mercoledì 31 luglio 2013

Interludio estivo (di follie burocratiche e romanzi conclusi)


Il mio corpo anelava la vacanza che la mia mente aborre.
Riposo - mare - riposo.
Constatato che potevo (miracolosamente) allontanarmi da casa senza temere disastri apocalittici (in effetti al rientro ho trovato solo alcune piante in sofferenza), una mia amica ha trovato il luogo ideale per il genere di giornate di cui avevo bisogno. E in effetti con un'amica che garantiva una conversazione interessante e tutto un romanzo da revisionare non posso neppure dire di non essermela goduta. Scrivere e rileggere sulla terrazza da cui ho fotografato il cactus in fiore davvero non era male.

Bene, pensavo, eccomi pronta ad affrontare la burocrazia. C'è il corso abilitante da acchiappare. Le iscrizioni? Dal 30 luglio al 29 agosto, certo, se no che divertimento c'è. Una parte on-line e una parte da fare in una segreteria di una scuola o in un provveditorato. In agosto, certo. Ci aspettavamo di meno?
Prima la parte on-line. Tutti ai blocchi di partenza ieri mattina. Tutti, tranne il ministero.
Sarà on-line alle 12. Sarà on-line alle 16. Sono le 9.30 del 31 e ancora on-line non c'è. Sarà in vacanza il tecnico. Sarà, ma anche il prof precario vorrebbe potersi allontanare da casa, in agosto.
Si attende.

Almeno il romanzo Sherlockiano è concluso concluso. Ieri ho finito l'ultima revisione, con una sorta di struggente malinconia. Non mi resta che farne il PDF e mandarlo dove deve andare. Mi chiedo se anche gli altri provano questo senso di tragico distacco alla fine di una storia lunga.
Lo ammetto, non sono un'amante del violino, il mio strumento ad arco preferito è il violoncello, ma ho ascoltato parecchio violino per scrivere questa storia. E adesso mi mancherà pure quello.
Eppure ci sono già dei personaggi che aspettano, nell'anticamera della mia mente, promettendomi nuove storie.
C'è persino una mezza idea di protagonista femminile, finalmente.

martedì 30 luglio 2013

Da uno scritto di Aldo

Rubo dal blog di Alfa alcune frasi scritte da Aldo nelle quali mi riconosco e con le quali mi piace ricordarlo


«Sono fermamente convinto che in un ogni granello di sabbia siano compresi tutti i principi che regolano l'universo. Quest'ottica mi accompagna anche durante tutte le esperienze che vivo con i ragazzi delle scuole da 27 anni a questa parte.
Tendo cioè ad accompagnare i miei giovani compagni di viaggio a esplorare il mondo in tutti i suoi aspetti, in modo da diventare coscienti che ne facciamo parte anche noi e in modo da diventare consapevoli che ogni nostra azione, o non azione, ha un effetto sul tutto.
Ognuno di noi può affrontare il mondo in cui vive in due modi.
Possiamo vivere la vita in modo “piatto”, superficiale, dove tutto è sempre uguale a se stesso e dove crediamo che tutti i “sani” ragionino allo stesso modo, con gli stessi valori. In quest'ottica ogni volta che qualche cosa cambia, o qualcuno esprime un modo di ragionare diverso, si tende a riportare tutto alla rassicurante “normalità”.
Se invece teniamo come riferimento la frase illuminante “L'occhio vede ciò che la mente conosce” si aprono prospettive completamente diverse. A quel punto il “tutto” di cui facciamo parte inizia a delinearsi come un insieme infinito di “paesaggi”, diversi per ognuno di noi in base alle proprie conoscenze, esperienze, età, ecc.
Ad esempio, se qualcuno, o noi stessi in un certo momento, guardiamo il mondo con un filtro verde vediamo tutto con tonalità verdi; idem se qualcun altro, o noi stessi in un momento diverso da prima, guardiamo attraverso un filtro rosso: vediamo tutto con tonalità rosse.
Nessuna delle due visuali è “sbagliata”: semplicemente è una visuale parziale del tutto.
Per tendere a farci un'idea il più completa possibile si può giocare a guardare da più filtri, un po’ come avviene ultimamente nei film 3D, sempre però rimanendo consapevoli della parzialità del risultato, per altro in continuo mutamento.»
Aldo Maulini

sabato 27 luglio 2013

A Aldo, che mi ha insegnato com'è il coraggio.





