lunedì 30 novembre 2015

La scrittura è un hobby per ricchi?


"Ormai la scrittura è un hobby per ricchi" mi scrive con disillusione in una mail il responsabile della rivista on-line Kultural. E io, che non mi sono ancora psicologicamente ripresa ai "conti della serva" fatti dal sempre ottimo Penna Blu in questo post, in cui ha analizzato i costi del self, non posso che farmi, con preoccupazione, la domanda:
DAVVERO LA SCRITTURA È UN HOBBY PER RICCHI?

I COSTI DEL SELF
Ricapitoliamo. Secondo l'accurata analisi di Daniele pubblicare un e-book curato dal self autore, promozione esclusa, costa 2600 euro.
C'è chi nei commenti segnala che non è poi tanto, costa sicuramente di più fare sub o parapendio e questo è, del resto, il costo della libertà. Nessun editore che rompe le scatole e il 70% del prezzo di copertina va all'autore.
Qui mi tocca fare una doccia fredda di realtà. Perché io sono una prof precaria e quando va bene (quando ho cattedra completa e la conservo per tutto l'anno), prendo 1300 € al mese, luglio e agosto esclusi.
Infatti non pratico né subacquea né parapendio, pratico uno sport a costo zero e se dico a mio marito che voglio farmi da sola una vacanza da 2600 euro non solo lui mi chiede il divorzio, ma io gli do pure ragione. 
Certo, può essere un investimento sul futuro. Però se, mettiamo, il mio e-book costa 3€, se va bene ne intasco 2,1 a copia (giusto? C'è qualche altra tassa di cui devo tener conto?). Ne devo vendere più di mille per andare in pari. Non per guadagnare, solo per andare in pari. Considerato il mercato attuale degli e-book in lingua italiana possiamo considerarlo un investimento almeno ad alto rischio. E al momento il mio bilancio famigliare me lo sconsiglia vivamente.
Ovviamente c'è chi consiglia di apprendere delle competenze e fare rete per abbattere i costi. Cosa che, però, ha un suo costo in tempo. Ogni ulteriore investimento in tempo per me, oggi, avrebbe dei costi, perché avrei bisogno o di ridurre l'orario lavorativo o di introdurre un aiuto domestico e quindi entriamo nel solito circolo del drago che si morde la coda.

I COSTI DELL'EDITORIA
Va poi tanto meglio con l'editoria tradizionale?
La crisi c'è, è innegabile. Questo porta gli editori a tagliare sempre di più i costi. Vogliono dei romanzi il più possibile perfetti. Pronti da stampare.
Selezione e editing sono sempre di più affidati ai privati. Agenzie di valutazione e di selezione che scremano e propongono all'editore opere già ottimizzate secondo le richieste del mercato. Va da sé e questa non è assolutamente una critica, che questi professionisti debbano pur campare. Visto che non hanno neppure loro certezza da parte degli editori, devono farsi pagare alla fonte, cioè dagli autori. Lettura e valutazione hanno il loro prezzo.
Anche qui si spera che sia un'investimento sul futuro. Un futuro che dovrà comunque passare da diversi step decisionali: il romanzo sarà proposto? Il romanzo sarà pubblicato? Alla fine l'autore, solo se sarà fortunato, avrà i suoi diritti d'autore (spannometricamente intorno al 10% per il cartaceo e al 30% per gli e-book, ma calcolate anche meno). Solo se sarà molto, molto fortunato avrà un anticipo a fondo perduto.
I costi sono variabili e difficilmente quantificabili. Diciamo che affidarsi a un'agenzia (passaggio assolutamente non obbligatorio, ma, mi pare, sempre più comune) costa almeno qualche centinaio di euro. Molto meno dei 2600 stimati per il self, ma si tratta di un investimento ad altissimo rischio. Alla fine la pubblicazione può anche non realizzarsi mai.
Alcuni effetti collaterali
Questo sistema ha, secondo me, alcuni effetti collaterali che sono solo in parte dovuti all'aspetto economico. Un sistema editoriale che va al risparmio, che scarica i costi alla fonte, è un sistema che non fa innovazione e che non può permettersi di rischiare. Sono poche le case editrici che fanno scouting e che curano la crescita degli autori (direi Delos, ma poi dite che sono di parte). Le agenzie proporranno agli editori libri che sanno avere un mercato, piuttosto che scommesse editoriali. Infine, i giovani autori rischiano di scoraggiarsi prima di aver raggiunto la propria maturità artistica.

LA SCRITTURA STA RISCHIANDO DI DIVENTARE UN HOBBY PER RICCHI
Ormai sembra quasi che il problema "vivrò mai di scrittura" non solo sia archiviato per sempre, ma si stia trasformando in "ho abbastanza soldi per dedicarmi alla scrittura?".
Perché se scrivere in sé costa poco o niente, pubblicare sembra avere sempre di più dei costi. O quantomeno dei non guadagni che, alla lunga, diventano costi.
Gli effetti io li vedo. Giovani autori di talento che per campare scrivono sempre più spesso altro rispetto a quello che vorrebbero (leggasi, testi su commissione). Altri che si barcamenano tra famiglia, lavoro e scrittura fino a che qualcosa si deve pur tagliare e questo qualcosa è spesso la scrittura. 
Rimane sempre più a scrivere chi può permetterselo. Chi può permettersi editing, valutazione e agente (piuttosto che il molto tempo e denaro necessario al self). Chi può permettersi di girare l'Italia per presentazioni più o meno a proprie spese. Chi può permettersi di lavorare con le scuole (i ragazzi sono tra i pochi che ancora leggono), quindi di in orario lavorativo. Chi, insomma, può permettersi di mettere in campo risorse economiche e di tempo per la promozione del proprio libro.
Una scrematura a monte che poco ha che fare con la qualità della narrativa. Perché è vero che "bisogna investire su se stessi", ma se i fondi per tale investimento non ci sono si rischia di rimanere al palo.

PERCHÈ LA SCRITTURA NON PUÒ RIDURSI A UN HOBBY PER RICCHI
Gli scrittori sono i testimoni del loro tempo. Sentinelle sensibili in grado di decriptare la realtà e offrire possibili chiavi di lettura. Volendo, sono venditori di occhiali necessari per guardare il mondo.
Non sono un di più. La letteratura, quella vera, è necessaria per trovare chiavi di interpretazione dell'io e del mondo.
E non è pensabile che solo i privilegiati possano offrire tali chiavi interpretative.
Il rischio concreto è una letteratura che finisca solo per parlarsi addosso. Scrittori di salotti buoni che scrivono storie ambientate in salotti buoni in cui i personaggi sono scrittori ricchi. Del tutto avulse dalla realtà.
Per indagare il mondo bisogna innanzi tutto vivere in mondo. Vivere la società, esserne parte.
L'editoria non può accontentarsi di chi gioca a fare lo scrittore per hobby perché ne ha la possibilità, per il semplice fatto che così ci neghiamo la fetta forse più interessante di possibili autori. Quelli che non vivono nelle ville, non hanno attici nei centri storici.
Facciamo un gran parlare dell'autorefernzialità del cinema italiano, che parla solo dell'alta borghesia bene o con lo sguardo dell'alta borghesia bene, perché, al 99% è fatto da esponenti dell'alta borghesia bene, che se lo possono permettere.
Senza nulla negare ai grandi autori che possono nascondersi nell'alta borghesia bene, io non voglio SOLO questo genere di letteratura. Non mi interessa leggere SOLO libri scritti da chi se lo può permettere. Voglio leggere anche libri scritti da chi sentiva l'IMPERATIVO MORALE di scriverli. La NECESSITÀ di raccontare una storia, al di là del suo conto in banca.
Sono molto più preoccupata come lettrice che non come autrice. 
Come autrice in qualche modo ce la posso fare (non nel self, ovviamente). Sono più o meno in pari e so fin dove posso spingere i miei sogni.
Ma come lettrice sento di non potermi perdere delle storie solo perché l'autore non ha la forza di ottimizzarle da solo o di promuoverle

Ho ancora bisogno di editori che credano in autori non ancora del tutto maturi, che li facciano crescere fuori dall'ottica del "meglio un best-seller subito che un autore di culto domani", che li promuovano al di là della loro forza personale. Ho bisogno di editori che cerchino autori in grado di interpretare la realtà, di raccontare le vita fuori dagli schemi abituali. Per usare parole desuete, ho bisogno di autori che facciano cultura e non guadagno immediato.
Ce li ho bisogno come lettrici ben prima che come autrice.

