giovedì 27 ottobre 2016

Seguendo la cometa 3 – Il corso informativo

Alla fine non ho fatto i fumetti sulle altre adozioni "storiche", magari recupero più avanti. 
In questi casi ognuno, credo, può raccontare solo la propria storia, sperando che magari sia anche utile agli altri, tolga loro un po' di paura. Io avrei gradito davvero trovare scritto da qualche parte in modo sdrammatizzante cosa mi sarebbe toccato. Avevo dei racconti di prima mano, però, non so, avrei voluto anche qualcosa da sfogliare, credo.
Seguendo la Cometa racconta la mia storia, l'unica cosa autobiografica in cui mi sia mai buttata, e ovviamente sarà diversa da ogni altra esperienza nel campo adozioni e fa riferimento alla trafila burocratica della mia regione, il Piemonte. Siccome ogni regione ha dei protocolli leggermente diversi, ci saranno inevitabilmente delle discrepanze se qualcuno legge da un'altra parte d'Italia.
Qui da noi, il primo passo "ufficiale", se ci si vuole avvicinare davvero all'adozione, è il corso informativo, tenuto dalle équipe territoriali a cadenza regolare.
Il nostro è stato più o meno così:
PS: tutte le cose dette al mattino sono vere. Ma sono vere anche quelle dette al pomeriggio. Alla fine, questa, come altre cose, è anche una questione di fede, non necessariamente in un essere divino, ma nel futuro, nelle proprie capacità, nella sorte, in quello che volete voi. 

PPS: con molti patemi d'animo, alla fine ho dato ragione a mio marito e, come da post precedente, lunedì sarò a Lucca. Che ci crediate o no, l'occasione irrinunciabile non è la presentazione del libro, ma un'altra cosa di cui (se va tutto bene) vi parlerò. Ci si rilegge in un qualche momento dopo martedì.

martedì 25 ottobre 2016

Presentazione "La spada, il cuore e lo zaffiro" – Lunedì 31 ottobre, ore 18, Lucca Comics &Games


L'antologia La spada, il cuore e lo zaffiro sarà presentata
LUNEDì 31 OTTOBRE – ORE 18
Sala Ingellis, padiglione games
LUCCA COMICS & GAMES
Contestualmente avverrà la premiazione del trofeo RiLL, a cura di Associazione RiLL, che ha voluto e curato l'antologia.

Se va tutto bene, lunedì la puppattola starà col papà qualche ore e io farò un salto a Lucca (se qualcosa dovesse andare storto, l'antologia se la caverà senza di me, suppongo).
Sapete già quanto io tenga a questa manciata di racconti. So che molti di voi frequentano Lucca, se volete sapete dove e a che ora trovarmi. L'antologia la troverete allo stand di RiLL, nel padiglione Games oppure sul sito di RiLL oppure su Amazon.

sabato 22 ottobre 2016

Tendere la mano ad Anna Karenina – Racconto completo

In questo sabato così autunnale, tiro fuori dal cassetto un racconto di tanto tempo fa, che mi riporta a un interrogativo comunque mai risolto, esiste un punto di non ritorno oltre al quale la lettura diventa una scusa per non vivere davvero?
(PS: con la partecipazione involontaria di Alessandro Baricco).

TENDERE LA MANO AD ANNA KARENINA

Forse, . sempre, e per tutti, altro non è mai, léggere, che fissare un punto per non essere sedotti, e rovinati, dall'incontrollabile strisciare via del mondo. Non si leggerebbe, nulla, se non fosse per paura.

Un libro è un paravento. Sempre, ma sopratutto sui treni. Seguendo con lo sguardo le minute tracce nere d’inchiostro che sulla pagina si raggrumano in parole, Luca può evitare di posare lo sguardo sulle due anziane sedute davanti a lui. Può evitare di osservare i pori dilatati della loro pelle consunta, ricoperta da un fondotinta di scarsa qualità che finisce per evidenziare, invece di nascondere, le rughe. Non è costretto a osservare le macchie di caffè e tabacco sui denti ogni volta che le labbra colorare di un rossetto troppo acceso si aprono per far uscire refoli di un’alito che sa di stanze chiuse e pasti a base di cibi troppo cotti consumati in una solitudine sporcata dalle voci di quiz televisivi. Né deve ascoltare le parole che escono da quelle labbra, squallidi commenti astiosi sui protagonisti di una rivista di gossip abbandonata semiaperta sul bracciolo tra i due sedili.

Sui treni, per salvarsi, leggevano.

Il treno si ferma con un suono prolungato, lamento di una creatura troppo a lungo sfruttata e che si adagia sfinita nella campagna cercando un sollievo nella nebbia che sale. 
Nell’interno illuminato del treno c’è chi sbuffa, muove nervoso le gambe, qualcuno, al cellulare, sfoga il malumore su qualcun altro, lontano e senza colpa. Chi legge, ostinato, china maggiormente la testa per fare un bozzolo tra il mondo esterno e quello privato, segreto, formato da lui stesso e dal libro. 