Ci sono persone che ti arricchiscono, non le puoi dimenticare, anche se le sfiori soltanto, anche se le hai incontrare un giorno o un'ora.

Se ne è andato nella notte, Aldo Maulini.
Di lui vorrei lasciare un ricordo, del giorno in cui mi ha insegnato com'è il coraggio, quello vero.

Ultimi giorni prima di Natale. Ero nell'ufficio di Ecomuseo del Lago d'Orta, l'associazione di cui lui era tra i soci fondatori e con la quale collaboro da anni. E' entrato sorridendo, dopo aver salito con fatica le scale.
Con tutta la semplicità del mondo, con una voce che non ha mai perso la sua abituale pacatezza, ci ha spiegato che gli era stata diagnosticata la SLA e cosa avrebbe significato per lui. Con piena consapevolezza ha descritto quale sarebbe stato il decorso più probabile della malattina, che presto gli avrebbe impedito di continuare quello che per lui era più che un lavoro, la gestione di una fattoria didattica con un mirtilleto biologico ricavata dal recupero di un alpeggio.
E io che non sapevo cosa dire, ho pensato che quello, davvero, era il coraggio. Guardare con consapevolezza avanti, senza avvilupparsi d'illusioni, ma senza abbassare lo sguardo.

Ha affrontato la malattia come tutto il resto, con coerenza e dignità, facendosi portavoce, anche quando di voce non ne aveva più, nelle lotte per i diritti dei disabili.

Grazie Aldo, ovunque tu sia, per il privilegio di averti conosciuto.

sabato 20 luglio 2013

La donna col liuto - Un racconto per l'estate


E col persiano beato in mezzo al prato, auguro a tutti delle buone vacanze.
Da questo momento in poi sarò a casa un po' "a macchia di leopardo" fino a metà agosto, per cui qualche post potrebbe anche uscire. Poi il blog riprenderà col suo solito ritmo, partendo con le anticipazioni delle pubblicazioni autunnali, visto che due racconti dovrebbero vedere la luce prima di Natale.

Per lasciarvi con una bella lettura ho recuperato dai meandri della rete un racconto a cui sono abbastanza affezionata. Lo scrissi per partecipare a un concorso, anni fa, dove non riuscì a distinguersi, col senno di poi, lo considero comunque un buon testo. Probabilmente è in assoluto il mio primo esperimento noir.

Siamo più o meno di questa stagione, sempre sul mio amato lago, ma nel 1219.
Una donna misteriosa è giunta sull'Isola di San Giulio per suonare in onore del vescovo. A proteggerlo, tuttavia, c'è un uomo il cui destino ha già sfiorato il suo, dieci anni prima, a Carcassone. Tra vecchi segreti e nuovi pericoli, si troveranno entrambi a fare i conti con i proprio fantasmi

giovedì 18 luglio 2013

martedì 16 luglio 2013

LA ROCCIA NEL CUORE su La Repubblica Milano


Oggi, dopo aver lavato i vetri e essere andata a correre ho messo un vestito nuovo, senza un motivo particolare. Ogni tanto anche a me piace "vestirmi da donna" e poi avevo un impegno in ospedale con mia mamma e quindi qualcosa di allegro ci stava bene a far contrasto col grigio.
Così, nel mio vestito messo senza alcun motivo, senza aspettativa ho risposto al telefono. Era l'ufficio stampa della mia casa editrice, Interlinea, per avvisarmi che mi avrebbe chiamato una giornalista per un'intervista. Di La Repubblica.
E quasi subito dopo mi sono trovata al telefono con una giornalista gentilissima, che mi faceva parlare del mio romanzo, mentre io me ne stavo sul mio balcone di paese, con una mano a reggere il telefono e l'altra a scacciare i bruchetti che si stanno mangiando le mie rose.
Il risultato della chiacchierata dovrebbe uscire domani, 17 luglio, sulle pagine di Milano.

