domenica 30 marzo 2014

LA ROCCIA NEL CUORE - Gli appuntamenti di Aprile


Altro che più crudele dei mesi, altro che dolce dormire, Aprile è il mese il cui è nato ufficialmente il romanzo LA ROCCIA NEL CUORE e non sarà un caso che sia anche il mese in cui è nata la sua autrice!

Per festeggiare il primo compleanno del romanzo vi aspetto insieme a Padre Marco, a Gabriele, Michele, al Gatto Oro, alle Papere Psioniche e a tutti gli altri personaggi per due imperdibili appuntamenti.

SABATO 5 APRILE ORE 16.00
Presso la Sala Consiliare di Pettenasco
In occasione della manifestazione Un Lago in Giallo
saranno presentati i romanzi
LA ROCCIA NEL CUORE di Antonella Mecenero
LA STRETTA DEL LUPO di Francesca Battistella



SABATO 12 APRILE  9.30 - 11.30
All'interno della manifestazione IPERLIBRO
6-13 aprile, Centro Commerciale Val d'Ossola, Crevoladossola (VB)
Tavola rotonda  "Con gli autori per gli autori" - la tradizione o gli elementi tradizioni nel romanzo e nei racconti
Intervengono: Giuliana Murgia, Anna Mencarelli, Antonella Mecenero, Francesco Sfratato, Pierfranco Midali, modera Giuseppe Possa

giovedì 27 marzo 2014

Di libri dalla A alla Z by Tenar e Nik


Mentre la "gatta vera" ci guarda male da uno dei suoi improbabili giacigli, io e Nik abbiamo deciso di fare un giochino libresco copiato senza ritegno dal blog di Aislinn, scrittrice che assai stimo, che abita a pochi chilometri da me e che per pura timidezza non ho mai provato a contattare.

#A - Autore con la A maiuscola (quello di cui hai letto più libri)
TENAR: ho sicuramente letto più libri di Verne o Salgari (tempi d'infanzia trascorsi in una biblioteca in cui c'era l'opera omnia), ma l'Autrice è Ursula K. Le Guin
NIK: Terry Pratchett

#B - Bevo responsabilmente, mentre leggo
TENAR: coca cola, spesso zero o light. Imperdonabile, certo, ma ognuno ha i suoi difetti
NIK: non bevo (modalità cammello)

#C - Confesso di aver letto
TENAR: Clive Clussel (ero alle medie, vale come scusante?)
NIK: anch'io, un romanzo letto due volte... A metà della rilettura pensavo che li scrivesse tutti uguali, invece era proprio lo stesso...

#D - Devo smettere di...
TENAR: spargere i libri per tutta la casa, bagno e piano cottura compresi
NIK: comprarli e non leggerli

#E - E-reader o cartaceo
TENAR: cartaceo. E-reader in arrivo, ma visto che sono ancora tecnologicamente ferma alla pietra levigata chissà come me la caverò...
NIK: adoro il profumo dell'inchiostro all'alba

# F - Fangirl impenitente di...
TENAR: Sherlock BBC
NIK: fangirl?

#G - Genere preferito e che di solito non leggi
TENAR: in genere leggo di genere, dal fantasy al giallo/thriller. L'horror mi fa paura, l'erotico spesso mi fa orrore, le tristi storie di persone tristi mi fanno tristezza.
NIK: in genere di genere. Principalmente non mainstream

#H - Ho atteso a lungo per
TENAR: sto attendendo già da troppo il prossimo giallo di Fred Vargas...
NIK: gli ultimi della serie della "Porta della Morte" di Weiss&Hickman

#I - In lettura al momento
TENAR: Emma di J. Austen
NIK: Il disegno della vita di J. Craig Venter

#L - Luogo preferito per leggere
TENAR: ovunque, reinterpretando i luoghi 
NIK: sono nato per il divano (il luogo dalle forze di Van der Waals più potenti dell'universo)

#M - Miglior prequel di sempre
TENAR: sono colta impreparata... Ho il miglior sequel, però, La legge delle lande di B. Sanderson
NIK: L'anello di Salomone di J. Stroud

#N - Non vorrei mai leggere
TENAR: i deliri esistenziali di chi si credo un dio incompreso della scrittura
NIK: non so, sono onnivoro

#O - Once more (un libro che hai riletto tante volte, ma rileggeresti ancora)
TENAR: rileggo spesso ciò che mi piace, ma vado sul classico e banale: Il signore degli anelli
NIK: se dico La Spada di Shannara rischio il divorzio? 

#P - Perla nascosta (un libro che non ti aspettavi fosse così bello)
TENAR: Il sergente nella neve. Mi aspettato una palla, invece mi ha conquistato già a pagina uno.
NIK: La legge delle lande di B. Sandersone (TENAR: l'ho già citato io prima!)

#Q - Questioni irrisolte (un libro che non sei riuscito a finire)
TENAR: li abbandono senza pietà. La vita è troppo breve per passarla a leggere brutti libri.
NIK: Drood di D. Simmons et altri

#R - Rimpianti letterari (serie interrotte o libri perduti che non potrete finire di leggere)
TENAR: ho perso traccia dei seguiti de I Doni della Le Guin. Da non anglofona li do per persi
NIK: Dune, che al sesto libro iniziava a diventare interessante

#S - Serie iniziate e mai finite
TENAR: Twilight, letto il primo libro con curiosità, letto il secondo con perplessità, al terzo ho iniziato a essere colta da risate isteriche.
NIK: Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: ci vuole più montaggio, ci vuole più Folletto

#T - Tre dei tuoi antagonisti preferiti:
TENAR: nei miei libri preferiti i veri limiti dei protagonisti sono i protagonisti stessi...
NIK: nessuno che possa vivere al di fuori del proprio romanzo...

#U - Un appuntamento con (personaggio di fantasia)
TENAR: appuntamento a Baker Street, c'è da chiederlo?
NIK: Lightman di Lie to me, anche se è un telefilm

#V - Vorrei non aver letto
TENAR: risposta dal profondo del mio cuore: S.H e il misterioso caso di Ippolito Nievo.
NIK: Musashi di E. Yoshikawa e non l'ho neanche finito

#Z - Zanna avvelenata (quel finale che proprio non hai mandato giù)
TENAR e NIK (in coro): La scomparsa dell'Erebus di D. Simmons. Come distruggere un libro in dieci pagine di finale new age.

mercoledì 26 marzo 2014

A che punto è la nebbia?


Questo blog è – anche – il diario di una scribacchina, che una volta era un'aspirante scrittrice e adesso è ... Esordiente? ... Emergente? ... Aspirante a una più alta Aspirazione? 
Di certo mi sento una che naviga a vista in questo mare nebbioso in cui ho scelto di inoltrarmi. Con consapevole incoscienza ho preso la via dell'editoria tradizionale, perché sono insicura e vecchia dentro e, sopratutto, perché ho bisogno di un editor che soccorra la mia dislessia e ho il talento grafico di un cieco a cui abbiamo amputato le mani.

Di certo c'è che scrivo tanto, forse troppo. Non so stare senza scrivere e (in contemporanea) pensare a nuove storie e quindi i progetti si affastellano, uno sopra a l'altro col rischio paradossale di non completarne nessuno o di doverne gestire troppi tutti insieme.
Se dovessi prendere bussola e sestante e tentare non dico di tracciare una rotta, ma almeno di scoprire a che punto io stia nella nebbia, cosa salterebbe fuori?