- Credi che potremmo fare qualcosa, noi due insieme? - aveva chiesto Luise, con quella sua voce assonnata e dolce, come le labbra di una bambina impiastricciate di zucchero filato.
- Stiamo già facendo qualcosa, non ti pare? - aveva risposto Luca, accarezzando la sua pelle nuda e calda sotto le coperte.
- Essere qualcosa, allora, noi due insieme.
- No, non credo.
Strano. Perché lui lo sapeva, in ogni cellula intelligente del suo cervello era perfettamente consapevole che quel momento non si poteva conservare, esattamente come non si può conservare fissa un’immagine scorta da un treno in corsa. Quella splendida perfezione non era destinata a durare. Se l’avesse guardata troppo a lungo, avrebbe scoperto la meschinità perfino in Luise. Sarebbero stati solo una coppia tra le tante, due ciottoli portati via insieme da un torrente, costretti in un lento trascinarsi, abradendosi pian piano l’un l’altro, fino a che uno avrebbe sbriciolato l’altro o, forse, entrambi avrebbero finito per sgretolarsi.
Eppure, in quel momento, non c’era cellula nel suo corpo che non gli rivelasse una verità precisa. Che era nato all’unico scopo di addormentarsi in quel modo, con la sua pelle nuda a contatto con la pelle nuda di lei. 

Ormai dal finestrino si scorge a malapena la piccola porzione di scarpata ferroviaria illuminata dalla luce interna del treno. Solo una manciata di sassi grezzi dai lati netti e taglienti e poi il buio. Perfetta metafora della vita, pensa Luca.
Ancora uno scricchiolio, una vibrazione che attraversa tutta la struttura metallica, il brivido di una creatura ottusa che si ostina a voler avanzare, anche se non c’è un vero scopo nell’arrivare né una differenza sostanziale tra l’andare e il restare. Il treno, piano, riprende a muoversi.

- Verrai alla festa, almeno? - aveva chiesto Luise, mentre con gesti netti sistemava i lunghi capelli neri in uno chignon e imponeva ordine al caos.
- No.
- Perché?
- Non c’è niente di più ipocrita di una festa di addio. Piena di promesse che non saranno mantenute, scambiarsi numeri di telefoni che poi non suoneranno mai, abbracci per suggellare legami che si stanno già allentando.
- E questo in che libro lo hai letto?
- E perché dovrei averlo letto in un libro?
- Perché tutta la tua vita non è che una fuga. Tu leggi continuamente, lo fai per professione, naturalmente, lo fai per passione. Lo fai per porre una barriera alla tua solitudine. Eppure tu mi insegni che un libro non è mai lo stesso per due lettori.
- E questo cosa importa con la tua festa, o con noi due?
- Importa. In un libro sei sempre solo, circondando da personaggi e paesaggi che non puoi sfiorare... Per quanto tu possa tenderle la mano, non potrai mai salvare Anna Karenina da quel treno.
Quanto a noi, hai tempo fino alla festa.
- Per cosa?
- Per tendermi la mano e  chiedermi di restare.

Tutt'intorno ti sferraglia la tentazione di farla finita una buona volta e di rischiare a vederlo questo mondo di fuori, cosa sarà mai possibile che sia davvero così pauroso, possibile che non se ne andrà mai questa vigliacca paura di morire, di morire, morire, morire, morire, morire, morire?

Con uno stridio definitivo, il treno si arena, esausto, alla stazione. Come una balena spiaggiata che si svuota piano di sangue e di vita, ignara di quale scopo abbia avuto il suo secolare andirivieni per gli oceani, i vagoni si svuotano piano dei passeggeri. Alcuni urlano, impazienti, sbraitano contro un ritardo che ha superato di molto il tollerabile, i più rassegnati, lenti, incerti se sia necessario affrettarsi quando è impossibile determinare velocità e meta del proprio moto.
Luca si divincola tra le anziane grasse e le loro borse, tra i pendolari esausti che arrancano verso un’altra settimana di studio o di lavoro, tra chi arriva, o crede di arrivare, a qualcosa che abbia dato scopo al viaggio.

Fuori, Torino è irreale, avvolta in una nebbia che attutisce i suoni e i pensieri, rende indistinti i profili dei palazzi, addolcisce i ghigni delle prostitute in attesa fuori Porta Nuova, avvolge la sporcizia agli angoli delle strade, avviluppa chi dorme dentro un cartone in un angolo poco illuminato. Se si fermasse a guardarla, Luca scoprirebbe che Torino, smussata dalla nebbia, questa notte è quasi bella.
Luca corre. Lascia che i pensieri scorrano senza adagiarsi sui passanti infreddoliti, o sui tre cani senza padrone che gli dedicano un ringhio basso e senza eccessivo sforzo, o sulle vetrine buie dei negozi che a stento si lasciano immaginare dietro le grate. Solo il rumore dei piedi sul suolo freddo, il battere del cuore e il fiato che cerca, senza che un pensiero coerente debba aiutarlo, un ritmo che gli permetta di avanzare. Forse, questo è vivere.