Dopo, a telefonata terminata, una serie di pensieri, oltre a tutte le cose intelligenti che avrei potuto dire e non ho detto e libri e persone da citare che non ho citato.
Sui siti e i blog di scrittura si parla ancora, in questi giorni di editoria a pagamento e autopubblicazione.
Interlinea non mi ha chiesto un euro, ho inviato il mio manoscritto secondo le modalità indicate dal sito, senza alcuna conoscenza o raccomandazione. Il testo è stato letto, editato e coccolato. Io ho fatto quello che ho potuto in termini di presentazioni e promozione, e altrettanto ha fatto la casa editrice, mettendomi in contatto con librerie, eventi culturali o giornalisti. Per come funziona la mia mente questo è l'unico modo in cui l'editoria può funzionare.
Si può fare tutti da soli, certo, ma oltre a un buon testo bisogna avere anche tempo e il carattere giusto. Io da sola mi sarei fermata alla presentazione qui a Briga Novarese (senza nulla togliere al mio comune, che amo e ha una super sindachessa che è stata mia prof).
Farsi pubblicare non è facile, nessuno lo sa meglio di me. Io credo poco nel talento, quindi ho studiato, ho letto, ho scritto e riscritto. Non bisogna farsi abbattere. Bisogna giocarsi le proprie chance nei concorsi, sperando di emergere tra 200 altri testi se sono pochi.
Ma da Briga Novarese alla libreria, quella vera, non quella teorica della tiratura da 200 copie, si può fare e senza nessuna spintarella.

Aikido!


Il Nik pratica Aikido e domenica ho assistito a una presentazione dell'arte marziale.
Da che ho scoperto che il praticante di aikido si chiama aikidoka, ovviamente nella mia mente è partito il delirio.
Nella mia visione gli aikidoka sono simpatici pennuti, all'inizio hanno un piumaggio completamente bianco, sono pulcini e pigolano dicendo "kyu kyu" (l'aikido non ha cinture, e i kyu sono i gradi dei principianti). Poi fanno la muta e acquisiscono il tipico piumaggio bicolore, bianco e nero, non pigolano più e il loro verso diventa "dan, dan" (i dan sono i gradi dei maestri).
Al di questa mia follia, rimane il fatto che l'aikido è un'arte marziale gentile, per quanto può esserlo un'arte marziale, difensiva e meditativa. Non esiste il combattimento né l'agonismo, si studiano le tecniche di difesa e il movimento del corpo.
Gran parte del fascino, ameno per me spettatrice, è dato dal fatto che oltre alle tecniche a mani nude, si usi bastone, spada e pugnale (tutto di legno, per ovvie ragioni di sicurezza). A vederlo da fuori sembra quasi una danza, tanta è l'eleganza con cui impara ad evitare e neutralizzare un attacco.

Certo, se è il tanto di luglio, sono le tre del pomeriggio e si è sotto un tendone di plastica, c'è anche da ammirare la resistenza al caldo dei praticanti.
Ma lo stoicismo, si sa, è la base delle arti marziali.

lunedì 15 luglio 2013

Visioni - 7 psicopatici


Marty è uno sceneggiatore alcolizzato, ma di animo mite. Forse è per questo che fa così fatica a terminare un copione dal titolo "7 psicopatici". Per fortuna il suo migliore amico, che per campare rapisce cani, continua a segnalargli storie interessanti e arriva addirittura a mettere un'inserzione sul giornale. Le cose si complicano quando viene rapito il cane di un boss mafioso, decisamente psicopatico, e quelli che si credevano solo personaggi di fantasia iniziano ad acquisire una concretezza reale.
In un'escalation di personaggi improbabili (lo psicopatico col coniglio, lo psicopatico quacchero, lo psicopatico buddista) tutti vengono trascinati in un turbine di follia e violenza, tutti alla ricerca del proprio finale.
7 psicopatici è un film folle proprio come il titolo promette, tuttavia il regista è bravissimo a non perdere mai le redini di una storia apparentemente ingestibile.
Ne esce un film stralunato che in un attimo è capace di cambiare tono, passando da sparatorie alla tarantino a sequenze metanarrative. Tuttavia non perde mai la sua leggerezza, regalando allo spettatore un divertimento colto e cinefino.
Ideale per una serata estiva disimpegnata, anche se il finale nel deserto non aiuta a dimenticare la calura.
Il voto non può che essere un 7, come gli psicopatici, e mezzo.

venerdì 12 luglio 2013

Divagazioni oniriche su democrazia, fisica e senso comune


Gli androidi forse sognano pecore elettriche, il Persinano non si sa, ma quando sta addormentato in questo modo sulle gambe del Nik e sogna, cade.
Io questa notte ho sognato di assistere a una conferenza sulla democrazia. La cosa strana è che al risveglio me la ricordavo più o meno tutta e ero pure d'accordo col parto del mio inconscio.
Per cui, prima che il ricordo si faccia rarefatto e svanisca nell'aria, provo a farne un piccolo sunto.

