venerdì 29 settembre 2017

Aggiornamenti scrittorei

Scrivere è una parte di me.
Negarla sarebbe sciocco come tagliarsi un piede perché in quel momento non si ha la possibilità di correre o camminare.
Oggi con una collega parlavamo dei sogni negati. Continuare a rincorrere i propri sogni e le proprie passioni è spesso sfiancante a volte sembra anche inutile. Però fa vivere meglio. Più vado avanti nella strada della vita e più incontro persone oppresse dai rimpianti. Preferisco sembrare infantile piuttosto che finire sepolta dagli stessi macigni. Preferisco fare meno che non fare. Preferisco essere sconfitta dagli eventi che da me stessa.
Scrivere è una parte di me. Quindi scrivo. Meno. A scuola, durante le ore buche. Adesso, in attesa che i bambini escano dal nido. Sembrando viziata (forse lo sono), pago una persona per stirare e guadagnare per me almeno tre ore settimanali. 
Non ho la pretesa, in questo momento, di scrivere un capolavoro. Scrivo perché è una parte di me. Anche quando la scrittura è una sofferenza, è una sofferenza che mi fa stare bene.

Ovviamente sono di una lentezza disarmante. Forse per Natale vedrò la fine della storia lunga che mi fa compagnia dall'estate scorsa.
L'idea di terminarla un po' mi mette tristezza, sia perché per una santa volta il tono è leggero se non comico, sia perché mi ha fatto compagnia in momenti importati. Non ho idea di quante incongruenze ci siano dentro, con capitoli scritti a mesi di distanza l'uno dall'altro e la revisione sarà terribile. Però l'idea stessa di averla scritta senza rubare tempo agli affetti mi fa stare bene. Non ho idea del futuro editoriale che potrà avere, ma penserò sempre a questa storia con un sorriso, per i ricordi a cui è legata. Tra questi ci sono anche le blog amicizie. È nata da un esercizio di Michele e magari salterà fuori un'altra collaborazione per la revisione (ho decisamente bisogno di aiuto!).
Il titolo al momento è La congrega della Gazza Ladra, ma potrebbe anche essere Il Mantegna fantasma.

Ho anche un romanzo finito a cui tengo molto e che ritengo, al momento, la cosa migliore che io abbia scritto. Una casa editrice assai carina accetta manoscritti per il solo mese di settembre e giura di rispondere in 4 mesi. È stato il mio unico invio.
C'è troppo di me stessa in quel romanzo per provare alla cieca o per darlo in mano a chi non avrebbe poi i mezzi per distribuirlo e promuoverlo. Vedremo. Stando al sito dell'editore la selezione non è ancora cominciata, ma, dato il mio carattere, sento già le campane a lutto. Perché io sono così. Da un lato miro alto, dall'altro sono convinta di non avere i numeri per giocarmela.

Infine c'è qualche uscita in arrivo e dire neanche secondaria. In particolare un e-book sherlockiano a cui tengo molto, perché si tratta non di un racconto ma di un romanzo breve e di un gioco metaletterario che mi ha dato tantissimo da fare, ma anche tanta soddisfazione.

Quali sono, invece, i vostri aggiornamenti scrittorei?

lunedì 25 settembre 2017

I dubbi della mamma socratica – "era meglio una volta"

Fb ha finalmente scoperto che sono diventata mamma.
Dico finalmente, perché prima, basandosi sui miei interessi aveva stimato la mia età intorno ai 98 anni e mi proponeva, come "post sponsorizzati" metodi per tenere il cervello attivo nonostante l'età, rimedi ai malanni della vecchiaia, consigli su come non rompersi il femore, per non parlare delle pubblicità delle case di riposo (giuro).
Ora invece, dopo un momento in cui mi ha preso per una direttrice d'orchestra (!), pubblicizzandomi corsi d'aggiornamento e riviste specializzate, mi propone ogni sorta di articolo di pedagogia. Grata del cambiamento, li leggo avidamente, senza negarmi i commenti degli altri utenti.
Lì, come altro e non solo per quanto riguarda i pupi, vedo un grande ritorno del "era meglio una volta".

Era meglio una volta quando i bambini erano seguiti dalle mamme, che stavano a casa e avevano tempo da dedicare.
Era meglio una volta quando giocavano nei cortili.
Era meglio una volta quando si mangiavano cibi più sani.
Era meglio una volta quando i maestri si facevano rispettare.
Era meglio una volta quando tutte queste "malattie" (di solito si parla di disturbi specifici dell'apprendimento) non c'erano.
Come dicevo non riguarda solo l'educazione dei pupi. Il "era meglio una volta" sembra un mantra tornato di moda (o forse non era mai passato di moda, ma ora sono più sensibile).
Ma siamo sicuri che fosse davvero meglio una volta?

La premessa a questo discorso è che forse la mia ottica è sfalsata dal fatto che io vivo in campagna. Le mie amiche di città in effetti mi raccontano di bambini che non sanno più giocare all'aperto e non sanno come sia fatta una mucca. Io vivo in paese, i bambini giocano a calcio per le strade o nei cortili, rimaniamo bloccati dai greggi in transumanza e compriamo carne e formaggio dal pastore. Quindi mi assumo la responsabilità di parlare da una posizione che non vive (per scelta) alcune problematica.
Comunque...

Era meglio una volta?
Innanzi tutto una volta quando?

Negli anni '70/'80 quando le isole pedonali non esistevano, le auto erano più inquinanti, l'aria era peggio di adesso e le norme in fatto di additivi alimentati erano meno restrittive? Negli anni '70/'80 ci siamo mangiati le peggio cose, sguazzavamo nell'inquinamento assai più di adesso. Ne eravamo meno consapevoli, quello sì. Molte delle famiglie avevano già entrambi i genitori lavoratori e quindi le cure che questi potevano dare ai pargoli erano più o meno le stesse di oggi. Meno, perché gli elettrodomestici erano meno e meno efficienti, quindi la casa dava ancora più da fare alle madri. Da bimba degli anni '80 posso dire che si passava da un estremo all'altro, dalla riproposizione di modelli pedagogici obsoleti all'introduzione di nuovi modelli in modo un po' troppo ideologizzato (sono figlia di una femminista militante che mi ha cresciuto secondo le sue convinzioni, so di quello che parlo). È questo il periodo in cui "era meglio"?