Il locale è pieno di gente, eppure è vuoto. Sotto un tavolo che è già stato riempito da altri avventori, una carta strappata, rosa, con leziose decorazioni fucsia. Quello che resta di una festa conclusa.
Luca si guarda intorno, miope come un animale notturno in pieno sole.

Non si è salvato, sul treno, leggendo. Si chiede se c’è un libro che possa salvarlo, adesso, da una cameriera che, ansiosa, gli chiede cosa possa fare per lui, da una città improvvisamente bella, ma irrimediabilmente vuota. Si chiede se saprà mai se Luise avrebbe potuto salvarlo.

giovedì 20 ottobre 2016

Il linguaggio segreto dei neonati – letture


Con la pupattola sono arrivate tutta una serie di nuove letture. In particolare, insieme a un sacchetto di tutine, è arrivato questo libro.

Lo avevo già avuto per le mani tempo fa. Capita anche a me di regalare libri che non ho letto e per un'amica in attesa mi sembrava un buon titolo. Pensavo che insegnasse a interpretare pianti e gridolini e altri segnali contraddittori del pupo e, non avendo  avuto poi una recensione dall'amica, ero rimasta nella mia pia illusione.
Si tratta ti tutt'altro e a conti fatti si è rivelata una lettura estremamente interessante, ma non per quello che intendeva raccontare l'autrice.

Non è affatto un libro su come interpretare i neonati, ma un metodo di puericultura per bimbi fino ai tre mesi (ricordate questo, per bimbi fino ai 3 mesi, non ai tre anni) rivolto alle ricche mamme in carriera americane. Per la clientela a cui la signora Hogg si rivolge probabilmente è perfetto, dato che permette di rientrare al lavoro entro la 6 settimana del pupo lasciando alla tata (indispensabile, da non perdere il capitolo sulla scelta della tata) un programma dettagliato e facilmente replicabile.

Quindi il libro inizia con una fantastica prima parte su come interpretare il neonato di cui i miei passaggi preferiti sono:
se piange e non mangia da più di due ore e mezza magari ha fame.
Se ha i brividi, è pallido e quasi bluastro ha freddo.
Da cui mi sono scaturite tutta una serie di domande su quale madre abbia mai bisogno di leggere questo in un libro (attenzione, se è sudato e rosso in viso magari ha caldo...).

Poi si passa al metodo vero e proprio, che ho letto ad alta voce alla pupattola per vedere la sua reazione (faccia corrucciata e perplessa). La giornata è scandita da cicli precisi di 3/4 ore in cui il bimbo mangia, viene stimolato (guai se si addormenta), dorme un pochettino e poi si ricomincia. Scopo del gioco, farlo arrivare stremato alla sera, onde permettere alla mamma di dormire 7/8 ore filate alla sesta settimana e rientrare al proprio importante lavoro.
Ora, lungi da me discutere l'importanza di una routine. La pupattola, poi, è una tipa abitudinaria e sta già iniziando ad aspettarli le stesse cose più o meno nello stesso momento del giorno. Sono i diktat e il tono apocalittico di cosa succederà se non vengono rispettati a lasciarmi perplessa.

Prendere il bimbo in braccio è vietatissimo. Infatti guardatevi tutti dalle tate sudamericane che per cultura sono portate a farlo (immagino crescendo poi generazioni di imbelli). All'inizio sembra facile e piacevole, ma ben presto il bimbo così abituato risulterà troppo pesante e vi causerà terribili dolori alla schiena... Quando peserà 4,5 kg! (La gatta di mia suocera pesa 6kg, vive in braccio e non ho mai sentito la suocera lamentarsi del maldischiena...).
Se proprio il bimbo è adottato si ha una proroga, perché gli psicologi (questi rammolliti) consigliano tanto contatto fisico. Glielo si può concedere... Non più di tre giorni!

Dormire per le prime due ore dopo il pasto è vietatissimo, se un bimbo dorme più due/tre ore filate di giorno poi non dorme la notte. Badate bene che parliamo di cuccioli che hanno una necessità di dormire 18/20 ore al giorno e, non so da voi, ma alle mie latitudini la notte non dura così tanto...

Nella maggior parte dei casi le colichette non esistono, è il bambino che ha imparato che se piange in quel modo viene coccolato e approfitta del cedimento emotivo dei genitori.  Ora, l'autrice è morta, ma su arrivata a questo punto a me è venuta voglia di prendere l'aereo, andare a casa sua in quei giorni del mese e dire "secondo me i crampi pre ciclo non esistono, hai solo voglia di coccole".

Il tutto è costellato di meravigliosi esempi pratici di donne in carriera che ringraziano in ginocchio l'autrice per aver impostato la routine del pupo e aver permesso loro di riprendere i propri importanti progetti.

