venerdì 29 luglio 2016

Solo gli amanti vivono

Il bello di avere un blog è il frequentare altri blog. Così può capitare che è un pomeriggio d'estate e sei a casa ad aspettare che arrivi il tecnico per la lavastoviglie (che attendi più o meno come un messia, perché odi, profondamente, lavare i piatti). La mattina hai studiato perché devi fare l'orale del concorsone, altro che vacanze, e hai letto Svevo e Joyce (preferendo di gran lunga Svevo a Joyce, tra l'altro). È pomeriggio, quindi, e stai scrivendo. Ma hai il cervello a ricarica breve e ogni venti minuti massimo impone una pausa. Quindi vai su uno dei blog che segui, quello di Hel, e ci trovi questo post.
C'è uno spunto, o una sfida.

Bisognerebbe scrivere un romanzo d’amore intricatissimo, partendo da un’idea semplicissima: gli amanti vivono, tutto il resto è vita di coppia.

Io un romanzo d'amore non so scrivere. Però ci posso fare un mini racconto. Con i piatti da lavare, l'insoddisfazione, l'estate e un'idea da una puntata di telefilm della sera prima.



SOLO GLI AMANTI VIVONO

Gli amanti vivono. Tutto il resto è vita di coppia. I coniugi si lasciano vivere. È questo che volevi dire? Che noi non viviamo davvero, perché la banale accettazione dello status quo ci uccide? Perché finiamo per fare quello che tutti si aspettano che facciamo e dimentichiamo di fare ciò che vorremmo fare? 
Ecco, Ernesto, neppure mi ascolti…

Un amante costringe al segreto e al sotterfugio e quindi a uscire dall’ordinario e tutto quello che è fuori dall’ordinario fa sentire vivi. Ci costringere a compiere delle scelte e ad assumere dei rischi. Gli amanti non si amano l’un l’altro, amano il fatto di essere amanti. Se non fossimo sposati, Ernesto, ti gireresti, mi guarderesti, mi presteresti attenzione. E ti sentiresti vivo al pensiero che sei qui, sotto la veranda con la tua amante e devi fare in modo si non essere scoperto. Dovresti darmi un motivo, continuamente, per farmi restare qua. Sarei una scelta e non un’abitudine.
Ernesto… 
Dimmi qualcosa, alzati da quel dondolo, è così frustrante parlarti mentre mi dai le spalle…

Se io fossi la tua amante non importerebbe la mia età o la mia bellezza. Ameresti te stesso e l’essere qui di nascosto, non me. E forse anch’io riuscirei ad amare quest’orrenda baita dei tuoi dove ogni estate finiamo per venire. E il fatto che rimani la sera sotto la veranda, seduto sulla sedia a dondolo a guardare le vette, mentre io lavo i piatti. Forse, se fossimo amanti e avessi scelto di venire qui, mi sentirei viva e amerei anche lavare i piatti. Non vorrei essere altrove, magari qualcun altro, fantasticando e, pertanto, dimenticandomi di vivere. Forse non è neppure colpa nostra. Solo gli amanti vivono. E possono essere felici.
Ernesto… 
Però adesso alzati, inizia a fare freddo…

Ernesto…
Ernesto…
Ernesto, cielo! Respira! Resiti! Dove caz... ho messo il cellulare… Chiamo il 118!
Non mi lasciare Ernesto!
Non posso vivere senza di te!

mercoledì 27 luglio 2016

Quello che ancora non ho capito sulla scrittura


Dopo Cose che ho capito sulla scrittura sarà in caso di scrivere anche quello che ancora non ho capito, con un po' di serietà e di sciocchezze estive, tutto mescolato per bene!

– Come scrivere un best seller mondiale

– Come può uno scrittore, se non campa di scrittura, come pare non campi quasi nessuno qua da noi, a stare sempre sui social, a fare mille presentazioni in giro per l'Italia, a rispondere sì a tutte le richieste, a tutte le collaborazioni, specialmente quelle non retribuite, a essere sempre carino, bello, intelligente, interessante e disponibile. E a non morire di fame nel mentre.

– Come fare a capire se quell'idea vale davvero la pena di essere sviluppata

– Perché lo sviluppo di un'idea mi esce quasi sempre meno forte dell'idea stessa?

– Come fare a capire se quello che hai scritto vale la pena di essere letto, anche se 10 o 20 editori te l'hanno rifiutato

– Come fare in modo che la revisione migliori il testo, invece che peggiorarlo

– Come farsi venir voglia di revisionare per la decima volta un testo

– Com'è che tanti autori riescono a danzare con eleganza intorno a un buco di trama grosso come una voragine e io invece ci cado dentro?

– Com'è che a volte quelli che ai miei occhi sono eroi vincenti/positivi vengono considerati dei falliti/depressi da chi legge/valuta?

– Come fanno i grandi autori a gestire le grandi storie corali se io già mi incasino con tre personaggi?

– Come si fa a farsi venir voglia di scrivere la cosa che alla gente piace leggere? Non è che a me non vengano idee "alla moda". È che l'idea di scriverle mi repelle

– Come inserire coscientemente in un testo quei lampi di genio che rendono memorabile anche la descrizione di una cosa banale

Ecco qua. Voi cosa ancora non avete capito sulla scrittura?
E, sopratutto, avete capito le cose che io non ho afferrato e me le sapete spiegare?

lunedì 25 luglio 2016

I megaliti dietro casa – I megaliti di Aosta


L'amore si vede dalle piccole cose. 
Tutti, penso, sogniamo di essere amati e apprezzati proprio per le nostre caratteristiche più peculiari ed essere considerati interessanti e speciali in virtù delle nostre stranezze.
Mio marito questo l'ha capito benissimo, quando, come primo regalo mi ha fatto trovare un cazzuolino da archeologo. Per l'anniversario di matrimonio, quest'anno mi ha portato a vedere i megaliti di Aosta, in una breve fuga a due quanto mai gradita.
Non è che sia un'estate all'insegna del relax, questa, con l'ansia che sale ogni volte che inizia un telegiornale, con il concorso docenti e tante altre follie scolastiche che si allungano sotto l'afa e hanno  tutta l'intenzione di voler venire con me anche in vacanza.
Quindi Aosta e i megaliti!

Ah, i megaliti!
I megaliti, sono, letteralmente, grosse pietre. 
C'è stato un periodo, indicativamente tra il neolitico e l'età del ferro, in cui i nostri antenati andavano matti per le grosse pietre. Le allineavano, le univano, ne facevano circoli per onorare i morti e gli dei. Si sa pochissimo di quegli uomini e dei loro riti, ma il fascino dei megaliti lo conosce chiunque sia stato, o abbia solo visto in foto, i siti della Bretagna, di Stonehenge o del nord del Regno Unito
Megaliti alle Orcadi – Fascino
Quello che di solito si ignora è che i nostri megaliti li abbiamo anche qua, spesso dietro casa. Un po' ovunque anche in Italia ci sono resti megalitici. Solo che nel migliore dei casi non sono valorizzati. Nel peggiore sono stati più o meno coscientemente distrutti. Intorno a dove abito ci sono pietre incise un po' ovunque nei boschi, ignorate dai più. Ci sono i resti di costruzioni piuttosto imponenti. La più impressionate è tutt'ora usata come recinzione degli orti in un paesino qui vicino (fino a che è usata in questo modo almeno non si rovina). Presumibilmente è quello che rimane di una fortificazione decisamente imponente di un'epoca non precisata né precisabile in assenza di scavi.
Quindi Aosta.
Nulla di speciale che ad Aosta, dunque, ci siano dei magaliti, che non sono neanche particolarmente grandi. La cosa che rende meravigliosa la visita al nuovo museo di Saint-Martin-de-Corléans è che il sito megalitico è stato studiato meravigliosamente e musealizzato in modo sensato, comprensibile e affascinante.
Quindi, in breve, appena fuori Aosta c'era un sito sacro già nel neolitico. La cosa più impressionante ritrovata (è impressionante sopratutto il fatto che sia stata ritrovata) sono i resti di un'antichissima aratura, probabilmente sacrale. Cioè si vedono i segni lasciati nel terreno da un aratro migliaia di anni fa! Lì intorno, poi, furono tirate su delle steli finemente incise di eroi o di dee e scavate delle fosse riempite di offerte.
Dea, eroina o sacerdotessa
Altri pali, presumibilmente sacri, sono stati piantati nel terreno sopra a delle offerte.
Poi, qualcosa è cambiato. Le steli sono state decapitate, abbattute alle base e buttate giù con la faccia decorata contro il terreno. Il luogo, però, non ha perso la sua sacralità ed è stato usato come cimitero, cimitero presumibilmente speciale, con tombe a camera contenenti i membri insigni di un intero clan.

