domenica 31 agosto 2014

Seconda a GialloStresa 2014!


Parlavo di fini e di inizi.
Iniziamo da una fine, anzi da una finale.

Difficile dire quanto mi abbia dato il premio Giallo Stresa nelle sue tre edizioni. 
Nel 2012 sedevo in fondo in fondo, intimidita dalla menzione al mio racconto. Il protagonista era padre Marco e non sapevo che da lì a poco il romanzo che lo vedeva protagonista avrebbe trovato casa. All'epoca non pensavo neppure che si meritasse di trovare casa! 
Già in quell'occasione il concorso era in collaborazione con GialloMondadori.
Da quell'edizione è nata un'antologia, Delitti d'acqua dolce. Presentandola, il gruppo di autori si è unito sotto la guida dell'organizzatrice Ambretta Sampietro, sempre capace di stimolarci e valorizzarci.
La seconda edizione è stata una festa. Si collaborava, in quell'occasione, con la casa editrice Eclissi. Alla premiazione si sono ritrovati tanti amici e alti se ne sono aggiunti. Ne è nata la bella antologia Giallo Lago.
Ed ecco la terza edizione. Ambretta ha di nuovo organizzato il concorso con GialloMondadori, che, parlando di racconti gialli, vuol dire il massimo a cui si può aspirare.
In finale eravamo in dodici, alcuni volti amici, altri nuovi. L'appuntamento era alla zattera di Omegna. Per chi non lo sapesse, Omegna è in linea d'aria a pochi chilometri da Stresa, ma su un altro lago, il "mio" Lago d'Orta. E se da un lato sono la prima che sostiene che questo campanilismo non ha ragione di esistere e che i nostri laghi devono promuoversi insieme, dall'altro mi sentivo un pochino più a casa, un pochino più in grado di dominare l'ansia che mi coglie tutte le volte che devo parlare in pubblico.
L'estate è quella che è e quindi non stupirà nessuno sapere che dopo i saluti del sindaco (donna tostissima che ha ricordato che la cultura può e deve far girare l'economia) siamo dovuti scappare tutti in municipio, abbandonando la pur bellissima pagoda vegetale galleggiante, attenti a non bagnare abiti, pettinature e, sopratutto, libri!
E subito sale la tensione. 
Perché arriva il momento in cui ti rendi conto di chi ha letto il tuo racconto. Non solo quel punto di riferimento del giallo italiano che è Franco Forte, ma anche una super scrittrice come Mariangela Camocardi e una super traduttrice Carmen Giorgetti Cima (che presentandosi mette l'accento sull'importanza della correttezza formale, facendo venire gli incubi a questa buffa scrittrice dislessica che teme di di aver condito il racconto con orrori inenarrabili).
E quindi si parte con la premiazione, dal dodicesimo posto a salire.
E salendo ho tutto il tempo di pensare alle cose più strane.
"Per fortuna sono riuscita a trovare una parrucchiera che sostituisse la mia che è infortunata. Se no che figura con i colpi di sole vecchi di tre mesi..."
"Forse non ce n'erano poi tanti di errori di ortografia..."
"Magari il mio racconto l'hanno perso..."
"Mio papà si è portato dietro la cagnetta, speriamo che non si metta ad abbaiare..."
E a un certo punto la matematica non è più un'opinione, siamo rimasti in tre!
Il maschietto del gruppo non riesco a vederlo, ma vedo Rossana Girotto, pallida, pallida, in un angolo.
E allora penso che mi piacerebbe proprio se vincesse lei. Compagna d'avventura in queste tre edizioni, la sua scrittura è lo specchio della sua anima sensibile. Quando le sue storie si tingono di noir acquistano, al mio palato da lettrice, un sapore delizioso. Mi piacerebbe proprio leggerlo il suo racconto su Giallo Mondadori e anche un suo romanzo, sempre venato noir...
E mentre penso queste cose, Franco Forte se ne esce con qualcosa che proprio mi stupisce, perché è una novità rispetto agli altri concorsi di GialloMondadori a cui ho partecipato, e cioè che tutti e tre i racconti rimasti in gara, magari con un buon editing, potrebbero essere pubblicati su GialloMondadori, non solo il primo!
E intanto il ragazzo del gruppo si aggiudica il terzo posto e rimaniamo solo io e Rossana.
Lei prima, io seconda e credo che sia proprio giusto così, col suo racconto più impegnato e più sentito, forte di una solida ricostruzione storica (mi dicono che affondi le radici nel dramma del popolo armeno) e il mio più divertente e disimpegnato.
Possiamo abbracciarci e sorridere nelle foto.
E ringraziare di nuovo tutti, Ambretta, senza la quale tutto questo non ci sarebbe stato, Franco Forte, che io starei ad ascoltare per ore, quando parla dei retroscena storici dei suoi romanzi, la giuria, Omegna, che ci ha ospitato, gli sponsor che hanno offerto i premi, i giornalisti che hanno coperto l'evento (arrivato anche sull'ANSA, sempre grazie ad Ambretta) e tutti i partecipanti.