Ora, ho il forte sospetto che il metodo funzioni. Se il pupo viene impostato in questo modo immagino che si rassegnerà a mangiare quando gli viene dato (velocemente, dato che uno dei problemi affrontati è: come accorciare il tempo delle poppate), a guardare il nulla senza piangere e a dormire di notte (dato che comunque dopo 5/6 settimane non gli verrà dato cibo, al massimo il ciuccio per tenerlo buono) e qua e là ci sono anche degli sprazzi di buon senso. Sopratutto, quando uno è disperato le prova tutte (io sono stata una pupa disperante all'epoca e miei avrebbero seguito anche i consigli di Torquemada, se avesse promesso risultati). Per quel che mi riguarda, preferisco fare di testa mia.

La cosa invece davvero interessante è lo spaccato di società americana (ricca) che propone. Famiglie in cui il pupo deve soprattutto non essere un intralcio, dove evidentemente non c'è alcun passaggio di informazioni tra generazioni (ricordiamo: se non mangia da tre ore, piange e prova a succhiare qualsiasi cosa forse ha fame), dove le madri, per quanto benestanti sono per lo più sole e disperate. 
In questo senso il capitolo sull'adozione è agghiacciante. Praticamente si dà per scontato che il bambino sia stato più o meno comprato da una madre naturale da cui si può anche comprare il latte (questo particolare mi ha traumatizzato in modo temo permanente, immagino questa donna che dà in adozione il figlio per denaro e si tira il latte per mesi per nutrire un bambino che non vedrà mai...).

Infine, una chicca. Donne, dopo il parto fare sesso probabilmente vi farà schifo, ma se non volete essere piantate dal vostro uomo, almeno ogni tanto, fatevene una ragione e concedetevi.

martedì 18 ottobre 2016

Seguendo la cometa 2 – Famosi e tragici esempi.

Quando si inizia a pensare all'adozione si pensa subito ad esempi celebri. Purtroppo, la più famosa storia di adozione è un fallimento adottivo. Ho disegnato questa vignetta anche per farmi coraggio... Suvvia, a nessuno può andare peggio della figlia del Faraone, vero?


domenica 16 ottobre 2016

Il testo di canzone come testo letterario – Saccenza non richiesta

Bob Dylan non è il mio cantante preferito. In parte per un motivo puramente soggettivo, non mi entusiasma il suo tono di voce, tanto che apprezzo molto di più le cover delle sue canzoni cantate da altri (ho lo stesso problema con Capossela, la cui voce proprio non mi piace). In parte perché il mio inglese è pessimo e devo appoggiarmi a delle traduzioni per comprenderne i testi, di cui comunque mi sfugge qualche riferimento. Tuttavia il nobel a Bob Dylan non mi ha né stupito né scandalizzato.
Scrive? Sì. Il suoi testi hanno avuto una vasta influenza sul mondo intellettuale e non solo? Sì.
Quindi che problema c'è?
Il problema è, ovviamente, se i testi di canzone siano o non siano letteratura.

Io non sono una critica letteraria, ma ora sono abilita e arruolata per insegnare letteratura, potenzialmente anche nei licei e, per come la vedo io, il problema proprio non si pone, per tutta una serie di motivi.
Da un lato moltissimo del materiale che troviamo nei libri di letteratura è circolato principalmente musicato, ma in molti casi non ci è giunta la trascrizione della parte musicale. Secondo il mio prof di letteratura dell'università questo è continuato almeno fino al '600 avanzato. La Gerusalemme Liberata ha avuto successo sopratutto in forma musicale (in questo caso abbiamo anche la parte musicale) e quasi tutto Metastasio veniva cantato. Andando più indietro è difficile reperire notizie certe, ma Dante stesso ci informa che le sue poesie circolavano in forma musicata. Fa un po' ridere a pensarci adesso, ma è possibile che fosse considerato come una sorta di cantautore o, meglio, paroliere (non abbiamo prova del fatto che lui cantasse le proprie poesie).
Al di là di questo, ciò che fa di un testo un testo letterario è la consapevolezza.
Consapevolezza di inserirsi in una tradizione, che può essere esaltata, oppure distrutta, ma comunque viene tenuta presente.
Consapevolezza nell'utilizzo dei mezzi tecnici per veicolare il proprio messaggio. Che può anche essere "nulla ha senso", ma comunque esiste ed è inscindibile dalla forma, poiché nella letteratura la forma è sostanza.
Consapevolezza di tentare qualcosa di nuovo, che può essere anche essere il riprendere una tradizione.
Quindi, secondo me se un testo è consapevole della tradizione precedente, la forma è utilizzata in modo coerente con il messaggio proposto e cerca di essere in qualche modo innovativo è un testo letterario. Probabilmente bastano anche solo i primi due punti, il terzo ne fa un gran testo letterario.

Io non conosco abbastanza Bob Dylan e la letteratura angloamericana per scrivere qualcosa di sensato sui suoi testi, ma conosco assai meglio i testi dei cantautori italiani e la tradizione letteraria italiana e francese per proporvi un esempio un po' più nostrano di quello che intendo.