La roccia nel cuore
Sta bene, è, in effetti, la mia roccia. Ha un anno dall'uscita ho dati parziali sulle vendite ma alcune certezze. Almeno in alcune librerie ha venduto parecchio, andando ben oltre il giro di amici/parenti su cui ogni esordiente all'inizio conta. Ci sono librerie in cui da un anno è tra i "consigliati", in bella vista, in un punto di passaggio. In una di queste ho ringraziato la libraia che mi ha risposto che non è stato fatto per fare un piacere, ma perché il libro è continuamente richiesto.
Si tratta ovviamente di un successo puramente locale. Altrove in Italia il libro è ordinabile, ma ovviamente non esposto e chi non sa già della sua esistenza è difficile che lo possa scoprire.
Le vendite in sé, poi mi interessano poco. Di certo non diventerà ricca. 
Ma è piaciuto e questo per me è importante.

Apocrifo sherlockiano
Mi è stato detto che fino a che un libro non è in stampa tutto può andare storto e quindi rimango col fiato sospeso. A contratto firmato e arrivati al secondo o terzo passaggio di editing, credo, però, che l'editore ci tenga almeno quanto me a vederlo in libreria. Attendiamo ottobre, con le dita incrociate.

Thriller storico
Continua a essere il mio figlioletto zoppo e quindi, per certi versi, più amato. Talmente eccentrico nel contesto di ciò che scrivo abitualmente che un'eventuale pubblicazione mi causerebbe anche qualche problema, dato che si rivolge, probabilmente e inconsciamente, oltre che incoscientemente (evviva l'avverbio in -mente!) a un pubblico diverso. Eppure non possa fare a meno di sperare... Ha superato la prima lettura in una casa editrice che mi piace un sacco a cui avevo già "fatto il filo" in passato, che ha, però, una editor bravissima, ma che è il terrore degli scrittori (di certo il mio). Sono già stata a questo punto della nebbia, ma non so se questa volta mi attenda un porto o ancora scogli.

Una storia piena di struzzi
L'ho finito nelle vacanze di Natale e ho fatto il contrario di ciò che tutti consigliano e sono andata contro ogni basilare regola di buon senso. Ovvero l'ho inviato a un'agente (previ contatti pregressi) così com'era con una richiesta di grazia per i refusi. Invito chiunque sia alla lettura a non imitarmi. L'incoscienza, del resto, si nasconde nei recessi del mio animo di timida. L'incoscienza a volte serve, perché è rimbalzato subito sulle scrivanie degli editori. Qualcuno ha detto no, qualcuno ha detto ni, qualcuno l'ha spedito a seconda o terza lettura. Spero e incrocio le dita. Le secche sono in agguato, ma spero tanto di trovare una rotta.

Una storia piena di streghe
Questa è nuova, così nuova che non è neanche pensata è "in pensando". Sono quattro pagine di appunti e 400 anni di stregoneria, per ora. È un personaggio che ha il nome di un vento. Sono suggestioni e scorci di trama e tuttavia è ufficialmente nato come progetto. Così embrionale che è ancora prematuro anche impugnare il sestante per capirne la posizione.

E poi scrivo per scrivere. Senza alcuna ansia di pubblicazione ho ripreso in mano la mia ambientazione fantasy. Appena ho scartato anche l'ipotesi di metterla su internet sotto pseudonimo, sono venute le idee. E, incredibile, ho trovato tanto più divertente scriverle quanto più ero consapevole che sarebbero rimaste nel mio computer. Ho deciso che non devo mai più dimenticarmi di scrivere solo per divertimento, concedendomi qualche trama bislacca, qualche conflitto insoluto, qualche personaggio non presentato al meglio. E che importa se non arriveranno mai a una qualsiasi pubblicazione. Le parole e i gesti dei miei personaggi fluiranno in altre storie, cambieranno nomi e contesti, ma di certo non mi abbandoneranno. Né mai penserò a loro come inutili.

E voi a che punto siete della nebbia?

lunedì 24 marzo 2014

Scrittevolezze - Locale e globale


È arrivata la primavera e sono fioriti anche i miei tulipani casalinghi.
Ieri è terminato il ciclo di incontri sulla scrittura e la lettura. Non il finale che avrei preferito, dato che ero in una di quelle giornate che a noi donne capitano a cadenza più o meno mensile in cui ci vogliono due antidolorifici e tre caffè per rendermi quasi umana. Un grazie quindi a tutti i presenti, per il sostegno e l'attenzione!

Tra i concetti che non sono sicura di essere riuscita a esporre in modo chiaro come lo era nella mia mente, c'è quello che io ritengo uno dei più grandi paradossi della scrittura e che così si potrebbe riassumere:
Un testo è tanto più fruibile a livello globale quanto più è radicano in una particolare ambientazione.
Nell'ultimo post ci eravamo lasciati parlando di Cuore di Tenebra e avevamo detto che la vicenda di Cuore di Tenebra può essere trasportata altrove nel tempo e nella storia. Lo fa lo stesso protagonista, all'inizio del romanzo, immaginando un altro se stesso in epoca romana e verrà fatto con Apocalypse Now. Eppure non potremmo immaginare Cuore di Tenebra senza il Congo nel quale si ambienta, ma anche la forza dello stesso Apocalypse Now è al 60% il Vietnam.
Abbiamo cioè un paradosso: una storia che deve la maggior parte del proprio fascino all'ambientazione viene percepita come universale e quindi riproducibile altrove.

Pensiamo anche alle opere più stravolte della storia della letteratura, quelle di Shakespeare. Tutti noi abbiamo visto Romeo e Giulietta spostato altrove, in mille altrovi a dire il vero, e anche l'Amleto è stato spostato qua e là senza che la vicenda perdesse forza. Pensiamo però di invertire le ambientazioni. Potremmo pensare ai nostri giovani, focosi e incoscienti amanti tra le nebbie di Danimarca? O i dubbi di Amleto esposti non in un cimitero, ma su un balcone della bella Verona?
Andiamo ancora più a fondo nel problema. Shakespeare scriveva in Inghilterra e aveva, presumiamo, un'idea dei luoghi in cui avrebbe ambientato le sue storie mediata dalla letteratura e dai racconti di viaggio. Quanto l'idea dell'Italia rinascimentale, con le sue corti, le sue faide, la sua fama di terra abitata da gente passionale ha influito sulla genesi di Romeo e Giulietta? Quanto la storia sarebbe stata diversa se i suoi due amanti divisi fossero stati, che so una greca di antica nobiltà e un rampollo figlio dei conquistatori ottomani? Romeo e Giulietta sarebbe stata la stessa storia se fosse stata immaginata ad Atene o l'ambientazione avrebbe influito sulla scrittura?
E se Amleto, principe di Danimarca fosse stato invece Delfino di Francia? Quante scene sarebbero state diverse se ambientate a Parigi, con un principe cittadino che poteva andare a esporre i propri dubbi ai dottori della Sorbona?
Eppure, Amleto o Romeo e Giulietta funzionano benissimo anche al di fuori dal loro contesto geostorico.

I paradossi sono così, funzionano anche se poi, smontandoli, non sappiamo perché funzionino.
È un fatto, tuttavia, che considerando l'ambientazione un mero sfondo intercambiabile non si ottengano buone storie. 
Le buone storie sono profondamente radicate nella propria ambientazione, al punto che l'ambientazione stessa ne modifica la struttura. E tuttavia le buone storie, per quanto siano legate alla propria ambientazione, sono universali, immediatamente percepite come tali e infinitamente reinterpretabili.
Si sa che non bisogna necessariamente essere una donna francese dell'800 per essere Madame Bovary, ma Flaubert non avrebbe potuto scrivere Madame Bovary senza pensarla in quel contesto...

sabato 22 marzo 2014

Scrittevolezze - Memorabili e immortali


Domani si terrà l'ultimo degli incontri sulla scrittura e la lettura che sto tenendo presso Ecomuseo Cusius.
Credo si tratti di un'esperienza che ricorderò per sempre con estremo piacere, perché un gruppo più interessante e motivato non avrei neppure potuto immaginarlo.