Gli impegni mi obbligano a un ritorno frettoloso sotto il beffardo cielo omegnese, che ora ha smesso di piangerci addosso pioggia.
Però a casa mi resta un attimo, prima dell'arrivo degli ospiti attesi, per considerare anche il mio premio.
Adesso posseggo anche una splendida Montblanc nera e oro.
Proprio una penna da scrittrice vera...

venerdì 29 agosto 2014

Di fini e di inizi


Finisce agosto, con il suo odore di salsedine nel vento.
Inizia settembre, con la promessa di uva e foglie secche.

Finisce, piano, questo tempo sospeso d'estate.
Inizia la nuova giostra delle cattedre, con il corso abilitante da fare non si sa bene quando.

Finisce, piano, il romanzo pieno di streghe, con un assassino da troppo tempo a piede libero da assicurare alla giustizia.
Inizia l'avventura editoria del nuovo romanzo pronto. Oggi, finalmente, ho visto la copertina, ma ho promesso di non postarla per un paio di settimane ancora...

Finisce con i fuochi d'artificio, domani, l'edizione 2014 del premio letterario GialloStresa, a cui sono molto affezionata, con la proclamazione del vincitore.
Inizia per me un'avventura del tutto nuova, come presidente di giuria di un altro concorso letterario, il Premio Letterario Macugnaga, uno sguardo davvero da un altro punto di vista su questo nostro mondo fatto di lettere e storie.

Si finisce e si inizia, con la velocità che impone la vita, a volte indugiando sulla soglia, a volte senza il tempo per guardarsi indietro.

martedì 26 agosto 2014

La figura dell'eroe - Scrittevolezze


Chi è l'eroe?
L'eroe, nella mitologia classica è il figlio di un essere umano e di un essere divino. È quindi, fin dalla nascita una figura di mezzo, è sia un eletto che un diverso. Rifiutato dal mondo divino, spesso oggetto di invidie o di vendette da parte di qualche divinità (si pensi all'ira di Era nei confronti dei figli illegittimi di Zeus) è, nel mondo degli uomini, a suo modo un estraneo.
Ha doti eccezionali, sovrumane, possono essere la forza, come per Eracle, la capacità bellica e la velocità di Achille, ma anche la dolcezza del canto di Orfeo (figlio di una musa e di un essere umano), ma non è invincibile, né invulnerabile. È, come tutti, soggetto al Fato e, come gli altri uomini, andrà incontro alla morte. Le sue capacità stesse non sempre sono risolutive o possono rivoltarglisi contro. 
Con l'avvento del cristianesimo l'eroe perde la sua origine divina, ma non le sue prerogative che rimangono quelle di essere eccezionale, ma non invulnerabile. Eroe è il Paladino Orlando che primeggia tra i cavalieri di Carlo Magno, ma, tradito da Gano e soverchiato dai nemici, alla fine soccombe. Sempre più spesso gli eroi sono tali anche per il possesso di armi o oggetti eccezionali, come, ad esempio la spada Durlindana di Orlando (e le varie Excalibur et similia). Oggetti che sono desiderati e ambiti anche dai loro nemici. Sottrarli all'eroe, spesso vuole dire privarli di un vantaggio importante.

L'eroe oggi
L'eroe, nella narrativa (in senso lato) è un po' una summa di tutta la tradizione antica e medioevale.
– Può avere un'origine non del tutto umana (Superman) o essere in qualche modo "più che umano" per i più svariati motivi (ragni radioattivi, mutazioni varie...)
– Può avere oggetti eccezionali il cui uso è un vantaggio (Iron Man, il gadget di 007, la pozione magica di Asterix)
– Può semplicemente avere delle doti eccezionali (di intelligenza, abilità d'indagine, di combattimento...) che lo mettono al di sopra dell'uomo comune.
Quello che fa di un eroe un eroe e non una Mary Sue o un Gary Stu è però sempre la stessa ricetta:
L'eroe è eccezionale, ma non invulnerabile e spesso è un diverso all'interno della società
Può non essere riconosciuto dalla società (pensiamo a tutti gli eroi Marvel/DC dalla doppia identità) o, semplicemente avere doti che si rivelano vincenti in determinate situazioni, ma quasi un handicap nella vita di tutti i giorni, oppure ancora avere limitazioni che controbilanciano l'eccezionalità delle sue doti.
Non troviamo gli eroi solo nei fumetti e nei film supereroistici. 
Nel giallo, da Sherlock Holmes in poi, molti dei protagonisti appartengono all'archetipo dell'eroe, spesso sono imbattibili nelle indagini e delle frane nella vita privata, oppure hanno delle limitazioni fisiche/psichiche del più vario tipo. Stesso dicasi nelle storie di spionaggio e d'avventura. Nel fantasy, poi, l'eroe è di casa.

Abbiamo ancora bisogno di eroi?
Dal mio punto di vista di lettrice e autrice di storie di genere, sì, senza dubbio, a patto di essere fedeli all'archetipo di base.
Parteggiamo per l'eroe perché sappiamo che non è invincibile, può essere sconfitto ed umiliato come chiunque altro. Lo ammiriamo perché ha doti migliori delle nostre, ma soffriamo per lui per la sua solitudine / i suoi problemi. Come chiunque altro, l'eroe non può eccellere in tutto, proprio come noi può scoprirsi imbranato nelle situazioni più banali.