E, chiaramente, non posso che chiedere a voi: la scrittura rischia di diventare un hobby per ricchi? 

domenica 29 novembre 2015

Incontro con Lucio Alberto Maria Maggio e Luigi Pachì sabato 5 dicembre al Gigi bar di Stresa


Lucio Alberto Maria Maggio consegna l'artwork in premio a Gialli sui Laghi ad Antonella Mecenero 
incontro con Luigi Pachì, editore e esperto di Sherlock Holmes
Gigi Bar -Corso Italia, 30  Stresa

Sabato 5 dicembre 2015 ore 16.00

All'edizione 2015 di Gialli sui Laghi mi sono aggiudicata un bellissimo artwork di Lucio Alberto Maria Maggio per il miglior racconto ambientato nel Distretto Turistico dei Laghi.
L'artista ci teneva a consegnare l'opera di persona, ma non ha potuto essere presente lo scorso 8 novembre alla cerimonia di premiazione a Villa Recalcati di Varese, evento del Festival del Racconto del Premio Chiara. Ho ricevuto un prototipo, al Gigi Bar avverrà lo scambio con  l'opera completa e il prototipo rimarrà esposto al Gigi Bar, dove erano stati annunciati i finalisti del premio lo scorso mese di settembre. 

Introdotta da Luigi Pachì, presenterò i suoi ultimi apocrifi sherlockiani, genere a cui mi sono appassionata dopo aver conosciuto Luigi Pachì alla prima edizione di Giallostresa.
Luigi Pachì illustrerà anche le sue ultime iniziative in ambito editoriale e introdurrà i più recenti apocrifi sherlockiani, tra cui il romanzo “Sherlock Holmes e il mistero dell’uomo meccanico” (collana Baker Street Collection, Delos Books editore) e i recenti racconti, tra cui quello che si è aggiudicato la decima edizione dello “Sherlock Magazine Award”.


Luigi Pachì vive a Stresa. Iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, è laureato in economia con un “Master of Science” in Management, e si occupa di ICT da oltre trent’anni. È stato dirigente di alcune importanti aziende multinazionali americane di informatica e telecomunicazioni ricoprendo, per un triennio a Londra, ruoli internazionali per i mercati di Europa e Sud Africa. Sui temi della tecnologia cura la collana in eBook TechnoVisions, che propone riflessioni utili alla conoscenza di fenomeni spesso sottovalutati e la necessità di elaborare una nuova presa di coscienza sull’uso della stessa. Ha scritto diversi racconti di narrativa d'anticipazione (ripubblicati recentemente nella collana Classici della Fantascienza italiana, a cura della World SF Italia; alcuni usciti anche all'estero) e, nel 2002, un romanzo a quattro mani prodotto assieme a Franco Forte (Ombre nel silenzio). Cultore dell’opera di Sir Arthur Conan Doyle (ha scritto il saggio in volume L'universo di Sherlock Holmes, Solid Books), è direttore da oltre dieci anni della rivista dedicata al giallo Sherlock Magazine, curatore della collana settimanale Sherlockiana e organizzatore dello Sherlock Magazine Award (giunto alla sua undicesima edizione). Ha curato diversi volumi di apocrifi e pastiche sherlockiani e collane librarie per diversi editori, oltre all'antologia Delitti d'acqua dolce, assieme ad Ambretta Sampietro. È consulente Mondadori per la collana da edicola Il Giallo Mondadori Sherlock, fondatore dell'associazione culturale Delos Books di Milano e amministratore delegato della casa editrice Delos Digital.
Lucio Alberto Maria Maggio - vive tra Stresa e Milano, dove ricopre una posizione importante nell'editoria. E' appassionato di artwork quasi tutti dedicati a Stresa e al lago Maggiore. Li posta in rete con grandissimo apprezzamento. Ha collaborato gratuitamente con le iniziative dell'associazione 360 gradi realizzando la grafica degli eventi del 2015.
Organizzatrice dell'incontro è Ambretta Sampietro creatrice del premio letterario Giallo Stresa, diventato poi Giallo sui Laghi. Scopo del concorso è promuovere la scrittura di racconti gialli ambientati sui laghi italiani, un modo per valorizzare allo stesso tempo la letteratura e il territorio. Il racconto vincitore è pubblicato da Giallo Mondadori. Inoltre dopo ogni edizione del concorso, Ambretta ha curato delle antologie con i migliori tra i racconti selezionati: Delitti d'acqua dolce (con Luigi Pachì, Lampi di Stampa), Giallo Lago (Eclissi editrice) e Delitti di Lago (Morellini editore). È già stata annunciata la quarta antologia, che uscirà sempre per Morellini. 
Cornice dell'evento sarà il Gigi bar di Stresa, locale storico che conserva un'atmosfera d'altri tempi, famoso per la sua pasticceria e per essere ritrovo di artisti e scrittori. 


Infine, ecco di cosa parla il mio racconto.
IL DIO A TRE TESTE

Nella quiete agostana di Armeno, tra il lago d’Orta e il Mottarone, un improvvido lavoro di scavo mette in luce tre scheletri abbracciati che sembrano rimandare a un antico affresco. La chiesa del paese conserva, infatti, un raro esemplare di trinità tricefala, una rappresentazione della trinità come un uomo a tre teste, considerata eretica dal Concilio di Trento. Si occupa dell’indagine l’antropologa Alisea Sogni coadiuvata da padre Marco, prete con un passato da storico. Due visioni del mondo opposte e complementari per svelare il mistero dei tre scheletri su cui sembra vegliare il misterioso dio a tre teste.

mercoledì 25 novembre 2015

Il gioco dei titoli



Il post di lunedì dedicato ai titoli ha dato origine a tutta una serie di commenti interessanti. Alcuni titoli di opere famose sono molto belli, ma non hanno poi così tanto a che fare con il contenuto dell'opera, sono suggestioni letterarie un po' eteree, dai labili collegamenti con la storia.
Perché quindi non giocare un po' con questi titoli? Complici i commenti, mi vengono in mente due possibili esperimenti letterari.

1 – CREA LA TUA STORIA ALTERNATIVA

In nome della rosa
Nella Scozia del 1700 una nobildonna vive isolata nel palazzo di famiglia. Il marito non torna mai, passa la sua vita a Londra con l'amante. L'unica occupazione della donna è l'ibridazione delle rose, la perenne ricerca di una varietà perfetta. La sua vita cambierà quando ai confini del parco verrà trovato un uomo ferito, un ribelle che lotto per l'indipendenza scozzese.
(Trama ispirata a un articolo apparso da poco su La Stampa sul nome di alcune varietà di rose).

Cime tempestose
Due ragazzi, cresciuti come fratelli, si sfidano nella conquista delle vette. Dopo anni di dissidi sono costretti a mettere da parte la loro rivalità per partecipare a una stessa, prestigiosa spedizione alpinistica. Quando le condizioni climatiche peggiorano all'improvviso, sapranno i due dimenticare davvero i propri dissidi o trascineranno anche i compagni nella rovina a causa dei vecchi rancori?

Alla ricerca del tempo perduto
Solo da adulto, un prestigioso e geniale scienziato, si rende conto di non ricordare nulla di alcuni anni della propria infanzia. Sperimenta allora su di sé il prototipo di macchina del tempo con l'intento di tornare indietro e osservare, non visto, quello che è accaduto. Finirà per innamorarsi della propria bambinaia di un tempo, ma come reagirà quando si renderà conto che ciò che aveva rimosso è proprio la tragica morte della donna?

2 – IL TITOLO ALTERNATIVO

Jane Eyre /  I segreti di Thornfield house

Madame Bovary / Prigione d'aria

I malavoglia / Tutta colpa dei lupini

Si vede che come titolista non valgo molto, ma almeno ci ho provato. Adesso sta a voi, mi raccomando sbizzarritevi, lasciate correre la vostra fantasia su trame e titoli alternativi.
L'unica raccomandazione è di limitarsi ai classici, o comunque ai libri di grande diffusione, per rendere il gioco più interattivo possibile.

lunedì 23 novembre 2015

Titoli, maledetti titoli – scrittevolezze


Sono quattro giorni che corro dietro a un titolo che non mi viene.
Un racconto che non è stata facilissimo né rapidissimo da scrivere, che con le sue quasi 80000 battute c'è chi quasi chiamerebbe romanzo breve (a stamparlo per bene si va sulle 40 pagine, non certo una casetta da leggere d'un fiato), che alla fine mi soddisfa, ma a cui non so dare un titolo.
Non è neppure la prima volta, anzi, mi capita con una certa frequenza. A volte risolve la cosa il marito, da sempre il mio primo e più attento lettore, che arrivato all'ultima parola sulla pagina sa già come quello scritto dovrà chiamarsi. Questa volta si è arreso anche lui. Non perché non ci sia un tema o un'atmosfera precisa, ma perché c'è il rischio di dire troppo (è un giallo), di dire poco, di creare un titolo anonimo, che è un controsenso pericoloso, o persino cacofonico. Tutte le ipotesi più ovvie sono state scartate ad una ad una e ancora adesso il racconto è pronto, ma il titolo no.