LA BALLADE DE PENDUS / LA BALLATA DEGLI IMPICCATI

Una delle poesie più commuoventi di sempre, secondo me, è la Ballade de pendus di François Villon, un testo così potente che è l'unico che io conosca a memoria in francese antico (sì, lo so, ho gusti allegri).
È stata scritta nella seconda metà del XV secolo e, secondo la tradizione, il poeta (che doveva essere un bel tipetto) l'ha composta in carcere in attesa della propria esecuzione, dopo aver ferito in una rissa un uomo di potere (fu poi graziato all'utimo). Non ci sono evidenze storiche che le cose andarono proprio così, l'unica prova è il testo stesso. A parlare sono proprio gli impiccati che si rivolgono ai passanti. In un periodo turbolento e disperato come il basso medioevo francese immagino che le impiccagioni fossero relativamente comuni e i benpensanti si difendessero da quella vista considerando i condannati altro da sé, creature non proprio umane, che si sono meritate la propria sorte.
Villon ribalta questo punto di vista e gli impiccati si rivolgono ai passati chiamandoli "Fratelli umani che vivete dopo di noi". È una poesia che colpisce nel profondo proprio perché fa appello a questo sentimento di comune umanità che ci obbliga ad alzare lo sguardo verso i condannati, i cui corpi sono marciti e mangiati dai corvi e a riconoscerli come nostri fratelli. Ci obbliga a chiederci davvero quanto siamo migliori di loro.
Leggetela e commuovetevi (se non lo fate siete delle brutte persone).

Frères humains qui après nous vivez,
N'ayez les cuers contre nous endurcis,
Car, se pitié de nous povres avez,
Dieu en aura plus tost de vous mercis.
Vous nous voiez cy attachez cinq, six:
Quant de la char, que trop avons nourrie,
Elle est pieça devoree et pourrie,
Et nous, les os, devenons cendre et pouldre.
De nostre mal personne ne s'en rie;
Mais priez Dieu que tous nous veuille absouldre!

Se vous clamons, freres, pas n'en devez
Avoir desdaing, quoy que fusmes occis
Par justice. Toutefois, cous sçavez
Que tous hommes n'ont pas bon sens rassis;
Excusez nous, puis que sommes transis,
Envers le fils de la Vierge Marie,
Que sa grâce ne soit pour nous tarie,
Nous preservant de l'infernale fouldre.
Nous sommes mors, ame ne nous harie;
Mais priez Dieu que tous nous veuille absouldre!

La pluye nous a buez et lavez,
Et le soleil dessechiez et noircis;
Pies, corbeaulx nous ont les yeux cavez,
Et arrachié la barbe et les sourcis.
Jamis nul temps nous ne sommes assis;
Puis ça, puis la, comme le vent varie,
A son plaisir sans cesser nous charie,
Plus becquetez d'oyseaulx que dez a couldre.
Ne soiez donc de nostre confrarie;
Mais priez Dieu que tous nous veuille absouldre!

Prince Jhesus, qui sur tous a maistrie,
Garde qu'enfer n'ait de nous seigneurie:
A luy n'ayons que faire ne que souldre.
Hommes, ici n'a point de mocquerie;
Mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre!

Fratelli umani, che siete ancora vivi
non abbiate i cuori insensibili verso di noi
perchè, se pietà di noi poveri avrete
dio sarà clemente con voi
voi ci vedete qui appesi, cinque, sei
quanto alla carne che abbiamo tanto soddisfatto
lei è gia divorata e decomposta
e noi, le nostre ossa deventano cenere e polvere
nessuno ride del nostro male
ma pregate dio che ci voglia perdonare

Se vi chiamiamo fratelli non ne dovete
avere indignazione anche se siamo stati uccisi
dalla giustizia...tuttavia sapete
che molti uomini non hanno il buon senso
scusateci, poichè siamo morti
invece il figlio della vergine maria
que la sua grazie non sarà terminata per noi
ci salva dall'inferno
siamo morti, nessuno ci infastidisca
ma pregate dio che ci voglia perdonare

La pioggia ci ha sciaquati e lavati
e il sole seccati e anneriti
gazze corvi ci hanno cavato gli occhi
e strappato barba e sopracciglia
non abbiamo mai un momento di tempo
di qua, di la come cambia il vento
a suo piacere senza fermare il nostro movimento
più bucati dagli uccelli che dei ditali
quindi non sarete mai uguali a noi
ma pregate dio che ci voglia perdonare

O gesù che su tutti noi hai potere
guarda che inferno ci è capitato
a lui non dobbiamo niente
uomini questo è il punto chiave
ma pregate dio che ci voglia perdonare.

Nel 1968 Fabrizio de André presenta il proprio secondo disco da studio Tutti morimmo a stento, uno dei primi concept album italiani, incentrato sull'allegro tema della morte. Una delle canzoni si intitola proprio come la poesia di Villon e ad essa si rifà, La ballata degli impiccati (scritta con Giuseppe Bentivoglio).
Non si tratta, però, di una traduzione o di una trasposizione musicale (come lo stesso de André fa con S'i fossi foco di Cecco Angiolieri e con altre poesie), ma di una rielaborazione che per certi versi stravolge il senso della poesia originale.
Villon apriva la sua opera con questo disperato "Fratelli umani", de André e Bentivoglio si mettono a loro volta dal punto di vista dei condannati a morte, condannati a morte, però, che rimarcano non la propria similitudine, ma la propria differenza rispetto agli "altri".
Tutti morimmo a stento, così si apre la canzone, mettendo l'accento sul dolore che nel nome della giustizia degli uomini hanno inflitto ad altri uomini. I condannati a morte di André e Bentivoglio hanno pochissima benevolenza nei confronti dei propri carnefici, anzi, i benpensanti, che si sentono superiori e diversi, sono oggetto di un odio esacerbato a cui neppure la morte può porre fine.

Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l'odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore
è solo un discorso sospeso

Tra i due testi sono passati secoli. Agli occhi dei due autori del 1968 la pena di morte è, davvero, un retaggio medioevale che, in quel momento assai più che ai tempi di Villon, crea solo fratture nel tessuto sociale, esacerbando un'illusoria distinzione tra i "giusti" e gli "sbagliati".

Prima che fosse finita
ricordammo a chi vive ancora
che il prezzo fu la vita
per il male fatto in un'ora

Insomma, nel 1400 aveva senso ricordare che i condannati a morte sono uomini come gli altri, nel novecento avanzato ormai questo dovremmo saperlo e sarebbe il caso di finirla e basta con le condanne a morte.
Quello che mi interessa notare, qui, però, è che questa non è un'operazione musicale o ideologica, ma squisitamente letteraria in cui ci si riallaccia a una tradizione precedente e la si rielabora per dire altro che abbia senso nel qui ed ora dell'autore.
Per ragionare sul testo di de André/Bentivoglio e andare a fondo (ben più di come abbia fatto adesso) devo fare la stessa operazione che faccio, per esempio quando spiego ai miei alunni come Foscolo in In morte del fratello Giovanni (oggi tutti esempi allegri) abbia ripreso un carme di Catullo e lo abbia rielaborato secondo il proprio sentire e il proprio qui ed ora.
Il testo che ho scelto può non piacere (l'ho scelto perché si prestava, ma, ad esempio, non è tra i miei preferiti), può non essere grande letteratura ma è sicuramente letteratura. E se un domani si perdessero tutte le registrazioni e la partitura, potremmo comunque ragionarci su senza, in fin dei conti, perderci molto.

A proposito, vale anche il discorso contrario. Il testo di Villon funziona molto bene anche come canzone...


Questo invece è quello di De André


Infine, dato che tutto è partito da Bob Dylan, chiudiamo il cerchio con una sua canzone tradotta e interpretata da De André.


Buon Nobel a tutti!

giovedì 13 ottobre 2016

Il mio ricordo di Dario Fo

Non vado molto a teatro, per il semplice fatto che abito in provincia. Per andare a teatro (o all'Opera, che mi piace tanto, ma non frequento da una vita), spesso devo affrontare una migrazione e la pigrizia al 99,999% prevale. Però controllo sempre le stagioni teatrali dei due piccoli teatri più vicini, nel caso qualcuno di interessante vi capitasse per sbaglio.
Così capitò che fosse in programma nel teatro per paese vicino uno spettacolo scritto da Dario Fo, ma interpretato da Franca Rame. Era in programma, potrei sbagliarmi, nel novembre o dicembre 1997. Di certo ricordo che comprai i biglietti qualche mese prima.
Tra l'acquisto dei biglietti e lo spettacolo capitò che Dario Fo vincesse il nobel.

Quella sera, il teatro non era comunque pieno, nel paese, temo, il nome di Dario Fo era più associato a polemiche politiche che alla letteratura.
Non importa, io c'ero.

Che qualcosa non quadrava fu subito chiaro. Il palcoscenico si aprì con qualche minuto di ritardo, senza mostrare alcuna scenografia alle spalle. Sul palco, non Franca Rame, ma Dario Fo.

Era capitato, ci disse, che la scenografia non fosse compatibile con le dimensioni ridotte del teatro e che, sopratutto, Franca Rame non fosse stata bene quel pomeriggio, troppo tardi per avvertire gli spettatori. Quindi il fresco premio nobel aveva deciso di venire di persona, si scusava molto, ma non avendo nulla di nuovo pronto, se eravamo d'accordo avrebbe fatto alcuni pezzi da Mistero Buffo (che di per sé è lunghissimo).
Quindi in un teatro più vuoto che pieno sono stata una delle prime persone a vedere dal vivo Dario Fo post nobel.

Di lui si stanno già dicendo e si diranno tante cose. Io Dario Fo l'ho principalmente letto e visto rappresentato in registrazioni, appartengo a una generazione successiva alla maggior parte delle polemiche politiche. Non posso ergermi a giudice estetico, ma lo considero un autore imprescindibile, uno dei pochi ad essersi inserito nella tradizione letteraria italiana mostrandone a tutti l'intrinseca modernità.