Si fa presto a scrivere eroe...
Costruire un eroe non è facile, perché, appunto, il rischio di farli troppo perfetti e trasformarli in Mary Sue/Gary Stu è forte. 
Un'altra difficoltà da non sottovalutare è che, scrivendo di un eroe, bisogna essere ben preparati sulla sua eccezionalità. Se non si sa niente di arti marziali è inutile fare un eroe maestro di karatè, si rischia solo di fare brutte figure!
Inoltre cosa spinge l'eroe a usare le sue eccezionalità? Insomma il nostro super esperto di karatè potrebbe limitarsi a vincere tornei e magari poi passare al cinema, invece di entrare nelle forze speciali per mettere la sua eccezionalità al servizio della comunità. L'inventore geniale potrebbe vendere brevetti e fare la bella vita e le super capacità di osservazione possono essere messe a frutto in attività più lucrose che l'indagine. La motivazione dell'eroe va pensata bene. Può essere un carattere schivo costretto dalle circostanze a sporcarsi le mani o può avere una motivazione profonda.
Attenzione: il trauma infantile con morte dei genitori è ormai stra abusato!
Infine le sue difficoltà che devono essere reali, non qualcosa che "fa figo" e non danneggia davvero l'immagine che noi abbiamo dell'eroe. Inoltre deve essere sempre qualcosa di plausibile, motivato dalla storia personale dell'eroe.
Infine, l'eroe non ci deve per forza spiattellare la sua triste storia. La possiamo scoprire poco a poco o, da lettori, ignorarla del tutto. L'importante, come sempre è che l'autore abbia le idee chiare.

Tenar e i suoi eroi
Come dicevo, non disdegno leggere e scrivere di eroi.
Oltre a Sherlock Holmes, uno dei miei eroi preferiti è Miles Vorkosignan, un altro "alto potenziale" con intelligenza e talento tattico da vendere, ma imprigionato in un corpo deforme e fragile e nato in una società che disprezza ogni forma di debolezza fisica.
I miei protagonisti spesso sono eroi, anche quando non si chiamano Sherlock Holmes.
Padre Marco, il mio prete investigatore, ha sicuramente una memoria, delle abilità logiche e un'erudizione eccezionale. È costantemente minato dal dubbio, su se stesso, sulla sua vocazione, sul suo coraggio, che poi spesso è la spinta per mettersi alla prova o ficcare il naso dove non dovrebbe.

Quasi sono i vostri eroi letterari preferiti? Tra i vostri personaggi ci sono degli eroi?

domenica 24 agosto 2014

Visioni - Film di agosto



GRAN BUDAPEST HOTEL
Wes Anderson ha scoperto la ricetta della leggerezza assoluta, trovando la grazia.
Wes è sempre stato regista personale ed eccessivo, i suoi film dai colori acidi, con famiglie geniali e ipertrofiche sembravano, però, sempre a un passo dal capolavoro. Come se mancasse loro qualcosa.
Invece Anderson ha iniziato a togliere. Tolta anche l'ultima patina di realismo, per costruire fiabe sospese in un altrove che è allo stesso tempo famigliare e lontano. Tolte le troppe stratificazioni di trama, per concentrarsi sull'essenza, quelle cose così in apparenza facili e così difficili da rappresentare sullo schermo. Ha lavorato di sottrazione anche sui colori, sempre eccessivi, ma virati al seppia.
E ha trovato qualcosa di molto vicino alla perfezione.
Moonrise Kingdom è finito dritto tra i miei film preferiti di sempre.
Gran Budapest Hotel prende meno il cuore, non fa uscire la lacrimuccia, rimane leggero e delizioso, come le paste prodotte dalla timida pasticciera con la voglia. Grazie a quelle paste, nel film, si può evadere verso la libertà ed è proprio quello che regala anche il film. Evasione verso un mondo che non è mai esistito, una finta Europa di finti anni '30. In un hotel dai toni rosa, in cima alla montagna, vive il concierge Gustave, frivolo, impeccabile, amante di tutte le anziane ospiti. È la sua avventura quella che viviamo grazie al racconto del suo aiutante Zero. Testamenti rubati, guerra incombente, inseguimenti, malinconia. Tutto è dosato alla perfezione per ottenere un film così leggero, da avere quasi l'impalpabile  consistenza del sublime.


DRAGON TRAINER 2
Delizioso era stato anche il primo Dragon Trainer, fresco di mille idee narrative e visive. 
Di fronte alla prospettiva di un sequel, però, il coraggio della produzione il più delle volte viene meno. Si vuole consolidare il pubblico già conquistato, non mettere in scena qualcosa di nuovo. 
Ho letto da più parti che questa mancanza di coraggio nel caso di Dragon Trainer 2 sia arrivata in corsa,  e che gli autori siano stati spinti ad edulcorare una sceneggiatura già scritta e, in origine, molto cupa. Qualcosa di vero deve esserci, dato che un grosso conflitto viene risolto a metà pellicola a tarallucci e vino, mentre poi spunta un cattivo dalla psicologia di carta velina con un super drago identico a un altro già visto.
Quello che rimane dopo questa probabile opera di riscrittura è un film gradevole, fatto con estrema maestria e, forse, poco cuore. L'isola dei vichinghi cavalcatori di draghi è un piacere per gli occhi e il drago Sdentato, con le sue movenze feline, è sempre delizioso. Si sorride e ci si commuove al momento giusto e si esce dalla sala soddisfatti. Anche se, magari, il giorno dopo ci si è giù scordati del film.
Intrattenimento per famiglie ben fatto, senza bonus aggiuntivi.