L'ultima volta abbiamo fatto il punto sui personaggi, tanto che dalle idee raccolte sono già usciti un paio di post:

Ma come dev'essere un buon personaggio?
Di certo non ci sono ricette pre fabbricate che si possano applicare sempre, in caso contrario saremmo tutti scrittori di best seller, tuttavia, tanto tempo fa, quando frequentavo il "Master in Aspirazione" mi fu dato questo consiglio:
Un buon personaggio deve essere memorabile.
Cioè deve essere riassumibile in poche caratteristiche che si stampino subito nella testa del lettore. 
Per essere memorabile, inoltre, un buon personaggio deve nutrirsi di contrasti. 
Una brava persona, seria e serena può essere un buon amico, ma difficilmente sarà un personaggio indimenticabile, a meno che non abbia qualcosa che renda speciale il suo essere serio e sereno. Se scopriamo ad esempio che è serio e sereno nonostante sia passato da una serie di circostanze che avrebbero portato chiunque alla follia, allora è un'altra storia.
Ovviamente, quando ho sentito per la prima volta questa definizione, ho pensato al mio amato Sherlock Holmes e a ciò che lo rende memorabile.
Sherlock Holmes è memorabile solo perché da un particolare sa dedurre tutto di una persona? Non solo. Sherlock Holmes è memorabile perché di sé dice di essere "cervello e non cuore", di stimare in massimo grado la razionalità, peccato, però, che poi si droghi. Ecco quindi il contrasto che rende tanto più forte il personaggio.

Un personaggio con questa forza non deve per forza essere il protagonista, anzi. Quante volte in un romanzo i personaggi più forti, quelli "memorabili" non erano i protagonisti? Fra Cristoforo, la Monaca di Monza e l'Innominato sono molto più memorabili di Renzo e Lucia.
Tutti e tre hanno caratteristiche riassumibili in brevi e forti contrasti. Si tratta di un assassino diventato frate, di una monaca (diventata tale per obbligo) omicida e un "boss" che si converte in una notte.

Secondo me, inoltre, quando un personaggio è forte e memorabile può funzionare anche al di fuori del proprio contesto. Non tutti sono d'accordo su questo, ad esempio U. Eco ne Le postille a Il nome della Rosa dice che un buon personaggio può avere senso solo nel contesto per cui è stato concepito (parla del romanzo storico, ma ogni romanzo è storico a modo suo).
Una conferma di quanto già pensavo, mi è venuta, però, dalla lettura di questa settimana, il celeberrimo Cuore di tenebra (così celeberrimo che non l'avevo mai letto).
All'inizio del proprio racconto Marlow immagina come si doveva essere sentito un ipotetico conquistatore romano giunto alle sponde della Britannia quando questa era abitata solo da tribù barbare.
Il sentimento di paura, attrazione e repulsione insieme per il territorio sconosciuto che si appresta ad esplorare, la sensazione che l'incontro con esso possa risvegliare qualcosa di atavico e brutale nel proprio animo che Marlow attribuisce al romano è lo stesso che lui stesso ha provato risalendo il fiume alla ricerca di Kurtz. Marlow stesso, quindi è consapevole di essere un personaggio universale. Tutti sappiamo, del resto, che è da Cuore di tenebra che è stato tratto Apocalypse Now

Voi come ve la cavate con la costruzione di personaggi memorabili e immortali?

giovedì 20 marzo 2014

Boomstick: le mie nomination!

Sia come sia, marzo è il più stancante dei mesi.
Sin da quando ero studentessa, vi arrivavo arrancando. Le vacanze di Natale ormai lontane, quelle di Pasqua ancora lontane. I primi attacchi di allergia. Le materie più ostiche da recuperare.
E adesso che sono prof?
Le vacanze di Natale ormai lontane, quelle di Pasqua ancora lontane. I primi attacchi di allergia. Il ritardo nei programmi da recuperare.
Come direbbe Rust di True Detective "Il tempo non esiste", è un girare intorno da cui non riusciamo a fuggire...

E quindi ancora più gradito, in un giorno di Consigli di Classe e quindi di Verbali è arrivato la nomination al Boomstick "un premio per soli vincenti". 
A nominarmi è stata Maria Teresa di Anima di Carta, il primo blog sulla scrittura al quale mi sia appassionata, un meraviglioso luogo d'incontro per noi che vivremmo solo di inchiostro e di pagine.
La motivazione?
"Perché il punto di vista di Tenar (Antonella Mecenero) su qualsiasi argomento è sempre approfondito e completo, e i suoi post mi portano (a volte costringono) a riflettere." Wow!



Cercando di non fare disastri, cosa che di solito mi viene assai bene, cerco 
di riportare per bene le regole del Boomstick


Boomstick - Introduzione e regolamento

dal sito Book and Negative
Perché un Boomstick? Perché, come ho sempre detto, il blog è il nostroBastone di Tuono! Perché ci piace essere arroganti e spacconi come Ash e perché, in definitiva, le scuse melense e il buonismo di facciata ci hanno stancato.
Il Boomstick è un premio per soli vincenti, per di più orgogliosi di esserlo. Tutto qua.
Come si assegna il Boomstick? Non si assegna per meriti. I meriti non c’entrano, in queste storie. (cit.).
Si assegna per pretesti. O scuse, se preferite. In ciò essendo identico a tutti quei desolanti premi ufficiali che s’illudono di valere qualcosa.
Il Boomstick Award possiede, quindi, il valore che voi attribuite a esso. Nulla di più, nulla di meno.
Ecco il banner dell’edizione 2014:
Per conferirlo, è assolutamente necessario seguire queste semplici e inviolabili regole:
1 - i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto
A cui aggiungo una quarta regola, ché l’anno scorso me le hanno fatte girare:
4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io le ho concepite

Allora ecco i blog che ci tenevo a nominare. Se qualcuno dovesse ricevere due nomination, vuol dire che se lo merita!

1 - Alfa dei Misteri 
Perché mi ricorda sempre che tesori e misteri si possono incontrare anche dietro l'angolo. Basta uscire di casa per imbattersi in una bella storia!

2 - E io cosa leggo adesso?
Perché vorrei che Elena postasse di più! Perché anche quando parla di classici stra noti sa sempre farmene vedere un lato nascosto

3 - Gnomi di Caverna
Perché non capita spesso di incontrare un'allevatrice di draghi!

4 - I libri di Sandra
Perché anche se ha già avuto la nomination, è il mio modo per mandarle un abbraccio e dirle che se la merita proprio!

5 - Il sussurro di Even
Perché mi permette sbirciare di nascosto in un altro mondo e constatare che anche lì i draghi volano ancora. E io sono sempre felice quando vede un drago volare!

6 - La seconda voce
Perché mi ricorda l'importanza del gioco e della fantasia e mi dimostra che possiamo esistere come altri noi stessi, in altri mondi, ogni volta che chiudiamo gli occhi o semplicemente vogliamo crederlo.