L'attenzione con cui questo sito è stato scavato e poi musealizzato apre una finestra su un mondo da cui siamo separati da migliaia di anni e da intere civiltà. Prima dei Romani, prima, probabilmente, anche dei Celti, abitavano ad Aosta persone basse e robuste, pacifiche (pochissimi armi nelle sepolture, nessun segno sulle ossa che faccia pensare a ferite di guerra), abituate a camminare in montagna. Offrivano agli dei i semi di quanto coltivavano e i crani dei loro animali migliori.
Erano in grado di trapanare il cranio e far sopravvivere chi si sottoponeva al trattamento (i resti sono davvero impressionanti), anche se non sappiamo se fosse un pratica medica o sciamanica.

Non sappiamo quale lingua parlassero, non sappiamo se l'abbattimento delle steli sia stato un cambiamento pacifico o se sia il segno di una conquista da parte di altre genti o di un altro clan. Eppure l'abilità degli archeologi, che hanno recuperato tracce minutissime, come frammenti di contenitori in corteccia di betulla, permette di sentirli vicini.

I museo, inaugurato da pochissimo, ha il raro dono della chiarezza. Si sviluppa intorno al sito, che è stato inglobato nella costruzione (io di solito preferisco i megaliti mantenuti all'aperto, ma immagino che la fragilità dei resti di aratura giustifichi pienamente la scelta). Ci si gira intorno e lo si guarda dall'alto, mentre le luci simulano il passaggio dal giorno alla notte. Tutto intorno i pannelli permettono di osservare, comprendere e spesso toccare le riproduzioni dei resti trovati. Finalmente un museo che non si limita a esporre, ma permette di capire il significato di un frammento trovato e racconta ciò che si può dedurre da quell'oggetto. Vari gradi di approfondimento permettono a tutti di trovare il percorso più congeniale, dal bambino all'archeologo.
Permette un raro incontro non tanto con i megaliti in sé (anche se le steli decorate sono magnifiche e ben valorizzate), quanto alla gente che li ha eretti.
Perché no, non sono stati gli alieni o i depositari di chissà quale sapienza scomparsa. Sono state persone basse e pacifiche, che soffrivano di ascessi ai denti e di artrosi in età avanzata.

Per saperne di più:
Area megalitica di Saint-Martin de Corléans
Corso Saint-Martin de Corléans
11100 AOSTA (AO)

venerdì 22 luglio 2016

Scorci di letture estive


Barriera per conigli – Doris Pilkington
Ne avevo sentito parlare durante il mio viaggio di nozze, in Australia. Cercato, mai trovato, fino a che un'amica non me l'ha regalato.
Se vi capita a tiro, leggetelo. Esile di pagine, ma tutt'altro che di contenuti è la storia vera, narrata dalla figlia di una delle protagoniste di tre ragazzine mezzosangue che vengono strappate dalla loro famiglia aborigena per essere "civilizzate". Loro scappano e viaggiano a piedi per due mesi nell'entroterra australiano per tornare a casa. Uno dei pochi romanzi che abbia letto che ribalta davvero il nostro punto di vista. Perché, parliamoci chiaro, queste erano ragazzine analfabete, figlie di padre ignoto, che vivevano ben al di sotto della soglia di povertà ed escluse (o così sembravano) anche dalla loro comunità. Quale assistente sociale, anche oggi, non approverebbe un allontanamento famigliare? Il loro punto di vista è, comprensibilmente, differente e fa a brandelli la nostra percezione.
Manu ne ha parlato qui
Io ho scritto qualcosa qui


Rilettura Magico Vento
Come si è visto la cultura dei popoli nativi è un mio interesse costante. Dopo aver letto il volume La guerra delle Black Hills mi sono resa conto che era il caso di rispolverare una storia che non prendevo in mano da dieci anni almeno. Quindi sono andata a casa dei miei, ho messo in uno scatolone i 101 numeri "classici" di Magico Vento e me li sto rileggendo dall'inizio (sono oggi all'81).
Non so quanto senso abbia parlare qui di una serie chiusa e fuori commercio da anni, il cui tentativo di ristampa è morto dopo una ventina di numeri. Posso solo dire che è invecchiata benissimo.
Ho iniziato a leggere questo fumetto quando avevo 17 anni e di fumetto non ne sapevo molto. Adesso sono un'appassionata relativamente esperta e posso dire che sì, è una delle cose migliori che si possa leggere.
In questa rilettura mi stanno colpendo molte cose che all'epoca mi erano sfuggite e altre cose torno ad apprezzarle. La cura con cui è narrata la cultura dei nativi americani, sia nelle storie che negli articoli di approfondimento è unica. Narrata con cura, ma non idealizzata. Viene spiegato ad esempio come in teoria nella cultura Lakota le donne avessero ampie libertà, potevano diventare mogli, ma anche guerriere, o persino scegliersi un'altra donna come compagna e avevano facoltà di chiedere il divorzio. Nella prassi venivano vendute dal padre al miglior offerente che, se si sentiva tradito poteva tagliar loro il naso...
Tra le cose le cose che all'epoca della prima lettura mi erano sfuggite, ne cito due.
L'attenzione per i personaggi marginali e marginalizzati. Che siano personaggi ricorrenti, o figure destinate a uscire di scena (spesso tragicamente) in poche vignette, sono raccontati con una sensibilità più unica che rara. Mi hanno profondamente commossa, tra gli altri, l'adolescente indiano Fango che ama correre, viene sfruttato dai bianchi e non viene compreso dalla propria tribù, il ragazzino muto che scopre che l'uomo che considera come un padre ha ucciso la sua unica amica, ma non può comunque fare a meno di volergli bene e le tante donne maltrattate, isolate o uccise perché non conformi, sia esse bianche, nere o native.
La scarsissima autostima del protagonista. Che era un personaggio profondamente contraddittorio lo avevo già colto e apprezzato all'epoca, bianco adottato dai Lakota, vuole essere un lakota, ma continua ad innamorarsi di donne bianche che non potrebbero mai condividere il suo stile di vita, è uno sciamano, ma non regge la solitudine e le pressioni del suo ruolo. Mi sono resa conto a questa lettura che Ned non si sente mai all'altezza delle aspettative della sua gente, non si fida delle proprie capacità sciamaniche, non si sente bravo a far nulla, se non a sparare e la cosa gli fa un po' orrore. Ai suoi occhi l'eroe è Poe, il suo amico giornalista, tenace e intelligente, che spesso risolve le situazioni con le parole e che è riuscito ad uscire dall'alcolismo. Di solito nei fumetti il rapporto tra l'eroe e la sua spalla è dato per scontato, qui no, è una dinamica molto particolare e credibile ed è molto bello come ognuno veda il vero eroe nell'altro.

La pedia scambiata – Georgette Heyer
Libro consigliatomi da Cristina M. Cavaliere, si è rivelato una lettura di stacco piacevole e scorrevole, anche se scontata. Storia d'amore nella Francia pre rivoluzionaria con tutti gli ingredienti del caso, travestimenti, intrighi, scambi di persona, riconoscimenti, redenzioni e lieto fine.
Molta ironia a stemperare la melassa, che non risulta mai eccessiva e una prosa davvero piacevole. Il difetto: tutto molto prevedibile e molto "vecchio regime". Il mio animo rivoluzionario ed egualitario fatica ad approvare fino in fondo.