APES REVOLUTION
Ho sempre un sospetto, quando mi trovo a vedere questi film, che la produzione abbia speso così tanto sugli effetti speciali, sulla stupefacente computer grafica che, dovendo risparmiare da qualche parte, risparmi sulla sceneggiatura. Addirittura comprandone una di seconda mano e riadattandola alla meglio. 
Comunque sia, in 5 anni le scimmie sono diventate intelligenti e in grado di parlare e cavalcare (in barba alla fisiologia e al buon senso). Gli uomini sono pochi sopravvissuti asserragliati in una San Francisco in rovina e sono diventati stupidi. O, meglio, Gary Oldman è diventato stupido e per chi, come me, ha adorato La talpa, è un colpo al cuore.
Le scimmie vivono su una diga che, con l'annessa centrale idroelettrica potrebbe ridare elettricità a San Francisco, ma gli uomini sono diventati stupidi e al primo sopralluogo sparano a una scimmia. Seguono complicate trattative, il capo delle scimmie, Cesare, vorrebbe la convivenza, il suo braccio destro, Koba,  ex animale di laboratorio, lo sterminio. Gli esseri umani stupidi rovinano ogni speranza di salvare la situazione e si scatena il conflitto in un crescendo di umana idiozia (Koba, poveretto ha anche ragione a odiare gli uomini, ma gli uomini non hanno alcuna attenuante).
Alla fine Gary Oldman vince l'edizione estiva del Premio Prometheus per l'azione più stupida (e inconcludente) vista in una pellicola, ma almeno si leva di torno.
Cesare, dopo aver basato tutta la sua filosofia sulla non violenza e sul "scimmia non uccide scimmia", cambia idea e il film si chiude con una promessa di guerra.
Morale della favola: la stupidità umana è contagiosa e le scimmie non sono immuni.

venerdì 22 agosto 2014

Vi presento Mary Sue - Scrittevolezze

Vi presento Mary Sue
Di sicuro ne avete sentito parlare. Forse conoscete di nome anche la sua controparte maschile, Gary Stu. Ma chi è davvero Mary Sue? La buona Wikipedia ce la presente così, cioè come la summa di tutti i cliché letterari. Più semplicemente, Mary Sue o Gary Stu sono la trasposizione di ciò che l'autore vorrebbe essere o l'idealizzazione del partner che vorrebbe incontrare.

Perché è così istintivo creare una Mary Sue o un Gary Stu?
Quando iniziamo a scrivere, più o meno tutti noi tendiamo a trasporre sulla carta i nostri incubi, ma anche i nostri desideri. La persona che vorremmo essere o quella da cui vorremmo essere amati. Ci diciamo, dopo tutto, che scriviamo per noi stessi e quindi che male c'è a sognare un po'? 
Inoltre creare  un buon protagonista e conviverci è difficile. Avere a che fare con dei tratti caratteriali che non sono i nostri e raccontarne debolezze e difetti è stancante e snervante. È tutto più facile se il nostro protagonista ci assomiglia, ma, insomma, senza quelle parte di noi che non sopportiamo. E quindi sì, un po' ci assomiglia, ma è più bello/a, ha le nostre passioni, ma sa fare quello che ci piace meglio di noi e sa fare anche quello che noi non riusciamo a fare o che non potremmo mai fare. In un fantasy combatte, lancia incantesimi e ha come amico un drago (come minimo), in un urban fantasy è una persona quasi come noi (senza i difetti), ma con i superpoteri, in un'ambientazione realistica è quasi come noi (senza i difetti), ma ricco. E di mestiere magari fa lo scrittore di successo (o qualche altra professione affascinante che a noi è preclusa)

Perché Mary Sue o Gary Stu sono un problema per la storia?
Insomma, che male c'è a sognare?
Il fatto è che non sono realistici. Nella realtà le ragazzette timide e impacciate difficilmente fanno innamorare a prima vista vampiri o miliardari e di certo non imparano a combattere in dieci minuti. I bei tenebrosi tormentati non rivelano un animo tanto dolce una volta che l'amore della donna giusta li ha cambiati. Magari si rivelano violenti o soltanto noiosi e volgari. 
La mancanza di verosimiglianza impedisce l'immedesimazione del lettore che, molto spesso, invece di amare la ragazzina timida a cui però basta un cambio di pettinatura per fare strage di cuori, che scopre di avere un potere paranormale unico e prezioso e di saperlo in un attimo utilizzare, la detesta. E smette di leggere.
Inoltre il conflitto si ammoscia. Mary Sue non sbaglia mai. Non odia. Quindi a rigor di logica dovrebbe avere una vita di una noia abissale. Per ovviare a ciò rimangono sono due strade: o c'è un cattivo cattivissimo che la detesta solo perché è cattivo, oppure il suo nemico è il destino. Mary Sue diventa quindi sfortunata e pure porta sfiga. Ha lutti in famiglia, si innamora di chi non la può amare, ha incidenti/ guai di salute.