7- Tan' par fa
Perché basta poco per creare la bellezza e invidio terribilmente l'apparente facilità con cui Cristina sa creare i suoi splendidi lavori



lunedì 17 marzo 2014

Un salto indietro


A volte un salto indietro è necessario.
Mi trovavo un po' smarrita, senza una lettura che mi soddisfasse. La visione di True Detective è stata una sorta di viaggio, di quelli che lasciano un po' spaesati e non si sa bene a quale riva si sia approdati. Sto raccogliendo il materiale per un nuovo progetto lungo di scrittura, a cui, però, non so bene che forma dare. Mi sembrava quasi di aver perso il piacere in quelle cose dovrebbero essere invece puro piacere. Mi sono scoperta a leggere per "essere informata" e a scrivere pensando già se ci fosse o no un destino editoriale per quel dato racconto.
No. 
Va bene approcciare la scrittura in modo professionale, ma, dato che vivo il privilegio di avere già un lavoro che mi sostenta (e che, salvo crisi temporanee, mi piace pure), la scrittura deve essere piacere.
Sono andata in libreria e invece dell'ultimo best seller da leggere "per capire le tendenze editoriali" ho comprato Cuore di Tenebra e Emma, due di quei libri che, chissà perché, non ho mai letto.
Poi sono tornata a casa e ho riaperto la cartella "L." la più vecchia che ci sia sul mio computer, risalente al tempo in cui volevo scrivere romanzi fantasy. 
Ho ormai da tempo abbandonato quell'ambizione, perché la parte "invenzione-fantasy" della mia testa non sembra riuscire a partorire nulla di così immaginifico da stregare l'altra parte, quella "lettrice-fantasy". Inoltre il cuore delle mie storie, ho scoperto, poteva essere indagato anche meglio in altri contesti. Questo, però, non vuol dire che io non possa ogni tanto "tornare a casa" a trovare i miei vecchi personaggi e passare del tempo con loro, senza l'ansia di un cartellino da timbrare.
Ne è uscito un racconto da 50000 battute, una lunghezza tale da renderlo inutile per qualsiasi utilizzo editoriale. E anche se così non fosse, nonostante la lunghezza, risulta piuttosto incomprensibile, avulso dalla saga in cui l'ho immaginato.
Ma mi sono divertita enormemente, come a una riunione con i vecchi compagni delle medie, tanto che ho deciso di completare anche un altro racconto che da anni stava nel cassetto.
Intanto la documentazione per il nuovo progetto si accumula (ho idea che sarà un romanzo pieno di streghe, pur non essendo un fantasy) e pian piano prenderà forma. Io intanto, nel tempo libero (poco!) scrivo e mi diverto.
A voi è mai capitato qualcosa del genere?

PS: un grazie sentito alla pazienza della rana e a Margherita che l'ha fotografata.

venerdì 14 marzo 2014

Visioni - True Detective


L'ho appena finito di vedere ho ancora la musica della canzone finale nelle orecchie e la lacrimuccia incipiente, ma il Nik mi ha detto "recensisci". Così, a caldo e senza filtro. Proviamoci. SPOILER FREE.

Sigla.
E già ti cade la mascella. Sulla sigla, sì. Musica e immagini che si fondono e evocano un mondo che ancora non conosci, che scoprirai poi, il mondo interiore di Rust e Marty. 

Si parte.
È sempre la solita vecchia storia. Ce lo dice Marty, subito. Ci sono delle tipologie di poliziotti e questa è la storia di due di loro, il "padre" e "l'intelligente", così a occhio. E della Luisiana, ma questo ancora non lo sappiamo. 
Marty e Rust, quindi.
Il tempo si accartoccia. Siamo nel 2012 a ripercorrere un vecchio caso del 1995 e i suoi colpi di coda nel 2002. Forse. Il tempo non esiste. Forse. In ogni caso non c'è redenzione né perdono, dato che non esiste gente che perdona, solo gente con una pessima memoria e quindi che importa se è il 2012, il 1995 o il 2002? Rust e Marty sono sempre loro, per sempre.
Marty, padre di famiglia, solido e cattolico, qualche piccolo tradimento qua e là, un rapporto troppo stretto con la bottiglia, è tanto profondamente convinto di essere una brava persona che finisci per crederlo.
Rust si è autocondannato e non cerca una redenzione. Potrebbe essere chiunque, viene dall'Alaska, che rispetto alla Luisiana è praticamente un altro pianeta e ha lavorato sotto copertura, il che vorrebbe dire che tutto ciò che ci racconta di lui è falso. Di lui sappiamo solo che ha perso una figlia e che si rifugia in una sorta di nichilismo compassionevole che è tanto insopportabile quanto struggente (un cataro senza Dio è la definizione del Nik).
La Luisiana. Che posto di incredibile, squallida bellezza! Paludi sconfinate, skyline fatte da altrettanto sconfinati complessi industriali, boschi antichi con certi alberi vetusti che sembrano uscire dalle giungle di Salgari. Sotto di uno di essi il cadavere di una donna, messa in posa con una corona di corna di cervo. E poi bimbi spariti e depistaggi, inutile che ve lo stia a raccontare, è sempre la solita vecchia storia.
Nuovo è il modo in cui viene raccontata. Le indagini sono di base storie lineari, ma qui nulla è lineare (del resto il tempo non esiste) e le suggestioni contano quanto tutto il resto. La regia di True Dedective... Cosa posso dire se non ad ogni puntata, in media ogni 5/10 minuti c'è un'inquadratura che mi fa uggiolare di piacere come un cane accarezzato dietro le orecchie?
Si parla già del piano sequenza della quarta puntata. Ora, non so se sia il più lungo mai realizzato in una serie televisiva (qualcuno dice di sì, qualcuno smentisce e io non ho tempo o voglia di controllare), ma si rimane a bocca spalancata. Ma non importa, anche senza il piano sequenza, basta il modo di inquadrare il fanalino rotto di un furgone, per dirne una, per capire che qui c'è un Regista (non l'ho detto? La serie si compone di 8 episodi, tutti girati da Cary Fukunaga). Troppo compiaciuta? Datemene ancora di registi compiaciuti così.
Anche fregandocene della trama, le pure inquadrature, i paesaggi, l'uso che ne viene fatto e le mille suggestioni, raccontano una storia di smarrimento interiore. Siamo persi in questa Luisiana immaginifica, dove antichi dei pagani possono tornare a correre tra le paludi, esattamente come Rust è perso nei meandri della sua mente. O forse no.
Tutto questo, ovviamente, si regge sulle solide spalle dei due attori protagonisti. Va bene la regia, va bene la scrittura, che a tratti sembra accartocciarsi un po' troppo per poi aprirsi subito dopo a eccessive diramazioni (non l'ho detto? La serie è una storia conclusa in 8 episodi, l'anno prossimo ci sarà una trama nuova con nuovi protagonisti). Ma i monologhi deliranti di Rust in bocca all'attore sbagliato sembrerebbero solo ridicoli. E un altro Marty non restituirebbe mai questa sensazione di incongrua fragilità. McConaughey crea un Rust spiritato, sull'orlo dell'abisso, eppure capace di sorprendente tenerezza. Si evita di vedere un ennesimo clone dei tanti "sociopatici ad alta funzionalità" che ormai popolano lo schermo.
Sono tanto credibili che accettiamo di scendere con loro all'inferno, senza sperare in alcuna redenzione.

E quindi guardatela, perdetevi in Luisiana o nelle vostre serene case infestate. Chiedete tutto a questa serie. Non chiedetele troppo. 
In fondo è solo la solita vecchia storia.

giovedì 13 marzo 2014

Letture - Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo

Rino Cammilleri

Urgono due premesse.
Premessa numero uno.  Non mi soffermo sul blog su tutto ciò che leggo, ma solo su ciò che mi colpisce di più. Per quanto riguarda i libri, quindi, si tratta di sorprese per lo più positive perché la vita è troppo breve passarla a leggere libri che non mi piacciono. Se persevero nella lettura di qualcosa che non mi piace è perché è intervenuto qualche altro fattore e quindi il testo ha per me un interesse al di là della sua piacevolezza.

Premessa numero due. Io amo Giallo Mondadori e Urania. Le mie finanze devono a queste collane il loro mancato collasso, dato che compro libri in modo compulsivo. Sopratutto quando pubblica italiani, Giallo Mondadori di solito offre testi di cui magari non mi innamoro, ma che sono un bel leggere, come il recente Il palazzo dalle cinque porte. Quindi un dolore inaspettato risulta più spiacevole.