La democrazia non è esperienza comune nella vita dell'uomo, anzi, va contro al senso comune. Nell'infanzia non si sperimenta la democrazia, ma, se va bene, il dispotismo illuminato. Una mamma non indice un'assemblea per fa sì che i figli votino la decisione di mettersi un maglione più pesante, dice "Copriti che fa freddo" (nel sogno c'era questo esempio preciso). Per questo la democrazia non è un tipo di governo istintivo, è istintiva invece la tentazione dittatoriale, l'idea che possa arrivare un "uomo forte" a sistemare le cose e tale tentazione, proprio perché istintiva, si fa più forte nei periodi di crisi, quando nel nostro cervello entrano in funzione meccanismi rettiliani di "attacco o fuga".
La prima cosa che bisogna tenere conto ragionando sulla democrazia, quindi è che non è istintiva. Ora il senso comune ci dice che ciò che è istintivo di solito funziona ed è vero, ma non è così. Il senso comune ci dice che il tempo scorre sempre uguale e viene naturale paragonarlo a un fiume, ma la fisica ci dice che è invece una variabile e che in determinate situazione può rallentare o accelerare.
Per giungere a una democrazia matura, proprio come per approcciare la fisica moderna, bisogna fare uno sforzo di astrazione. Bisogna sforzarsi di credere che un sistema di governo complicato pieno di pesi e contrappesi che raramente riesce a mettere in campo le tipiche "risoluzioni semplici a problemi complessi" possa funzionare. E come uno scienziato è consapevole che un conto è un esperimento in ambiente controllato e un conto e un fenomeno che avviene in un sistema complesso, la democrazia nella realtà sarà imperfetta e a volte imprevedibile.
A questo punto il relatore apriva una parentesi chiedendosi se sia un caso che la democrazia sia nata proprio nell'antica Grecia, patria del sistema astratto, dove la filosofia aveva già nettamente diviso ciò che indicano i sensi da ciò che avviene nella realtà.
Ora, se la democrazia necessita di astrazione, anche i cittadini, quando la esercitano devono saper operare per astrazione, distinguendo tra senso comune e bene comune. Il rischio sono le democrazie immature, dove le decisioni popolari acquistano il colore di vendette di massa o portano, paradossalmente a scelte dittatoriali. L'esempio tipico è la Germania che, in piena crisi economica vota in massa "l'uomo forte", finendo nelle braccia del nazismo. Anche la stessa Atene classica è morta di democrazia immatura, la popolazione, seguendo quello che sembrava l'interesse comune, ma in pratica era un infantile desiderio di supremazia, è finita nella guerra del Peloponneso dalla quale, di fatto, non si è mai ripresa.
Dunque la democrazia necessita di convinzione e astrazione, sia nella sua progettazione, sia nella prassi di tutti i giorni. Non è istintiva, ma interiorizzata, va imparata, esattamente come va imparata e interiorizzata la fisica moderna.
Da qui si passa alla situazione italiana, che tutti gli analisti definiscono una democrazia immatura, con un elettorato che vota più per tifo che per convinzione. Ma quando e dove l'italiano interiorizza e impara la democrazia? Non certo in famiglia, come si è visto. Non certo a scuola. Nella patria della Montessori la scuola italiana è un dispotismo non illuminato in cui lo studente non sceglie cosa studiare, quando studiare o che importanza dare a una determinata materia. Non c'è flessibilità all'interno del sistema scolastico italiano né c'è modo per i ragazzi di influire su programmi e organizzazioni. I rappresentati di classe, i primi rappresentati che gli italiani eleggono hanno un potere praticamente nullo. Quindi a diciotto anni l'italiano si trova a votare con, se va bene, una conoscenza teorica del funzionamento della democrazia italiana e nessuna pratica. Sopratutto nessuna pratica della differenza basilare tra senso comune e bene comune.
E ci stupiamo che la nostra democrazia sia immatura?

Ora, alcune considerazioni estemporanee.
Ma dove ho pescato queste cose?? Vorrei sentire Freud che avrebbe da dire, se la potrebbe cavare con il solito disturbo della sfera sessuale.
E cosa direbbero quelli che traducono i sogni in numeri del lotto? Su che ruota si gioca l'astrazione democratica?
In ogni caso sono d'accordo su tutta la linea col mio inconscio. Però se ogni tanto mi regalasse qualche divagazione onirica meno impegnativa...