Le famiglie degli anni '50 e '60 hanno creato il '68 e i ragazzi di quella generazione hanno espresso fin troppo bene il disagio per il modo in cui erano stati cresciuti...

O forse parliamo di un passato più sognato che vissuto, idealizzato, l'indefinita "epoca dei nostri nonni"?
Ecco, allora guardiamo con un occhio un poco più storico come sono cresciuti i nostri nonni.
Mi baso sulla mia storia famigliare, ma solo perché, complice una madre borghese fuggita con un operaio, così ho un campione assai diversificato.

I miei nonni paterni erano contadini poveri. I bambini crescevano senza padre, perché i padri andavano a lavorare lontano come manovali. In Svizzera o in Germania se andava bene, se no oltre oceano. Alla faccia dell'indispensabile della figura maschile di riferimento. I paesi erano popolati quasi solo da donne e da bambini (già allora le donne vivevano di più, quindi di nonni erano rarissimi), gli uomini tornavano a casa una/due volte l'anno e ripartivano.
Le donne dovevano farsi carico della casa, degli animali domestici e dei campi. I bambini, una volta svezzati, erano lasciati per lo più a loro stessi e alla cura di quelli più grandi. Più grandi e più responsabili assai relativamente, mia nonna è rimasta famosa per la sua affermazione "io il fratellino lo curo, ma poi quando lo mangiamo voglio la parte migliore". A quattro anni potevi badare alle oche, poi passavi alle capre e alle mucche. Chi viene da un'infanzia simile la ricorda bellissima. Salvo poi ricordare anche gli amichetti morti, di malattia o incidente.
Io la frase "meglio un figlio morto che la mucca morta" l'ho sentita raccontare da mio nonno, che si vantava (giustamente) di aver cresciuto tutti e cinque i figli. A nessuno delle generazioni precedenti era andata altrettanto bene. Inutile dire che l'istruzione era un fatto del tutto secondario, cosa che non permetteva a nessuno di cambiare vita. Non era cattiva volontà, tutt'altro, mio nonno si è stremato per far studiare almeno l'ultimo figlio, ma per quelli prima vigeva la regola (sacrosanta) che appena possibile bisognava contribuire alle necessità della famiglia. Mio padre, che pure legge moltissimo e si è dato un gran da fare per colmare le sue lacune, soffre tutt'ora per questa istruzione mancata che lo ha posto per tutta la vita in una posizione di inferiorità rispetto a chi poteva vantare un titolo di studio.

La famiglia di mia madre era, prima della guerra, altoborghese (poi la ditta è fallita e i sopravvissuti sono tornati tra i comuni mortali).
I padri si occupavano del lavoro, erano figure autoritarie e distanti. Di mamme amorevoli i ricordi di nonni e prozie ne rammentano pochissime. I figli dovevano. Dovevano essere all'altezza dei padri e portare avanti il buon nome della famiglia. I figli maschi andavano in collegio, le figlie femmine avevano un'istruzione minima, perché oltre non serviva (mia nonna materna e mio padre avevano rimpianti simili riguardo allo studio) e dovevano prepararsi alla loro vita da adulte. Se c'era più di un figlio e/o più di una figlia qualcuno doveva per forza diventare prete o suora. Mia nonna ricordava con tristezza la sorella morta di tetano, ma la sua morte era anche legata allo scampato pericolo del convento, mentre di suo fratello a volte commentava che era un peccato fosse l'unico maschio, perché se la sarebbe cavata meglio come prete. La scelta data ai figli sul loro destino era tra il minimo e il nullo. 
Quanto a mio nonno, i suoi ricordi del collegio rivaleggiano con le più angoscianti pagine di una certa letteratura per ragazzi. In uno ha rischiato la morte per polmonite a causa del freddo e della cattiva alimentazione che, a detta dei preti che gestivano il posto, dovevano temprare il suo fisico e il suo carattere. Essendo lui l'unico figlio di un industriale è stato recuperato dalla famiglia... Solo per essere spostato in un altro collegio (però al mare, dove il clima gli avrebbe giovato)!

È chiaro che generalizzare non fa bene, sicuramente ci sono state famiglie amorevoli e felici che hanno cresciuto ottimamente i loro figli. Di certo nella famiglia di mio padre, nonostante le carenze alimentari (la pellagra era assai diffusa) e i pericoli di una vita così brada i figli erano più felici e si sentivano più amati. 
Però, ecco, è questo il "Una volta" di cui stiamo parlando?

sabato 23 settembre 2017

Piovono libri – Ghiaccio Nove


I due libri che il gruppo di lettura ha letto quest'estate sono così diversi ed entrambi meritano (per opposti motivi) alcune considerazioni non frettolose che ho deciso di dedicare a ciascuno un post. Del primo, Rinascimento Privato, ho già parlato qui.

Il secondo libro era Ghiaccio Nove di Kurt Vonnegut.
Si è commentato, ieri sera, che è questo un libro un po' dimenticato, sarà la copertina che fa pensare più a un romanzo rosa, sarà il fatto che non è un romanzo facilmente inquadrabile. Si tratta di una sorta di fantascienza distropica intrisa di humor nero (o di humor nero e cinico vestito da fantascienza distropica). Si racconta di uno scrittore alla ricerca dei tre figli di uno dei padri della bomba atomica, in un mondo realistico e bislacco insieme. Scoprirà che essi conservano l'ultima invenzione del padre, una molecola di ghiaccio (il ghiaccio nove, appunto) in grado di far congelare istantaneamente tutti i liquidi della terra. Con i tre figli dell'uomo finirà in un'isola tropicale, molto più infernale che paradisiaca, dove la stupidità umana, più che la malizia darà inizio all'apocalisse.

Un poco fuorviante è il titolo italiano, che punta l'attenzione sulla scoperta dello scienziato. Quello originare suonerebbe come "il canestro del gatto" e fa riferimento a un gioco più volte nominato del libro, che diventa metafora della mancanza di senso del mondo. E, del resto, questo romanzo, tutto giocato sul dramma estremo raccontato come se fosse una barzelletta, non fa che ragionare sulla verità e la menzogna.