Raramente un romanzo è riuscito a irritarmi così tanto in così poche pagine.
Se mi si presenta un apocrifo sherlockiano io lo leggo. Negli anni ho seguito Holmes sul Titanic, in Transilvania, in Russia, tra gli stregoni di Londra e per essere una che gli apocrifi li scrive anche sono molto meno rigorosa di altri. Ma ho comunque degli standard.
Scorrere i titoli dei capitoli mi mette di buon umore. Ciascuno gioca con un titolo di Doyle. Il fatto che ci siano rimandi anche a racconti poco noti mi indica che l'autore la materia la conosce. E allora perché, perché piazzare subito qualcosa che sembra messo lì apposta per far drizzare i capelli allo sherlockiano?
Siamo nel 1892! Holmes e Watson (che non pare essersi mai sposato, dato che ha due anni d'affitto arretrato) abitano ancora a Baker Street e sono oberati dai debiti!
Ok, prendo un respiro e mi calmo.
L'autore non vuole scrivere un vero apocrifo, vuole solo giocare con i personaggi, senza rispettare le regole. È sleale ma non è un delitto.
Vediamo come sono questi Holmes e Watson, dopo Elementary, del resto, sono pronta a tutto.
Holmes è un timidone che non riesce a concludere con le donne (giuro), massone e schiavo della droga (questo, forse, ci sta). A tratti sembra anche quasi se stesso, come se l'autore si distraesse e il personaggio riemergesse suo malgrado dalle pagine. Tutto sommato ho visto di peggio (Sherlock Holmes e il morbo di Dracula, per dirne uno)
Watson è insopportabile. Borioso, querulo e inutile. Ogni tre righe si lamenta di Holmes peggio di una vecchia moglie isterica e davvero non si trova una ragione perché, se non lo sopporta a tal punto, si imbarchi in un'avventura con lui. A tratti il tono di questo Watson che definisce la Regina Vittoria "un tappo di damigiana" sembra quello della parodia. Il che andrebbe anche bene, ma il romanzo non sembra voler essere una parodia.
Prendo un altro respiro e mi calmo.
Il caso sarà appassionante.
Holmes e Watson vengono spediti in Italia a indagare sulla morte di Ippolito Nievo dalla nipote di un'amica di lui che assicura i nostri che il caso, benché vecchio di decenni, ha ancora scottanti risvolti politici e che lei non può vivere senza sapere (parliamo sempre dell'amico della nonna morta che la nostra  conosce solo per via di vecchie lettere da poco ritrovate). I nostri non ci trovano niente di strano e qui il sospetto che Holmes abbia davvero esagerato con la droga inizia a farsi forte. E siamo solo a pagina 20.
Prendo un altro respiro e mi calmo.
Il tutto sarà un pretesto per raccontare altro.
Gioia e gaudio, è così.
Ma "l'altro" si rivela essere una sorta di conversione dalla massoneria al cristianesimo che Holmes intraprenderà con l'aiuto di don Bosco.
Lascio al lettore ponderare quanto tale percorso sia plausibile per un inglese qualsiasi di fine ottocento. Sulla spiritualità di Holmes in particolare non mi dilungo, tanto stiamo parlando del timidone col cervello fritto dalla droga (prendo dal testo pari pari, alla fine almeno scopro che non era un sospetto mio), non del detective di Baker Street.
Altro respiro.
La conversione è un tema tosto, vuoi vedere che il tutto ancora si salva?
Il tutto è narrato dal Watson insopportabile e a tratti semi parodistico, il che è come affidare un vetro di murano a chi è famoso per spappolare sassi a mani nude.

E quindi questo è un apocrifo che prende a calci il Canone e un giallo un po' farlocco. L'unico quesito è cosa mai ci faccia in Giallo Mondadori.
Poi, per carità, la parte su Ippolito Nievo rimane interessante (pur con i miei dubbi su come è stato inserito) e l'Italia post unitaria è sempre fonte di riflessione, però in copertina rimane il nome di Sherlock Holmes. E magari qualcuno si trova a pensare che questo sia il meglio che il Italia si possa avere con Sherlock Holmes. E non è così (Solito, Martinelli, giusto per citare due nomi).

mercoledì 12 marzo 2014

I miei stessi dubbi

Oggi va così, ho fatto piangere un alunno, a scuola, cosa che mi fa sentire sempre un po' mostro.
Quindi sono in versione mostro diffidente e dubbioso.
Ogni giorno di più si parla di self-publishing che di per sé è una cosa lodevole. È rendersi imprenditori di se stessi e fare a meno delle case editrici.
Sia chiaro che io ho massima stima per chi si sobbarca questo genere di lavoro. Oggi ho ricevuto una mail da chi sta facendo l'editing del romanzo di ottobre, chiedendomi conto di un'idiozia che avevo scritto e ho pensato a che lavoraccio sia editare il romanzo di una dislessica che riesce a ingannare anche il migliore dei correttori ortografici. Quindi davvero onore al merito a chi si fa tutto, dalla correzioni delle bozze alla copertina alla pianificazione della promozione.
Però, però, però...
Sta prendendo piede l'idea che siccome, appunto, questo è un lavoro enorme di cui in una casa editrice si occupa un team di persone, sia il caso di assumere tutta una serie di professionisti. Che, giustamente, si fanno pagare. 
Ecco su questo meccanismo e alle perversioni che può portare, io ho tanti, ma tanti, tanti dubbi, che la brava Gaia Conventi ha espresso meglio di me.
Vi lascio al suo post:

Chi fa da self fa per trelf. Ma con tremila euro saldi il conto dell’editor e compagnia bella

lunedì 10 marzo 2014

Scrittevolezze - Questioni di etica


Ieri si è svolte il secondo dei tre incontri sulla scrittura che sto tenendo presso Ecomuseo Cusius.
Per me si tratta di un'occasione profondamente formativa. Ho studiato tecniche di narrazione, scrivo e scribacchio da un po' e qua e là ho già fatto degli incontri, ma per lo più rivolti a studenti o a gruppi davvero ristretti. Avere a che fare con dei professionisti della scrittura più professionisti di me (giornalisti) e in generale con un gruppo di persone molto portate al ragionamento mi ha obbligato a dare maggiore profondità al mio sguardo. 
A un certo punto, ieri si è parlato di etica della scrittura.
Ci sono, in effetti, a volte, dei problemi che non sono per niente tecnici/narrativi, ma, non mi viene in mente proprio nessun'altra parola, etici.
A voi non è mai capitato?
La questione si è posta da sola. Si è detto che non c'è mai sovrapposizione perfetta tra autore e personaggio, neppure nella memorialistica e che quindi che la narrativa può essere una fonte storica, ma mai l'unica. La narrativa lavora sull'emotività, non sui fatti. E da qui è sorta spontanea una domanda:

Quando scriviamo facendo riferimento alla realtà (eventi storici, ambientazioni, personaggi reali) fino a che punto è lecito modificare la realtà a favore della storia?
In effetti questo è un problema su cui inciampo spesso. O scrivo fantasy o scrivo storie ambientate in luoghi riconoscibili. Spesso e volentieri ambiento la storia nel passato.
Quando scrivo con ambientazione storica cerco il più possibile di non alterare i fatti noti, ma a volte non è possibile o ci sono diverse interpretazioni (anche molto diverse) ed è necessario scegliere l'una o l'altra. Fino a che punto lo scrittore deve essere uno storico? Deve scegliere sempre l'opzione che sembra più probabile o quella che meglio si adatta alla storia che sta scrivendo?
Io mi sono impegolata in un thriller ambientato nell'antica Roma (che davo per spacciato da un punto di vista editoriale, ma forse non lo è) e avevo problemi ad ogni pagina. A un certo punto ho scelto per ogni macro argomento dei testi di riferimento e ho deciso di fidarmi dei loro autori. Uno di questi è stato preferito a un altro per facilità di consultazione, non proprio il massimo dell'onestà intellettuale.

Non sono solo questi, i problemi etici.