Il ritmantista – Brandon Sanderson
C'è poco da fare, Sanderson sa sempre come tenere desto il mio senso del meraviglioso. Con lui si ha la certezza che ci si immergerà in un mondo davvero altro e in una trama tutt'altro che scontata. Come "creatore di mondi" credo che al momento sia parecchia spanne sopra qualsiasi altro.
Poi, per carità, è umano anche lui e non è uno scrittore perfetto. Lo stile è scorrevole e senza guizzi e il protagonista al 90% sarà un/a giovane di estrazione popolare dalle grandi capacità e il carattere ribelle (non che sia detto che il protagonista sia l'eroe o il salvatore del mondo, capita anche che scateni per errore l'apocalisse e che l'eletto sia in realtà lo schiavo eunuco, per dire).
Quindi ecco un 1900 alternativo con gli Stati Uniti che sono un arcipelago e l'Europa sotto dominio asiatico. Tra macchine a vapore delle più strane fogge, la magia è legata alla capacità di rendere vivi i disegni fatto con gesso per terra. In pratica sembra che i maghi giochino a campana, ma rendono vive e capaci di uccidere i loro disegni. Ci sono anche dei misteriosi gesseri (disegni di gesso?) selvatici, che i maghi, i ritmantisti tengono prigionieri in un'isola remota.
In una scuola di magia Joel è il classico protagonista alla Sanderson, figlio della donna delle pulizie, geniale, vorrebbe tanto diventare ritmantista, ma non è stato scelto. Diventa invece l'assistente di un professore intento a indagare sulla scomparsa di alcuni studenti. 
Purtroppo Sanderson sforna serie come altri sfornano biscotti e questo è il primo romanzo di chissà quanti. È leggero, gradevole e apparentemente scontato. Apparentemente, perché ormai delle trame di Sanderson ho imparato a non fidarmi. Di certo nessun altro riuscirebbe a rendere credibili i maghi che sembrano giocare a campana. Delle belle illustrazioni spiegano la teoria della magia e i disegni difensivi e offensivi da tracciare sul terreno. Da leggere, quindi, rigorosamente in cartaceo.
Disegni ritmantici

mercoledì 20 luglio 2016

Cose che ho capito riguardo alla scrittura – Scrittevolezze


Una volta avevo un gatto persiano. Poi l'ho rasato, come ogni tanto pare si debba fare, e mi sono trovata con questa cosa strana dal muso da gufetto e la coda da topo, che ha volte sembra orribile e a volte carinissima.
Lui è strano, un po' come la mia giornata. Mi sono alzata alle otto, ma mi sono svegliata solo dieci minuti fa. Prima il mal di testa e il nulla. Fortuna che sono a casa. Dovrei fare comunque mille cose (anche scrivere, tra l'altro), vedrò di rimediare. Non riesco proprio a focalizzare il tempo trascorso tra le 8 e le 11.30. So che ho bevuto un caffè e che sono andata a comprare la frutta, perché immagino che le pesche ancora non si materializzino da sole nella mia cucina, ma il come mi sfugge. Mi chiedo come siano le mie lezioni quando giornate simili capitano in periodo scolastico...
Comunque il primo pensiero razionale (oddio, razionale) è stato:
HO CAPITO QUALCOSA SULLA SCRITTURA?
Non ho idea del perché, forse perché una parte del mio cervello stava comunque lavorando alla storia in costruzione. In ogni caso ho deciso di farne un post. 
Non voglio essere presuntuosa, non ho nessuna verità in tasca, solo un elenco di cose che mi sono venute in mente, pensando più che altro da lettrice.

COSA HO CAPITO DELLA SCRITTURA

– Per scrivere bisogna osservare il mondo
I gesti delle persone, il loro modo di parlare, di muoversi e di pensare. Se c'è una qualità che lo scrittore deve avere è l'osservazione. Non credo che uno scrittore possa vivere in una torre d'avorio isolato dal mondo. E che neppure debba essere al centro degli eventi con un'opinione su tutto. La posizione dello scrittore è un po' laterale, con un ampio angolo di osservazione e, almeno in una prima fase, non giudicante. Al 90% il suo lavoro consiste nel parlare di esseri umani e delle loro dinamiche (tranne rarissimi casi dedicati ad animali che si comportano davvero da animali, l'oggetto della scrittura è quasi sempre l'umanità).

– Bisogna essere curiosi di tutto
Non si può essere buoni osservatori  senza curiosità. E non sapendo, a prescindere, cosa ci potrebbe essere utile in futuro, è bene essere curiosi di tutto. 
Queste due cose, la capacità di osservazione e la curiosità sono un po' innate. Credo che abbiano a che fare col talento.

– Un autore ha uno sguardo eccentrico sulla realtà
Non solo osserva le cose con curiosità, ma nota dei particolari, trae delle conclusioni, fa delle associazioni che risultano allo stesso tempo calzanti e inaspettate. Lontane dal luogo comune. È questo, credo, il nocciolo di quello che è chiamato "talento". La capacità di trarre da A+B, dove A e B sono cose comuni, un C inaspettato, sia esso un modo di descrivere A e B, una considerazione o una svolta di trama.

– Bisogna essere tenaci
Giorno dopo giorno, un capitolo dopo l'altro, un rifiuto editoriale dopo l'altro. Non credo esista autore che non abbia alle spalle rifiuti o stroncature.

– Le idee sono ovunque, le storie vanno inseguite col bastone
Le idee, gli spunti sono davvero ovunque. Il mio gatto, tosato, ha la coda da topo. Non è già uno spunto? Un gatto che si trasforma in topo. È un'idea narrativa. Non è una storia, però. Il processo che trasforma un'idea in una storia è più complesso. Perché si è trasformato? Cosa gli succede? E poi? È relativamente facile avere un'idea. È difficile, frustrante, lungo e a volte inconcludente cercare di trasformare un'idea in una storia. Immagino che il talento di uno scrittore stia anche nel capire quali idee valga la pena di trasformare in storie.

– A volte le cose che siamo più bravi a raccontare non sono quelle che vorremmo scrivere
Mi sto rendendo conto che è vero per un sacco di autori, che hanno inseguito tutta la vita il loro grande capolavoro e poi sono passati alla storia per opere che loro consideravano minori. Questo mi da da pensare. Non sono arrivata a conclusioni personali, ma prendo atto di questa verità. Credo che ci scriverò un post.

– In letteratura a volte la discrepanza tra intenti e risultati genera risultati inaspettati
Altra cosa di cui sono arrivata a prendere atto. A volte i grandi autori si sono trovati tra le mani un'opera che non era quella che volevano scrivere o che nega nei fatti le loro prese di posizione. Pensate solo alle figure che Dante condanna all'Inferno e poi finisce per esaltare. Lui era convintissimo che dovessero stare all'inferno, voleva dare il messaggio che fosse giusto che stessero lì... Però poi dà l'idea di approvare, almeno inconsciamente, Ulisse, o Paolo e Francesca. 
C'è qualcosa nella scrittura, più che nelle altre forme artistiche, forse, che sfugge al nostro controllo.

– Una buona storia non invecchia
Quindi chissenefrega se non viene pubblicata ora e subito.

– Le tecniche di scrittura sono frangibili
Vanno conosciute, osservate e poi usate o non usate con cognizione di causa. In narrativa nulla a prescindere è sbagliato.

– Tutto è già stato scritto, ma vogliamo sentirci raccontare sempre le stesse storie
Le note sono solo sette, le parole sono molte di più, ma comunque l'originalità assoluta è utopia pura.

Voi che ne dite?

lunedì 18 luglio 2016

Quello che chiedo a un romanzo da vacanza


Come mi è già capitato di scrivere, non leggo solo libri utili. C'è il momento per il libro impegnata a livello di contenuti che ti obbliga a confrontarti con tematiche e pensieri tutt'altro che rassicuranti (consiglio in questo senso, l'ultimo che ho letto Barriera per conigli  libretto esile, ma che porta a pensieri pesanti), c'è il momento per il libro dal vezzo stilistico, che ti obbliga a una prosa non ne pre digerita e ti fa assaporare le possibilità della parola. Ma non è sempre quel momento. 
C'è il momento del libro da sala d'aspetto, che deve fare distrarre dal problema contingente, senza aggiungere stress a stress.
C'è il libro da viaggio, in cui a volte l'atmosfera conta più del contenuto, che deve adattarsi all'ambiente circostante e allo stato d'animo dell'avventura (improbabile, ad esempio gustarsi una storia africana, che so, in Islanda, almeno per me).
C'è infine il libro da vacanza.
Il libro da vacanza, sopratutto quanto queste arrivano dopo mesi impegnativi, deve avere caratteristiche sue proprie. Deve produrre uno stacco tra il prima e il dopo. Dopo ci sarà spazio magari per il libro da viaggio, se c'è la possibilità di un viaggio, o di un libro impegnativo, da affrontare a mente sgombra, ma prima bisogna staccare.
Il problema è che non è affatto facile per me trovare un libro da vacanza, perché deve avere delle caratteristiche tutt'altro che scontate.