Però ci sono delle Mary Sue e dei Gary Stu di successo!
Vero. Esistono almeno tre categorie di Mary Sue/Gary Stu di successo.

a) personaggi che NON erano Mary Sue, ma hanno generato cloni Mary Sue.
Con un esempio diventa tutto più chiaro. Prendiamo Orgoglio e Pregiudizio. Elizabeth Bennet è povera, però è bella, intelligente e buona e di lei si innamora il più ricco giovanotto che le sia capitato a tiro! Sembra proprio Mary Sue. Peccato che il romanzo sia  del 1813, quando le ragazze dovevano essere timide e sottomesse e sposare chi diceva papà. Elizabeth ha generato una miriade di pronipotine Mary Sue, ma lei non lo era, per niente. Stesso discorso dicasi per Jane Eyre e similia.

b) personaggi creati apposta in storie che siano rappresentazioni dei desideri dei lettori.
Ovvero, se compro un Harmony voglio Mary Sue! 
Se apro un romanzetto d'amore voglio una storia a lieto fine con una bella ragazza nei guai e un bel tenebroso che diventa un cucciolotto tenerissimo. Non pretendo alta letteratura. Non voglio essere sorpresa. Voglio una minestra riscaldata con perizia con tutti gli ingredienti al posto giusto, compresa Mary Sue. 
Pensate al film Pretty Woman? Quanto è Mary Sue lei e Gary Stu lui? Tantissimo! Ma lo riguardiamo ogni volta con le lacrime agli occhi. Perché ci dà esattamente quello che chiediamo.
E 007? Quanto è Gary Stu Bond (almeno nella sua versione originale)? Di certo era la trasposizione dei desideri del suo autore. Funziona. Quando guardiamo un film di 007 (mai letti i libri) sappiamo che lui non morirà, che saprà sconfiggere tutti i cattivi e che si porterà a letto delle belle donne.
In questi casi non siamo di fronte né ad alta letteratura né a cinema d'autore, ma a una riproposizione di generi codificati che funzionano proprio fino a che rimangono uguali a loro stessi (provate a pensare di uccidere 007!). Attenzione, riscaldare con perizia una minestra così vecchia non è facile. 
Non sono sceneggiatori alle prime armi a scrivere 007 né scrittori improvvisati quelli degli harmony. Sono, al contrario professionisti con fior fior d'esperienza che sanno imbastire minute variazioni su un canovaccio noto.
Scrittori consapevoli di Mary Sue non ci si improvvisa

c) personaggi in storie non focalizzare sui personaggi
Storie in cui importa quello che succede, non a chi succede. 
Cito mio marito dopo la visione di Pacific Rim: "Ho fatto in una sera personaggi di D&D con più spessore di questi". Certo, ma chi è andato al cinema a vedere Pacific Rim voleva i mostri, non i drammi interiori dei personaggi! Stesso discorso si può fare per i porno.
Se il personaggio non è importante, si può usare anche una Mary Sue o un Gary Stu. Bisogna avere, però, qualcos'altro che catalizzi l'attenzione. O i mostri, o un disastro planetario o il sesso.

Un personaggio che avrebbe potuto essere Mary Sue e invece non lo è
Arya delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
È la più sveglia delle figlie di Ned Stark. Fin dall'inizio vuole diventare una combattente e si capisce che ne ha la stoffa. Ci sarebbe da aspettarsi che appena prenda una spada in mano diventi imbattibile. 
La prima volta che prova a esercitarsi provoca, indirettamente, la morte del suo amico. E neppure il migliore maestro d'armi ne fa una guerriera nel giro di un libro. È capace di odio, di rabbia e di non pochi errori.
Arya non è Mary Sue, è un personaggio che funziona maledettamente bene.

Tenar e le sue Mary Sue / Gary Stu
Ho il terrore della categoria. Il primo personaggio principale femminile su storia lunga è apparso nel romanzo che sto scrivendo. È presto per giudicare, ma se c'è in lei una Mary Sue è piccola piccola.
Avevo comunque paura di Gary Stu. Così nel mio romanzone fantasy, scritto ormai ennemila anni fa, il mio protagonista non era né un mago né un guerriero e neppure lo diventava. A metà storia, in seguito a una ferita, gli amputavano un piede. Alla fine veniva sì incoronato sovrano, ma la donna della sua vita gli dava picche.
Forse ho esagerato nel senso opposto...

Voi come ve la cavate sul fronte Mary Sue/Gary Stu?

mercoledì 20 agosto 2014

Proseguire il cammino - appuntamenti e appunti


APPUNTAMENTI


Sabato 30 agosto - ore 17 (circa)
OMEGNA - Zattera
Premiazione GIALLOSTRESA 2014
e presentazione romanzi degli autori finalisti
(tra cui LA ROCCIA NEL CUORE)

Sabato 20 settembre - ore 21
VERCELLI - Libreria Mondadori
VERCELLI IN BIONDA
20 autori presentano in 5 minuti la loro opera.
Si beve birra a volontà e si vota l'autore preferito.
Una formula simpaticissima a cui sono felice di partecipare con LA ROCCIA NEL CUORE