Quanto dobbiamo lasciarci influenzare dal "politicamente corretto"?
Forse La roccia nel cuore è in effetti la cosa migliore che abbia scritto. Tra i miei romanzi è di certo anche il più politicamente corretto. È stato un caso che abbia trovato più facilmente casa? Anche l'apocrifo sherlockiano non pone problemi da questo punto di vista e infatti ha trovato casa. Il famoso thriller storico politicamente corretto non lo è per niente, non è questo il suo unico problema, ma certo non gli facilita la vita... 

C'è essere anche il problema opposto.

Quanto è lecito guardare l'abisso?
Quante volte opere letterarie o film/telefilm/canzoni sono state accusate di aver influenzato negativamente il pubblico. Il male che vi veniva descritto diventava affascinante al punto tale da suscitare un desiderio di emulazione. L'autore ne aveva davvero colpa?
Personalmente penso di no, ma come autrice, di fronte a scene di particolare crudezza a volte ho la tentazione di distogliere lo sguardo e di fronte alla prospettiva di inserire elementi particolarmente disturbanti mi chiedo mille volte se essi siano davvero necessari alla storia.

Mettere o no scene di sesso o violenza solo per tenere desta l'attenzione del lettore?
Ecco, questo problema mi tocca meno. È davvero, davvero raro che io inserisca scene "splatter" o scene di sesso (praticamente è successo solo nel famoso thriller storico) e se lo faccio è solo perché è narrativamente indispensabile. Tuttavia, lo sappiamo tutti, adesso vanno di moda le 50 sfumature di gente variamente svestita e in tanti libri/film/telefilm c'è quello che mio marito definisce finemente "il momento tette" che non ha altro scopo che risvegliare il lettore/spettatore ormai distratto.

Voi vi siete mai trovati di fronte a questi problemi? Ve ne vengono in mente altri?

venerdì 7 marzo 2014

Scrittevolezze - Leggere con l'occhio del ladro


Come deve leggere (o guardare un film o un telefilm) un aspirante scrittore?
La prima cosa che mi viene in mente è di una banalità disarmante, ma, in un paese in cui più del 50% della popolazione non legge, sarà il caso di ribadirlo.

L'ASPIRANTE SCRITTORE DEVE LEGGERE TANTO
Ma tanto tanto.
Mi irrita enormemente chi pontifica su un determinato genere avendone letto giusto due o tre autori. O chi risponde "Non ho mai letto Eco (o Marquez o Carver o Hemingway o qualsiasi altro Mostro Sacro della letteratura) perché a me interessa il fantasy (o la fantascienza o l'horror o il rosa)". 
Si è mai sentito di un regista che non guarda film, di un cantante che non ascolta musica o di un pittore che non guarda altri quadri? E allora come si può pensare di scrivere senza leggere. 
E no, leggere 2/3 libri l'anno non è leggere. Leggerne 2/3 alla settimana è leggere. Forse non lo si può fare sempre (bisogna pur lavorare/curare casa/mandare avanti la famiglia), ma, scusate, sarò categorica se leggere non è tra le vostre priorità, scrivere non fa per voi.

Leggere, però, non basta all'aspirante scrittore.

LEGGETE PER INNAMORARVI
Mi fanno tristezza i miei alunni quando dicono "mi sforzo di leggere per migliorare il mio lessico". O meglio, mi fanno tenerezza (oggi giorno avercene di alunni così), ma anche tristezza.
Leggere deve darci la stessa emozione che dava a al giovane Paperon de'Paperoni il trovare pepite d'oro nei fiumi.
Non si può aprire un libro con l'idea "qui troverò tante cose utili da imparare per la mia scrittura", ma con "qui troverò una storia bellissima che mi farà dimenticare tutto il resto".
Dobbiamo andare a caccia di libri emozionanti, che ci portino via, dentro una storia, facendoci dimenticare tutto il resto.
E quando ben li abbiamo trovati, dobbiamo urlarlo al mondo, che sono libri bellissimi e condividere il più possibile la nostra gioia. 
Se non provate una gioia incontenibile quando avete scoperto un bel libro, allora, di nuovo, la scrittura non fa per voi. Quando scriviamo, regaliamo al mondo una lettura. Se per noi la lettura non è una cosa meravigliosa e bellissima perché ci impegniamo, per regalare al mondo qualcosa che ha poco valore? 

RILEGGETE CON L'OCCHIO DEI LADRI
Ok, leggere per voi è una libidine e avete letto un romanzo tutto d'un fiato facendo le ore piccole.
Il passo successivo è riprendere il libro in mano e rileggerlo con l'occhio dei ladri.
Entrare dentro come un rapinatore in un appartamento e portare via qualcosa da riutilizzare come un autore.
Non è facile come sembra, fare i ladri nei libri.
L'esempio dell'appartamento è calzante. Immaginiamoci ladri. Non possiamo portare via tutto da una casa. La tv, il computer, il denaro, i gioielli, i quadri, i lampadari e la poltrona di marca. Col tir non si fugge agilmente. 
Allo stesso tempo anche se abbiamo la sensazione che il quella storia tutto ci sia piaciuto non possiamo rubare tutto. Così facendo non costruiremmo mai una storia nostra, faremmo un plagio, una brutta copia di quel libro che abbiamo tanto amato.

I ladri devono scegliere, cos'ha maggior valore (e che sia facile da portar via)?
Cos'è che davvero ci è piaciuto in quel libro. Ok, tutto. Ma ci sarà un valore aggiunto, un qualcosa che abbiamo trovato qua e solo qua.
Rileggendo con estrema attenzione ci renderemo conto che ciò che ci ha fatto innamorare è quel personaggio, quell'atmosfera, quel modo di descrivere.
La prima cosa da fare, quindi, è identificare cosa rubare.
L'altro giorno rileggevo un manga, il n°5 di Wild Adapter (consiglio espressamente questo numero, è autoconclusivo e narrativamente eccezionale) e finalmente ho capito cosa volevo rubare.
Come avvisa wikipedia, è una serie con temi forti e permeata di violenza, i protagonisti sono ragazzi che si muovono ai confini della mafia, tra spaccio di droga, guerra tra bande, amori sbagliati. Una storia con cui un Tarantino qualsiasi andrebbe a nozze, mettendoci dentro sangue a chili e sesso a palate. E invece no. La storia è raccontata con estrema delicatezza che la rende a tratti quasi lirica. E di colpo ho capito il perché. I personaggi sono trattati con grande rispetto, tutti quanti. Un rispetto visivo (non si indugia nella rappresentazione della violenza e non ci sono scene di sesso), ma anche narrativo. Ogni personaggio è descritto nella sua umanità, nessuno è caricaturale o eccessivo, anche i ragazzini che diventano sicari della mafia o gli assassini più o meno improvvisati. Ognuno ha insicurezze, sogni, attimi di dolcezza che ci svela la presenza di un essere umano a tutto tondo, che come lettori possiamo compatire, ma non disperezzare. Ecco, ho pensato. Se mai dovessi scrivere una storia con questo tasso di violenza e squallore, vorrei farlo con lo stesso rispetto per tutti i personaggi.
Capire cosa rubare, quindi è il primo passo da fare.

Scelti i pezzi da rubare, un buon ladro ragionerebbe sul loro valore e il modo per piazzarli. Non si rivende una collana di diamanti allo stesso modo in cui si rivende un televisore!
E quindi ragioniamo sul valore e il funzionamento di ciò che vogliamo rubare. Cosa rende quel personaggio tanto iconico? Cosa ha creato quell'atmosfera così magica? 
Di Fred Vargas mi piace il tono surreale che prendono le sue storie gialle.
Da cosa è dato questo tono? Dall'uso particolare che fa del "flusso di pensiero", delle libere associazioni mentali dei suoi personaggi e dal loro mondo interiore che spesso è influenzato da un immaginario di tipo storico/mitico che si sovrappone alla realtà. Il risultato è il contrasto tra il mondo reale e l'immaginario dei personaggi.
Non voglio rubare le trame di Fred Vargas, né le ambientazioni o i personaggi. Voglio rubare questo modo di gestire l'immaginario dei personaggi, per ottenere un analogo tono surreale, ma in contesti completamente diversi.