– Deve possibilmente portarmi altrove. In un altro luogo nello spazio/ nel tempo/ in un altro mondo. Devo staccare e il "qui e ora" non aiuta. 

– Deve esserci azione, deve succedere qualcosa. Un romanzo che mi piace moltissimo è Emma di J. Austen, porta in un altrove temporale, ma non c'è azione, quindi è un ottimo romanzo, ma non da vacanza.

– Non devono esserci svarioni storici. Cosa che affossa il 90% dei candidati. Dan Brown e similia in generale potrebbero essere ottimi libri da vacanza, ma la storica che è in me non si disattiva e il 99,9% dei thriller esoterici/storici contiene delle bestialità tali da farmi invocare tutte le divinità antiche insieme perché divorino l'autore all'istante.

– Deve avere un minimo sindacale di buona prosa. Il che affossa l'80% dei fantasy e il 99% dei YA. Io amo molto il fantasy, ma riconosco che molto fantasy contemporaneo è scritto con una povertà linguistica impressionante, se poi andiamo sul fantasy per "giovani adulti" è pure peggio. 

– Deve avere dei personaggi con un minimo di originalità. Un minimo, non si chiede chissà che. Idem per l'approfondimento psicologico.

– Se c'è dell'ironia è meglio.

Ora, a me non sembra di chiedere tanto. Sono sicura di non chiedere molto. Eppure è sempre più difficile trovare dei buoni romanzi da vacanza. Ogni estate inizio sempre speranzosa qualche romanzo che poi finisce scagliato con improperi da qualche parte.
Quest'estate sto facendo un po' fatica a trovare il mio romanzo da vacanza. Su suggerimento di Cristina M. Cavaliere ho letto La pedina scambiata, molto leggero e gradevole, ma fin troppo leggero per ottenere quell'effetto di sovrapposizione della realtà altra a quella reale di cui in questi giorni, almeno per qualche minuto, ho davvero bisogno. Forse il problema è stato che nelle scorse estati mi è andata anche troppo bene, con Hyperion e It, romanzi che risucchiano e rimangono dentro.
Al momento ho alcuni candidati, ma sono sostanzialmente ancora alla ricerca del mio romanzo da vacanza.
Per voi invece come dev'essere un buon romanzo da vacanza?

giovedì 14 luglio 2016

Sette incipit da evitare – Scrittevolezze


Avendo appena iniziato una storia nuova, ovviamente il problema è proprio: come iniziare? 
L'incipit, si sa, è nostra croce e delizia. L'incipit non fa il romanzo, proprio come l'abito non fa il monaco, ne so qualcosa per via de L'incubo di Hill House dove il bellissimo incipit aveva in realtà poca attinenza con il resto, ma noi che non abbiamo la pubblicazione assicurata sappiamo che l'incipit potrebbe fare la differenza. 
Così ho letto con attenzione questo post con gli sconsigli dei editor, per pensare a un po' di esempi di incipit da evitare (come ho già fatto con i dialoghi e le descrizioni). Visto però che l'incipit è una materia strana, questa volta ci sono anche le eccezioni famose (che di solito, però, aggirano il problema o lo risolvono in maniera creativa).

La carta d'identità
Sono Marcolino, ho venticinque anni e sono uno studente fuori corso di ingegneria. Sono un bel ragazzo alto e biondo, dal fisico tonico, il mio problema è proprio l'università. Io volevo fare filosofia, ma mio padre...
Già addormentati?
L'incipit a carta d'identità ha molte varianti, tutte nefaste, che vanno dall'albero genealogico al "adesso saprai tutto di me", ma leggere vuol dire anche, sempre, dipanare un mistero e se c'è una voce narrate sarà il caso di volerne sapere di più, senza iniziare a sbadigliare a riga tre.
L'eccezione famosa, che si finge carta d'identità, ma conserva tutto il fascino: Chiamatemi Ismaele
La differenza sta tutta in quel "chiamatemi", che ci apre un mondo di ipotesi.

Il bollettino metereologico
Il cielo sopra l'università era azzurro, ma quell'azzurro sbiadito che non è proprio di una bella giornata e c'erano delle nuvole che si ammassavano all'orizzonte che avrebbero potuto portare dei rovesci, forse dei temporali, ma non subito, magari in serata. Forse Marcolino avrebbe fatto meglio a tornare a casa a prendere l'ombrello, dopo la lezione di fluidodinamica...
Emozionante, vero? A meno di non essere Snoopy, meglio evitare l'incipit bollettino metereologico. Oppure limitatevi a una riga. Era una notte buia e tempestosa basta e avanza.

Le meditazioni inconcludenti
Marcolino era indeciso se tornare o meno a casa a prendere l'ombrello al termine della lezione. Ovviamente questo voleva dire saltare termodinamica. Aveva già ripetuto quindici volte quell'esame e alla sedicesima bocciatura sicuramente suo padre gli avrebbe tagliato i fondi. D'altro canto saltare una singola lezione di termodinamica, lezione che aveva già seguito più volte senza risultati, per altro, avrebbe davvero cambiato l'esito dell'esame di fine semestre? Se ne sarebbe accorto il prof che un mercoledì pomeriggio il biondino della terza fila era assente? Se ne sarebbe ricordato all'esame? Ammesso, ovviamente, di passare lo scritto...
Non mi vengono in mente esempi famosi e riusciti di incipit con meditazioni inconcludenti, ma potrei non avere una buona memoria in merito.

La descrizione minuziosa di particolari inutili.
L'aula dell'università in cui si teneva la lezione di termodinamica era strutturata ad anfiteatro. Le sedie erano poste su gradoni che scendevano verso il palco centrale dove il professore aveva a disposizione una cattedra in compensato bianco e una sedia imbottita da ufficio nera. Da tempo la lavagna luminosa era stata sostituita da un moderno proiettore che si collegava con il portatile del professore, cosicché questi poteva accompagnare la propria lezione con una presentazione in power point. Questo non bastava ad attrarre l'attenzione di Marcolino...
E neppure la nostra, temo.
Le descrizioni minuziose andavano bene nell'ottocento perché i lettori erano meno abituati a pensare per immagini di noi, quindi andavano guidati nel costruirsi il loro "film mentale". L'incipit de I Promessi Sposi è estremamente cinematografico, con l'attenzione che si focalizza sempre più sul dettaglia, come lo zoom di una telecamera. La cosa sorprendente è che all'epoca non c'era il cinema, né la telecamera, né lo zoom. Oggi è un tantino superato. Meglio più rapida e fascinosa. E, per carità, che sia la descrizione di qualcosa di importante nella storia.

Il sogno ingannevole
Dall'alto della collina, il cavaliere si lanciò al galoppo. A metà della discesa estrasse la spada. Guidando il cavallo solo con la pressione delle ginocchia, teneva l'arma con due mani, pronto a usarla. Con un solo, fluido movimento avrebbe decapitato il proprio avversario. Mariolino ne era terrorizzato. Perché era lui l'avversario del cavaliere. Inutile provare a scappare, non sarebbe mai stato più veloce del cavallo. Poteva sono prepararsi al peggio.
Mariolino sussultò e aprì gli occhi. Nessun cavaliere. Il professore stava ancora spiegando fluidodinamica e ancora una volta lui si era addormentato.
Piuttosto che un incipit così, meglio quello che sembra un sogno ingannevole, da cui aspettiamo che il protagonisti si svegli da una riga all'altra, ma che si rivela invece reale. Il più famoso è senza alcun dubbio quello delle Le metamorfosi di Kafka – Una mattina Gregor Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso.
Molto meglio, vero?