Al risveglio, constatato che non mi ero assopita in una sala conferenze, ho trovato invece le bozze di un racconto che s'invola e verrà pubblicato in autunno.
Regali di Natale sistemati anche quest'anno!

giovedì 11 luglio 2013

SH - Ultimo capitolo


Ed eccomi qui, alla fine ci sono arrivata. All'ultimo capitolo dell'apocrifo sherlockiano. In linea con la tempistica che mi ero prefissata, entro qualche giorno l'avrà finito, per dedicarmi durante le vacanze alla revisione.
E' un momento stranissimo, quello dell'ultimo capitolo, ne avevo già parlato qui, quando mi ero trovata nella stessa situazione con il thriller storico che ora cerca casa.
Si prova senso di straniamento, di abbandono, come se fossero i miei personaggi a lasciarmi e non io a lasciare loro. Una sorta di panico: troverò un'altra storia da scrivere? Che ne sarà di questa?
Quella con Sherlock Holmes è stata una convivenza lunga un anno, iniziata proprio di questi tempi, quando qui ho pubblicato uno dei miei primi esperimenti col personaggio (la data, in effetti, è del 28 luglio 2012). Una convivenza estremamente produttiva, dato che ha originato 4 racconti e un romanzo (sindrome della pagina bianca? Cos'è? Si mangia?) e che, al di là del mero piacere di scrivere, mi ha regalato altri momenti impagabili. Tra questi lo studio ragionato delle lapidi vittoriane del cimitero degli animali di Londra eseguito sotto i miei occhi dalle insuperabili Manu e Elena per scegliere su basi statistica il nome più probabile per il cane di Watson (che, no, non poteva chiamarsi Gladstone come nel film). Oppure l'imbarazzo nel leggere (prendendo appunti) un manuale on-line per imparare a scassinare le serratura. Per il momento i carabinieri non sono ancora venuti a prendermi. Per non parlare delle liti del giovedì sera per convincere il Nik a guardare sul 142 di Sky lo Sherlock Holmes con Jeremy Brett. Va detto che il poveretto si era già subito Elementary e tutta una serie di discussioni che spaziavano dalla velocità dei treni agli sterzi delle automobili a vapore (una delle quali è stata messa in moto nel romanzo quasi a furor di popolo).
Sono soddisfatta? Domanda complicata. Appena sarà finito vi troverò tutti i difetti del mondo. Tuttavia, appartenendo a un genere tanto specifico di cui ho letto quasi tutto il leggibile (mi manca soluzione al 7% e Il mandala di Sherlock Holmes che non ho trovato), posso dire di sì.
Ho scritto l'apocrifo che avrei voluto leggere, dinamico, frizzante, con molta azione, molta deduzione e dialoghi brillanti, il tutto in un finto ottocentesco che volevo leggero e elegante. Sopratutto, ho raccontato una storia che mi stava a cuore, che incredibilmente nessuno ha sfruttato in un romanzo e che sembrava fatta apposta per Sherlock Holmes.
Adesso non resta terminare, revisionare e sperare che questa storia trovi la strada della libreria.

Per intanto vi regalo lo scorcio più privato del mio Holmes:


"Holmes non esternava mai i propri sentimenti. Se ne parlava, era per ribadire la superiorità della mente e per invitare l’interlocutore a diffidare dai moti dell’animo. Ma suonava. E attraverso le note veicolava tutte le sue parole non dette e i sentimenti non esplicitati. Nella musica, solo attraverso la musica, persino Sherlock Holmes si emozionava."

E a novembre, sulla rivista Sherlock Magazine, sarà pubblicato il mio racconto Avventura a Parigi.