Uscire senza lasciare tracce. Un buon ladro non vuole farsi prendere, così come a noi non interessa fare un plagio. Quindi non dobbiamo lasciare tracce.
Non possiamo fare una fotocopia di ciò che ci è piaciuto in quel tale libro e inserirlo nel nostro. Più saremo stati specifici nei due passi precedenti e più avremo rubato tecniche, sguardi e non passi di storia. Avremo rubato qualcosa che possiamo fare nostro, utilizzandolo adattandolo e piegandolo alle nostre storie. Alla fine il risultato che vogliamo ottenere è qualcosa di nuovo e di nostro non un'opera "fortemente ispirata a..."

Per esercitarci possiamo individuare alcuni elementi da rubare e poi scrivere dei racconti o mini racconti in contesti del tutto differenti. Una volta ho iniziato a scrivere un racconto dicendo "voglio i dialoghi di Criminal Minds in un racconto fantasy dove non ci siano serial killer" (racconto mai pubblicato, ma il cui risultato non mi disgusta) e tanti altri racconti sono nati da questa mia attitudine al furto (letterario).
Voi cosa ne pensate?

mercoledì 5 marzo 2014

Visioni - Wolf children


Di questi tempi abbonda la "paranormal romance", storie d'amore con improbabili creature fantastiche, vampiri, lupi mannari e chi più ne ha più ne metta. Ok. Ma cosa succede dopo? Cosa succede se dopo una di queste storie d'amore, mettiamo, con l'ultimo esponente dei lupi mutaformi giapponesi, una normalissima ragazza universitaria si trova sola con due bambini/cuccioli?
Wolf Children sta tutto il questa premessa.
È una storia semplicissima che non fa che portare avanti questo: "e se...?"
Ecco dunque una ragazza universitaria che si trova, dopo un'intensa storia d'amore, sola con due pargonetti che hanno la brutta abitudine di cambiare aspetto all'improvviso da bimbi a lupacchiotti, con un comportamento che è la somma delle loro due nature. Oltre ai soliti problemi, i soldi, le notti in bianco, i sogni archiviati, ce ne sono di tutti inediti. Se stanno male hanno bisogno il medico o il veterinario? Come convincere i vicini che non si sta tenendo in casa nessun animale? Come evitare che rosicchino tutto? Forse è meglio cambiare aria, abbandonare la città per cercare un posto isolato, dove i bambini possano crescere per quello che sono realmente. Già, ma cosa sono? E fino a che punto è giusto indirizzarli verso una maggiore umanità?
In una storia di questo genere la carta vincente può essere solo un misto di ingenuità e raffinatezza, che poi è proprio la chiave del film.
Ingenuo è lo sguardo di questa giovane madre, convinta nonostante tutto che studiare basti per cavarsela nella vita. È lo sguardo del regista, che non mette in scena grandi drammi, ma i piccoli problemi quotidiani, il crescere e l'educare, così difficile anche senza avere dei bimbi lupo. Sontuosa è l'animazione. Alla prima esperienza di lungometraggio nipponico esterno allo studio Ghibli, mi sento di promuovere in toto il film. Wolf Children dà il meglio di sé, in quanto ad animazione, nei paesaggi, nel confronto città/montagna e nelle spettacolari soggettive delle corse dei due cuccioli. I personaggi principali, sopratutto nella loro forma animale, risultato meno convincenti, ma questo è cercare il pelo nell'uovo.
In generale la pellicola deve moltissimo a Totoro, ma nel senso migliore del termine. Come nel lungometraggio del maestro sono i piccoli gesti, le sfumature a fare la storia e saper narrare con i silenzi è da sempre la caratteristica che più apprezzo nel cinema.
Infine tutt'altro che banale è il racconto di una scelta educativa, quella di lasciare ai ragazzi il compito di scegliere cosa vogliono essere, senza imporre limiti, ma rimanendo ad aspettarli con la porta aperta, anche quando, palesemente, non si possono condividere le loro scelte. E mi sembra che questo valga per tutti i genitori del mondo, anche se i loro figli non hanno la coda!

Voto: 8+

PS: se siete di cuore tenero il rischio lacrimuccia è alto.

lunedì 3 marzo 2014

Un anno con LA ROCCIA NEL CUORE


Ok, non è proprio un anno, perché il Carnevale  2013 non si sovrappone perfettamente a quello del 2014, ma nella mia mente semplice è passato un anno. 
Durante i due giorni di vacanza di Carnevale, in una giornata uggiosa esattamente come quella di oggi, ho preso il treno per andare a conoscere l'editore che ha pubblicato LA ROCCIA NEL CUORE.
Un colloquio in una stanza come si immagina debbano essere quelle degli editori, con una libreria immensa e un sentore di carta che permeava l'aria. Un momento di comico imbarazzo reciproco, io col terrore dell'editoria a pagamento e loro con quello dello scrittore troppo esoso, io che temevo che loro parlassero di contributi da versare, loro che parlavano di anticipo che mi avrebbero versato.
E poi è iniziato. Il contratto da leggere mille volte perché non ne avevo mai avuto in mano uno. Le bozze da correggere mille volte. E poi il giorno d'aprile in cui mio suocero è tornato a casa con una copia del romanzo, acquistato nell'edicola/libreria del paese e varie persone che mi comunicavano che il mio romanzo era reperibile nei luoghi più impensabili del territorio, cosa che mi ha causato un'inevitabile crisi di panico al pensiero che ormai non potevo più nascondere il mio essere anche  una quasi scrittrice.
Oddio, scrittrice. Per me scrittore è Follet, King, Camilleri, però nel mio piccolo, da un anno lo sono anch'io. Ne ho avuta una prova qualche settimana fa. La Scuola col Pontile è situata in uno splendido borgo lacustre, di quelli abitati da artisti e quindi anche da scrittori e poeti. Stavo bevendo il caffè in uno dei bar vicino alla scuola, quando due uomini entrano e uno dice all'altro "Ah, c'è la scrittrice". E io mi giro per guardare se ai tavoli ci fosse una scrittrice (un paio le conosco di persona e quindi già pensavo alla figuraccia per non averla salutata) e poi mi rendo conto che la scrittrice sono io.

Quindi in quest'anno, così intenso sotto molteplici punti di vista, ho dovuto imparare a pensare a me stessa anche come scrittrice e non solo come a una con l'hobby della scrittura. Non è un cambiamento da poco. Innanzi tutto significa che la scrittura diventa una priorità tra le cose da fare. In questo anno ho passato la maggior parte dei miei fine settimana a scrivere o a promuovere il romanzo, con gli ovvi contraccolpi in fatto di tempo libero e relazioni umane. Ho dovuto imparare a scrivere dandomi delle scadenze e dei vincoli precisi e pensando a un lettore concreto e non ipotetico come facevo prima.
La cosa su cui faccio ancora fatica è pensare alla scrittura come un lavoro retribuito. Fino a questo momento il mio obiettivo è sempre stato quello di non andare in perdita, le mie linee guida sono state scrivere quello che mi pareva, non pagare per essere pubblicata e possibilmente avere dei rimborsi, in modo da pareggiare i costi sostenuti (trasferte, stampante...). Adesso mi rendo conto che devo calcolare percentuali, tener presente il momento pattuito per il pagamento, gli anni in cui le opere sono vincolate, fare anche cose antipatiche come sollecitare i pagamenti. Onde evitare di creare false aspettative in chi legge, parliamo di cifre irrisorie. Il mio "obiettivo prendibile" è comprarmi il computer nuovo nel 2015 con i proventi della scrittura. Sono comunque cose che mi creano stress, specie in un mondo che si fa sempre più complicato, tra editoria tradizionale, digitale, digitale autogestita etc. etc.
Come quando ero all'università, mi sento la più imbranata della truppa, per poi scoprire che miei compagni d'avventura brancolano nel buio quanto se non più di me, cosa che non mi rassicura per niente.