COSA DEVE FARE UN BUON TITOLO
Banalmente, deve invogliare alla lettura. Secondo la Treccani "deve alludere, più o meno chiaramente, all'argomento e al soggetto".
Deve evocare, quindi, ma non svelare.
Suggerire un'atmosfera, una suggestione.


GLI INSONDABILI MISTERI DEI TITOLI DI SUCCESSO
Nel giornalismo, un titolo deve rispecchiare il nucleo contenutistico dell'articolo, ma in narrativa non è obbligatorio. 
Un titolo può mentire. Come ci ricorda U. Eco, I tre moschettieri è un titolo mendace, il protagonista è il quarto (aspirate) moschettiere.
Può avere davvero poco a che fare con l'argomento del romanzo. Il nome della rosa non parla di botanica, ma neppure Uno studio in rosso abbonda poi di sangue versato (e neppure è ambientato in uno studio dalle pareti rosse).

Non c'è una regola precisa di lunghezza. Può essere una parola sola, Persuasione, oppure una frase completa Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.
Per quanto da decenni gli esperti di marketing cerchino di carpire il segreto del titolo perfetto, non risulta che l'abbiano trovato. Continua a vendere Profumo come Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop.
Non mi addentro poi nei deliziosi e oscuri misteri dei titoli in traduzione, per cui a volte da una lingua all'altra si preferisce cambiare completamente un titolo. A volte è capitato anche che un titolo evocativo in una lingua, tradotto letteralmente in un'altra sia stato pessimo. Pare che i nostri I promessi sposi non abbia altra traduzione letterale possibile in francese che l'equivalente de I fidanzati. Titolo scialbino, lo ammetterete, che pare in parte spieghi lo scarso successo oltralpe del capolavoro manzoniano.

I TITOLI CHE MI PIACCIONO DI PIÙ
I miei titoli preferiti credo siano quelli dei racconti di Carver. Di Carver, lo ammetto, mi piacciono ben di più i titoli dei racconti.
Di cosa parliamo quando parliamo d'amore è, probabilmente, insuperabile. Mi piace, però, la scelta dei titoli per i suoi racconti, anche quando c'è una parola sola, Cattedrale. Mi piace già il contrasto tra la natura minimalista di un racconto, tanto più di Carver, e la magnificenza di una cattedrale.

Se dovessi azzardare una classifica dei titoli che mi hanno colpito di più, al secondo posto metterei probabilmente Colline come elefanti bianchi, di Hemingway, di cui mi piace molto anche Per chi suona la campana.

Al terzo posto di questa classifica titoli, che, per altro, non rispetta per nulla una classifica di gradimento dell'opera in sé (Per chi suona la campana non l'ho manco letto), metterei titoli evocativi, che suggeriscono ma non svelano. Il mio nome è rosso. O ancora La sottile linea d'ombra.

Direi quindi che i titoli brevissimi non mi piacciono, pur con le dovute eccezioni. Non mi piacciono quelli di una sola parola, salvo scelte davvero felici, li trovo troppo evanescenti. Amo molto la raccolta di racconti di Borges Finzioni, ma preferisco di gran lunga il titolo di uno dei suoi racconti Il giardino dei sentieri che si biforcano.
Neppure le coppie di opposti mi attraggono. Orgoglio e pregiudizio è un romanzo che adoro, ma il titolo lo trovo stucchevole e così pure Ragione e sentimento o Delitto e castigo. Di certo non mi azzarderei mai a creare un titolo simile (a meno che non sia un voluto rimando), mi fa troppo ottocentesco.

Mi piacciono i titoli evocativi, ma che non sfocino in concettualismi troppo astratti. La solitudine dei numeri primi suona bene, ne capisco i rimandi, ma poi penso che i numeri, poveretti, sono tutti soli e poi che vorrà dire davvero, a livello umano, essere divisibile solo per se stesso e per uno? Il nome della rosa, ormai lo amo per via del romanzo, ma a mente fredda continuo a ritenere che non ci azzecchi niente. Ho capito il gioco intellettuale, caro professore, e gli abissi di significati possibili, sta di fatto che mi evoca giardini fioriti, primavera, magari malinconia. La triste storia di una donna medievale costretta a farsi suora ancora ci potrebbe state, ma una vicenda di delitti tardoautunnali in una abbazia maschile, quando l'orto dei semplici è ormai appassito?

TENAR E I SUOI TITOLI
Faccio una gran fatica a scriverli.
Per i romanzi è stato relativamente più facile, nel senso che ci ha messo lo zampino l'editore. Dato che io so di non sapere trovare i titoli sono stata ben felice del confronto.
Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico è un titolo descrittivo, nulla più e nulla meno. Spiega bene al lettore il quale romanzo si sta addentrando e centra il focus della vicenda.
La roccia nel cuore è stato proposto dall'editore e alla fine devo dire che, a distanza di anni, mi soddisfa. È, per altro, uno di quei titoli evocativi, ma strettamente attinenti al contenuto che io apprezzo.
Per i racconti spesso brancolo nel buio.
Forse i titoli che preferisco in quanto titoli, perché evocano e centrano il punto focale non tanto della vicenda, ma di quello che io volevo raccontare, appartengono a due racconti inediti e sono entrambi delle similitudini.
Come tela di ragno
Come il sogno di volare
Chissà se mai un domani verranno pubblicati, potrete dirmi se erano davvero i titoli migliori per quella storia e, in generale, i miei titoli migliori.

Non mi resta a questo punto che chiedere a voi quali siano i titoli che più vi piacciono della storia della letteratura e, magari, il vostro rapporto con i vostri titoli.

Infine, pubblico la foto della bellissima serata di sabato. Una presentazione più emozionante di tante altre perché organizzata anche da uno dei miei zii, Claudio, che è, in famiglia, in nostro spirito leonardesco. È pittore, poeta, scultore, designer. Crea oggetti d'arredo in legno e anima, non saprei come altro definirli, e scrive splendide poesie. È una sua creazione la meravigliosa lampada che tengo in mano nella foto, pluripremiato per la sua splendida linea.



mercoledì 18 novembre 2015

Una questione di stile – scrittevolezze


Leggendo questo bel post di Marina, mi sono resa conto di quanto poco, all'interno delle mie scrittevolezze abbia parlato di stile letterario.
In parte perché lo stile è qualcosa di impalpabile. Qualcuno parla, e forse preferisco, di voce di un autore. Quella cosa che ci fa riconoscere un testo come suo, ce lo fa amare o odiare anche a prescindere dal cosa racconta.
Me ne sono occupata poco sul blog perché la tessitura delle frasi nei testi narrativi è una delle poche cose che mi venga un po' d'istinto. Me ne preoccupo. Me ne preoccupo tantissimo, sopratutto quando voglio ottenere effetti particolari, ma un po' meno di altri aspetti. Mi è stato detto così tante volte "la scrittura è matura, ma le svolte della trama... Il tema trattato... La nostra linea editoriale... Il protagonista non ci convince..." che ho finito per concentrarmi anche qui sul blog così tanto su trama, personaggi e tecnicismi vari, da trascurare un po' la variabile dello stile.
Vediamo un po' di occuparcene adesso.

LO STILE È ANCHE LA RISULTANTE DI DIVERSE SCELTE TECNICHE
Chi narra la vicenda?
Qual è il narratario della vicenda?
Qual è il lettore ideale?
L'arco degli eventi narrati è breve o lungo?
Queste sono scelte tecniche strettamente interconnesse a quelle stilistiche.
Una storia narrata in prima persona rivolta a un pubblico adulto di duecento pagine che narri un'unica notte di passione è per sua stessa natura scritta in modo diverso da una storia che narri una vita intera (magari quella del protagonista della prima storia), raccontata da un narratore onnisciente e rivolta a un pubblico di ragazzi. Magari ci sarà quella notte di passione che ha cambiato la vita del protagonista, che sarà, però descritta in modo diverso, con parole diverse, da punti di vista diversi.
Su questi aspetti non so davvero mettere un confine preciso, dove finisca la tecnica volta alla maggior efficacia della storia e la scelta stilistica.
Io, ad esempio, su storie lunghe, prediligo la prima persona o la terza limitata, non mi metterei mai a scrivere 60000 battute con narratore onnisciente. Fino a che punto le mie storie lunghe sono ottimizzate da questa scelta a livello tecnico e fino a che punto è una scelta stilistica? Probabilmente sono due istanze che si devono incontrare a metà strada. 