martedì 9 luglio 2013

Visioni - Django


Sono convinta che Tarantino sia un serial killer mancato. Nelle sue storie i sentimenti sono solo funzioni necessarie per muovere gli eventi e arrivare a ciò che davvero gli interessa: ammazzamenti, schizzi di sangue, esplosioni. I suoi personaggi non hanno empatia, si muovono per noia, curiosità, crudeltà o per, appunto, sentimenti stilizzati interessanti solo in quanto motori della vicenda.
Detto questo, Tarantino ha anche un talento visivo unico, non c'è inquadratura nei suoi film che non sia splendida.
Da un punto di vista formale, Django è un esercizio di stile, una rivisitazione postmoderna degli spaghetti western (già piuttosto postmoderni di loro), di cui vengono ripresi stili, sequenze, inquadrature e colonna sonora.
Dal punto di vista della trama non starò lì a tediarvi con la storia d'amore, la schiavitù o altro, è, come sempre, una scusa per arrivare a un finale di scatenata violenza.
C'è da dire che funziona.
Sarà che sono cresciuta a pane e Sergio Leone, sarà che il tedesco ha la simpatia sorniona di un Yanez de Gomera, sarà che gli attori sono tutti molto bravi a rendere se non credibili, almeno plausibili i loro personaggi.
Il film scorre tra paesaggi mozzafiato, battute fulminanti e improbabili schizzi di sangue.
Ovviamente non bisogna cercare un senso profondo, una riflessione o anche solo un'emozione. E' pura estetica. Ma almeno è fatta bene.

lunedì 8 luglio 2013

Il tempo della bicicletta


Non sono una ciclista.
In particolare non mi piace fare le salite in bici, già corro, grazie, vi assicuro che è una fatica sufficiente.
La bicicletta è un mezzo di trasporto che rispolvero d'estate.
Dal mio paesello alla "metropoli", quella che possiede una libreria, un cinema e una piscina, ci sono due km di strada e un groviglio di ricerca di parcheggio. Alla prova dei fatti in piazza si arriva nello stesso identico tempo dopo aver parcheggiato nel primo posto disponibile e giungendovi in bici.
Ma la bicicletta per me è sinonimo di un altro ritmo, fare quello che si deve fare senza correre e senza angosce. Godendosi anche gli spostamenti.
E' l'estate. E' un privilegio. Da assaporare, finché c'è.

giovedì 4 luglio 2013

Scrittevolezze - Tuttologia applicata


Regola basilare della scrittura è che bisogna raccontare ciò che si conosce.
Ma cosa si deve conoscere? Tutto!
Se c'è una figura che deve avvicinarsi allo studioso totale rinascimentale, è quella dello scrittore. Per creare una storia coerente bisogna delineare con precisione e accuratezza il mondo in cui i personaggi si muovono. Non ci sono scuse né alibi. Anche se una storia è fantastica deve avere elementi di verosimiglianza, se faccio un fantasy in un mondo che obbedisce più o meno alle nostre leggi fisiche e il mio eroe è maestre di tiro con l'arco, devo sapere tutto di archi. Il fatto che l'ambientazione sia frutto della mia fantasia non mi autorizza a sbagliare nel descrivere le procedure del tiro al bersaglio! Se viene forgiata una spada, che sia forgiata con tutti i crismi e così via. Se l'ambientazione in cui ci muoviamo è reale, a maggior ragione dobbiamo essere accurati.
Nel lavoro di documentazione, internet è un palliativo e non la cura, serve a rifinire, non a creare. Serve a controllare dati, a recuperare materiale iconografico, in generale, ad avere conferme. E' indispensabile, ma solo se si ha già un quadro di riferimento.
Ma come si fa ad essere tuttologi? Sull'ossatura della storia bisogna avere una solida documentazione, certo, ma per il contorno?
Se c'è un consiglio che mi sento di dare agli aspiranti scrittori è: interessatevi di tutto. Non siate settoriali nelle vostre passioni. Vi capita di poter assistere a una conferenza su un argomento di cui non sapete nulla? Andate. Vi imbattere in un documentario curioso? Guardatelo. Andate al cinema a vedere anche film che non avete scelto, che trattano argomenti a voi estranei. Siate curiosi, ponetevi delle domande, approfondite e cercate risposte. E sopratutto ascoltate la gente. A tutti piace parlare delle proprie passioni e scoprirete intorno a voi esperti di materie inaspettate. Ascoltateli e annotatevi, mentalmente o fisicamente di che cosa quella data persona è appassionata. Scoprirete amanti di acquari che riproducono le profondità dei laghi africani, ingegneri che maneggiano la cucina molecolare, modellisti esperti in riproduzioni di aerei della seconda guerra mondiale, appassionati di storia locale che conoscono la storia di ogni pietra del vostro paese. Ascoltateli. Forse non vi servirà oggi, magari non vi servirà mai, ma intanto avete imparato qualcosa, magari avete stretto un'amicizia e se tra quindici anni dovrete scrivere di un sub che si inoltra nelle profondità del lago Vittoria, saprete a chi chiedere.
LA ROCCIA NEL CUORE è ambientato nelle mie terre, la documentazione è in apparenza semplice. Ma padre Marco è un prete, Gabriele è appassionato di fisica e il suo amico Michele di biologia. Per Marco mi sono avvalsa dell'aiuto di un'amica laureata in Scienze Religiose, per Gabriele ho letto Feynman e ho chiesto aiuto a chi di fisica ne mastica più di me. Mio marito è appassionato di biologia, a un certo punto avevo bisogno di un Michele offeso che ignora l'amico e continua a leggere il suo libro. Quale libro? Io gli avrei messo in mano L'Anello di re Salomone, di Lorenz, ma mio marito mi ha corretto. Una come me, a cui la biologia piace, ma non ne ha fatto la sua passione primaria, legge a 15 anni l'Anello di re Salomone. Uno come Michele Lorenz lo ha già divorato entro la quinta elementare. A quindici anni legge Il fenotipo esteso, un testo molto più per specialisti. E' solo un tocco, che il 99,9% dei lettori supera senza pensarci, ma aiuta a creare coerenza nella storia.
Perché questo è poi il punto. La tuttologia deve essere applicata. Non si deve vedere, non ci devono essere pedanti spiegoni, ma piccole pennellate qua e là che diano il senso della profondità del nostro mondo.