Il romanzo si apre con la frase "niente è vero, in questo libro" ed è percorso dalle frasi del santone Bokonon, fondatore del Bokononismo, religione segretamente diffusa nell'isola in cui la seconda parte del romanzo è ambientato. Bokonon sostanzialmente dice tutto e il contrario di tutto, per ribadire il concetto che non c'è alcuna verità assoluta a cui l'uomo può giungere:
Alla tigre tocca cacciare
All'uccello tocca volare
All'uomo tocca chiedersi: "Perché? Perché? Perché?".
Alla tigre tocca dormire
All'uccello tocca posarsi
E all'uomo raccontarsi
Che è ancora in grado di capire.

La cosa strana è che quasi tutti i presenti alla riunione (me compresa) hanno trovato un sacco di verità nelle parole di Bokonon e nel bokononismo. In particolare io ho trovato un sacco di verità in questo libro.
Questa descrizione dell'umanità cinica e comica, intrisa di un umorismo disperato, quello di chi non può far altro che ridere vedendo la tragedia che si prospetta all'orizzonte ineluttabile, ha vette li lirismo e squarci di lucidità inaspettate.
Io non sono una fan delle citazioni, di solito non sottolineo i libri che leggo per ricordarne le esatte parole, ma con Ghiaccio Nove ho avuto più volte l'istinto di farlo. Viene da qui la riflessione a cui ho dedicato un post qualche giorno fa:
Come muore un uomo quando viene privato della consolazione della letteratura?
In uno o due modi, per pietrificazione del cuore o per atrofia del sistema nervoso.

Ma è sempre il Ghiaccio Nove che ho trovato una delle più belle definizioni del mio rapporto col Nik:
Una duplass è un valido strumento per acquisire e sviluppare, nell'intimità di un'interminabile storia d'amore, dati di conoscenza che sono strani ma veri.
Ora, pensando all'amore che condivido con il Nik per le informazione bizzarre ma vere, mi è sembrato strano vedere descritto in termini così chiari e insieme così teneri, quella che è effettivamente una nostra caratteristica.

Potrei continuare, Ghiaccio Nove è uno strano libro che racconta il peggio dell'umanità attraverso il comico e il falso, per gettare ogni tanto lampi di spiazzante verità.

Non è solo questo, però, il fascino del romanzo, gli spunti di riflessione sono molti, la guerra, la stupidità, la solitudine, le cose che si fanno per l'illusione di un amore (alla fine tutti e tre i figli barattano la molecola per una storia d'amore illusoria). Mi ha colpito particolarmente il discorso sulla religione. 
Bokonon si inventa santone per distrarre una popolazione prostrata dalla povertà. Si inventa la leggenda, in realtà costruita a tavolino, del santo che vive nella giungla, ricercato dal dittatore che vuole la sua testa. Eppure la sua finzione diventata una vera religione, non priva di fascino persino per i lettori, come se, anche in questo caso, una verità trascendesse le menzogne. O se le menzogne credute verità acquisissero una forza non in virtù di un loro senso assoluto, ma per la percezione delle persone che le considerano vere.

Ancora una volta il gruppo di lettura mi ha fatto scoprire un autore e un libro a cui non mi sarei avvicinata, facendomi scoprire un libro solo apparentemente facile, per nulla immediato, che raggiunge lampi di verità attraverso la menzogna dichiarata.
Sicuramente da riscoprire.

A questo punto, però, mi è venuta anche la curiosità di chiedervi in quale libro avete trovato inaspettatamente una frase che sembrava parlare di voi.

giovedì 21 settembre 2017

Il mio nuovo blog didattico

Bene ho fatto ad anticipare la scrittura e la pubblicazione del post su Rinascimento Privato, perché poi il nido ha colpito, portando alla pupattola un simpatico virus del raffreddore potenziato. La mia bella organizzazione nido-scuola-casa è crollata come un castello di carta, sostituita da un incastro nonni/riunioni/rientri anticipati, una sorta di tetris casalingo dagli spigoli sensibili.
Adesso, però, la piccola dorme tranquilla (spero di non aver parlato troppo presto) e io raccolgo le ultime forze per qualche riga.

Ogni tanto torna la domanda, nella blog sfera, su a cosa serva davvero un blog. Non a vendere, non a farsi conoscere a un vasto pubblico, non a scrivere narrativa. Insomma, sembriamo dirci, è divertente, però...
Però si costruisce una professionalità. Si impara a conoscere uno strumento che magari può essere utile.
Avevo già sperimentato il blog didattico con la mia precedente classe, lo usavo sopratutto per pubblicare i lavori dei ragazzi.
Quest'anno mi trovo a iniziare un nuovo ciclo e ho pensato di fare qualcosa di un po' più strutturato che possa ospitare sia i lavori dei ragazzi sia materiale per le lezioni. Due settimane di scuola sono poche per capire se il mio esperimento sta funzionando da un punto di vista didattico. Di certo aiuta me. Il blog è uno strumento che uso da anni, ci metto davvero pochissimo a caricare i post, in parte preparati quest'estate. In classe posso proiettare tutto alla LIM e, magari alla prima ora, dopo una notte in bianco o quasi, avere già il riferimento alle pagine del libro e all'attività mi aiuta a non perdermi. 
L'aspetto al momento è ancora un po' troppo serioso, ma spero che presto i miei "primini" possano colorarlo con i loro lavori.
Se vi va, venite a dare un'occhiata:


La cosa su cui riflettevo caricando i materiali per le lezioni di oggi è che non ho mai pensato al blog come a qualcosa di utilitaristico. Ho aperto il primo quando pensavo che nessuno mai mi avrebbe pubblicato, senza pensare, quindi a un ritorno diretto per la mia, all'epoca solo sognata, attività di autrice. In realtà grazie il blog si è rivelato una miniera di occasioni, conoscenza, amicizie. Sono una classicista involuta in archeologa preistorica, la tecnologia della mia epoca è la pietra levigata. Il blog mi ha obbligata a usare ogni giorno il computer per qualcosa che non fosse un semplice programma di scrittura. Intendiamoci, basta un minimo intoppo perché io mi senta persa e sono convinta che dei minuscoli gnomi facciano funzionare gli ingranaggi del mio mc, ma, insomma, senza il blog sarei messa peggio.
Quindi la mia perla di banalità di questa sera è che a volte chiederci il a cosa serve qualcosa è molto meno importante che farla. Se non oggi, domani a qualcosa servirà.

martedì 19 settembre 2017

Piovono Libri – Rinascimento Privato

Questa è la storia di una sconfitta. La mia sconfitta di fronte a un libro che ho fortemente voluto leggere, votandolo con entusiasmo come lettura estiva al gruppo di lettura.
Solo quest'anno, in cui ho letto sensibilmente meno del solito per ovvi motivi, mi sono scofanata tre saggi e un romanzo non proprio formato XXS sul rinascimento (Il tormento e l'estasi). E allora perché, perché questo romanzo mi ha sconfitto?
Amo il rinascimento, amo i romanzi storici, specialmente se in prima persona e scritti da donne. Memorie di Adriano è tra i miei libri della vita.


