mercoledì 31 agosto 2016

Il pianeta dell'esilio – Letture


Mondadori sta, con una certa calma e una scelta di priorità che non mi spiego del tutto (immagino problemi di diritti posseduti da altri editori), ripubblicando alcuni dei romanzi di fantascienza di U.K Le Guin.
GIOIA E GAUDIO!

Questo romanzo, del 1966, è un'opera giovanile, per certi aspetti una prova generale di quel capolavoro che sarà, pochi anni dopo, La mano sinistra delle tenebre.
Lo dice senza mezzi termini l'autrice stessa nell'introduzione, che arriva da un'edizione del 1978 (quindi ottima cura editoriale da parte di Mondadori). È un libro scritto quando ancora non aveva ben chiare le sue priorità e cosa volesse raccontare. In particolare la Le Guin rimpiange di aver relegato la protagonista femminile a un ruolo troppo passivo, anche se vi è già un'ombra del femminismo dolce che la contraddistinguerà. È un romanzo che semplicemente racconta una storia, senza aspirare ad essere altro, né da un punto di vista stilistico né contenutistico. Considerando che il suo lavoro lo fa più che degnamente, per molti autori questo è un punto d'arrivo tutt'altro facile che raggiungere. Per la Le Guin è una partenza la cui ingenuità, in retrospettiva, viene guardata con scarsa benevolenza.

È come saranno le opere successive, il racconto di un incontro di civiltà.
Sul pianeta Werel una civiltà avanzata ha impiantato una colonia. I contatti con la madrepatria, però, si sono interrotti, nessuna nave spaziale è atterrata, le comunicazioni interplanetari hanno smesso di funzionare. I coloni vivono con insofferenza la loro condizione di esiliati, beandosi della propria superiorità tecnologica e culturale e con scarsa voglia di interagire con le popolazione native, che hanno una cultura ricalcata su quella dei nativi americani (di cui il padre della Le Guin era  uno dei massimi studiosi). 
Il pianeta, però, ha un ciclo stagionale lunghissimo (come il mondo de Le cronache del ghiaccio e del fuoco, che il buon Martin abbia preso spunto da qui?) e l'approssimarsi dell'inverno costringe i pochi esiliati rimasti a cercare un contatto con i nativi.
È invece la semplice curiosità a spingere Rolery, giovane nativa nata nella stagione sbagliata e quindi condannata alla solitudine, a recarsi nella città dei "nati lontano", dove, per altro, può trovare coetanei, forse addirittura un compagno.
La narrazione passa rapidamente da un punto di vista all'altro, da quello dei nativi a quello dei "nati lontano", creando un gioco di specchi deformanti che è poi la caratteristica tipica dei romanzi di fantascienza della Le Guin.

Le similitudini tra questo romanzo e La mano sinistra delle tenebre sono tali che è davvero difficile giudicarlo per se stesso. Tanti sono i punti in comune che saranno poi approfonditi in quel romanzo: la forza della natura che impone alleanze improbabili, gli alieni che si guardano tra loro, con un continuo alternarsi di punti di vista per cui il diverso, quello sbagliato, è sempre l'altro, l'idea che il clima possa portare cambiamenti sulla fisiologia umana (qui i nativi fertili solo in determinati momenti per sfruttare le estati per crescere i figli, gli ermafroditi su Gheten), l'approfondire la mentalità aliena, la solitudine come motore degli eventi.
Rispetto a quel romanzo, però, tutto è solo un abbozzo e si percepisce come l'autrice non avesse ancora consapevolezza piena dei propri mezzi e dei propri intenti. Sopratutto, il lettore trova lontani tutti i personaggi. Sia Rolery che Jakob Agat sono in fin dei conti, per noi che leggiamo, alieni. Proprio perché c'è uno sforzo nel costruire dei meccanismi mentali diversi dai nostri li sentiamo lontani e non riusciamo fino in fondo ad empatizzare con loro. Anche il desiderio degli hainita di rimanere esiliati e non volersi rassegnare a capire il mondo che ormai abitano da generazioni ha qualcosa di artificioso che ci fa subito percepire le loro posizioni come sbagliate. Per quanto ingenua, l'istintiva saggezza di Rolery si connota subito come la voce dell'autrice.
Andando avanti la Le Guin imparerà a farci immergere totalmente nelle menti di un'umanità diversa, fino a farci dimenticare che non si parla di noi e a farci amare anche personaggi diretti verso il disastro.

Con questo non voglio dire che Il pianeta dell'esilio sia un brutto romanzo. È una storia di fantascienza come oggi non si usano più, con una certa ingenuità di fondo, ma connotata da un'indubbia eleganza. Un libro che vale la pena di leggere a prescindere, anche se bisogna sapere che non è il meglio che l'autrice abbia prodotto.

