantasie erotiche del barista, con un nudo del tutto gratuito. C'è da dire che il Nik ha commentato che la scena era gratuita, ma che lui ha apprezzato e che l'attrice in questione si è così riscattata da una recitazione non esaltante (uomini!).
Attendo il secondo film, sperando di vederlo senza disturbi vari, per un giudizio più ponderato. Per il momento la produzione Sky è promossa con riserva.

lunedì 11 novembre 2013

Scrittevolezze - Ideazione, scrittura e far tacere Compagna Paranoia


Esco da un fine settimana solo in apparenza divanoso, ma in realtà emotivamente molto, molto intenso.

Come sempre per me vita e scrittura si fondono e un pensiero sulla vita si trasforma immediatamente in uno sulla scrittura.
Sono quindi arrivata a un ragionamento scrittevole piuttosto inaspettato, per quanto ovvio: il tempo della progettazione e quello dell'azione non coincidono, né devono farlo.
Io sono una figlia del dubbio, nella vita come nella scrittura, la paranoia è mia compagna costante e mi sussurra in ogni momento all'orecchio. C'è un momento in cui va ascoltata, quando si pensa alla trama, si valuta in quale progetto letterario buttarsi. Non sono questioni da poco, un romanzo risucchia mesi, se non anni, di vita. Prima di iniziarlo è necessario soffermasi a valutarne trama, snodi, contenuti, il perché si senta la necessità di scrivere proprio quella storia in quel momento e anche, perché no, quali possibilità poi abbia la storia in questione di incontrare il pubblico.
Poi si prende una decisione e si scrive.
E la paranoia va messa a tacere. Si scrive.
Ho iniziato un nuovo romanzo e per vari motivi ho deciso di darmi dei ritmi di scrittura molto serrati. Su di me incombe un corso abilitante obbligatorio che partirà non si sa quando che mi risucchierà chissà quanto tempo e non sarà di certo l'unica cosa a prendermi energie. Quindi, dato che oggi ho il tempo di scrivere e domani non si sa, la decisione è stata: "adesso si scrive". I primi 13 capitoli sono stati scritti con la rapidità di chi segue un flusso di pensieri ormai ben ordinato. Poi ho fatto l'errore, una sera, di perdere tempo su vari siti di scrittura. Ora, in generale confrontarsi con i diversi siti di scrittura non è mai una perdita di tempo, serve a crescere. Ma leggere tutti in una sera 5 o 6 articoli sull'articolazione delle trame mentre si sta scrivendo un romanzo non è stata una buona idea. La mia trama non segue gli schemi standard, lo fa a modo suo. Ma il suo modo sarà giusto? Sarà fruibile? Ha iniziato a domandarmi Compagna Paranoia (la paranoia è sicuramente comunista, dato che suddivide equamente le sue risorse per infestare tutti gli ambiti della mia vita). E lì mi sono bloccata.
C'è voluta una buona dose di forza di volontà per mettere a tacere Compagna Paranoia e riprendere a scrivere. Perché questo non è più il tempo delle scelte e non è ancora quello della valutazione.
La trama è stata tracciata, ho avuto tutta un'estate per pensare a snodi narrativi e a evoluzioni dei personaggi. Un conto è ascoltare l'istinto e prendere una deviazione imprevista, un conto è bloccarsi perché qualcuno in un blog o in un manuale ha scritto che in un romanza va fatta o non va fatta una determinata cosa.
Ho deciso che devo imparare a scindere l'ideazione, la scrittura e la valutazione. Ho ripensato alle storie della mia sempre amata Le Guin e alla filosofia dei maghi di Heartsea che può essere riassunta così "Fai solo ciò che è necessario. Quando è necessario agisci. Dopo l'azione si dorme." E quando ci si è risvegliati, immagino, si valuta. Si pensa, si valuta la trama, si ragiona, si ascolta anche Compagna Paranoia. Poi si scrive. Si scrive e basta, seguendo la rotta prefissata, l'intuizione e l'improvvisazione, come sembra meglio. Poi si dorme, si lascia la storia riposare. Poi la si valuta, magari con l'aiuto di Compagna Paranoia, e la si ricorregge.
E quindi, adesso, si scrive.

Voi come ve la cavate con Compagna Paranoia?

venerdì 8 novembre 2013

Scrittevolezze - Scrittura e Gioco di Ruolo


Sarà per il ricordo ancora vivo di Lucca Comics, sarà per alcuni commenti nel sempre ottimo blog Penna Blu, ma mi è venuta una gran voglia si ragionare sul rapporto tra la scrittura e il gioco di ruolo.

Cosa si intende per Gioco di Ruolo
Il Gioco di Ruolo tradizionale, quello che conosco e pratico, consiste, sostanzialmente nell'interpretare un personaggio in un contesto presentato da un Narratore. Ogni giocatore ha a disposizione una scheda con le caratteristiche del proprio personaggio e in base a quelle, non al buon senso del giocatore, bisogna deciderne le azioni. I tiri di dado risolvono le questioni casuali (ad esempio: una dato personaggio può avere una probabilità più o meno alta di riuscire a compiere una data azione. All'atto di compierla, sommerà un punteggio abilità al risultato di un tiro di dado. Se il risultato è superiore a una data soglia, l'azione è riuscita). Idealmente i giochi di ruolo possono essere legati a qualsiasi ambientazione. Le più famose sono ambientazioni fantasy, il più famoso gioco di ruolo D&D è ambientato in un mondo fantasy classico, ma ce ne sono fantascientifici, urban-fantasy o cyberpunk, solo per citare ambientazioni che ho sperimentato di persona.