Rinascimento privato, infatti, altro non è che la biografia romanzata di Isabella d'Este, signora di Mantova, scritto in prima persona, inframezzato dalle lettere da lei ricevuto da parte di un ammiratore (nonché prete) inglese.
Credo che il problema sia stato il cozzare dell'immagine di Isabella d'Este già presente nella mia testa e quella presentata in un romanzo che ne dovrebbe ripercorrere la vita.
Ricordo una piacevole vacanzina natalizia a Mantova e la visita alle stanze di Isabella
Una delle stanze private di Isabella
Ricordo in particolare, all'interno della sua collezione di antichità, una stata di Apollo, nudo e in tutta la sua bellezza greca. Avevo commentato con il Nik sul carattere di una donna rinascimentale che ammirasse spudoratamente una simile statua, ottima risposta ai ripetuti tradimenti del marito.
Isabella d'Este, vera signora di Mantova, estimatrice d'arte, fine politica, figlia del suo tempo mi si mostrava in quelle stanze in tutta la sua forza.
Studio di Leonardo da Vinci per un ritratto
di Isabella d'Este
Ecco, questa donna io nel romanzo non l'ho ritrovata. 
Forse non ho ritrovato l'Isabella della mia immaginazione.
In fin dei conti non posso dire che con assoluta certezza che Maria Bellonci si sia sbagliata, l'utilizzo delle fonti è impeccabile. Ma alla mia sensibilità di donna e di storica l'Isabella del romanzo non suona autentica. Mi sembra un normalizzazione ad uso delle donne borghesi a cui il romanzo si rivolge. 

Già il titolo avrebbe dovuto essere un campanello d'allarme. Rinascimento Privato. Se c'è stato un momento in cui di privato non c'è stato nulla, questo è stato il Rinascimento. E Isabella ha vissuto alla luce del sole tutto, il matrimonio combinato e palesemente infelice, la sua troppo spiccata abilità politica che la faceva apprezzare più dagli avversari che dai dai famigliari, l'amore spregiudicato per l'arte e la bellezza. Era a capo della migliore rete di spionaggio d'Europa e usava con abilità e precisione chirurgica la mole di informazioni che riceveva. Il suo rinascimento si può definire "privato" solo perché sapeva tutto del privato degli altri.
Tutto questo nel romanzo si riduce alla storia di una donna dalle troppe virtù. Consapevole, sì, di essere la più adatta a governare in un mondo in cui il governo è appannaggio dell'uomo, ma anche capace di tornare nei ranghi, sia pure con rammarico.
Ho trovato paradossale il fatto che fosse descritta come una moglie devota di un uomo che non aveva scelto, che è palesemente un cretino e che di fatto Isabella tiene il più possibile lontano da Mantova e dal governo. Nel romanzo però lei lo ama ed è solo controvoglia ed accidentalmente che lo lascia anni come ostaggio non riscattato. Mi è sembrato che l'autrice fosse impegnata a costruire il ritratto di una donna ideale e sarebbe stato brutto attribuirle nei confronti del marito un sentimento che non fosse amore. Quasi a dire che anche se non si ha scelto il marito, questo è un completo idiota e continua a tradire, una brava moglie deve comunque essere devota, leale e se possibile innamorata. Personalmente ho dei seri e storicamente sensati dubbi che Isabella desiderasse così tanto il ritorno del marito, quando questi era prigioniero...

L'amore per l'arte e l'uso spregiudicato che Isabella ne fa, usando l'arte come arma politica e gli artisti come informatori, passa assolutamente in secondo piano. Gli artisti che passano da Mantova vengono nominati di sfuggita, più come tocchi di colore ed elementi della scenografia, che non come tasselli fondamentali di quel mondo complesso che era il rinascimento. Addirittura Mantegna, che vive a corte fino al 1506, non ha una singola battuta. Mi è persino venuto il dubbio che l'autrice non avesse ben chiaro il ruolo politico che aveva allora l'arte, relegando questo aspetto centrare a una questione di buon gusto personale di Isabella.