Il luogo comune
A marzo, si sa, si vede il sole e si deve prendere l'ombrello.
Il cielo voleva proprio dare ragione alla saggezza popolare. Era azzurro, ma già le nubi preparavano la pioggia serale. Mariolino non aveva l'ombrello.
La cosa peggiore, credo, è iniziare un romanzo con un luogo comune. La cosa migliore, suppongo, è far diventare l'inizio del proprio romanzo un luogo comune, così famoso da diventare quasi un proverbio popolare.
Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo. Ora questa frase la conoscono tutti, ma prima che Tolstoj la inventasse non esisteva. C'è anche da dire che persino a lui di incipit memorabile ne è uscito uno solo. Guerra e Pace inizia con un'interminabile discorso diretto in francese. A riprova che si può scrivere un grande romanzo anche con un incipit deboluccio.

Eccesso di aggettivi
I begli occhi di Mariolino erano di un azzurro innocente. Si sarebbero detti azzurro cielo, ma quel giorno il cielo aveva una tonalità lattigginosa, smorta, ben diversa dalla gaia brillantezza zaffiro degli occhi di Mariolino, che pure in quel momento erano un poco assonnati, spenti...
Anche in questo caso non mi viene in mente un incipit illustre con eccesso di aggettivi. Sarà la mia memoria?

Voi cosa ne pensate?
E sopratutto, come iniziereste la storia di Mariolino?
Se volete giocare, potete prendere spunto da questo sito dove potete trovare incipit di tutti i tipi!


martedì 12 luglio 2016

Tre personaggi in cerca del tempo di un'autrice


Ieri la maratona burocratica che tanto mi ha impegnato in questi ultimi mesi si è conclusa! Conclusa conclusa, finalmente, ho dimostrato che esisto, che sono sempre io, Antonella e Antonella Augusta, una e bina, che sono sposata, ho una residenza, non ho precedenti penali, ho un reddito e, per quanto sia possibile accertarlo, sono sana di mente e lo stesso ha fatto mio marito. Il tutto è stato appostillato dal funzionario preposto e consegnato a chi di dovere. Ora c'è solo da sperare che vadano bene là dove devono andare (quasi sicuramente qualcosa non andrà bene, perché il prefetto aveva delle idee tutte sue e ci ha fatto rifare i documenti secondo il suo gusto personale, che potrebbe non essere condiviso). In ogni caso è un bel peso che si è tolto dalla mia mente. 

L'effetto è stato che sono saltati i lucchetti che tenevano imbrigliata la creatività. In questi mesi ho scritto pochissimo e non solo per mancanza di tempo. Ho scritto un raccontone (oltre 100000 battute!) sherlockiano che mi ha molto divertito, ma tutto sommato si trattava di riutilizzare idee preesistenti. Anche per questo avevo pensato di dedicare l'estate alla sistemazione del romanzo dell'anno scorso e della sorpresa autunnale. E invece no. Si trattava probabilmente di una sorta di sistema di salvataggio mentale per evitare di sovraccaricare la mente. Appena dei neuroni si sono liberati ecco qui a bussare tre nuovi personaggi.

V. A. e P. hanno iniziato ad affacciarsi alla mia mente per colpa di un post di Michele. Immagino sia stata la foto delle tre signore sulla panchina. Era qualcosa di vago, però, l'ombra, forse, di un racconto futuro. E invece V. A. e P. hanno un bel caratterino. O, meglio, A. è molto dolce e remissiva, ma V. e P. non lo sono per niente. Hanno le idee tanto chiare da impormi addirittura, udite udite, una storia senza morto. Quindi non un giallo in senso stretto, anche se il giallo rimane comunque il mio riferimento (diciamo che questa volta ci sarà un crimine da compiere, invece che una caccia al colpevole, ma senza spargimenti di sangue).
Ora, non so voi, ma io certe signore mature armate di bastone e borsetta non so proprio contraddirle. Quindi adesso in qualche modo devo organizzarmi. Perché non voglio abbandonare il romanzo dell'anno precedente. Però la loro storia dovrò pur scriverla. In caso contrario temo che le tre signore usciranno dalla mia mente per prendermi a bastonate. 
Per una volta non ho neppure voglia di scalettare e preoccuparmi per la trama. Questo sarà un romanzo leggero, partorito probabilmente come reazione al troppo stress degli ultimi mesi. Voglio che anche la stesura sia leggera e un po' brada. La storia so dove deve andare e in qualche modo là la faremo arrivare, il come, però, si studierà strada facendo.

Prima di andare ad occuparmi di VAP, però, voglio ringraziare tutti quei lettori che hanno cercato il mio racconto in coda al Giallo Mondadori "Quella casa nella brughiera" e mi hanno fatto sapere cosa ne pensavano. Sono quei momenti che, davvero, danno un senso a questo nostro ostinarci a inseguire le storie! GRAZIE DI CUORE

venerdì 8 luglio 2016

Scritture estive


L'estate finalmente è arrivata!
La scuola è finita, sono di nuovo in vacanza disoccupata (si spera solo fino a settembre). Non tutto quello che mi ha tenuta occupata negli scorsi mesi si è concluso, anzi. 
Per di più la "disoccupavacanza" non si è aperta nel migliore dei modi, ma con la dipartita del vecchio, ma amatissimo cagnone dei miei, che ci era stato affidato mentre loro erano al mare. Il veterinario ha confermato che davvero non c'era nulla che si potesse fare, anzi, che sia stato un miracolo che sia stato bene praticamente fino all'ultimo. Tuttavia non è l'esperienza più piacevole del mondo rassicurare i genitori che sì, possono partire tranquilli, che al cane ci penso io e poi trovarlo ko. Scoprendo, per altro che non si è in grado di sollevarlo per portarlo rapidamente dal veterinario. Scoprendo, per altro, che bisogna portarlo con l'auto dei genitori, che ha l'apposita gabbia. Ma i miei l'auto l'hanno cambiata da poco e, per paura che i ladri potessero rubarla, hanno pensato di nasconderne le chiavi. Dentro una scatoletta dell'impianto elettrico (genitori cari, vi voglio tanto bene, ma questa finisce di sicuro in un racconto). Quindi immaginate la scena, cagnone di 40 kg che sta male e io con un cacciavite in mano che svito scatolette alla ricerca delle chiavi!  
Non so perché, ma mi sembra sempre che la mia vita abbia un tocco di surrealtà che a volte diventa tragicomico...

Per fortuna un attivissimo nipote ha contribuito a far passare la malinconia (sarà stato anche solo un cane, ma dopo 15 anni sfido chiunque a non versare neanche una lacrimuccia), ma, sarà questo, sarà la stanchezza, non ho voglia di fare praticamente nulla.

Pian piano, però, in questa settimana ho ricominciato a respirare. Voglia di fare ancora latitante (ciao vetri da lavare!), ma ho la sensazione, se non altro, di ricominciare a pensare. E ricominciare a pensare storie.
Probabilmente, con il ritmo a cui si sta riattivando il mio cervello, la piena operatività la ritroverò a settembre, cioè troppo tardi per goderla appieno in ambito scrittoreo, ma qualcosa si sta muovendo.
Al momento, sono aperti tre fronti.

– Sto facendo la revisione di fino per la sorpresa autunnale. È un bel lavoro per tanti motivi. Tra questi, il primo è l'avere dall'altra parte una persona super attenta con cui prendersi il giusto tempo per soppesare ogni parola, modificare un verbo, vedere come suona e poi magari tornare indietro. Credo che il termine giusto per definire questo lavoro sia "coccolare", stiamo coccolando le mie storie, sistemando ogni dettaglio, perché possano affrontare il mondo sapendo di essere molto amate.

– Sto cercando di sistemare il romanzo scritto l'anno scorso. Mi sono state date delle indicazioni, ma, in realtà, mi stanno sorgendo mille dubbi. In pratica, mi è stato chiesto di alleggerire una parte di trama. La nostra amica Sandra si è già trovata più o meno nella stessa posizione e mi sta venendo voglia di prendere la sua stessa decisione: lasciare la storia com'è. Sono molto più insicura di lei, credo, e sto rileggendo il lavoro cercando di capire quanto questa trama appesantisca la narrazione. Lo fa, questo è sicuro, ma è anche una storia che io voglio raccontare. Quindi su questo fronte i dubbi sono pesanti come il piombo. Rinunciare a un contatto potenzialmente importate? Tagliare più di quello che sento? Non so. Credo che la cosa migliore sia provare e poi confrontare le versioni. Se quella lunga continuerà a convincermi di più rimarrà così. Al peggio nel mio cassetto.