LO STILE È UN ABITO DI CUI CI DOBBIAMO VESTIRE
E in cui dobbiamo stare comodi.
Osserviamo il nostro abbigliamento.
Per fare cose diverse, indossiamo, nei diversi momenti della giornata, abiti diversi. Non andiamo in ufficio con gli stessi abiti con cui andiamo in palestra (a meno che il nostro luogo di lavoro non sia una palestra), né con quelli con cui usciamo a cena. Tuttavia c'è un minimo comune denominatore. Chi è attento alla moda e all'estetica anche in abbigliamento sportivo non rinuncerà al capo di marca e all'accostamento di colori. C'è chi anche per una normalissima giornata di lavoro mette il tacco alto e chi, come me, predilige scarpe basse e pantaloni anche in situazioni eleganti. Ognuno si sente a proprio agio con il proprio stile.
Nella scrittura è uguale. Cambiando storia cambiamo strumenti, ma dobbiamo sempre utilizzare un registro stilistico che ci faccia sentire a nostro agio.
Dobbiamo capire se ci sta bene addosso una scrittura Gucci, piuttosto che una scrittura Desigual, piuttosto che bancarella del mercato.
Come per l'abbigliamento c'è un più o meno adatto all'occasione, ma non un giusto o sbagliato.

Quindi la prima domanda per ragionare sul nostro stile è
con quale registro stilistico mi sento a mio agio?
Ad esempio, io non sono dialettofona. Non parlo il mio dialetto, non ho orecchio per i dialetti. Sarei terribilmente innaturale nel cercare di riprodurre una parlata regionale per più di qualche frase. Non sarei a mio agio. Meglio lasciar perdere.
Almeno nella scrittura possiamo scegliere l'abito che più ci piace, senza problemi di costo. Tanto vale sentircisi a proprio agio.

Quale impressione stilistica voglio dare?
Ci sono molti modi per essere eleganti, così come ci sono molti modi per essere sportivi. Però, almeno, dobbiamo sapere come vogliamo essere. 
La nostra prosa vuole essere elegante e raffinata o aggressiva e scioccante?
Attenzione questo non ha molto a che vedere con il contenuto. Ho appena finito di (ri)leggere Memorie di Adriano, dove in modo elegantissimo si raccontavano anche cose terribili, stragi, omicidi,  rapporti amorosi non propriamente sani.
D'altro canto si può scrivere con aggressività e turpiloquio anche situazioni normalissime e nient'affatto disturbanti.
Vogliamo mettere a suo agio il lettore, parlandogli da pari, o creare distanza?
Vogliamo che si senta avvolto dalla storia o che ogni due righe debba controllare un termine sul vocabolario?
Solo sapendo quale impressione stilistica vogliamo dare al lettore potremo ottenere un effetto definito.

LA VESTE STILISTICA DI TENAR
Rispondendo a Marina ho scritto d'istinto che la mia veste stilistica ideale sono certi abiti Armani.
Ok, mi sono scoperta su alcuni vezzi di abbigliamento (che, per lo più, non mi posso permettere). Però, sì, credo che questa sia la veste stilistica che desidero per i miei testi.
Una prosa che non si faccia notare per bizzarrie particolari, ma che risulti elegante, dalla tessitura simile a quella della seta. Che avvolga con morbidezza il lettore. Che sembri semplice a una prima lettura, ma poi sveli la sua raffinatezza.
Non voglio sconvolgere (almeno non con lo stile), né spaventare.
Non mi spiace, quando è possibile, una certa eleganza un po' retrò, un "finto ottocentesco" svecchiato delle sue ampollosità.
Salvo che quando devo far parlare determinati personaggi evito termini volgari o dialettali, perché non mi appartengono e non mi sentirei a mio agio nell'utilizzarli e cerco di limitare anche l'uso di vocaboli troppo ricercati, anche se ho un certo gusto per l'utilizzo di termini desueti (con disperazione dei miei alunni, che dicono che "parlo difficile").

Qual è, invece, la vostra veste stilistica?
Mi raccomando, giocate il più possibile con l'abbigliamento. Ditemi come vorreste cucire il vostro stile, quale stilista della prosa vorreste essere.

lunedì 16 novembre 2015

Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo – scrittevolezze


Dopo la dorata estate di san Martino, l'autunno è arrivato di botto, negli animi più ancora che nel clima. La nebbia avvolge oggi l'isola, sul mio lago, non questa luce rosata di appena qualche giorno fa. 
A questo improvviso freddo che un po' a tutti è penetrato dentro, ognuno reagisce come può. La mia reazione è quella di continuare a vivere come vivo sempre, cercando di metterci ancora più attenzione, ancora più cura. Perché ogni istante è prezioso, e ogni istante è, a suo modo, una presa di posizione. 

Oggi voglio proporvi un gioco letterario, che però è gioco solo fino a un certo punto. 
Tutti voi che volete scrivere, che scrittori NON volete essere? Che cosa NON volete scrivere?
Perché è nelle negazioni, a volte, il nostro manifesto.

NON VOGLIO RIVOLUZIONARE LA LETTERATURA, MA NEPPURE ESSERE PURO DISIMPEGNO
Non voglio che dei miei scritti si dica "non ho pensato a niente" e neppure "mi ha rilassato". Non voglio che si dica "è troppo complicato, non l'ho capito".

NON VOGLIO ESSERE UN'AUTRICE DA UN SOLO LIBRO
Neppure se è quello della vita, il capolavoro. Non voglio che si dica "e poi è sparita" e neppure "non è più stata in grado di ripetersi".

NON VOGLIO ESSERE COMANDATA DALLE LEGGI DI MERCATO
Che oggi va di moda un tocco hard, che oggi tira di più quel genere di delitto.
Non voglio scrivere che cose di cui a nessuno importa niente, ma neppure che mi venga imposto un tema.

NON VOGLIO UN DOMANI DOVERMI VERGOGNARE PER UNA PAGINA CHE HO SCRITTO
Perché non mi ci riconosco, perché quei valori non sono i miei. Neppure perché l'ho resa pubblica sull'onda dell'emozione di un momento, di un sentimento che non è saldo nel tempo. Ho già fatto questo errore, e mi è bastato.
Non mi importa rendermi conto di essere cambiata, che l'io del passato non è quello dell'oggi, non voglio però scrivere qualcosa di cui un domani mi posso vergognare.

NON VOGLIO ESSERE BLOCCATA DALLA PAURA DI NON SCONTENTARE
Non si può piacere a tutti, né scrivere per tutti. Non posso farmi bloccare dal pensiero di non offendere questo o quello. Il buonismo non mi appartiene, non voglio che divenga un minimo comune denominatore, un gioco al ribasso nelle tematiche. Non voglio essere un'autrice innocua. 

NON VOGLIO RINUNCIARE A GUARDARE LE ZONE D'OMBRA DELL'ANIMO, NÈ AD AVERE SPERANZA NELL'UOMO
E neppure a credere che le due cose possano andare insieme. Guardarsi dentro, senza negare il peggio e credere fermamente che il meglio sia possibile.

NELLA SCRITTURA COME NELLA VITA NON VOGLIO CEDERE AL CINISMO
Datemi pure, se volete, dell'illusa sognatrice.

Coraggio, tocca a voi. Cosa non siete, cosa non volete?



APPUNTAMENTI 
Sabato 21 novembre ore 21
Biblioteca di Fagnano Olona
Presentazione del romanzo Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico
NON MANCATE!

sabato 14 novembre 2015

Piovono Libri – Memorie di Adriano


I miei pensieri, come quelli di tutti, sono a Parigi.
Venerdì sera, quando ci è arrivata la notizia degli attentati, ero al Gruppo di Lettura, dopo una giornata impegnativa, e si stava parlando in quel momento, proprio di tolleranza religiosa.
Non trovo altro modo di reagire a questi attacchi che ricordare quanto c'è di meglio nel nostro mondo occidentale, ivi compresa la letteratura e la libertà di pensiero.
Quindi, ora che Memorie di Adriano, libro francese per me importantissimo, rimarrà per sempre legato nei miei ricordi anche agli attentati di Parigi, non riesco a trovare altro modo di reagire che parlare di cultura e di libri, il meglio del nostro tutt'altro che perfetto mondo occidentale.

MEMORIE DI ADRIANO
In brevissimo, per chi non lo conoscesse.
Pubblicato nel 1951, questo romanzo si propone come una lettera confessione scritta dal morente imperatore Adriano al suo erede designato, il diciassettenne Marco Aurelio. L'imperatore ripercorre tutta la sua vita, mescolando la narrazione degli eventi con riflessioni filosofiche. Al centro dei suoi ricordi e dei suoi rimpianti c'è anche l'amore e la tragica morte di Antinoo. 