Per me resterà comunque ancora più forte il ricordo di un uomo di teatro che rispetta enormemente il suo pubblico, al punto da dedicare uno spettacolo per cui avrebbe tranquillamente potuto farsi pagare il quintuplo (ricordo benissimo che il prezzo del biglietto, acquistato prima del nobel era irrisorio) a un gruppo sparuto di persone.
Fu una grande serata e una grande lezione.

mercoledì 12 ottobre 2016

Seguendo la cometa – 1 Outing

Rieccomi.
Nel mio secondo fine settimana da mamma sono riuscita ad ammalarmi (per fortuna, e facendo tutti gli scongiuri del caso, io, non la pupattola).
Adesso la vacanza è finita, il marito è tornato al lavoro e sta a me scoprire davvero in cosa consista il mestiere di mamma.

Come scrivevo post fa, non vorrei trasformare questo blog in un diario da mamma adorante, e tuttavia vorrei anche raccontare in qualche modo il percorso che ci ha portato alla pupattola. Mi piacerebbe qualcosa di non troppo melenso, ciò che io avrei voluto leggere prima di mettersi in viaggio.
Nasce quindi una nuova rubrica, Seguendo la cometa
Pensando a un viaggio al termine del quale c'è un bambino, mi è venuto spontaneo pensare a questo titolo.
Certo, mi servirebbe quanto meno un disegnatore, ma magari trovo un modo per supplire. Per il momento faccio come i peggiori autori self e mi concentro sul contenuto e non sulla forma.

Ecco la prima puntata (ci sarebbe dovuta essere anche una sorta di copertina, ma per quella davvero mi ci vuole un disegnatore).


giovedì 6 ottobre 2016

Viaggio nel Leynlared

Dalle visite al blog, la pupattola fa audience, ma, se riesco, approfitto della sua nanna per parlare anche d'altro.
Nello specifico, oggi visitiamo il mio mondo immaginario. Quasi tutti i miei racconti fantasy "puri" sono ambientati nello stesso mondo, più o meno lontani da quello che è il mio centro narrativo, ovvero il Leynlared.

Senza saperlo, avevo iniziato già molto tempo prima a scrivere storie ambientate in questo mondo, ma il Leynlared ha una data di nascita precisa, l'estate 2005.
In quell'estate ho attraversato, viaggiando solo con i mezzi pubblici, le repubbliche baltiche, Lettonia, Estonia e Lituania. Un viaggio strano, caratterizzato da spostamenti in autobus quasi eterni, in compagnia di un ragazzo che a breve sarebbe diventato ex e con cui, probabilmente, non avevo già allora molto di cui parlare. Un viaggio con molto silenzio, dunque, in cui ho potuto osservare e pensare. Inoltre, come spesso mi capita di fare, stavo leggendo un romanzo locale, Il pazzo dello zar di J. Cross, scrittore estone, che mi ha catapultato nel passato di quelle terre (romanzo che, tra l'altro, consiglio).
In una delle tratte avevo in mano una bottiglietta d'acqua di marca "Hermise" (che poi sarebbe il dio Ermes) e di colpo Hermise è diventato un personaggio, un uomo sui trent'anni, con occhi chiari e malinconici e lunghi e sottili baffi neri. Per gli strani casi del destino e dell'editoria, per altro, in nulla che io abbia finora pubblicato il buon Hermise ha ancora fatto capolino (ma è ben vivo nei miei archivi).


Ripensandoci adesso mi sembra ovvia che il mio Leynlred abbia origini baltiche.

Il Leynlared è una nazione nata dall'unificazione di cinque territori un tempo autonomi, le Ley, posta all'estremo nord di un continente. Proprio come le repubbliche baltiche è caratterizzata da estati miti, ma di inverni estremamente rigidi, che costringono ciclicamente a cambiare ritmi agli abitanti: d'estate ci si sposta con i cavalli, d'inverno con le slitte, di primavera non ci si sposta perché c'è fango ovunque, mentre d'autunno piove sempre.
Tutta la storia delle attuali repubbliche baltiche è stata condizionata dai rapporti con la Russia, da cui sono culturalmente molto distanti, ma per la quale rappresentano un ideale accesso al mare.
Il Leynlared vive intorno al florido fiordo del Lared e proprio per questa sua posizione è da sempre insidiato dall'Impero di Mar-Tial con cui confina a sud, la cui cultura viene percepita estranea e ostile dalla gente delle Ley.
A ovest, invece, si estendono le Lande di Rerargas, un territorio stepposo in cui vivono misteriosi felini intelligenti e popolazioni nomadi, come gli Imsheti, che ciclicamente minacciano il confine.
Un po' per le invasioni, un po' per la sua posizione geograficamente svantaggiata, la Ley dell'Ovest è andata progressivamente spopolandosi, fino a essere abbandonata dal Leynlared. Vi sopravvivano popolazioni culturalmente legate al Leynlared, ma ormai fiere della loro autonomia, che hanno ribattezzato la zona come "Libero territorio dell'Ovest".
Nelle Ley hanno diritto di libera circolazione i Coyranà, una popolazione nomade famosa per le sete rosse, le danze tradizionali e la potente magia. Caratterizzati dalla pelle grigia e da una straordinaria resistenza al freddo, i Coyranà sono guardati comunque con diffidenza dai locali, anche se non sono oggetto di una vera discriminazione come avviene nell'Impero di Mar-Tial. Da molti secoli i Ruegar, i felini intelligenti delle Lande, non mettono piede nelle Ley, ma si sussurra che nelle foreste si possano incontrare i Lariel, emanazioni intelligenti degli alberi.