Quello che mi sono chiesta, leggendolo, è se oggi a un'autrice come la Le Guin sarebbe stata data la stessa possibilità di crescita. Da quel che ne so, quando questo romanzo uscì, il suo secondo romanzo di fantascienza (dopo Il mondo di Rokannon, un altro romanzo interessante, ma embrionale), vendette abbastanza (erano anche altri tempi, in questo senso), senza però suscitare particolare clamore. 
Cosa direbbe oggi un editore a un autore in analoga posizione: osa pure, non aver paura di fare qualcosa di potenzialmente shoccante e con grandi ambizioni letterarie o, piuttosto vola basso, tieniti stretto i lettori che già hai, non impelagarti in temi scottanti, dopo tutto scrivi di genere e il tuo lettore vuole solo evadere
Io un po' temo la seconda versione. Poi, certo, la Le Guin non ha proprio un caratterino accomodante e l'editore del secondo tipo lo avrebbe mandato a pascolare. Quelli, però, erano anche altri tempi, con altre vendite, altri ritorni economici e, per certi versi, forse, maggiore possibilità contrattuale da parte degli autori.

Di certo mi ha fatto toccare con mano la semplice verità che nessuno nasce imparato. Anche gli autori migliori hanno imparato ad essere tali, hanno scritto romanzi che col senno di poi hanno trovato ingenui e hanno trovato la loro strada non sempre al primo colpo.




lunedì 29 agosto 2016

L'Italia non è un paese per fantasy? – Scrittevolezze


Me lo ripetono ciclicamente.
L'Italia non è un paese per fantasy.
Non abbiamo una tradizione.
Non li sappiamo scrivere.
E poi comunque in fantasy non ha niente da dirci.

Io sono, evidentemente, lenta di comprendogno. Sarà che vivo sulle rive di un lago che si dice sia popolato da un drago. Drago sfrattato, ma non ucciso, dal santo e pertanto emigrato dall'isola a una caverna.
Nel paese dove abito le streghe le abbiamo avute fino al XIX secolo avanzato. In pratica mentre Sherlock Holmes a Londra disquisiva di impronte digitali per inchiodare i criminali qui ci si chiedeva se una ragazza potesse volare.
E i boschi sono pieni di "massi coppellati", cioè incisi in qualche momento nella preistoria. E poi usati per riti magici di varia natura.
Sarà un'eccezione.
Perché proprio non capisco perché a me per la mia italianità dovrebbe venirmi in mente mentre passeggio in questi luoghi una storia senza magia, mentre per un abitante, che so, della Cornovaglia, la cosa sarebbe naturale? Solo perché le loro pietre incise sono più grosse?

In questo agosto, con i libri rigorosamente al seguito (e accompagnata da Panico e Paranoia, simpatici gemelli venuti in vacanza con me) sono stata nel nostro bel Lazio, subito prima che il sisma lo sfregiasse (anche se le zone non erano proprio quelle).

Sono stata a Bomarzo.
In pieno rinascimento a Bomarzo un nobile, Vicino Orsini, ha costruito un antesignano dei parchi tematici ispirato alle sue letture preferite. A inizi 1500 Vicino Orsini leggeva un genere di cui noi non abbiamo tradizione, si dice, il fantasy. 
Va bene, lo chiamavano poema cavalleresco ed era scritto in versi. Comunque il fatto che vi si potevano trovare "leoni, orse, orchi e draghi" secondo me lo inquadra abbastanza bene.

È proprio un drago!
Le opere che tanto piacevano a Vicino Orsini non è che siano poi tanto letteratura spazzatura. L'Orlando Furioso, per dire. 
Ma noi di fantasy non abbiamo tradizione...
Le leggende arturiane si possono infinitamente riadattare, ma i cavalli alati che raggiungono la Luna per recuperare le cose perdute vanno ammirati da lontano, studiati in modo possibilmente noioso e guai a dissacrarli rielaborandoli oggi.

Poi, magari, sono io che mi faccio un film in testa per colpa di Vicino Orsini e le sue stramberie. 
Una manciata di chilometri più in là ecco la villa del vicino di Vicino, villa Lante.

Fonte: Wikipedia
Appena si entra ecco un bel Pegaso rampante.
Per carità, è tutto più ordinato, ma tra simboli alchemici, personificazioni e creature fantastiche di varia natura a me tutto continua a suonare fantasy. Ma forse, dato che era la villa di Vescovi non si può dire, che si sa, il fantasy assai poco piace alla chiesa...

Ne siamo poi così sicuri?
Perché quella di Tuscania è senza dubbio una chiesa.
E ha un drago che corre lungo la facciata!


C'è sicuramente un alto significato allegorico. 
Ma c'è anche, innegabilmente, un drago che corre per la facciata. È così bello e plastico, che mi è subito venuta l'idea per un racconto con maghi che danno vita alle sculture di pietra (solo che ci mettono moltissimo a scolpirle, tanto che i tornei di magia sono decennali). Oddio! Un'idea fantasy venuta fuori da un monumento italiano! Laziale, addirittura!