Memorie di Adriano e il gruppo di lettura
Io dico che la prosa di Memorie di Adriano ha la densità del plutonio (e a me piace così), il gruppo di lettura suggerisce che è come cemento. C'è chi è stato zavorrato da questo cemento come una vittima della mafia gettata nel mare ed è annegato entro pagina 40.
Le prime pagine, più involute, più dense, o semplicemente dall'impatto forte e un po' straniante, hanno fatto selezione e c'è chi non le ha superate.
Pensavo che il mondo si potesse dividere tra chi ama e chi odia questo libro, ma, forse si può dividere tra chi lo ama (magari di un amore contrastato) e chi si ferma prima di pagina 40.
Per chi le ha superate, infatti, per lo più è stato amore. Solo due lettrici non l'hanno apprezzato (una si può più precisamente dire che ha odiato Adriano, più che il libro in sé).
Qualche considerazione alla rinfusa.

È un libro immersivo. Se non anneghi zavorrato, ti prende e ti porta lì, nella Roma di Adriano, ricordarsi che è stato pubblicato nel 1951 da una donna è, a tratti, difficile. L'autrice si scopre solo a tratti e ci sono pochi passi che, seppur belli, ricordano al lettore che siamo comunque dentro un libro del novecento. Almeno per il mondo occidentale, tratta temi universali che gli fanno trascendere l'epoca in cui è stato scritto e quella in cui è ambientato.

Bisogna ricordare che è comunque un romanzo. Di Adriano personaggio storico sappiamo molto in fatto di atti pubblici e leggi, di lui si conservano frammenti di poesia, le opere pubbliche e private fatte costruire, ma non sappiamo nulla di cosa pensasse davvero. L'Adriano della Yourcenar è al 100% un personaggio narrativo, di quei pochi che hanno la forza per imporsi al lettore come persone reali.

Adriano ha empatia zero. Non è in grado di amare, né di capire a livello epatico chi gli sta intorno. La moglie ha tutte le ragioni per odiarlo. Antinoo ci fa una tenerezza infinita, povero caro, nei suoi confronti Adriano ha la crudeltà indifferente dei peggiori tra gli uomini, per poi struggersi e disperarsi dopo la sua morte. Rimane un grand'uomo sotto molti aspetti. La struttura stessa del romanzo chiede al lettore di dare un giudizio che non sia storico, ma umano. Qualcuno lo condanna senza appello, la maggior parte si astiene.

Il mondo romano, presentato all'apice della sua potenza, un po' ci fa invidia. Ha infrastrutture infinitamente più efficienti di quelle dell'Italia di oggi.

Ci colpisce la tolleranza del paganesimo antico, l'incapacità di Adriano di capire l'estremismo religioso dei monoteisti, ma anche la sua consapevolezza che tra fanatismo e buon senso è, spesso, il fanatismo a prevalere. Ragioniamo sul fatto che ci venga sempre proposto, a livello storico, il monoteismo come un passo avanti culturale, comunque. Lo è stato davvero? Davvero la tolleranza intrinseca nel paganesimo antico post sofistico, che non si contrapponeva alla ricerca scientifica e all'indagine sull'uomo, che accettava i più diversi credi, era peggio dei mostri generati dai monoteismi? Queste riflessioni ci colgono proprio insieme alla notizia degli attentati di Parigi. 
Rimangono domande a cui, probabilmente, non c'è risposta.

MEMORIE DI ADRIANO E TENAR
Abbiamo ragionato a lungo, ieri, sull'età in cui questo libro andrebbe letto. Chi l'ha letto da adulto ha fatto notare che un adolescente o un giovane non ha la maturità per seguire i ragionamenti di Adriano, oltre alla crudezza intrinseca di alcuni passaggi.
In tre, però, abbiamo letto questo libro intorno ai 20 anni e tutti e tre lo abbiamo amato moltissimo.
Per me è stato uno dei libri più importanti di sempre.

Adriano si rivolge al diciassettenne Marco, un bravo ragazzo cresciuto in modo molto protetto. La sua intenzione è fargli arrivare la propria vita addosso come una carica di legione (la mia espressione "come un treno in corsa" poco si sposa con l'ambientazione), sconvolgerlo e obbligarlo a confrontarsi con un modo diverso e più vasto di vedere il mondo.
Quando io ho letto questo libro ero come Marco Aurelio, una ragazza cresciuta protetta, senza particolari traumi alle spalle e proprio per questo, credo, il romanzo mi è deflagrato dentro, creando lacerazioni e nuovi punti di vista.

Questo romanzo è, innanzi tutto, un inno alla complessità dell'animo umano. Adriano è un uomo dagli innumerevoli aspetti, interessi, "vario e multiforme", contraddittorio. Persino più complesso della maggior parte delle persone con cui ha a che fare. Tale complessità di pensiero è la sua forza.
Per me, che sono una persona dalla vita semplice, ma dal pensiero complesso e contraddittorio è stata una presa di coscienza non da poco. C'è un passo preciso in cui il giovane Adriano pensa di lasciare Roma e di andare a vivere con i barbari. Sa che non lo farà mai, ma il fatto di desiderare ciò che ai suoi compagni fa ribrezzo, lo rende "diverso da loro per sempre".
Negli anni in cui leggevo questo libro, mi sentivo spesso sola, di una solitudine che poco aveva a che fare con quello che facevo, con il mio essere una studentessa e un'atleta ben inserita. Leggendo quelle pagine, per la prima volta, ho capito che erano i miei pensieri, la mia attitudine a seguire percorsi mentali diversi a rendermi "diversa". E che, a meno di non cercare attivamente e con le antenne ben tese, degli animi simili ai miei, lo sarei stata per sempre. Ho capito anche che va bene così. Non è una colpa. 
Spesso si dice, per lodare una persona, "è semplice". Io non lo sono, non lo sarò mai, ma non è una cosa che ho scelto, la complessità di pensiero mi appartiene.

Un animo complesso non è facile da giudicare. Adriano cerca un giudizio. Alla fine del libro io non so darlo. Posso, di volta in volta, condannarlo o assolverlo per questo o quel pensiero, per questo o quel comportamento. Ma la sua anima non sta a me giudicarla. Non posso farlo neanche nella vita. Dalla lettura di questo libro mi sono sempre sforzata di capire l'altro, ma non nel giudicarlo, se non nel contingente. Non è un atteggiamento facile da tenere, né che porti molta simpatia. La gente, di solito, vuole che ci si schieri, sempre, pro o conto. Basta vedere le faide che si creano nei posti di lavoro. Io mi rifiuto. Non può essere la mia via, quella del giudizio. Ci possono essere di comportamenti da sanzionare o da premiare. Ma come posso dire io con leggerezza che uno è una bella o una brutta persona? Mi rifiuto di giudicare un personaggio di fantasia, figuriamoci una persona reale.

Questo libro, credo, mi ha aperto gli occhi sulla complessità dell'uomo. Sulla bellezza dei pensieri diversi dai nostri. Sul fatto che vedere qualcosa da un altro punto di vista, che magari non condividiamo, anche che consideriamo del tutto sbagliato, è pur sempre arricchente.

Letto ora, a 35 anni, mi dato, è ovvio, un'impressione diversa. Ne ho apprezzato di più i contenuti. Ho  seguito meglio i ragionamenti di Adriano, ho colto di più e meglio il gioco storico. Mi ha straziato il suicidio di Antinoo, molto di più di allora, quando pensavo che le persone si suicidassero solo nei libri o nei film. 
Tuttavia, se lo avessi letto ora per la prima volta, mi sarebbe piaciuto, ma non mi avrebbe cambiato la vita. Non mi avrebbe sconvolto e un po' scandalizzato. Tutto sommato, credo che a vent'anni sia giusto leggere qualcosa in grado di sconvolgerci e un po' scandalizzarci, in grado di cambiare il nostro modo di vedere il mondo.

Vorrei sapere cosa pensa di questo libro chi l'ha letto, oppure quale libro ha cambiato la sua visione del mondo quando aveva vent'anni.

mercoledì 11 novembre 2015

Spectre – Visioni


Tutto quello che so di critica cinematografia lo devo al mio prof, Bruno Fornara, lo zio Bruno, perché tutti vorremmo avere uno zio bonario e gioviale che ti porta a vedere dei bei film, ti spiega perché sono bei film e ti spinge (sempre con il sorriso e lo sguardo buono) ad appassionarti persino agli horror.
Dice lo zio Bruno, quindi, che di un film si capisce tutto entro i primi dieci minuti.
Purtroppo.

Spectre inizia bene, in Messico, durante la parata del giorno dei morti, con un bel piano sequenza che si interrompe nel momento in cui Bond imbraccia il fucile.
Dice lo zio Bruno che un piano sequenza, cioè una sequenza girata senza stacco di macchina da presa, è particolarmente difficile, perché ogni movimento degli attori deve essere calibrato per non uscire dall'inquadratura. Ergo, più la scena è concitata, più il piano sequenza è tecnicamente difficile da realizzare.
Iniziare un film di 007 con un piano sequenza che si interrompe quando inizia l'azione dice già tutto di un film che parte con delle buone idee e tira il freno a mano quando le cose si potrebbero fare interessanti. 