Quello che davvero mi ha irritato, però, è una vicenda che attraversa tutto il romanzo. 
All'inizio della narrazione Isabella incontra un giovane prete inglese, tale Pole che è palesemente innamorato di lei. Per tutta la vita Pole continua a scrivere a Isabella lettere che la donna conserva, ma a cui non risponde mai.
Ora, qui sorgono diversi problemi che trasformano quelle che rimangono le pagine (a mio gusto) più ispirate del romanzo in un polpettone storicamente imbarazzante.
Innanzi tutto all'epoca un Pole, prete inglese, c'era davvero. Era  Reginald Pole, il capo degli spirituali, una corrente spirituale vicina alle chiese riformate di cui ha fatto parte anche Michelangelo. Reginald Pole è stata a un passo dal diventare papa, per poi morire in odore di eresia. È una figura importante e controversa, di cui tutto le opere sono finite distrutte, di certo era un teologo di prim'ordine. Ora se in un romanzo ambientato in quegli anni mi metti un Pole, prete inglese, io mi aspetto, quanto meno, che sia ispirato a questa figura e che quindi vengano tirate in ballo tutta una serie di tematiche inerenti alla fede e alla corruzione della chiesa. È una questione di aspettativa che tu, autore che ti presenti come colto, generi nel lettore che conosce un minimo ciò di cui stiamo parlando. Aspettativa del tutto disattesa. Il Pole del romanzo è un romantico inguaribile che si bea di un amore idealizzato e viene utilizzato dall'autrice più che altro per presentare fatti e personaggi che, tenendo l'esclusivo punto di vista di Isabella, sarebbero stati esclusi dalla narrazione. Al di là delle aspettative, ho trovato di pessimo gusto dare a questo slavato innamorato il nome di un combattente della fede, che è arrivato a un passo dal rogo per le sue idee (e lo ha evitato solo perché è morto prima).
La seconda cosa che non ho mandato giù di questa vicenda è che Isabella è terrorizzata dal fatto che queste lettere possano essere trovate. Lei non ha mai risposto, Pole l'ha visto una volta, e non c'è nulla di compromettente nelle parole dell'inglese. Nel contesto storico in cui vive Isabella la sua paura è ridicola (di sicuro Isabella conservava documenti assai più pericolosi, ricordiamo che aveva la migliore rete di spie d'Europa). Questa è un'epoca in cui l'amore platonico e idealizzato come quello di Pole per Isabella poteva benissimo essere dichiarato alla luce del sole. Senza scandalo alcuno Lorenzo de Medici, sotto gli occhi della moglie dedica un torneo a un'altra donna (sposata) e Bembo fa realizzare da Leonardo il ritratto della donna a cui è legato da amore platonico. Costei è sposatissima, ma il quadro non le genera nessun imbarazzo. L'amore platonico, dichiarato ma non consumato, era una sorta di gioco socialmente accettato nelle corti dell'epoca. Mi chiedo che livello di coinvolgimento emotivo comportasse e cosa ne pensassero davvero i legittimi consorti, ma che fosse accettato è un fatto. E anche gli amori tutt'altro che platonici erano sostanzialmente accettati. La cognata di Isabella d'Este era Lucrezia Borgia, sì, quella Lucrezia e l'amante di Lucrezia era il marito di Isabella. Il fatto che Lucrezia avesse come amante il signore di Mantova era di dominio pubblico e non le ha causato particolare danno (a parte la comprensibile antipatia di Isabella). Ora, in questo contesto, vergognarsi per delle castissime lettere mi sembra eccessivo, fino a diventare comico.

Tutto il romanzo mi è sembrato una versione addomesticata del Rinascimento e della stessa Isabella, ricoperta dall'autrice di troppe virtù per essere quella donna spregiudicata che altre fonti ci raccontano.
Mi è mancata la complessità dell'epoca, risolta come un riassunto di fatti e privata della profondità intellettuale e speculativa che l'ha caratterizzata.

Nella mia testa si è creato un inevitabile derby con Il tormento e l'estasi, vinto da quest'ultimo. Il romanzo di Irving Stone non è privo di errori storici e di ingenuità, alcune mi hanno fatto anche tenerezza, ma vi ho trovato lo sforzo di descrivere nella sua interezza un mondo complesso e di non normalizzare un personaggi spigoloso. Riniscimento Privato per certi versi è più accurato, ma omette, semplifica, smussa gli angoli. Mi è sembrato scritto apposta perché le prof di liceo benpensanti potessero darlo da leggere agli alunni, sicure che la protagonista non le avrebbe messe in imbarazzo o discusso i loro valori e questo sospetto me l'ha reso terribilmente antipatico.

PS: di solito posto il commento al libro dopo la riunione, ma, dato che il tempo va colto quando c'è e che comunque i libri a questo giro sono due, per una volta infrango la mia regola, anche se mi riservo di scrivere ancora qualcosa in merito se uscissero commenti illuminanti, magari in grado di farmi cambiare idea.

sabato 16 settembre 2017

Di Liebster Award e di difficili equilibristi

Questa è stata la mia prima settimana di lavoro a pieno regime. Il fatto che schiere di madri prima di me siano riuscite a portare avanti lavoro, famiglia e qualche attività extra è un chiaro indizio che si può fare. La pupattola mi aiuta andando all'asilo volentieri, dove viene stremata al punto giusto perché prima delle 21.00 sia cotta (salvo a volte credere di essere sul punto di morire di fame in piena notte). Anche così, però è un difficile gioco di equilibrismi del tipo: "se il giovedì pranzo nell'ora buca alle 11.30 e sono disposta a cambiarmi in auto riesco a guadagnare quaranta minuti per andare a correre" o "riesco a passare da casa e restarci esattamente mezzora. Posso stendere il bucato, fare le verdure al vapore e frullarle per il passato, nel mentre faccio partire la seconda lavatrice, sistemo le cose del gatto, bagno le piante e se sono molto brava riesco anche ad andare in bagno". Imparerò, suppongo, o impazzirò nel tentativo. Il tutto ha anche dei lati positivi. La pupattola (per ora) non piange quando la lascio al nido, ma la maggior parte dei suoi compagni sì e io esco da lì pensando "avevo sempre pensato che l'età delle medie fosse la più difficile da gestire, ma è sempre meglio che avere dieci pupattoli urlanti da gestire". Per quanto le incombenze scolastiche a volte siano pensati non possono essere peggio di una giornata passata a cambiare pannolini di un'intera classe di nido. Anche il prezioso tempo per il blog o la scrittura me lo godo di più, proprio perché diventa un premio conquistato con fatica. Certo, a volte la frustrazione vince. Questo post è stato iniziato tre volte e tre volte è stato bruscamente interrotto. Quattro se contiamo il fatto che ho appena salvato il gatto che era rimasto imprigionato in un armadio...
È ovvio che il blog ne risenta. Non sono gli argomenti a mancarmi, ho un sacco di post già scritti in testa, il problema è che fino a che rimangono lì è difficile che vengano letti!