Cosa ho imparato come scrittrice dal Gioco di Ruolo?
- Gestione dei personaggi
Questa è sicuramente l'ambito in cui il Gioco di Ruolo ha più influenzato la mia scrittura.
Per fare un personaggio di Gioco di Ruolo bisogna completare una scheda secondo regole che variano da gioco a gioco. Due però sono le costanti: non esistono personaggi perfetti, ognuno avrà pregi e difetti, proprio come le persone comuni. Il personaggio non sono io.
Sembra una sciocchezza, ma l'essenza del Gioco di Ruolo è interpretare e cercare di capire come agirebbe in una data situazione un dato personaggio. In una memorabile sessione di gioco uno dei personaggi del gruppo, con un problema di dipendenza, vendette gli amici per una dose di droga. Era un'azione ovviamente stupida, che il giocatore sapeva foriera di disgrazia ma era ciò che il personaggio avrebbe fatto in quel momento. Scrivere significa muovere dei personaggi secondo le loro motivazioni, non le nostre e il Gioco di Ruolo insegna moltissimo a farlo. 
Alcuni Giochi di Ruolo (penso ad esempio a Vampiri-The Masquerade) insegnano a ragionare molto sul passato dei personaggi e sulla loro storia e sono una palestra ideale per imparare a creare personaggi a tutto tondo (non amo giocare a Vampiri, ma per certi versi il manuale di gioco è anche un manuale di scrittura).
Infine si possono creare vere e proprie palestre narrative. la mia amica Jamila nel suo blog racconta le avventure del proprio personaggio narrate in prima persona. Lei dice che il non doversi occupare della trama la aiuta a concentrarsi sullo stile e sulla psicologia della protagonista. Di certo il suo blog è seguito anche da persone del tutte esterne al nostro gruppo di gioco, che ne leggono con piacere la storia

- Gestione delle scene d'azione
Io sono una frana con le scene d'azione, se non fossi una giocatrice di ruolo sarei ancora peggio.
Spesso per gestire le scene d'azione, in un gioco di ruolo si utilizzano mappe e anche miniature per visualizzare dinamiche e movimenti. Diventa subito ovvio ciò che è plausibile e ciò che non lo è, se un personaggio da un punto possa vedere l'altro, se c'è linea di tiro o copertura.
Ricostruire nello stesso modo scene d'azione che si desiderano scrivere aiuta a renderle più coerenti e plausibili.

- Gestione degli spazi
Tutti i giocatori di ruolo sono piccoli cartografi. Quando l'avventura si svolge nel classico sotterraneo, il Narratore ne ha disegnato la mappa, ma anche i giocatori ne tracciano la mappa, in modo che i personaggi non si perdano. Questo aiuta a ragionare su tempi di percorrenza, plausibilità di ostacoli da superare, tempistica delle scene. Non bisogna arrivare ai livelli di U.Eco che per il Nome della Rosa aveva cronometrato il tempo che i personaggi impiegavano ad andare da un luogo all'altro dell'abbazia per regolarsi sulla durata dei dialoghi, ma aiuta.

Cosa non ho imparato dal Gioco di Ruolo?
- Gestione dell'ambientazione
I Mondi in cui si ambientato i giochi di ruolo sono, appunto, giocabili (oltre che protetti dal diritto d'autore). Gli avventurieri trovano sempre avversari calibrati sulle loro abilità, spesso trovano ciò che a loro serve al momento giusto, ogni tre passi inciampano in un'avventura. Tra giocatori di ruolo si fa molta ironia sull'ecologia impossibile di molte ambientazioni, dove ci sono talmente tanti mostri che uscire di tre passi dal villaggio è morte certa.
È vero che ci sono romanzi ambientati nei mondi dei GdR, ma si tratta di storie che hanno la loro forza nei personaggi, penso a Raistlin della Dragonlance o a Drizzt del Faerun.

- Gestione delle trame
In un GdR la storia si fa insieme, Narratore e Giocatori insieme. Se muore un personaggio il Narratore getta nel cestino un'intera linea narrativa già immaginata, se capita un imprevisto, tutto prende una strada diversa. La famosa giocata di cui sopra, con il personaggio che ha venduto i compagni ha causato conseguenze al di là dell'immaginazione di tutti. Inoltre anche i dadi hanno la loro importanza, nonostante le abilità di un personaggio tutto può andare male o, al contrario, possono riuscire le imprese più impensate. È rimasta storica anche una giocata in cui una serie di tiri fortunati ha ucciso letteralmente un'avventura. Il narratore aveva immaginato che una nave spaziale nemica abbordasse la nostra. In realtà la nave nemica non riuscì mai ad avvicinarsi, stroncata da una serie di bordate di potenza inaudita (4 o c5 tiri successivi in cui totalizzammo il massimo). Insomma, nessuno ha il controllo totale della trama.

Conclusioni (?)
A parte il fatto che il post è diventato chilometrico...
Lo scopo del GdR è divertire e intorno al tavolo da gioco bisogna divertirsi, senza concentrarsi troppo sulla metanarrazione.
D'altro canto il GdR è una palestra di scrittura non trascurabile, sopratutto per la gestione del personaggio. Quindi uno sguardo a un manuale di Gioco di Ruolo, specialmente a uno di quelli dei giochi più narrativi (come ad esempio Vampiri) non fa sicuramente male a uno scrittore o a un aspirante tale.