Questo Spectre è il quarto capitolo della lunga saga bondiana iniziata con il, secondo me, molto bello Casinò Royal, seguito dal dimenticabile (io l'ho rimosso del tutto) Quantum of Solace e proseguita con il gradevole Skyfall. È il capitolo conclusivo, quello in cui Bond, per dirla un po' alla d&d, si deve scontrare con "il mostro finale", cioè la Spectre. Bisogna finire il processo di decostruzione e ricostruzione del personaggio e dare un finale plausibile a un attore che probabilmente non ha più l'età per altri film in questo ruolo.

Lo si fa con buone idee troncate. Ci sono ottimi attori di supporto, intorno a Bond, eroe solitario, si è costruita una squadra, ottima idea quella di utilizzarla, pessima quella di non metterla mai in pericolo, di non farci mai davvero preoccupare per M o per Q. C'è la voglia di una nuova Bond girl che non sia solo una bella statuina, che ci faccia dimenticare Vesper, ma alla fine il tutto si riduce a una figura piuttosto insulsa. C'è la voglia di sottolineare dei concetti, che però sono talmente ovvi e sbandierati da far sentire lo spettare preso per scemo, con la fanciulla sempre vestita di bianco, tranne quando dimostra di saper usare le armi, o Bond esattamente in mezzo tra M e la sua bella a segnalare la scelta personale che deve compiere.


SPOILER ALLERT
Infine c'è la Spectre, che poi è ciò su cui il film cade e su cui mi sento di bocciarlo senza se e senza ma. 
La Spectre che è così furba da infiltrare nei servizi segreti Moriarty senza capire che la sua copertura è saltata da anni (questo non è neanche uno SPOILER, è proprio un dato di fatto). La Spectre che ce l'ha con Bond per motivi personali e salta fuori con un colpo di scena che è ingiustificabile ormai da trent'anni. Ora vorrei sapere chi è lo sceneggiatore che ha pensato che fosse una buona idea uscirsene con questa cosa "James, io sono..." senza pensare di cadere nella comicità involontaria. 
FINE ALLERTA SPOILER

Spectre è un film girato con una valanga di soldi, che prendono la forma di scene d'azione al massimo della spettacolarità, ha buone intuizioni, che però non vengono sfruttate, inframmezzate a trovate di sceneggiatura indegne di un compitino copiato da uno studente di quinta elementare non troppo brillante.
Come film a se stante si lascia anche guardare. Come conclusione della saga iniziata con Casinò Royal è insalvabile.

lunedì 9 novembre 2015

Seconda a Giallo Lago 2015!

Non è mia intenzione riempire il blog esclusivamente di post promozionali, ma i concorsi letterari, credo, hanno una loro stagionalità. L'autunno, evidentemente, rimane sempre la stagione del raccolto anche per chi si occupa di letteratura e preferisce dedicare questi mesi ai premi e alle pubblicazioni. Infine, il blog è tante volte uno sfogo, un diario per le tante cose che non vanno bene (ve l'ho detto, vero, che non ci hanno ancora rinnovato il contratto fino a giugno?), deve anche essere traccia delle cose belle, quando succedono e lasciar aperta la porta, sempre, alle riflessioni.

Ieri pomeriggio, quindi, si è svolta la premiazione del concorso Giallo Laghi di Giallo Mondadori, nella splendida cornice di Villa Recalcati a Varese, sede abituale delle iniziative legate al Premio Chiara. 
L'inizio, per me, non è stato dei migliori. Il navigatore ci segnalava 40 minuti di viaggio, noi siamo partiti con oltre mezz'ora di vantaggio per poter visitare la villa, non considerando i 40 minuti di cosa all'ingresso della città, tra ambulanze che gincanavano tra le auto in attesa a semafori dai rossi secolari. Pare per altro che sia la norma, arrivando dalla nostra direzione...
Quindi panico da ritardo, panico da parcheggio che non si trova (che poi in realtà era comodo e vicino), panico da villa che non si trova (che poi era dall'altra parte della strada rispetto al parcheggio), panico da sala bellissima e gremita. Panico da non ho visto e non ho salutato un sacco di gente. Panico. Mi scuso, quindi, con tutte le persone che non ho salutato, che magari hanno tentato di attirare la mia attenzione.

Trovo un posto libero appena in tempo, la premiazione sta iniziando.
Qualche dato:
103 racconti partecipanti, non certo pochi.
Anima e regista dell'iniziativa è Ambretta Sampietro che da quattro anni si batte per valorizzare i laghi italiani attraverso la scrittura di racconti. Ogni anno ha saputo superare se stessa, creando eventi sempre nuovi e piacevoli e dando vita ogni anno a delle antologie con alcuni dei migliori racconti pervenuti.
Due giurie, una di pre selezione, una per decidere vincitore e finalista. 
Nella seconda giuria, quella che sceglie vincitore e finalisti, ci sono Mariangela Camocardi, una Scrittrice con la S maiuscola, e Carmen Giorgetti Cima, una super traduttrice (che ringrazio di cuore per le sue belle parole sul mio racconto).
A capo di tutto c'è Franco Forte, scrittore, editor, direttore delle collane in edicola di Mondadori e di molto altro ancora.
Per i futuri partecipanti ai concorsi di Giallo Mondadori, è anche un gran sadico. Perché, come dice con un sorriso sornione "così la premiazione rimane memorabile". Quindi prima chiama i menzionati, poi i finalisti classificatisi a parimerito al sesto posto in ordine casuale e infine i cinque finalisti, uno per volta, con immensa calma. Con panico crescente dei non chiamati, dato che non c'è stato alcun modo di avere anticipazioni.
Alla fine, come l'anno scorso, mi classifico seconda. Ne sono stra felice. In parte perché il mio racconto è un po' particolare e non sapevo neppure se sarebbe stato considerato "attinente alla traccia". In parte perché ho vinto un magnifico artwork sul tema del giallo che ben presto farà bella mostra di sé all'ingresso di casa. In parte perché il vincitore ha diciannove anni, è Alessandro Marchetti Guasparini e dà l'idea di essere bravissimo. 
L'unico personale rimpianto è di aver fatto tutto un po' di fretta, visto il traffico trovato all'andata non ce la siamo sentita di indugiare e siamo andati via subito dopo le foto di rito. Inoltre avrei tanto voluto salutare due colleghi sherlockiani, i bravissimi Samuele Nava e Elena Vesnaver (rispettivamente menzionato e finalista) che però, complice la distanza, non erano presenti.

Una meditazione più approfondita meritano invece le parole di Franco Forte, uno che di scrittura e di editoria ne sa. Quando si partecipa a un concorso, ha detto Franco, bisogna partecipare per vincere e per vincere non basta scrivere bene, ma, se dietro c'è la pubblicazione in qualcosa come Giallo Mondadori bisogna scrivere qualcosa di adatto. Aderente ai canoni, perché un conto è scrivere per sé e un conto è scrivere per pubblicare. Se partecipi a un concorso o spedisci a un editore è perché vuoi pubblicare e quindi devi andare nella direzione indicata da chi vuoi che ti pubblichi.
Ora, in due anni questo è il mio terzo secondo posto a un premio Giallo Mondadori (a cui possiamo aggiungere la finale al Premio Tedeschi). Tre volte su tre concorsi mi sa che sfida un po' il mero caso. I miei scritti, al momento, sono belli, credo e spero, ma non aderenti a quello che si cerca oggi nel giallo. Che è la stessa cosa che mi è stato detto dall'editore che ha quasi pubblicato un mio romanzo. Che è la stessa cosa che temo mi diranno a proposito di quello che ho scritto quest'estate.
Io so, tecnicamente parlando, stare aderente a un canone (è quello che faccio con molto divertimento con i racconti sherlockiani), è che ho sempre pensato che non mi interessasse aderire al 100% al giallo  classico.
È tutto il giorno, nelle varie peregrinazioni tra casa e scuola che ripenso alle parole di Franco Forte, senza riuscire a trarne un'idea precisa. Fino a che punto vale la pena cercare una strada propria se tutti i professionisti te ne indicano invece un'altra? Così d'istinto mi verrebbe da dire che è meglio continuare sulla propria strada e sbattere la testa finché non si sfonda il muro. D'altro canto la narrativa ha la sua ragione d'essere nel fatto che viene letta. 
Quindi non so. Ringrazio davvero Franco per il suo discorso, che vale per tutti, ma che ha fatto nascere in me diverse riflessioni. Ne sono usciti nella mia testa pensieri contraddittori, sulla mia scrittura e su quello che voglio fare con essa, ma non dubito di emergerne alla fine più consapevole. 
Giro anche a voi lettori del blog questa riflessione, per sapere cosa ne pensate.