Sono indietro quindi anche con questo.
Il super e doveroso ringraziamento a Tiziana per il Liebster Award

Io sono sempre pessima quando si tratta di rispettare i regolamenti. Rispondo però davvero volentieri alle domande di Tiziana:

1. Con quale personaggio letterario intraprendereste una storia d’amore?
Difficile questa, più di quanto sembri. Mi intrigano sempre personaggi che so che non sopporterei come compagni di una vita e purtroppo non sono tipo da focose avventure di una notte. Quindi se devo scegliere un personaggio che mi ispira simpatia e che forse potrebbe essere papabile per essere preso in considerazione da un punto di vista sentimentale, opto per Il colonnello Brandon di Ragione e Sentimento. Ha trentacinque anni, quindi nel libro passa per vegliardo, ma è più giovane di me, ha un passato avventuroso, buone letture e buon gusto musicale, quindi non sembra una noia abissale. Sembra poi un tipo affidabile che non impedisce alla ragazza che ama di compiere errori, ma è pronto a raccogliere i cocci.
2. Quale libro regalereste a una persona che non vi sta tanto simpatica?
Credo cercherei comunque un libro che le possa piacere, anche se in tutta sincerità eviterei un libro. Se cerco di mandare messaggi sarcastici per lo più non vengo capita, mentre a volte offendo le persone senza volerlo...
3. Qual è il libro che consigliereste a un bambino?
Ultimamente regalo spesso Gaiman, bravo è sempre bravo e ormai ci sono sue opere per ogni fascia d'età, dai sei ai novant'anni.
4. Reinventa il finale di un libro famoso. Di quale cambieresti le vicende?
Su questo avevo fatto un post. Il mio sogno è sempre cambiare il finale a "Notre Dame de Paris" con Frollo che alla fine non evolve in assassino, ma in eroe, salva Esmeralda, la lascia andare per la sua strada (avendo capito che è una testolina vuota), getta la tonaca alle ortiche e parte per l'Italia.
5. Ti spaventano i libri voluminosi?
Prima dell'arrivo della pupattola no. Adesso un pochino sì.
6. Qual è il tuo genere letterario preferito da leggere?
Il fantasy rimane la mia "confort zone", anche se trovarne di qualità è sempre difficile.
7. Un libro strappato o un libro non tornato dopo in prestito.

Quale situazione ti farebbe più male?

Non tratto i libri come reliquie, quindi molto peggio il non ritorno, sopratutto se si tratta di un libro fuori commercio (purtroppo mi è capitato).

8. Leggi ad alta voce o preferisci la lettura dentro di te?
Ad alta voce solo se obbligata e comunque di malavoglia.
9. Descrivi un luogo che ti è rimasto impresso in un romanzo. Anche non reale.
Tra le ultime letture mi rimarrà a lungo l'immagine di Matera data da Carlo Levi in "Cristo si è fermato ad Eboli", una sorta di favelas scavata nella roccia rigurgitante di povertà e malattie. 
10. Scriveresti un libro erotico?
No. Non è nelle mie corde, se i miei personaggi si spogliano io già vado in ansia per come rendere la scena.
11. L’ultimo libro letto che hai sul comodino.
Ghiaccio nove.

Non nomino nessuno, ma lascio volentieri undici domande a tema "libri e viaggi" per chi abbia voglia di rispondere, nei commenti o altrove.
1 – Puoi andare in vacanza nell'ambientazione di un libro che hai letto, quale scegli?
2 – Con quale personaggio andresti in vacanza? Che genere di vacanza sceglieresti?
3 – Quando viaggi preferisci leggere libri legati al luogo che visiti oppure no?
4 – Hai mai fatto un viaggio appositamente per vedere un luogo descritto in un libro?
5 – Hai mai fatto un viaggio per vedere un luogo legato a un autore che ami particolarmente?
6 – Leggi libri di viaggio?
7 – Leggi ancora guide turistiche o ormai bastano i siti internet?
8 – Potendo andare a cena in un luogo letterario dove andresti?
9 – Abbina un piatto a un romanzo che ami particolarmente.
10 – Ci sono libri che non leggeresti mai in vacanza? Perché?
11 – I libri che hai letto nelle tue ultime vacanze.


lunedì 11 settembre 2017

Di fumetti pucciosi

La tenerezza è una leva potente in mano più di tutti agli autori di fumetti e di cartoni animati. Per quanto un romanziere possa tratteggiare un personaggio tenero, la resa non sarà mai come quella grafica. Allo stesso modo nessun attore in carne ed ossa raggiunge lo sguardo del gatto con gli stivali. Gli illustratori di fumetti e i creatori di cartoni animati possono. Creano figure talmente tenere e indifese che nessun lettore dotato di cuore abbandonerà la lettura sapendole in pericolo. Ecco, a volte si rischia di eccedere. Negli ultimi mesi mi sono imbattuta in due opere che fanno della tenerezza la loro forza, la prima in modo motivato, sia pure al limite, l'altra eccedendo un po'.

Il piccolo Caronte
L'Inferno è un luogo dove tutti hanno un ruolo. Ereditario, a quanto pare. Questo scopre il Piccolo Caronte del titolo, sì, proprio il figlio del più famoso traghettatore di tutti i tempi, quando il padre scompare. Bimbetto dallo sguardo indifeso come pochi se ne sono visti, accompagnato da un cucciolo di cerbero che tutti vorremmo in salotto, deve comprimere il proprio apprendistato infernale per prendere il posto di suo padre. E capire davvero cosa ne è stato di lui.
La tenerezza è la chiave di questa storia sulla crescita e sulla perdita ed è giusto che sia così. Non avrebbe senso se il piccolo Caronte non fosse così dolce e indifeso. Si arriva alla fine con la lacrimuccia e una gran voglia di scendere all'Inferno ad abbracciare il piccolo (e di denunciare Satana per sfruttamente minorile). A lettura terminata mi sono chiesta se tanta dolce pucciosità non abbia mascherato una trama un po' scontata. Forse sì, ma lo ha fatto bene.
Monstress
La pucciosità è anche l'arma segreta di Monstress, ma in questo caso mi chiedo se sia del tutto giustificata. 
La trama non mi è spiaciuta per nulla. È un fantasy puro ambientato in un mondo in cui ci sono essenzialmente due razze, gli umani e gli arcanici. Il fatto che gli umani abbiano scoperto che mangiarsi gli arcanici dona dei poteri magici non aiuta la convivenza pacifica. Ecco, il problema. È una storia in cui ci sono streghe antropofaghe che tagliano arti ai bambini per mangiarseli.
Disegnati così:
Ecco, questo per me è giocare sporco. 
Si può abbandonare la lettura di una storia in cui la bimba volpe rischia di essere mangiata?
La protagonista è la ragazza al centro, un'arcanica che ha dentro di sé, forse, un'antica e distruttiva divinità. Non raggiunge il grado di pucciosità della bimba volpe, ma come fanciulla stringe non poco il cuore anche lei. E il fatto che pure lei si mangi le essenze vitali di chi ha intorno passa in secondo piano quando sfodera il suo peggior sguardo indifeso:
Premesso che questo primo volume non mi è spiaciuto per niente e che leggerò di sicuro il secondo, mi sembra però che ci sia una discrepanza a tratti insanabile tra una trama molto cruda e dei disegni che puntano tutto sulla tenerezza.