PS: ma avete visto che fioritura i cactus di casa mia?

mercoledì 3 luglio 2013

Letture - Dritto al cuore

Elisabetta Bucciarelli

Da quando ho deciso di leggere più autori italiani ho fatto un sacco di belle scoperte.
Tra i tanti, questo è forse il romanzo che più entra nel profondo.
La prima cosa che si nota è la tessitura della prosa, bella e rarefatta come i luoghi che descrive, un piacere che ti trascina nella lettura prima ancora che la storia prenda forma.
Poi c'è l'ambientazione. Un villaggio in alta quota che sembra ruotare intorno a una strana casa, immerso in boschi e vallate dove geografia reale, simbolica e mitologica si mescolano.
Qui, nella stagione estiva, si incrociano le storie e i destini degli abitanti del villaggio e dei villeggianti. A metà tra queste due popolazioni c'è Maria Dolores Vergani, poliziotta in aspettativa, tornata nel luogo delle sue estati di bambina per lenire le ferite dell'animo. Ma ci sono altre ferite, o errori del destino, che vanno sanati, c'è il cadavere di una donna ritrovato nel bosco, la morte misteriosa di una mucca destinata a combattere e il mistero vecchio che coinvolge una donna morta troppo giovane, un uomo che non si mostra mai e un altro che ha perso la memoria.
L'indagine più contingente, a dire la verità, è più un pretesto narrativo per esplorare luoghi, animi e misteri più profondi. Gli animi, del resto, l'autrice li sa dipingere davvero bene ed è difficile decidere quale personaggio rimane più impresso, anche se giganteggiano tre figure di donna, una di cui è rimasta quasi soltanto una voce, l'unica ragazza del villaggio e, appunto, Maria Dolores.

L'unica controindicazione è che a volte questo libro tocca vette di malinconia soverchianti. In questo momento avrei voluto credere a una felicità possibile. Ho tifato fino all'ultimo per un lieto fine, che però sembra non impossibile, ma di certo improbabile.

In ogni caso, una lettura caldamente consigliata.

lunedì 1 luglio 2013

Bilancio di fine anno scolastico


Oggi è il primo di luglio.
Tutti licenziati, gli alunni, che hanno conseguito la licenza media, e i precari che si avviano verso l'ufficio del lavoro per sbrigare le pratiche per ottenere l'indennità.

Nel bene e nel male è stato un anno scolastico epocale, che rimarrà unico e ben scolpito nella memoria. Per noi insegnanti e in particolare per noi precari è molto più facile ragionare in termini di anni scolastici piuttosto che di anni solari. Un corpus di mesi in cui si frequentano determinati ambienti e determinate persone che poi potresti non incontrare mai più o che potrebbero diventare il tuo ambiente lavorativo per i prossimi quarant'anni.