Quindi a questo punto io sono un po' confusa. La letteratura che insegno è piena di bestie strane e i monumenti del mio paese sembrano pronti da un momento all'altro a prendere vita per volare via.
Però continuano a dirmi che il fantasy non è un genere italiano. Non lo sappiamo scrivere e non ha nulla da dirci.

Io però sono finita nella bocca di un orco!


sabato 27 agosto 2016

Luce alla fine del concorso


In questi giorni è difficile essere allegri o anche solo sollevati senza sentirsi inopportuni alla fine di un'estate che ricorderemo tutti più per le tragedie che per le vacanze.
Però da quattro giorni sono in vacanza-vacanza anch'io.
Martedì ho finito (bene) il mio percorso al concorso docenti e sono adesso una prof certificata, in attesa di sapere come mi sono classificata in una graduatoria che probabilmente determinerà il mio futuro lavorativo.
Nonostante il lieto fine non riesco a parlare bene dell'esperienza concorso. Forse anche voi avete sentito o letto qualche articolo che ne ha parlato, 55% di bocciati su scala nazionale, una percentuale sconvolgente se si pensa che si tratta di un concorso riservato agli abilitati, cioè a docenti che hanno già dedicato alle teorie didattiche tempo e denaro, errori, problematiche varie, ricorsi incrociati.
Quello che io rimpiango alla fine è il tempo e le energie che ci ho dedicato, davvero tante. La scrittura, negli ultimi mesi (per non parlare dell'ultimo in cui non ho scritto una parola) è stata la più sacrificata. Non ha significato solo non scrivere, ma anche economizzare su tempi e relazioni. Non tutti l'hanno presa bene e di questo mi spiace particolarmente. 
Oltre tutto, per quel che ho visto, il merito è stato valorizzato solo fino a un certo punto, cosa che mi fa sentire più una miracolata che altro. La selezione l'ha fatta principalmente lo scritto e, tra le mie conoscenze, sono state penalizzate le madri di famiglia che hanno avuto meno tempo per studiare un programma didatticamente in gran parte inutile, e persone meno rapide a scrivere a computer. Alla fine, nello scritto, l'unica competenza davvero valutata, con i 15 minuti netti per progettare percorsi didattici, era la velocità di scrittura. Sinceramente ho dei dubbi che sia questa a fare di un prof un buon prof.
Per come ho vissuto io l'orale, qui le cose sono andate un po' meglio, almeno per la mia esperienza la commissione era attenta e costruttiva, anche se la modalità era comunque ansiogena e un po' folle. In pratica si andava sul posto il giorno X, si pescava una traccia e si tornava 24 ore dopo a esporla. Chiaro è che, se come me, si abitava a due ore dal luogo dell'esame, la competenza più valutava diventava la capacità di lavorare in auto o di notte. Inoltre io ho avuto decisamente fortuna nell'estrazione. Adoro la Divina Commedia e non è stato difficile lasciar trapelare il mio entusiasmo per Dante. Immagino che il collega che ha esposto (molto bene) dopo di me sul tema "L'idea della morte in Leopardi" abbia avuto qualche problema a mostrare il proprio animo solare.
Insomma, in questi mesi per preparare il maledetto concorso ho dovuto dire tanti NO. Alcuni difficili da far capire a chi li riceveva. La cosa, per carità, ha pagato, ma sarebbe bastato un refolo di fortuna in meno per avere un risultato opposto.
Porto a casa il tempo impiegato a riflettere davvero sulla didattica, la grande solidarietà tra colleghi, in primis quelli dello scorso anno scolastico, ma anche quelli del gruppo di studio su fb e un briciolo di autostima in più. Mi piacerebbe anche portarmi a casa il posto di lavoro e spero che lo stato non consideri questo un chiedere troppo.

Poi, per carità, nei ritargli di tempo in questo agosto ho anche vissuto. Ho letto, principalmente grazie al Gruppo di Lettura che ha segnato l'estate con due romanzi di cui riparlerò, e sono stata anche un po' in giro, portando come sempre a casa spunti per riflessioni e storie.

In questi ultimi scampoli di estate intendo alternare il più possibile "giorni da papera" al lago e "giorni da vombato" dedicati al riposo (in questo senso gli ultimi quattro giorni sono stati fenomenali, ho nuotato più in due mattinate al lago che negli ultimi due anni), ma pian piano voglia anche riprendere contatto col web e con le mie storie. Per l'autunno, lo sapete, c'è una sorpresa in arrivo e sarà il caso che inizi ad attrezzarmi...
Per intanto auguro a tutti un buon rientro.

giovedì 4 agosto 2016

Agosto


BUON AGOSTO A TUTTI
IL BLOG È IN VACANZA
TENAR INVECE STA STUDIANDO...

Un enorme e speciale in bocca a lupo a tutti i prof che, come me, stanno passando l'estate in balia del concorsone.