Ho capito di essere un'esordiente fortunata. Di certo sono un'esordiente coccolata. Nessuna delle persone con cui ho avuto a che fare nel mondo dell'editoria mi ha abbandonata. Ambretta, Alessandra, Fabio, Alberto, Luigi sono i nomi di persone che ho conosciuto tramite concorsi per racconti o altre fortuite collaborazioni e sono tutte persone che non hanno mai smesso di rimanere in contatto con me, segnalarmi opportunità o far girare i miei scritti. Pare che più della metà degli autori che pubblicano un libro non riescono ad ottenere una seconda pubblicazione. Ora, non si può parlare ad alta voce finché il libro non è in libreria, ma con un contratto già firmato e due romanzi in fase di valutazione avanzata posso quanto meno sperare che almeno uno su tre ce la faccia.

Mi manca la pazienza. In quest'anno ho capito che quello dell'editoria è un mondo fatto di corse folli e attese snervanti. Si scrive, il più velocemente possibile, per arrivare a consegnare il romanzo o il racconto entro un momento dopo il quale pare il mondo finisca e poi si aspetta. I no arrivano subito, oppure sono impliciti in silenzi eterni. I sì si fanno pregare. Arrivano a puntate. L'editor1 ha detto sì, poi si aspetta l'editor2, l'editor3... Se a dire no è l'editor4 verrebbe voglia di fare una strage perché si ha la sensazione di essersi meritati qualcosa solo per le energie psichiche investite nell'attesa e invece bisogna sorridere e ripartire da capo. E se per caso va tutto bene, c'è da correre di nuovo. Che sia per un racconto o per un romanzo il controllo delle bozze è da fare di corsa. E poi si aspetta di nuovo, magari mesi, per la pubblicazione (sperando che nel mentre la casa editrice non fallisca, il responsabile non cambi, non ci sia un ripensamento dell'ultimo minuto...).

Ho scoperto la necessità del confronto. Ho bisogno di "parlare di bottega" con qualcuno che abbia le mani in pasta, senza voglia di primeggiare o invidia. Il blog e il confronto con altri blogger/scrittori mi aiuta un sacco, ma ho bisogno di farlo anche dal vivo. Sì, questo è anche un messaggio preciso ad alcune amiche che hanno enorme talento: scrivete di più/riprendete a scrivere!

Più scrivo e più vorrei scrivere. Alla fine è questo che mi spinge. L'editoria, in fondo, è un passaggio necessario per arrivare ai lettori e i lettori sono ciò che giustifica il tutto.
Ma la scrittura per me è un viaggio sempre più necessario. Al momento non scrivo da un paio di settimane e ne sento la mancanza quasi a livello fisico. Mi rendo conto che i temi che affronto stanno cambiando e che essi sono interrogativi che riesco ad affrontare solo tramite la narrazione.
Anche senza alcuna prospettiva, continuerei a scrivere solo perché sento di doverlo fare "non per un dio, ma nemmeno per gioco"

Il dialogo più ricorrente in quest'anno e che più mi spiazza:
– Dove posso trovare il tuo romanzo?
– In libreria o in uno store on-line.
– Ma una libreria qualsiasi?
– Beh, se non è disponibile, lo si può ordinare.
– E se lo ordino arriva?
– ...
Il che mi lascia il profondo dubbio che i più comprino i libri in salumeria.

sabato 1 marzo 2014

Letture - La maschera di Apollo


Mary Renault

Sono infinitamente grata a Castelvecchi per il recupero di questi romanzi (La maschera di Apollo è del 1966).
Seguito ideale de Le ultime gocce di vino, inizia qualche decina d'anni dopo il termine del primo romanzo. Siamo ormai in pieno IV secolo a.C e la voce narrante non potrebbe essere più diversa.
Se ne Le ultime gocce di vino a farci vedere la storia con i suoi occhi era un ragazzo ateniese, pieno di ingenuità e di ideali, qui a tenerci per mano c'è Nicerato, smaliziato attore tragico.
Un po' divo, un po' avventuriero, un po' sacerdote, Nicerato osserva gli eventi da un lato col distacco che il suo essere attore girovago permette, dall'altro con la profonda comprensione dell'animo umano che la lunga frequentazione col teatro greco gli dona, ma anche con il disperato desiderio di trovare ancora qualcuno che creda agli ideali di un tempo, un eroe reale che sia pari a quello delle tragedie.
Il fascino maggiore del romanzo sta in questa continua dialettica interna tra disincanto e speranza, tra il voler essere cinico, ma spiare l'agire degli dei nel mondo, considerare i filosofi dei sognatori senza domani, ma sperare che quegli stessi ideali prendano una forma concreta.
Tutto questo ci conduce con naturalezza attraverso alcune delle pagine meno note della storia greca (chi non è fresco di studi classici faticherà a ricordare i complicati eventi che ebbero luogo a Siracusa nella prima metà del IV secolo). Mary Renault ha il talento, proprio dei grandi scrittori di romanzi storici, che consiste nel dare consistenza concreta e una tangibile umanità anche a quei personaggi che ci sono parsi tanto distanti e freddi nei libri di scuola. Platone, gli accademici, Dione acquisiscono contorni netti e le loro motivazioni appaiono immediatamente riconoscibili, si soffre, con loro o per loro, facendoci anche dimenticare, magari, l'antipatia che avevamo provato per loro a scuola.
Come sempre la ricostruzione storica, per quanto datata, è impeccabile. Dal mio punto di vista ad affascinarmi maggiormente è stato tutto il mondo del teatro greco, di cui l'autrice riesce a rendere la commistione, che certo doveva esserci, tra sacralità e "glamour ante litteram". Le rappresentazioni teatrali erano al contempo celebrazioni sacre e veri e propri kolossal, con effetti speciali, impresari e divi.
Altrettanto interessante mi è sembrato il fatto che Nicerato, con un'educazione fatta quasi soltanto di opere teatrali, riesca a dialogare alla pari con filosofi e politici, dal momento che la tragedia greca è, in effetti, una delle "macchine interpretative" più potenti che l'uomo abbia mai creato.

Alla luce di tutti questi ragionamenti, stride ancor di più la quarta di copertina che l'editore ha voluto allegare al romanzo, facendomi chiedere che genere mai di lettori volesse attirare.
Cito testualmente: "... ma sopratutto è la storia di un amore impossibile... Dione trascina l'attore, perdutamente innamorato di lui, nel vortice della spietata lotta per il potere."
Ecco, forse sarà il caso di avvisare il lettore che "l'amore impossibile" non c'è proprio, in nessuna accezione del termine.
Il rapporto tra Nicerato e Dione è sì, il filo rosso che attraversa il romanzo, ma non è una relazione sentimentale. È un rapporto fatto di reciproca simpatica, ideali condivisi e un certo grado di idealizzazione, ma è una storia del tutto intellettuale.
È quindi il caso di ribadire che il lettore, prendendo in mano questo romanzo, si troverà di fronte a un'elegante prosa d'altri tempi, tantissima filosofia, palate di letteratura tragica, una buona dose di politica antica, un certo numero di "amori greci" com'è naturale aspettarsi da un divo del teatro dell'epoca, ma nessun "amore impossibile con vortice di passione". Nessunissima sfumatura di colore del tipo che viene inteso oggi. 
Certe scrittrici non ne avevano proprio bisogno.