Per dare un'idea di cosa siano stati questi mesi, qualche cifra, anzi, una sola.
5
Come i racconti che ho pubblicato ( + il romanzo!).
Come gli interventi chirurgici subiti dai miei genitori, quattro da mia mamma e uno da mio padre, perché non vogliamo farci mancare niente.
Come i mesi di degenza di mia madre, che alla fine dall'ospedale dovrebbe uscire domani, con coincidenza perfetta con la fine dell'anno scolastico.
Cinque sono anche i giorni che sono mancata dal lavoro, tra malanni e permessi, cosa di cui sono abbastanza fiera, perché vuol dire che il fisico bene o male ha retto.
Cinquecento sono le volte che ho detto "Non sono mai stata così stanca". E ogni volta, credo, ero sincera.
Appena un poco di meno quelle in cui ho detto "Non ce la posso fare". Già perché non è che, anche senza tutto il contorno, questo anno scolastico in quanto tale si sia potuto definire facile. Ci sono stati momenti in cui non volevo più insegnare e non mi sentivo in grado di interagire con la gente. Ci sono stati momenti in cui mi sono commossa e tutto di colpo ha riacquistato senso.
C'è stato un momento in cui davvero volevo fermare in mondo e scendere. Sono andata da uno psicologo. Una cura miracolosa. Mi ha detto che non soffrivo né di crisi d'ansia né di attacchi di panico, ma di uno stato ansioso dovuto a stress eccessivo. Potevo tranquillamente uscirne con 10/15 sedute settimanali a 65€ l'ora. E di colpo ho pensato che io 65€ ogni settimana per un tempo continuato solo per il mio egoistico benessere non le avevo mai spese. Sono di quelle che comprano vestiti quanto servono, vanno dalla parrucchiera solo se strettamente necessario e mi faccio durare il più possibile ogni cosa. E allora, forse, se mi concedevo qualche coccola in più, forse ce l'avrei fatta anche senza psicologo. Da quel momento ho mangiato più gelati e in generale più golosità (avrei il terrore a fare gli esami del sangue ora), ho comprato tutti i libri che desideravo comprare e mi sono concessa persino qualche vestito in più. E pian piano le cose sono iniziate a migliorare.
Questo lo devo anche a un sacco di persone meravigliose che mi sono state vicino.
Nik mi ha scarrozzato a destra e a sinistra, facendo lo slalom tra i vari impegni: ospedale - presentazione libri - scuola - supermercato. Non ha protestato per le condizioni della casa, né per le cene preparate in meno di dieci minuti e ha imparato a far la spesa mentre io ero altrove. E ha ascoltato, sostenuto e supportato.
Le mie colleghe Simona e Elena mi hanno dato un enorme aiuto, sia pratico che morale.
Altrettanto aiuto, sia pratico che morale, è arrivato dal gruppo del gioco di ruolo. Non so come appaia da fuori, una buffa cosa, immagino, un gruppo di adulti che si mette intorno a un tavolo a interpretare personaggi fantasy. Nella pratica, il gioco di ruolo è stata la mia piccola oasi. Perché quelle che si radunano intorno al tavolo a interpretare personaggi fantasy sono persone eccezionali, di una ricchezza interiore (ma anche intellettuale) unica. E quindi grazie, grazie di cuore a tutti voi.
Un altro aiuto non da poco è venuto dalla scrittura dell'apocrifo sherlockiano.
Alcuni sono stati un po' perplessi da questa scelta, dato che sarebbe stato più ovvio scrivere il seguito de  LA ROCCIA NEL CUORE o del thriller storico e invece mi sono buttata a pesce su una storia che, se va bene, sarà destinata a una nicchia ristretta di lettori. Ma io avevo bisogno di scrivere ciò che avrei voluto leggere. Una storia leggere, anche se non banale, con azione, indagine e commedia. E' come se fossi andata io a Baker Street a presentare il mio caso "Sono stanca, sono preoccupata e quando scrivo voglio stare bene, voglio una storia che mi appassioni, che valga la pena di essere raccontata, ma che non mi porti in luoghi troppo oscuri". E la risposta è arrivata con uno di quei sorrisi un po' felini di Holmes. "Seguimi. Ti porto in Italia, ma un'Italia che non conosci. Ti prometto omicidi apparentemente impossibili, uomini meccanici, macchine a vapore, inseguimenti e valanghe. E ti prometto una storia vera che nessuno ha mai raccontato in un romanzo. E questo, da solo, è un delitto a cui dobbiamo porre rimedio".
E io come potevo dire di no?