Non saprei dire perché, di tutti i paesi che ho visitato, i paesi baltici abbiano avuto una presa così forte nella mia fantasia. Suppongo per il loro essere "quasi famigliari", quasi del tutto europei, ma con un tocco loro proprio che li rende sfuggenti e affascinanti. Il mio mondo fantasy alla fine è così, quasi il tipico mondo fantasy medioevale (in realtà più rinascimentale che medioevale, non fosse altro perché conosco meglio la mentalità di fine '400 di quella medioevale), ma con qualcosa di diverso e, spero, sfuggente e affascinante.
Un mondo, per lo più, di storie sfortunate e amori tragici, in cui i miei personaggi cercano di fare del loro meglio con quello che hanno che, però, non è mai abbastanza.
Nell'antologia La spada, il cuore e lo zaffiro ci sono quattro racconti ambientati nel Leynlared, tra cui uno con una delle pochissime storie d'amore a lieto fine che vi abbia mai ambientato.

Anche sul blog sono apparsi dei racconti ambientati in questo mondo narrativo e in particolare:
Elisandre, uno dei pochissimi che abbia ambientato nell'Impero di Mar Tial invece che nel Leynlared.
Prima che venga il gelo, ambientato nella Ley del Nord e strettamente legato ad altri racconti che troverete nell'antologia.

Da oggi, inoltre, La spada, il cuore e lo zaffiro è reperibile anche su Amazon!
Come potete vedere sulla pagina dedicata, Valeria De Caterini risulta illustratrice, non solo della copertina, ma anche della meravigliosa cartina qui sopra. Fa un effetto davvero strano vedere illustrato quello che fino ad ora è sempre stato solo nella mia testa!

Questa, credo, è la prima volta che svelo da dove sia nato il Leynlared, da dove sono nati, invece, i vostri mondi immaginari, se ne avete?

PS: non sono neppure le 21 e sono distrutta. Mi sembra di essere tornata ai tempi in cui facevo atletica a livello agonistico e mi addormentavo a quest'ora sul divano ogni sera. Come allora, però, sono estremamente soddisfatta della fonte della mia stanchezza.
Abbiate pietà (più del solito) per i refusi.

martedì 4 ottobre 2016

Aggiornamenti

Siamo a casa!
La pupattola (il gufetto è azzurro, perché la controparte era una sorta di pipistrello rosa che non mi piaceva per nulla, ma è una pupattola) si è installata con apparente soddisfazione nella nuova dimora per la gioia di tutti gli abitanti della casa allargata meno uno: il Persiano. Il gatto di casa non ha gradito PER NIENTE l'intrusione e per ora vince per parecchie lunghezze la gara del pianto disperato.
I giorni scorsi sono stati strani, pieni di emozione, ma a modo loro inaspettamente rilassanti.
Dopo un imbarazzante qui pro quo sulla data di nascita (non sappiamo dove nella filiera dell'informazione c'è stato un errore e la pupattola è di un terzo più piccola di quanto ci avessero detto all'inizio con conseguente corredino completamente sbagliato), siamo stati affidati a una "famiglia ponte" (da noi ribattezzati Mamma e Papà Cicogna). Persone fantastiche, estremamente arricchenti su tutti i fronti, ma anche con molta, molta esperienza pratica. Papà Cicogna, in breve diventato il nostro mito, ha tirato su sei figli, un numero non definito di nipoti e cinque cuccioli d'uomo passati di lì prima della nostra. Ha subito individuato la posizione preferita della pupa e ha frenato la nostra incipiente ansia. Si è trattato quindi di un fine settimana di conversazioni a voce sommessa e di luce soffusa, che poi era esattamente ciò di cui tutti avevamo bisogno.
Quindi siamo tornati a casa ancora avvolti da questo manto di serenità che spero duri il più a lungo possibile.
Di sicuro, come ribaditoci da tutti, siamo stati infinitamente fortunati, non solo perché la pupattola è adorabile (questo è così ovvio che tendo quasi a darlo per scontato. L'ho guardata, mi ha guardato e ci siamo reciprocamente adottate), ma anche a livello di procedura e di persone incontrare sul nostro cammino.
Quindi ecco, ora sono a casa, un po' divisa tra il mio nuovo ruolo di mamma adorante e quella di sempre. Tutto sommato è anche rassicurante notare che per quanto possa essere estasiata dal constatare la buona mobilità intestinale della pupattola (estasi che comunque suppongo di breve durata) io sia sempre me stessa e la foto sopra ben mi rappresenta in questo momento.
Di certo devo aggiornare le mie ninne nanna. Questa mattina Geordie di De André è stato molto apprezzato, ma forse dovrei trovare qualcosa si meno triste...