Infine non dimenticate martedì 10 novembre è in vendita a 0,99€ l'e-book Sherlock Holmes e il caso della Morta scomparsa che al momento è già decimo nella classifica dei racconti di Amazon!

domenica 8 novembre 2015

Sherlock Holmes e il caso della Morta scomparsa – racconto in e-book per Delos Digital


È già possibile ordinare su Amazon, sul Delos Store o su qualsiasi altro store on-line che aggradi il mio nuovo e-book, in vendita da martedì 10 novembre a 0,99€ (meno di un caffè!)

SHERLOCK HOLMES E IL CASO DELLA MORTA SCOMPARSA
"In Italia sotto falso nome, Sherlock Holmes deve scoprire chi ha rapito 
la Morta di Agrano,
una mummia centenaria ritenuta miracolosa"

Dicembre 1891. Sherlock Holmes è ufficialmente morto in Svizzera nel maggio di quell'anno, lottando contro Moriarty. In realtà è passato in Italia sotto falso nome e ora è ospite di un nobile italiano legato al servizio segreto inglese, in attesa di partire per l'oriente.
È solo, lontano da Londra, dal suo amato violino, dall'attività di consulente detective e cerca di fare a meno anche della cocaina. Quando un contadino viene a riferire al suo anfitrione che qualcuno ha rubato una mummia, ritenuta miracolosa e conservata in una chiesa della zona, gli sembra di aver ricevuto un inaspettato regalo di Natale! Holmes si lancia a capofitto in un'indagine il cui resoconto può essere scritto solo in una lettera che non verrà mai spedita, insieme alle considerazioni sul suo esilio, volontario, sì, ma non per questo meno doloroso.

Questo racconto è stato finalista al concorso GialloLuna Giallo Mondadori nel 2013 ed è stato pubblicato in forma cartacea sulla Sherlock Magazine.
Inoltre (e ci tengo particolarmente) è dedicato a Ecomuseo del Lago d'Orta e del Mottarone, l'associazione senza la quale non avrei mai scoperto la storia della Morta di Agrano.

Uno sguardo dietro le quinte
Questo è uno dei racconti più difficili che mi sia trovata a scrivere, cosa che, ovviamente, lo rende speciale ai miei occhi. Ogni riga è stata una sfida e una lotta per una serie di motivi:

– Si tratta dell'unico racconto che abbia mai tentato dal punto di vista di Holmes. Ho capito subito perché Doyle stesso ne abbia scritti solo due (Il soldato sbiancato e La criniera di leone). Seguendo le orme del maestro ho voluto lasciare all'inizio libertà d'espressione al nostro detective, imbrigliandolo solo dopo qualche pagina nella struttura classica del racconto. Ora, per Holmes è normale pensare a sette/otto cose contemporaneamente, fare fulminei collegamenti e fare ondivaghi percorsi mentali per collegare due punti. Per noi un po' meno. È stato interessante, snervante e divertentissimo cercare di rendere questi processi mentali su carta, mantenendo un minimo di comprensibilità.

– Questo racconto è basato su una serie di fatti storici, affascinanti quanto oscuri. La storia unica della Morta di Agrano, una mummia naturale ritenuta tutt'ora miracolosa e che le gerarchie ecclesiastiche hanno tentato in vari modi di osteggiare. L'ancora più incredibile storia della famiglia Solaroli, originatasi da un avventuriero che sposò una principessa indiana e che, durante il risorgimento, tenne i contatti tra il regno sabaudo e i servizi segreti inglesi. Il fascino per l'arte egizia e le difficoltà tecniche e burocratiche di scavi archeologici in quel paese. Unire tutti questi elementi senza tradirli per creare una storia mi ha divertito, impegnato e fatto sudare non poco.

– Questo è il primo racconto sherlockiano in cui affronto, sia pure di sponda, il tema della droga. Per certi versi, se Holmes non avesse questi problemi di dipendenza sarebbe infinitamente meno interessante ai miei occhi (potrei credergli, quando dice di essere cervello e non cuore), d'altro canto trattare bene in un racconto questa tematica è tutt'altro paio di maniche. Qui ho Holmes in crisi d'astinenza. A livello di trama la cosa ha un impatto relativo, ma dal punto di vista stilistico no. Volevo dare l'idea della forza e insieme della vulnerabilità di Holmes, di quello che avrebbe voluto o non voluto dire. A voi stabilire come me la sia cavata.

Domande e questioni pratiche
Un solo racconto, ma quanto mi costa?
0,99€, neppure un caffè.

In quali store on-line posso acquistarlo?
Tutti. 
Ad esempio qui

Quali formati sono disponibili?
Copio-incollo dal sito:  EPUB per iPad, iPhone, Android, Kobo o altri ebook reader, Mac o PC con Adobe Digital Editions


MOBI per Kindle, Kindle Fire
(potrai scegliere quale formato scaricare direttamente dalla tua pagina di download)

Ma io non ho un e-reader!

Nessun problema. Il formato EPUB è leggibile da qualsiasi Mac, Pc, iPad o dispositivo Android (tablet vari) e il programma necessario per leggerlo è gratuito e si scarica con facilità (del tipo ci sono riuscita pure io)



Infine un grande, ENORME ringraziamento a tutti colore che rendono la vita di Sherlockiana possibile, a quelli che conosco e a coloro che ignoro del tutto, ai lettori e a tutti coloro che permettono ad Holmes di continuare ad indagare.

venerdì 6 novembre 2015

Lucca 2015: recensioni fumetti

Lucca Comics&Games è gente vestita in modo strano, è Rill, è incontri, film, passeggiate sulle mura, mangiate, giochi di ruolo e di società, ma è anche, sopratutto fumetto.
Il bello di Lucca Comics è che, almeno per me, il fumetto è ancora lo scheletro che supporta il tutto, che dà un senso alla mia presenza.
Fumetti da comprare, da far autografare, da leggere il prima possibile.
Ecco qua le recensioni di quelli che ho già letto.


Zerocalcare – L'elenco telefonico degli accolli
In pochi anni Zerocalcare è passato dall'essere un autore di nicchia a fenomeno culturale, con tanto di candidatura al Premio Strega.
In barba alle (inevitabili) polemiche (l'ultima delle quali, particolarmente sconclusionata, l'ho letta sul sito di Avvenire) io ho una semplice risposta per spiegare l'accaduto: Zerocalcare è bravissimo. Oggi in Italia è uno dei pochi in grado sia di descrivere la generazione dei trentenni, sia di proporre un discorso politico, nel senso più ampio e nobile del termine, non di quello di appartenenze a schieramenti o a partituncoli.
La portata e gli effetti del fenomeno Zerocalcare devono aver colto impreparato in primis Zerocalcare stesso, catapultato in un universo mediatico a lui estraneo.
L'elenco telefonico degli accolli, oltre a raccogliere alcune tavole già apparse nel blog, racconta questo, il confronto dell'autore con il successo e i suoi tentativi di gestirlo.
Non è, sia chiaro, un'opera epocale. Non è il bellissimo Dimentica il mio nome, non sono i reportage dal Kurdistan apparsi su Internazionale. È solo (?) narrazione autobiografica intelligente e acuta.
Da leggere col cervello inserito.


Saga volume 4 e 5
Immaginate che Romeo e Giulietta fossero riusciti a scappare insieme, con Giulietta incinta e poi madre di una bella bimba metà Montecchi e metà Capuleti. Aggiungete un universo da space-opera con un sacco di alieni dalle forme più strane, ma descritti con toccante umanità. Il risultato è Saga, giunto ormai al quinto volume.
Ricapitoliamo, lui ha i cornini, le le ali, i loro pianeti si fanno la guerra. Per questo sono fuggiti su un pianeta pacifico, dove vivono nascondendosi. Sono anche una famiglia, con tutti i problemi di una famiglia. Lui fa gli occhi dolci all'insegnante di danza della piccola, lei recita sotto falso nome e cede alle lusinghe della droga. Ci sono però anche tutti quelli che li vogliono morti o li vogliono utilizzare per i più diversi scopi. E non tutti sono dei bastardi senza cuore. C'è ad esempio il Volere, cacciatore di taglie finito in coma. Ha salvato una bambina dalla prostituzione e la piccola, insieme al delizioso Gatto Bugia e a una pericolosa alleata, è ben decisa a salvarlo. 
La forza di Saga è il mescolare la dolcezza di una storia famigliare raccontata con struggente delicatezza dalla figlia dei due protagonisti a svolte di trama inaspettate, che non nascondono violenza e crudezza (al punto che su questi due volumi sono fioccate non poche polemiche).
È vero che, arrivati al quinto volume, la novità della ricetta ha esaurito il suo effetto sorpresa, ma è altrettanto vero che è difficile non affezionarsi a personaggi così fallibili e umani (nonostante corna, ali o altre amenità) e, pagina dopo pagina, si rimane col fiato sospeso chiedendosi cosa accadrà dopo. In questi anni, per coinvolgere così tanto lettori ormai esperti, ci vuole un'abilità non da poco.