In ogni caso entrambi i fumetti sono consigliati a chi voglia delle opere diverse dal solito e non tema un'overdose di tenerezza.

E voi vi siete mai imbattuti in una storia che faccia un uso eccessivo di pucciosità?

sabato 9 settembre 2017

Per pietrificazione del cuore


Da un libro appena terminato, di cui riparlerò.

A volte ho l'impressione che sia proprio ciò che sta accadendo al nostro paese...

mercoledì 6 settembre 2017

L'educazione emotiva dell'autore – Scrittevolezze


In questi giorni sto seguendo un corso di aggiornamento sull'educazione emozionale. Come spesso accade, questo ha liberato il mio pensiero laterale, facendomi ragionare sulla scrittura.

Spesso si dice, o almeno io lo dico e lo penso fortemente, che la lettura sia una grande palestra emozionale. Leggendo impariamo a riconoscere le emozioni, a dar loro un nome e quindi a gestirle poi nella nostra vita. Leggere narrativa, anche quella di genere più fantastico, ci allena a vivere in modo più consapevole, a essere più in sintonia con noi stessi. 
È un dato di fatto, però, che oggi gli analfabeti emotivi siano sempre di più. Persone che non sono in grado di riconoscere e quindi di gestire le proprie emozioni, con esiti anche violenti e distruttivi.
Quindi mi chiedevo al corso (non me ne voglia il relatore, io penso sempre ad almeno tre cose differenti in contemporanea, è per quello che poi inciampo mentre cammino...) non rischiamo di cadere in un tragico loop? C'è il rischio che gli autori, che dovrebbero scrivere storie che siano palestre emotive non abbiano un'educazione emozionale?

Questa domanda mi è venuta in mente pensando a una certa narrativa "per giovani adulti" che ogni tanto maneggio per motivi professionali. Romanzi in cui la bella di turno trova normale che il suo bello sia ossessionato da lei, la segua, la controlli, le dica cosa fare e faccia a botte (se non peggio) per lei. Romanzi in cui ci sono reazioni stereotipate, per cui se uno è arrabbiato tira un pugno a un muro o se è innamorato sente le farfalle allo stomaco. Romanzi in cui i protagonisti sono preda delle loro emozioni ed è "normale" aggredire qualcuno perché si è arrabbiati, negare la propria paura fino a fare qualcosa di folle per dimostrare di non averne o avere reazioni esagerate a un evento negativo (mi sono imbattuta in una serie di fughe da casa dopo litigate/rimproveri tutt'altro che esagerati).
Ora, fino a questa mattina di fronte a testi simili, sopratutto se pensati per ragazzi mi arrabbiavo, pensavo che fossero volutamente scritti in questo modo per inseguire un pubblico di impulsivi analfabeti emotivi. Oggi l'orrido dubbio. Non è che sono scritti in questo modo perché gli autori stessi non hanno un'adeguata educazione emotiva?

A suscitare la mia domanda anche un altro particolare. Al di là delle mode del momento, i libri che restano sono quelli che le emozioni le trattano meglio. Quindi quello che vedo potrebbe non essere un effetto voluto e alla lunga non paga.

UNA PERSONA PRIVA DI EDUCAZIONE EMOTIVA NON PUÒ ESSERE UN BUON AUTORE.

ATTENZIONE: un autore con un'alta consapevolezza emozionale non deve necessariamente creare personaggi altrettanto consapevoli, anzi. I personaggi migliori sono quelli imperfetti, anche perché non sanno gestire le proprie emozioni. Se poi parliamo nello specifico di letteratura per ragazzi/adolescenti, perché da lì è partito il mio ragionamento, con protagonisti adolescenti, allora sarebbe irrealistico avere un quindicenne perfettamente consapevole e padrone delle proprie emozioni.

– Essere consapevoli delle proprie emozioni permette di scrivere delle reazioni più realistiche e meno stereotipate a determinati eventi. Non tutti coloro che sono arrabbiati picchiano un pugno contro il muro (ce lo vedere Sherlock Holmes a reagire così)? Le reazioni sono le più varie, vanno dall'aggressione di chi ti sta accanto all'autolesionismo, passando per reazioni psicosomatiche, scoppi d'ira ritardati, estrema freddezza di facciata. Insomma un personaggio arrabbiato può reagire in mille modi diversi a seconda del proprio carattere, delle circostanze e del proprio vissuto.
Più è realistica la reazione che descriviamo e più il lettore si immedesimerà. Alcuni lettori riconosceranno proprio la loro reazione o quella dei loro cari.

– Essere consapevoli delle proprie emozioni e degli effetti che esse hanno permette di curare la crescita emotiva dei personaggi all'interno di una storia.
Immaginiamo una storia in cui un personaggio all'inizio aggredisca chiunque lo offenda e alla fine sia un pacifista convinto. Quanto è difficile calibrare il cambiamento senza che sembri irrealistico, senza che il personaggio ne risulti snaturato? Pensiamo a Fra Cristoforo, quanto fuoco cova ancora dentro di lui? Quanto è facile intuire il suo passato e il suo sforzo nel cambiamento? 
Troppe volte quando si scopre "l'oscuro passato" di un personaggio questo sembra tirato per i capelli, perché non avvertiamo davvero lo sforzo emotivo compiuto per il semplice fatto che non è raccontato bene. Stessa cosa per il contrario. La trilogia prequel di Star Wars è terribilmente fuori fuoco nel raccontare la trasformazione di Anakin in un signore del male. Fino a metà dell'ultimo film continua a sembrare comunque un bravo ragazzo che poi di punto in bianco stermina dei bambini. La sua rabbia, la sua delusione, la sua paura, è raccontata, ma non viene vissuta davvero dallo spettatore.