APPUNTI
Archiviate le vacanze, il clima ottobrino aiuta a pensare all'autunno. 
Autunno ancora piuttosto vago nella sua definizione. La giostra delle cattedre non è ancora incominciata, solo voci più o meno spaventose sulle graduatorie strapiene di insegnanti precari. Mi sono preiscritta al mitico/famigerato/temuto/atteso corso abilitante. Di cui per ora so che: a) mi costerà circa 2500 € di tasse b) mi costerà circa 100 € a settimana di sola autostrada c) due ore della mia vita se ne andranno per i soli spostamenti, l'auto è il solo mezzo praticabile e quindi niente lettura/studio da viaggio. In compenso quello che non so è: a) quando inizierà b) come saranno gli orari c) se e in che modo sarà compatibile con l'insegnamento.
Come sempre, l'incertezza è la misura della mia vita professionale, una dimensione nebbiosa che non si adatta un gran che bene alla mia forma mentale di pianificatrice.
L'incertezza letteraria è quasi più confortevole.
Ormai le operazioni per l'uscita di fine ottobre sono iniziate in grande stile. Ci sono ancora, per me, molte dolci incertezze.
La mia cartella relativa al romanzo è un gran caos di appunti, riscritture, file anche di poche righe di aggiunte o di tagli. Mi sono resa conto con una certa sorpresa che non ho un file decente con tutto il romanzo nella sua forma definitiva e quindi per una rilettura (si tratta di un testo finito un anno fa) devo aspettare, come tutti, di averlo in mano. Non so come sarà la copertina o, meglio, ho un'idea chiara della linea grafica della collana, e mi piace molto, ma non so come sia la mia. Ho persino un dubbio su una parola inserita nel titolo, perché onestamente non ricordo quale fosse la versione definitiva (dovrei controllare sul contratto), si tratta di sinonimi, per cui non ha molta importanza. Non vedo l'ora che esca il comunicato ufficiale per poterne parlare più nel dettaglio, perché si tratta di un figlioletto speciale. Tutti i romanzi lo sono, specie per un autore agli inizi, ma questo lo è di più e non solo per me. 
Il romanzo in scrittura procede, ormai sono al capitolo 32, non ne vedo ancora la fine, ma inizio a fiutarla. Forse è la concomitanza con i preparativi dell'uscita dell'altro, ma ne vedo sempre più le analogie. Ambientazione, trama e personaggi non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro, eppure la molla che mi ha portato a scriverli non è diversa. Alla base c'è per entrambi una storia dimenticata che in qualche modo mi è caduta in mano. Un romanzo è l'unico modo possibile, per me, per ridare memoria e merito a queste vicende dolorose e lontane. Per questo, le preoccupazioni per il "dopo" per questo romanzo in scrittura sono particolarmente pesanti. Non pubblicarlo non sarebbe solo un fatto personale, sarebbe, in qualche modo, essere venuta meno ad un impegno. Da qui lo sforzo per terminarlo entro una data stabilita, nella speranza che il mostrarsi affidabili abbia un suo peso.
Alla fine, come sempre, si può fare solo del proprio meglio. 

PS: nei prossimi giorni sarò di nuovo via, anche per cercare di terminare il romanzo lontano da ogni distrazione. Dovrei avere internet, ma il condizionale è d'obbligo e l'aggiornamento del blog non è garantito.