– Una storia nuova. Non sono ancora pronta per scriverla, ma una cosa è certa. Con questa storia mi voglio divertire. È una storia più leggera (e quindi anche potenzialmente più commerciale) di quella del romanzo del punto precedente e la voglio scrivere con leggerezza. Probabilmente senza neppure scalettare. Per divertimento, principalmente mio. Se poi divertirà anche altri, bene. In caso contrario, pace.

Questi sono i miei progetti di scrittura estiva. I vostri quali sono?

martedì 5 luglio 2016

Gli uomini scrivono "da uomini" e le donne "da donne"? – Scrittevolezze


Ogni tanto mi imbatto in queste simpatiche storie di autrici a cui viene consigliato di pubblicare sotto pseudonimo o con solo l'iniziale del nome puntato per "non tagliarsi il pubblico maschile". Il caso più famoso, lo sapete tutti, è quello di J. K. Rowling (J.K., appunto) a cui fu caldamente sconsigliato di mettere il nome per esteso, per evitare che i maschietti schifassero i suoi libri. È, vero, è passato qualche anno, ormai, ma non è che sia propriamente un'autrice di primo ottocento. Che la cosa sia ancora diffusa, anche tra i più giovani, lo vedo più o meno ogni anno: do agli alunni una lista di libri tra cui scegliere. Le ragazzine scelgono indifferentemente autori e autrici, facendosi guidare più che altro dalla trama, i maschietti, salvo alcune eccezioni, scelgono preferibilmente autori, nel terrore di incappare in una melensa storia d'amore (paura che capisco, sia chiaro, anch'io a dodici anni avevo il terrore di incappare in una melensa storia d'amore, ma non pensavo che il rischio ci fosse solo nei libri scritti da femminucce).

Ogni volta che incappo in queste storie, o nel pregiudizio dei lettori, io prima mi stupisco e poi mi inalbero. Mi inalbero per vari motivi.
– Perché se non so niente di un libro, lo giudico dalla quarta di copertina e da un assaggio della prosa, non certo dal sesso dell'autore/autrice, di cui mi curo poco o niente. Sono scelte, per carità, come chi dice "io non leggo americani perché gli americani mi stanno tutti antipatici e non sanno scrivere". Scelte che considero sciocche in ogni caso.
– Perché penso che questi maschietti si neghino un sacco di letture interessanti. Se per partito preso non hai mai letto la Austen, le Bronte o la Yourcenaur, senza nemmeno provarci, penso che tu sia nel migliore dei casi un autolesionista.
– Perché, sarò un maschiaccio, ma amo molti libri scritti da uomini, quindi penso che non sia folle l'idea di un uomo che si innamori di un libro scritto da una donna.
– Perché, è meschino lo ammetto, io scrivo generi "da maschio" e mi scoccia che qualcuno possa evitare di leggere le mie storie non per la trama o lo stile, ma per partito preso. 

Ma le donne scrivono principalmente di donne, di dinamiche femminili e danno molto spazio all'aspetto psicologico (che noia!)
Vero solo in parte. 
Sul fatto che le donne scrivano principalmente di donne e di dinamiche femminili, bisogna fare qualche riflessione (che qui sarà necessariamente semplicistica e breve, perché è un post e non un trattato di sociologia). Da che si è iniziato a pensare che anche alle donne potesse valer la pena di insegnare a leggere (diciamo dal tardo '700) le donne leggono più degli uomini (e infatti, lo vedremo, gli scrittori si sono buttati sin da subito su questo pubblico). Fino a qualche tempo fa (a volte molto poco) le donne avevano occupazioni loro proprie e vivevano gran parte del loro tempo tra donne, poco importa che queste fossero le madri/zie/sorelle con cui dividevano le incombenze di casa mentre gli uomini erano al lavoro o le amiche con cui ci si trovava a bere the delle classi più agiate. Molti scrittori quel mondo lo frequentavano poco o niente e mi sembra naturale che le donne lettrici (che hanno sempre letto autori e autrici) volessero ogni tanto anche storie ambientate nel loro mondo. Le autrici hanno spesso riempito quindi una nicchia non saturata dagli autori uomini. Del resto, se è vero che le donne leggono anche gli uomini, ma molti uomini non leggono le donne, un autore, per sostentarsi, ha bisogno anche del pubblico femminile, un'autrice molto spesso deve fare a meno di quello maschile. Quindi, secondo me, il prediligere delle autrici dinamiche femminili ha anche giocato la semplice legge della domanda e dell'offerta: non c'erano/non ci sono (?) abbastanza autori in grado di scrivere di dinamiche femminili.
Sulla maggior introspezione psicologica ho le idee meno chiare. Forse perché sono donna penso che l'introspezione psicologica (entro certi limiti) sia un bene? In ogni caso non mi sembra una caratteristica così strettamente femminile. Se pensiamo che i libri scritti da uomini debbano essere solo storie alla James Bond, con cattivi da ammazzare e belle donne da portarsi a letto e dimenticare, ok, ma allargando un attimo lo sguardo mi sembra che di grandi romanzi psicologici, introspettivi e con grandi storie d'amore ne abbiano scritti anche gli uomini.
Andiamo a distruggere qualche stereotipo, vi va?

 CINQUE UOMINI CHE HANNO SCRITTO STORIE "DA DONNE"

Euripide: in effetti io non mi capacito come una società altamente maschilista come quella ateniese, in cui le donne o erano recluse in casa loro o erano, diciamo, "accompagnatrici a pagamento" abbia partorito alcune delle più belle figure femminili di sempre. Medea, la Fedra de L'Ippolito, le donne de Le Troiane, giusto per citarne alcune. Non che Sofocle, con la sua Antigone, fosse stato da meno... Misteri della cultura classica.

Samuel Richarson: Pamela. Come scrivevo, appena si inizia a istruire le donne, si scopre che queste sono delle lettrici accanite, leggono tutto, ma vuoi mettere una bella storia d'amore? Il primo ad aver fiutato l'affare è probabilmente il buon Richarson, che raggiunse la fama (e fece denaro, suppongo) con una trama che poi è diventata un classico della letteratura rosa. Una bella donna di servizio attrae un ricco rampollo che sulle prime vorrebbe solo "farsela", ma poi scopre che è vero amore. Segue lieto fine.

Gustave Flaubert: Madame Bovary. Forse la storia più femminile mai scritta da un uomo. Le angosce e le fisime di una insoddisfatta moglie di un medico di campagna sono quanto di più lontano si possa immaginare da "una storia maschia scritta da un maschio". Infatti generazioni di donne si sono riconosciute nella frustrata (e a mio avviso insopportabile) Emma Bovary. Il fatto che io prenderei a schiaffi Emma sin dalla prima pagina non vuol dire che non riconosca in lei delle dinamiche psicologiche credibilissime (infatti prederei a sberle tutte le donne che me la ricordano e, ahimè, esistono).
Proprio per l'irritazione che mi ha causato la buona Emma Bovary non ho mai letto Anna Karenina (immagino che prenderei a sberle pure lei sin da pagina 3), ma suppongo che possa rientrare nella categoria.

Giorgio Scerbanenco: il grande del giallo italiano, la mia scoperta letteraria di quest'anno, era, udite udite, il rivale letterario più temuto da Liala. Sulle pagine di Annabella, pubblicava infatti acclamati romanzi rosa a puntate che facevano sospirare migliaia di lettrici. Desiderio soltanto, Uomini e colombe sono solo due tra i molti titoli. Del resto i personaggi femminili sono meravigliosi e meravigliosamente tratteggiati anche nella virilissima serie di Duca Lamberti...

Anche il nostro Salvatore Anfuso mi sembra che se la cavi alla grande con i racconti "sentimentali", molto apprezzati dalle sue lettrici. Eppure ho sempre l'impressione che il suo blog trasudi virilità, che non viene certo scalfita da questi suoi successi.

CINQUE DONNE CHE HANNO SCRITTO STORIE "DA UOMINI"

Mary Shelly: come esempio di storia "da uomini" scritta da donna, con il Frankenstein si vince facile. I critici furono un bel po' sconvolti quando scoprirono che era stato scritto da una fanciulla di ventun anni. I detrattori, per altro, lo avevano criticato senza morale e troppo cerebrale, insomma, a loro sembrava il peggio della letteratura "maschile".