– Essere consapevoli delle proprie emozioni permette di controllare il messaggio emotivo di fondo della propria storia.
Io ho il terrore di storie alla "50 sfumature", per intenderci, in cui è considerato normale che un uomo innamorato segua la propria donna, la controlli e le dica cosa fare, come si deve vestire e chi deve frequentare. Mi sembra che trasmettano un messaggio aberrante. E non sono neppure sicura che l'autrice ne fosse consapevole (oddio, forse quella dell'originale sì, ma i cloni non so...).
Non c'è nulla di male nello scrivere una storia in cui una ragazza normale finisce con un bellone ricco, è dai tempi di Cenerentola che che la raccontiamo. Non necessariamente deve passare il messaggio che il bellone può essere stalker e pure un po' violento. Un minimo di gestione emozionale nel rapporto tra i personaggi scongiura il rischio (in Pretty woman, per esempio, non ho mai temuto che la protagonista finisse picchiata da Gere, per dire).

Lo scrittore, o aspirante tale, lavora con parole e emozioni, materiali pericolosissimi da maneggiare. Sull'importanza della conoscenza delle prime si è detto tanto, ma spesso si tace sulle seconde.
Non si può gestire la narrazione di emozioni se non si è educati ad esse

Voi cosa ne pensate?

lunedì 4 settembre 2017

Seguendo la cometa 26 – Privacy

Con questo inizia il lungo epilogo di Seguendo la cometa. È buffo, siamo a quasi un anno esatto da quando si è arrivata la telefonata. Oggi a scuola mi hanno giusto chiesto se mi ricordavo del corso a Torino... E come potrei essermene dimenticata? Forse, però, la domanda era (giustamente) riferita ai contenuti... Mi sa che è il caso che mi iscriva di nuovo...
Come accade in questi casi un anno è lunghissimo e brevissimo, non sembra vero sia che siano trascorsi solo 365 giorni, sia che siano già passati. La pupattola era un esserino minuscolo che sembrava fatto al 70% di naso, ora è una bambinona a cui in genere vengono attribuiti almeno sei mesi in più della sua età che zampetta e parlotta, con un carattere (ostinato) già ben definito e una spiccata capacità di rigirarsi tutti come vuole lei.

Passando invece a letture assai meno zuccherose, non dimenticatevi di scaricare l'ebook di Sherlock Holmes e il mangiocchi. Lo potete trovare su tutti gli store on line nei formati che preferiti. 
Qui il link alla pagina Amazon.
Se vi va, lasciate una recensione con le vostre impressioni!

venerdì 1 settembre 2017

Sherlock Holmes e il mangiaocchi – il mio racconto per Delos Digital

Si ricomincia! A riprova che, almeno un po', anche la scrittura è il mio lavoro, da martedì 5 settembre è disponibile su tutti gli store on-line il mio racconto Il mangiocchi.



Chi è il misterioso individuo che rapisce i vagabondi di Londra e ne restituisce i corpi privati degli occhi?
I vagabondi di Londra spariscono. I loro corpi vengono ritrovati giorni dopo e qualcuno sembra aver strappato loro gli occhi. Nessuno, però, pare dar peso a queste sparizioni, salvo gli Irregolari di Baker Street, che chiamano il misterioso assassino “il Mangiaocchi”.
Quando è uno dei ragazzini a sparire non rimane più il tempo per un’indagine approfondita. Per salvare il ragazzo, Holmes e Watson devono gettarsi nell’azione, nella speranza di scoprire chi sia l’assassino e gettare luce su un mistero a metà strada tra scienza e orrore.
Ci sono racconti che insegno e racconti che mi cadono in mano. Questo, ormai più di un anno fa, mi è caduto in mano. La colpa è, come spesso accade, di mio marito, appassionato lettore de Le Scienze e su Le Scienze ci sono spesso approfondimenti che riguardano l'epoca vittoriana. Il mangiaocchi è nato così, da un articolo che sembrava horror, e invece era storico. Di cosa parlava non posso raccontarlo, perché sarebbe dire troppo. Quello che posso dire è che approfondiva una cosa che ho sempre pensato fosse solo un mito e che invece era presa molto sul serio, con tanto di agghiaccianti esperimenti. 
La trama del racconto è nata in una sera, come accade quando sono le storie a bussare alla porta della mia mente. 
Mi ha portato i dialoghi serrati che tanto mi fanno amare Sherlock Holmes (fosse per me scriverei queste storie solo per i dialoghi), ma mi ha portato anche il lato più duro e quello più dolce di Holmes insieme. Sì, perché Sherlock Holmes ha una sua dolcezza e in questo racconto si esplora (anche) il suo rapporto con gli Irregolari di Baker Street, una banda di ragazzini di strada che funge da informatori. Siamo in un'epoca i cui i ragazzini di strada a Londra erano tantissimi e spesso erano trattati poco meglio che animali nocivi da cui disinfestarsi. Nei racconti di Doyle, però, il nostro investigatore è sempre corretto con loro, a tratti protettivo. E chissà cosa potrebbe fare se, come accade in questo racconto, uno di loro si trovasse in pericolo!
Al suo fianco, osservatore e narratore della storia, c'è sempre il mio caro Watson, di nuovo raccontato agli inizi della sua collaborazione con Holmes, quando, tra le altre cose, doveva riflettere sul suo essere medico.

Ancora qui a leggere? Correte a scaricare il racconto!

Domande e questioni pratiche
Un solo racconto, ma quanto mi costa?
1,99€, poco più di un caffè.

In quali store on-line posso acquistarlo?
Tutti. 
Ad esempio qui sul Delos Store
Oppure su Amazon

Quali formati sono disponibili?
Copio-incollo dal sito:  EPUB per iPad, iPhone, Android, Kobo o altri ebook reader, Mac o PC con Adobe Digital Editions



MOBI per Kindle, Kindle Fire
(potrai scegliere quale formato scaricare direttamente dalla tua pagina di download)

Ma io non ho un e-reader!


Nessun problema. Il formato EPUB è leggibile da qualsiasi Mac, Pc, iPad o dispositivo Android (tablet vari) e il programma necessario per leggerlo è gratuito e si scarica con facilità (del tipo ci sono riuscita pure io)



Infine un grande, ENORME ringraziamento a tutti colore che rendono la vita di Sherlockiana possibile, a quelli che conosco e a coloro che ignoro del tutto, ai lettori e a tutti coloro che permettono ad Holmes di continuare ad indagare.