lunedì 18 agosto 2014

Leggere IT nel 2014

Non so di preciso perché non avessi mai letto It. Forse perché avevo iniziato due libri di King, entrambi libri sbagliati nel momento sbagliato e mai finiti, forse perché mi avevano detto che c'era un pagliaccio vampiro, cosa che trovavo molto più ridicola che horror.
Adesso, grazie a delle amiche, il momento giusto è arrivato, anche se forse quello davvero giusto era passato per sempre. 
IT andrebbe letto a quattordici anni, relativamente vergini di sovrastrutture mentali. 
Letto a 34 anni, da scribacchina, lo si vede inevitabilmente con altri occhi ed è impossibile non farci sopra una serie di ragionamenti metanarrativi.
Alcune idee entro pagina quindici si erano già stampate nella mia mente: "adesso capisco molto della letteratura di genere americana" e "ecco cos'è il talento".
Partiamo dalla seconda considerazione.
Ecco cos'è il talento
IT è un libro scritto d'istinto, definito da un talento innato che ruggisce alle mie orecchie di autrice. C'è qualche traccia di pulitura tecnica, c'è qualche ruffianata studiata a tavolino (muoiono solo i protagonisti un po' antipatici, tanto per dirne una), ma in generale è la cosa più istintiva, informe e al contempo geniale che mi sia capitato di leggere.
Provo a spiegare.
L'estate della paura di Dan Simmons è un romanzo uscito a pochi anni di distanza da IT, che affronta più o meno gli stessi temi (il passaggio tra infanzia e adolescenza nella provincia americana raccontato attraverso la forma di un horror lovecraftiano). È un romanzo ben scritto, solido, gestito da un autore capace.
IT è più meno la stessa cosa, ma come potrebbe essere raccontata in una seduta psicanalitica da qualcuno che tenta di affrontare i propri traumi. 
Il fatto che il secondo romanzo sia più famoso, più letto e in fin dei conti migliore del primo è quasi del tutto una questione di talento.
Da brava strutturalista di solito tendo a ignorare le biografie degli autori ma qui era evidente che per alcuni tratti King non stesse parlando di personaggi, ma di se stesso. Amnesia e la perdita nell'infanzia sono descritti in un modo possibile, credo, solo da qualcuno che ci sia passato. Aggiungiamoci che, per sua stessa ammissione, all'epoca l'autore aveva problemi con le droghe. A rendere IT un capolavoro e non un disastro è un istintivo senso di cosa stia nella storia e cosa non ci stia.
King descrive con minuzia a volte snervante particolari apparentemente secondari, salvo abbandonarli senza pietà quando "escono dalla storia". Chi ha letto il romanzo, sa quanto sia importante una certa barchetta di carta. Ne viene descritto il viaggio. La barchetta finisce in un tombino, da lì nelle fogne. L'autore la segue per molte righe, descrivendone ogni svolta, la si accompagna per un tratto piuttosto lungo, fino a che, semplicemente "esce dalla storia". Con questa frase, bruscamente, la barchetta viene abbandonata, senza che di lei se ne sappia più nulla. Allo stesso modo vari paragrafi vengono dedicati alla storia di un bar che poi, nella pura trama, ha un ruolo molto marginale di location di un evento altrettanto marginale. Interi anni della vita dei protagonisti, invece, vengono solo accennati.
La mia impressione è che King abbia tracciato, più o meno a istinto, dei confini precisi entro i quali tutto ciò che avviene è parte integrante della trama, mentre tutto ciò che è esterno non ha importanza. Questi confini, in senso lato, coincidono con quelli di Derry, la cittadina "infestata" da It, dove la vicenda si svolge. In quest'ottica, tutto acquisisce senso. Il bar, con la sua ascesa insperata, è esempio di come agisce l'ambigua influenza di IT, che dona prosperità a quello che è il suo territorio di caccia, e allo stesso modo la barchetta viene dimenticata non appena esca dal territorio di influenza di IT. Ecco quindi che tutta la sovrabbondanza di particolari, la ricostruzione minuziosa di particolari in apparenza inutili diventato essenziali alla costruzione di una storia che non è solo quella personale dei protagonisti, è storia di una città, forse metafora dell'intera America.
Allo stesso modo il viaggio alla fine dell'infanzia, è una sorta di catarsi personale, un'immersione in un tempo mitico e drammatico, tutt'altro che idealizzato, raccontato con la crudezza di chi non riesca a liberarsi di alcuni ricordi e non riesca a focalizzarne altri. Che sia una questione personale ci viene detto a chiare lettere. Uno dei protagonisti è uno scrittore di successo e in un passaggio viene detto di lui (parafraso non riuscendo a trovare il passo): "È impossibile che non sia successo nulla d'importante nella sua infanzia, dato che l'infanzia è centrale nei suoi romanzi". 
L'impressione che ne ho avuta è di una storia in cui l'autore si muova a vista, con più istinto che calcolo. 20% tecnica 60% ossessione e talento e 20% fortuna. Questa mi sembra che possa essere la ricetta di IT.
King scrive benissimo, ma non credo di voler essere come lui. In vari punti del romanzo ho pensato che questa narrazione fosse anche una disperata richiesta d'aiuto da parte del suo autore. Non so se sia vero. Suppongo che il fatto che King sia ancora vivo voglia di per sé dire che in qualche modo ce l'abbia fatta.
Ora capisco certa narrativa di genere americana
Che pecca di prolissità. Certo. Sono tutti figli di King e, quindi, di IT. Senza, però, l'istinto del Re per cosa sia storia e cosa non lo sia. La prolissità, almeno in IT, non funziona perché "fa atmosfera", funziona perché circoscrive una città irrimediabilmente contaminata, perché è peregrinazione in labirinti mentali che non possono che essere contorti e ipertrofici. In molti autori americani, invece, avevo notato un fiorire di particolari più o meno inutili messi lì nella speranza che "facessero atmosfera", per imitazione direi adesso.
Grazia al cielo ho letto IT solo adesso, quando il mio modo di scrivere è più o meno definito!

Si può fare nel 2014 una recensione di IT? Non lo so.
Alla fine, anche qui, è sempre la solita vecchia storia. Il male, il bene, la chiamata degli eroi.
Questo, dopo tutto, è quello che gli autori sono chiamati a fare, reinterpretare in modo personale formule universali. Cercando, forse, di salvare nel mentre non il mondo, ma almeno se stessi.

mercoledì 13 agosto 2014

Urca le Orcadi, parte seconda. - Strane storie

Strani riti funebri


Mi sono ripromessa di non parlare qui del neolitico delle Orcadi, perché ne uscirebbe una seconda tesi di laurea, mi limito alle curiosità.

Le isole sono cosparse di siti e tombe. Tombe a tumulo, antenate delle Piramidi, tombe trovate per lo più intatte con gli scheletri ben accatastati. Erano ordinati, i neolitici delle Orcadi: i teschi di qua, i femori di là in mucchi ben impilati. Va da sé che per ottenere un tale ordine le ossa è meglio averle già spolpate. Da questa considerazione sono seguiti tutta una serie di studi e di strane scoperte. 
Pare che i morti venissero esposti all'aria e dati in pasto alle aquile. Sono una volta che le ossa erano state ripulite venivano poi sistemate nelle enormi tombe comuni.
Al di là delle implicazioni culturali (nel neolitico non mi pare che un rito simile sia attestato in altre parti d'Europa, ci sono delle similitudini in Tibet e in alcune culture nativo americane) ho pensato che sarebbe un fantastico scherzo postumo, oltre che uno spunto narrativo. Immaginiamo un  riccone che vincoli il trapasso dell'eredità all'esecuzione di questo antico rito funebre orcheningo. Non abbiamo giù una storia?