Patricia Highsmith: avete in mente il film di Hitchcock Delitto per delitto? O i molti film dedicati a Mr. Ripley? Ebbene, dietro c'è la penna di una donna, Patricia Highsmith. Autrice che conosco meno di quanto vorrei, tra truffatori assassini, omicidi studiati a tavolino (e scambiati come ci si scambia da bambini le figurine doppie) e animali che si ribellano agli uomini, non è proprio l'esempio che abbiamo in mente alla voce "scrittura femminile". Sarà per questo che il suo romanzo più femminile, Carol, è stato pubblicato sotto pseudonimo?

Oriana Fallaci: personaggino dal carattere non certo remissivo e che, dal mio punto di vista, non ha neppure brillato per simpatia, è tuttavia una signora che si è distinta per la sua attività tipicamente femminile: il corrispondente di guerra. Come giornalista si è beccata fucilate e ha dato il ben servito in faccia a personaggi come Khomenei. Ha scritto tanto, magari pure troppo secondo alcuni, spesso cambiando idea rispetto a quanto aveva scritto prima. Quindi di lei si può dire all'incirca tutto e il contrario di tutto, che era femminista e antifemminista, progressista e conservatrice. Di certo, però, Niente e così sia, Intervista con la storia, Saigon e così sia, Inciallah non sono di primo acchito riconoscibili come "roba da donne".

Luis McMaster Bujold la sua Saga dei Vorkosigan è stata definita "Il Trono di Spade delle fantascienza". Non mi trovo molto d'accordo, dato che è una saga incentrata su un numero limitato di protagonisti e non vuole essere corale come la celeberrima saga fantasy, ma la definizione rende comunque l'idea del fatto che la signora non si tira certo indietro di fronte a violenza e sesso. I suoi personaggi amano e combattono senza particolari inibizioni in un futuro galattico di indubbio fascino. Personalmente ho molto amato due delle storie d'amore inserite della saga, ma considerato che sono due su una quindicina di romanzi non credo si possa dire che il lato romantico prenda il sopravvento.

Potrei continuare con molti altri esempi, a partire dalla mia amata Fred Vargas, che forse astutamente si è trovata uno pseudonimo che fa pensare più a un uomo che a una donna, ma, come per gli uomini, sopra, mi piace finire con un'autrice/amica blogger. La nostra Ailsinn ha avuto modo di lamentarsi di come il suo Angelize sia stato inserito nei "paranormal romance" solo perché scritto da una donna. A lettura ultimata posso confermare che se fosse stato scritto da un omone barbuto a nessuno sarebbe mai venuto in mente di classificarlo così. 

Voi cosa ne pensate? Quando scegliete un libro vi fate influenzare dal sesso dell'autore? Pensate che esista una scrittura "da donne" e una "da uomini"? Ritenete di scrivere per il vostro genere di appartenenza?

domenica 3 luglio 2016

L'incubo di Hill house – Piovono Libri


L'ultimo libro letto nella stagione 2015/2016 del gruppo di lettura Piovono Libri è stato uno di quelli che avevo proposto io, L'incubo di Hill House di S. Jackson.
Devo ammette che la mia scelta era stata fatta un po' a casaccio, mentre mi impratichivo con le regole del gruppo: papabili solo libri con più di 50 anni, con meno di 350 pagine e non già letti nelle stagioni precedenti. Di questo romanzo conoscevo solo due cose: che è considerato uno del capisaldi dell'horror e in particolare del filone "casa infestata" e che è stato scritto nel 1959 da una donna, erano comunque due cose sufficienti a incuriosirmi e quindi sono stata felice quando è stato estratto e poi scelto.
La mia felicità ha raggiunto il massimo grado con la lettura dell'incipit, uno dei più affascinanti in cui mi sia imbattuta negli ultimi tempi:

Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni.

Questa frase mi ha ricordato molto gli incipit della mia amata Le Guin e quindi mi aspettavo qualcosa di simile, un romanzo che confermasse o confutasse l'affermazione di partenza (che ho trovato per altro molto affascinante) cioè che il troppo ancorarsi alla realtà porti alla pazzia.
Probabilmente questo fraintendimento iniziale non ha giovato alla mia esperienza di lettura, poiché le mie aspettative non avevano ragione di essere nelle intenzioni dell'autrice, che ci presenta subito un mondo in cui nessuno vive in condizioni di assoluta realtà (tranne, forse, la casa).

Un antropologo col pallino del paranormale ha la bella idea di andare a studiare una casa che ha la fama di essere infestata, Hill House, invitandovi delle persone che il passato hanno avuto esperienze paranormali. Come facile aspettarsi, pochissimi rispondono al suo appello, di fatto si presentano solo due giovani donne, Theodora, che ha appena litigato con la sua compagna (il fatto che nel 1959 venga presentata con naturalezza una figura femminile che sta con una lei mi ha dato un po' da pensare su quanti pochi passi siano stati fatti da allora) ed Eleanor, che per undici anni ha badato alla madre inferma e ora qualsiasi scusa è buona per cambiare aria. A loro si unisce il giovane e sfaccendato erede di Hill house e, solo per un breve periodo alla fine della vicenda, la moglie del professore con il di lei amante (che si porta appresso con naturalezza).
Protagonista assoluta della vicenda è Eleanor, attraverso i cui occhi osserviamo la storia ed Eleanor è, fin da subito, una narratrice inaffidabile. Vissuta isolata dal mondo, è, di fatto, una fanciulla ingenua e manipolabile che ha come unica via di fuga la propria fantasia. Già lungo il viaggio verso la casa, Eleanor si costruisce un passato e un futuro immaginario, fatto di una dimora tutta sua con leoni di pietra davanti all'uscio e tendine bianche alla finestra. A Hill House entra in contatto per la prima volte con persone affascinanti, provenienti da un diverso ceto sociale. Eleanor ne è intimidita, ma è anche attratta sia dal giovane rampollo che da Theodora.
Sopratutto, però, Eleanor è attratta dalla casa, sin da subito sembra entrare in risonanza con Hill House e compentrarsi con essa. La narrazione diventa frammentaria ai limiti del disturbante via via che la presa sulla realtà di Eleanor si assottiglia.
Questo è insieme il fascino e il limite del romanzo.
Il fascino perché percepiamo l'inarrestabile disgregarsi di una personalità, senza che si riesca a capirne fino in fondo le ragioni, che il lettore è invitato a trovare autonomamente.
Il limite perché tanti elementi potenzialmente interessanti, il primo fra tutti l'interazione tra i personaggi e il particolare tra due figure di donna opposte, l'emancipata Theodora e la remissiva e tradizionale Eleanor, si perdono. Gli stessi personaggi, visti dallo sguardo deformato di Eleanor, si fanno evanescenti, contraddittori e quasi intangibili. Il tutto, pur non privo di fascino, appesantisce non poco la narrazione, tanto che più volte si ha l'impressione che manchi un pezzo o che leggendo ci siamo persi qualcosa.

ATTENZIONE SPOILER
Un libro del genere, secondo me, si presta moltissimo all'esperienza del gruppo di lettura, com'era stato per il primo libro con cui io avevo partecipato alle riunioni, Il giro di vite. Come in quel caso, qui il narratore è inaffidabile e ognuno deve trovare una risposta per spiegare i fatti. Tra tutti, sono uscite diverse teorie, ciascuna affascinante e solo con l'esperienza del gruppo è stato possibile condividerle.
Ecco le principali (la più folle, ovviamente, è quella che ho sposato io).

– La casa è normale, Eleanor è una povera pazza, tutto accade nella sua testa e la casa influisce bel poco. Questa teoria, mi dicono, è stata sposata dal regista del primo adattamento cinematografico, degli anni '60, e smentita dall'autrice che ha affermato che il paranormale c'è.