La leggenda di Arslan
Full Metal Alchemist è uno dei miei fumetti preferiti e una delle più belle storie per ragazzi che mi sia capitato di leggere, in grado di toccare con la necessaria delicatezza temi tostissimi. Ero quindi in trepidante attesa del ritorno dell'autrice in un opera fantasy. Quando ho scoperto che La leggenda di Arslan è in realtà un'opera derivata, tratta da una serie di romanzi, il mio entusiasmo un po' si è smorzato, anche se in Giappone intendono come "adattamento" qualcosa di diverso dal nostro concetto. In pratica l'autore parte dall'opera originaria per rielaborarla come gli pare e piace (nei limiti di vincoli pre determinati).
I miei dubbi si sono dissolti tra le pagine di questo primo volume. Ho trovato subito i temi cari all'autrice, la guerra distruttrice, i nemici disumanizzati che si rivelano esseri umani, la religione usata come mera propaganda.
Certo, la storia del giovane principe costretto a fuggire non sembra, in queste prime pagine, il massimo dell'originalità. C'è anzi un eccesso di spiegoni, un desiderio di puntualizzare tutto che è ben lontano dall'inizio folgorante di Full Metal, che ti portava senza cerimonie dentro un mondo altro e fortemente spiazzante. 
L'impressione è che il materiale di base non sia proprio il massimo della novità, ma i caratteri sono ben definiti, le tematiche toste ci sono e la speranza che la trama riservi svolte inaspettate rimane. Questo primo capitolo non ha il profumo del capolavoro, ma quello della buona lettura.

Holmes 1854/1891
Il mio amore per Holmes è condiviso da tanti autori di fumetto francese che creano apocrifi impeccabili e coinvolgenti.
L'idea di base per questo è semplice. Nel 1891 Holmes scompare in Svizzera, Watson non assiste di persona alla sua morte e pertanto si mette ad indagare. Il fratello di Sherlock, Mycroft, offre al medico una versione dell'accaduto molto triste, ma anche assai plausibile. Tuttavia non tutto torna e una visita ai genitori dei due genera ulteriori interrogativi.
Si tratta di un volume 1, quindi non so ancora dove la storia andrà a parare. Di certo sono presa per bene all'amo, ci sono echi e ipotesi già sfruttate in molti altri apocrifi, ma alcuni particolari dissonanti mi fanno sperare in una svolta inattesa della trama.
Di certo è disegnato benissimo.
Consigliato al pubblico degli appassionati.

Spero con questo post di aver dato l'idea di quante cose diverse ci siano alla voce "fumetto", storie per ragazzi, storie per adulti, fantasy, ragionamenti sull'oggi, rivisitazioni di classici. Insomma, tutto un modo che vale la pena di scoprire.
Molti altri blog amici sono stati a Lucca o sono appassionati di fumetti e sono curiosa di sapere cosa stanno leggendo/hanno appena letto.

mercoledì 4 novembre 2015

Lucca 2015 foto e sensazioni


È da quando frequento Lucca Comics&Games che sento dire di quant'era bello il Lucca Comics degli esordi, quando non c'era la folla, quando si parlava solo e seriamente di fumetti e tutti stavano dentro un unico stand.
È un'epoca che non ho vissuto e che non posso giudicare, ma vado al Lucca Comics ogni anno dal 2006 e mi sembra difficile immaginarlo diverso. Senza le mura e il grande prato, le foglie dorate degli alberi che cadono leggere sulla folla variopinta, dove anche l'assurdo pare normale.

Abbigliamento assolutamente normale
L'anno scorso ho temuto per la prima volta che la magia fosse terminata. La folla si era concentrata tutta in un'unica giornata. All'entrata degli stand si erano create code che avevano generato dei momenti davvero spiacevoli. Qualcuno era rimasto bloccato dentro gli stand, altre persone, bloccate in coda, avevano scalato le mura rinascimentali con tutte le possibilità di incidenti e di danni che si possono immaginare. Gli organizzatori e le forze dell'ordine si sono spaventati (giustamente!) e si era parlato anche di spostare la fiera non si sa dove.

Ma Lucca è Lucca. Un posto dove tutto è possibile. Anche, evidentemente, prendere atto dei problemi, invece di nasconderli o sminuirli, per cercare delle nuove soluzioni.

Quest'anno a Lucca è tornata la magia e, come ho già avuto modo di dire, proprio il fatto di averne toccato con mano la fragilità me l'ha fatta apprezzare ancora di più.

Complice un clima quasi primaverile, quelli di quest'anno sono stati giorni perfetti, forse i più belli, da un punto di vista del clima e della fruizione della fiera, che abbia mai visto a Lucca Comics.
Appropriati mezzi di trasporto

Certo, per vivere bene Lucca Comics bisogna attrezzarsi, ma c'è da dire che tutta la città si impegna per portare a casa il risultato.

Quest'anno si poteva farsi recapitare a casa biglietto e bracciale identificativo azzerando la coda all'ingresso. La mattinata del venerdì, quindi, è iniziata in un bar del centro storico, dove, visto che quest'anno avevamo al seguito anche una bimba, la signora si è subito premurata di liberarci un tavolo. Sembra una sciocchezza, ma in questi giorni di fiera ho trovato esercenti gentilissimi che nonostante la bolgia e i disagi (la stessa signora un attimo prima si stava lamentando con i vigili di non riuscire a portare alla lavanderia la biancheria dell'albergo) non hanno abbassato la qualità del servizio, offrendo sorrisi e gentilezza. I vigili, intanto, raccontavano come tutte le forze dell'ordine di Lucca e dei paesi neppure troppo vicini (fino a Prato) stessero convergendo lì per offrire un servizio d'ordine presente, ma assai poco invasivo.
Impeccabili i mezzi pubblici
Dopo colazione è scattata la corsa agli acquisti, km percorsi tra gli stand per portare a casa kg (è il caso di dirlo) di fumetti.
Complice la bimba, non abbiamo fatto code per  autografi e illustrazioni (anche se, forse, quella di Zerocalcare sarebbe stata abbordabile), ma abbiamo trovato tutto (o quasi) quello che cercavamo.
Pausa per la premiazione di Rill e poi di nuovo via. La bimba inizia ad essere un po' stanca. È tempo di concederle il regalo promesso. Cosa vuoi, un peluche o una spada da duello?
Una spada!
Abbiamo visto una bimba fare davvero felice la mamma! Del resto Lucca Comics è anche questo. Sentirsi, per una volta, parte di una stessa tribù. 
Noi che non conosciamo le hit del momento, ma recitiamo a memoria genealogie elfiche, noi che non acquistiamo borsette alla moda, ma sappiamo apprezzare il bilanciamento di una buona spada, che sappiamo ordinare in taverna birra e cinghiale in decine di lingue diverse, alcune delle quali parlate solo in mondi immaginari, ci troviamo ogni anno qui, a Lucca Comics.
Senso di appartenenza
Lucca Comics è quel posto in cui alle nove di mattina puoi fermati a parlare con uno sconosciuto dei cambiamenti nella scherma italiana del '500 (con tanto di prova delle armi). È quel posto in cui se senti un frammento di discorso casuale, al 90% capisci di cosa gli altri stanno parlando. È il posto in cui famigliole intere si scambiano le proprie mitologie, trasmettendo alle nuove generazioni i propri miti.

Il fatto che sia un posto bellissimo in cui si mangia benissimo, aiuta.
Alle 23 eravamo ancora in giro. In una Lucca tutt'altro che spopolata, ma pulitissima, come se non fosse stata invasa da un'orda di 80000 persone paganti (più chissà quante non paganti), tornavamo da quello che è uno dei miei ristoranti preferiti.
Trasmissione dei propri miti alle nuove generazioni
Il sabato abbiamo fatto semplicemente i turisti. Abbiamo potuto apprezzare la nuova disposizione, che valorizza ancora di più le splendide mura rinascimentali della città. Abbiamo compiuto il giro completo delle mura, scattando tutte le foto che vedete in questo post, fino a che la bimba è crollata, addormentata tra le braccia della mamma e abbiamo optato per il rientro.
Anche se non ci siamo avventurati per gli stand, ci è sembrato che la situazione fosse comunque vivibilissima. C'era gente, tanta, tantissima, ma non troppa e Lucca Comics era esattamente quello che doveva essere, Una festa bellissima e colorata.



AVVISI E APPUNTAMENTI

Domenica 8 novembre a Varese ore 16,30 c'è la premiazione di Giallo Laghi. Qui tutte le informazioni

Sabato 21 novembre, biblioteca di Fagnano Olona ore 21,00 presentazione del romanzo Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico. Qui tutte le informazioni