Nessun santo che non sia armato

Eccomi alla porta della cattedrale di San Magno. Ma chi era San Magno? 
Di fatto il mite Magno era un piratone vichingo, convertitosi al cristianesimo e dotato di un ottimo ufficio stampa, gestito dal nipote. Questi infatti, promise di erigergli una cattedrale se avesse sconfitto i suoi nemici. Nel frattempo il buon Magno assurgeva ad eroe nelle saghe locali. Distinguerlo nelle raffigurazioni è facile: impugna sempre un grosso spadone, come a volerti sfidare a non riconoscere la sua santità. Lo stesso spadone che deve aver tenuto presente ormai a fine ottocento il papa che ratificò il suo culto. Se non lo avesse fatto sarebbe stato un po' difficile spiegarlo agli abitanti di Kirwall, la città di Magno, che da secoli pregano nella sua cattedrale e ogni capodanno si sfidano in una sorta di battaglia di strada (che di certo il loro protettore guarda con favore).
Sta di fatto che san Magno si è insediato nella sua cattedrale con quasi sette secoli di anticipo sulla propria canonizzazione, ma non è solo. Gli fa compagnia sant'Olaf, rappresentato sempre con la sua ascia da guerra. A ben vedere non ci sono molte figure non armate nella cattedrale di San Magno. C'è anche la tomba di un esploratore artico, ritratto mentre dorme il suo eterno riposo abbracciato al proprio fucile. Ma mi è venuto il dubbio che la catechesi locale salti il passaggio sul porgere l'altra guancia...

Un tocco d'Italia

Ecco, immaginiamoci allo scoppio della seconda guerra mondiale. Un soldato come tanti dei nostri obbligato a partire per la guerra. Mentre saluta la famiglia e osserva il vicino di casa pronto a partire per la Russia con scarpe di cartone, ha almeno una consolazione:
 – Almeno, cara, non soffrirò il freddo: andrò in Africa!
Il nostro soldato, però, catturato dagli inglesi potrebbe essere uno dei quasi 600 prigionieri italiani finiti alle Orcadi.
All'epoca alle Orcadi c'era uno dei più importanti porti militari della Gran Bretagna. All'inizio del conflitto, però, un sottomarino tedesco riuscì a infilarsi nella baia, abbattendo una nave che calò a picco con i suoi oltre 800 soldati imbarcati. Fu così deciso di costruire una serie di muraglioni difensivi che unissero tra loto alcune delle isole. I prigionieri italiani furono in gran parte impegnati in quest'immensa opera (oggi sopra i muraglioni corre la strada che è il principale collegamento tra le isole). Quelli tra loro che avevano uno spiccato talento artistico furono però distaccati a decorare un container adibito a chiesa che è tutt'ora il più colorato monumento delle Orcadi, la "Cappella degli Italiani". Ed è bello ogni tanto andare in vacanza in un posto dove Italia non sia uguale a "pizza, mandolino e mafia", ma "chiesa colorata e opere pubbliche".
Che poi il colore della Cappella degli Italiani sia necessario lo si capisce anche solo abbassando lo sguardo al mare sottostante:

lunedì 11 agosto 2014

Urca le Orcadi!


L'unica pecca delle vacanze è che poi finiscono.
Ci sono, però, vacanze che semplicemente finiscono, viaggi che si arenano al recupero bagagli, in un sentore già sbiadito di sdraio e creme abbronzanti e viaggi continuano, da qualche parte nella mente, in un lento rielaborare di sensazioni.
Il viaggio alle Orcadi è stato senza dubbio di questa seconda categoria. Nei prossimi giorni, quando di preciso difficile dirlo nel ferragosto che incombe, racconterò qualcuna delle storie che ho portato a casa.
Oggi solo sensazioni.

Le Orcadi non sono le Isole di Ferro di Martin, sono Earthsea della Le Guin


Sono isole dolci e antiche, percorse dai venti e amate dagli uomini. Da ogni terra se ne vede un'altra, vicinissima e distante. Ognuna ha la sua storia, la sua identità, ognuna il suo forte senso di appartenenza.
C'è un senso di tranquillità quasi irreale, nei paesini dove le porte di casa non vengono mai chiuse a chiave (giuro), dove tutto scorre al ritmo puntuale dei traghetti e il mondo è vicinissimo (il wi-fi è presente quasi ovunque) e distante otto ore di nave.


Tutti leggono, alle Orcadi. In un paese di 6000 abitanti ci sono due librerie e una fumetteria. Tutti coccolano la propria storia, orgogliosi di quel concetto da noi quasi sconosciuto di "bene comune".
Sono terre difficile, dove le tempeste possono, letteralmente spazzar via la costa e farla arretrare di ottanta metri.
Sono terre di cui è difficile non innamorarsi.

E poi ci sono le Puffin!

E come si fa a non voler bene alle puffin?

PS: potete cliccare sulle foto per ingrandirle.
PPS: sul National Geographic di questo mese un bell'articolo proprio sulle Orcadi.
PPPS: e mentre ero via mi hanno confermato che il mio nuovo romanzo andrà in stampa a fine settembre. Cosa si può voler di più dalla vita?