– La casa "che sana non è" gioca con Eleanor e poi la getta via, teoria sposata da mio marito. La casa, personaggio a se stante su cui mi sono soffermata molto poco, che si percepisce dritta e ben fatta, anche se ci viene detto che è tutta sghemba, è un'entità senziente. Gioca con Eleanor come aveva già giocato con altri suo abitanti, fino ad esaurirne totalmente le risorse. A quel punto la getta via e si prepara ad attrarre una nuova preda. Personalmente la trovo una soluzione un po' scontata e classica.

– Non è una storia di fantasmi, ma di poltergeist. Teoria molto interessante e ben esposta da un'altra lettrice qui. Di fatto, secondo questa teoria, la casa funzione da catalizzatore per fenomeni paranormali che è Eleanor, con la sua frustrazione e le sue aspirazioni represse a scatenare. In effetti, tranne che in una brevissima scena, sono totalmente assenti i fantasmi classici. La casa incombe su tutti i personaggi, ma gli "episodi" sono per lo più fisici, sbalzi di temperatura, rumori, movimenti, porte che si chiudono o che tentano di aprirsi, scritte che appaiono sui muri. Al centro c'è sempre Eleanor che già in passato del resto, ci informa il professore, è stata al centro di un fenomeno di poltergeist, una pioggia di pietre.

– Eleanor, all'interno della casa, è contemporaneamente sia viva che morta. È la teoria più folle, quindi è la mia. 
Sin dall'ingresso nella casa si notano due cose: come il senso del tempo dei personaggi diventi labile e come la casa ed Eleanor diventino tutt'uno. Prima sembra che una presenza provi ad avvertire la ragazza di andarsene, poi lei viene inglobata dalla casa. A un certo punto Eleanor diventa, di fatto, la casa. È in grado di udire qualsiasi rumore al suo interno e diventa cosciente di ciò che avviene in ogni stanza. Infine, la moglie del professore tenta di comunicare con gli spiriti con una plancette e le risposte sembrano provenire proprio dal fantasma di Eleanor stessa. Quindi mi ha affascinato l'idea che all'interno della casa il tempo, di fatto, non scorra come altrove e vi sia contemporaneamente la Eleanor viva e il suo fantasma che è, fin dall'inizio la presenza che ha infestato la casa. Del resto anche i personaggi femminili del passato sembravano riproporre la dualità Theodora/Eleanor. Infine, l'ultimissima frase del romanzo poteva essere perfetta per questa teoria:
...Il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.
Mi ha fatto un'enorme tristezza l'immagine di Eleanor per sempre sola, prigioniera di Hill House come prima era stata prigioniera del proprio isolamento al capezzale della madre. Questa frase, secondo me, spazza via anche l'idea che ci siano altre presenze nella casa. Fin dall'inizio Eleanor vi è sola, come una suora murata viva (altra immagine che torna come in una sorta di loop temporale, evocata prima attraverso la plancette, finisce per radicarsi nella mente di Eleanor).
Mi ha comunque fatto piacere scoprire che altre persone hanno avuto la mia stessa sensazione (sono pazza, ma non sono sola nella mia follia).

FINE SPOILER

L'incubo di Hill House è senza dubbio una lettura strana. Non è un horror o una storia di fantasmi propriamente detta, è più, quasi, un thriller psicologico in inserti paranormali. Ha lampi di grande fascino, ma la sua struttura sfilacciata lascia l'impressione che potesse essere qualcosa di più.
Un libro che sono contenta di aver letto, ma che non mi ha soddisfatto fino in fondo.

CONSIDERAZIONI SPARSE SULL'ESPERIENZA DEL GRUPPO DI LETTURA
Il gruppo di lettura tornerà a riunirsi a settembre, quindi è finita la mia prima stagione di partecipazione. Che l'esperienza sia stata altamente positiva è, credo, ovvio. L'unico problema, dal punto di vista dei rapporti umani, riguarda me stessa. Il venerdì sera sono spesso e volentieri esausta e mi spengo più o meno quando la discussione entra nel vivo. Era lo stesso problema che riscontravo quando frequentavo un collettivo di autori: loro entravano in fase creativa quando io cadevo in coma. Essere diurna è un problema.
Per quanto riguarda i libri invece:

– Un gruppo di lettura sui classici per è una manna dal cielo perché prendere o riprendere in mano romanzi che comunque sono sopravvissuti nei decenni, se non nei secoli, mi fa toccare con mano quale sia la forma della consistenza letteraria.

– Quest'anno abbiamo alternato la lettura di classici imprescindibile a opere semi dimenticate. Ebbene, i classici imprescindibili vincono. Con l'unica eccezione di Venere Privata che dovrebbe essere un classico della nostra narrativa di genere come Il giorno della civetta e che invece i più hanno dimenticato, i libri migliori erano anche i più famosi. 
Memoria di Adriano, Fahrenheit 451 e Uomini e topi (che non ho letto col gruppo, ma avevo già letto) sono infinitamente superiori agli altri libri che abbiamo letto. Non a caso sono i più famosi. Nonostante anche altri libri abbiano spunti d'interesse non indifferenti (penso in particolare a La luna e i falò) questi tre spiccano per densità di tematiche e per la loro intrinseca attualità. Letti oggi, continuano non solo ad affascinare, ma anche a porre interrogativi e cambiare il nostro modo di vedere il mondo.
Penso quindi che, se è difficile giudicare il vero valore di un'opera letteraria, se per cinquanta e più anni un libro continua non solo a essere ristampato, ma a essere letto e commentato da una moltitudine di persone, un motivo c'è.
Ci sono delle eccezioni, naturalmente, ma la qualità sul lungo periodo vince.

– Ribaltando la considerazione di prima, spesso se un'opera è stata considerata minore un motivo c'è. Se è più famoso un adattamento di un romanzo, forse anche in questo caso un motivo c'è.

– Tutte queste considerazione mi spingono a ribadire che la letteratura non può essere considerata solo "una questione di gusti o di estetica". Se mi piace il romanzo d'avventura ottocentesco posso trovare piacevole Il fantasma dell'opera, ma Memorie di Adriano (che magari posso odiare per gusti personali) è oggettivamente un romanzo più importante e, passatemi la semplificazione, "più bello". Perché si sedimentano in maniera diversa nella mente e spinge a considerazioni di peso differente. E no, non penso possa essere solo "una questione di gusti".

– La grande letteratura non è solo intrattenimento, anzi, il fatto di non essere solo intrattenimento fa di essa grande letteratura, ma può essere anche intrattenimento. I libri che più mi sono piaciuti (e che in generale, mi pare, sono piaciuti) si leggono anche con piacere, hanno un livello di semplice "cosa succederà dopo?" che non li banalizza per niente. Rifuggo dall'idea che la buona letteratura debba essere punitiva esattamente come rifuggo dall'idea che esista solo un metro di giudizio personale.

Fahrenheit 451 sta con i più grandi. Il fatto che sia fantascienza è una sua caratteristica intrinseca, come è una caratteristica intrinseca di Memoria di Adriano essere un romanzo storico, ma non lo rende in alcun modo minore. Se qualcuno ha ancora l'idea che un romanzo di fantascienza possa non essere formalmente curato e letterariamente elegante non ha in mente le descrizioni quasi psichedeliche di Faherenheit. Quest'idea ancora radicata che ci sia una letteratura per sua natura di serie A e una per sua natura di serie B è una gabbia mentale che, come tutte le gabbie mentali, danneggia solo chi la possiede. Ci sono grandi romanzi, buoni romanzi, discreti romanzi e pessimi romanzi. L'appartenenza a una di queste categorie ha molto a che fare con le capacità dell'autore, poco con le sue intenzioni, pochissimo con il genere di appartenenza.

– Da brava strutturalista/autrice mi spaventa un po' il fatto che molti lettori cerchino l'autore dentro un romanzo e in particolare dentro un personaggio specifico. Ci sono casi in cui è così e la ricerca è giustificata. Ma un autore è dentro tutto un romanzo e dentro ciascun personaggio senza che necessariamente ce ne sia uno che è il suo portavoce. Da autrice mi spaventa, anche in linea totalmente teorica, che qualcuno possa cercarmi in quel modo dentro i miei scritti. Poi, incontrandomi, avrebbe un'idea completamente sfasata di me. Come diceva Umberto Eco:
Con chi si identifica l'autore? Con gli avverbi, naturalmente.

Voi cosa ne pensate di queste mie considerazioni finali (e del libro, se l'avete letto?)