venerdì 27 febbraio 2015

Gli inaspettati esiti della lettura e della scrittura – Scrittevolezze


Leggere è una delle attività più pericolose che si possano fare in situazioni di apparente sicurezza.
Ogni volta che apriamo un libro ci troviamo in un mondo altro, in balia di eventi incontrollabili e sopratutto soli. Quando leggiamo abbiamo l'illusione di essere circondati da personaggi, di essere nella testa di uno o più personaggi, ma in realtà siamo soli. E il mondo altro in cui avvengono eventi incontrollabili altro non è che il nostro mondo interiore.
Il rischio concreto che accettiamo, ogni qual volta apriamo un libro è quello di entrare in contatto con aspetti nascosti del nostro io e quindi di emergere dalle pagine irrimediabilmente cambiati. Un cambiamento non meditato, non previsto, dagli esiti incontrollabili.


Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e senza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il diasiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.

Paolo e Francesca leggevano "per diletto" e "senza alcun sospetto". Non erano consapevoli di essere innamorati. Lo erano già, naturalmente, ma non lo sapevano. Senza quella lettura avrebbero potuto continuare, magari per anni a ignorare una verità su loro stessi. Magari vi sarebbero arrivati lo stesso, ma più avanti, magari più preparati. Si mettono, però, a leggere. Una cosa interessante da notare è che non leggono alta letteratura, leggono "di Lancialotto e di come amor lo strinse", vale a dire l'equivalente  dell'epoca dell'Harmony. 
Non ci sono letture sicure, ogni libro, anche il più disimpegnato, non può che condurci all'interno di noi stessi, a fare i conti con il nostro io e, magari, con le verità che non vogliamo vedere. 
Paolo legge di Lancillotto, riconosce in se stesso gli stessi sentimenti che il cavaliere prova per Ginevra e trova il coraggio per baciare Francesca. 
Gli effetti, lo sappiamo, sono drammatici, il marito di Francesca li scopre e li uccide. Tutti e tre finiranno all'Inferno.
Per Dante il colpevole è uno e lo indica senza esitazione Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse. La colpa è del libro e della lettura, che ha costretto Paolo a fare i conti con sé stesso troppo presto. La lettura ha condannato tre anime alla dannazione eterna. Eppure Dante stesso, raccontando la storia di Paolo e Francesca ha certamente indotto altri lettori a riconoscersi in loro e, magari, a dichiarare il loro amore. Qualcuno ha sicuramente pensato, leggendo Dante, che è meglio la dannazione eterna che rinunciare a vivere un amore proibito.

Anche a me, nel mio piccolo, è capitato qualcosa del genere, sia pure al contrario. Anche a me con un libro del tutto disimpegnato, non scritto certo per cambiare vite. Era un romanzo di fantascienza e la protagonista era una donna che si era sposata molto giovane, arrivata ai trent'anni si accorgeva di non amare più il marito. Questi era un imbranato arrangione, ma, tutto sommato, sincero e sinceramente innamorato di lei. Un uomo scialbo, ma non cattivo. Era similissimo al mio fidanzato di allora. E io mi sono vista trentenne, infelice, sposata a un uomo sincero, ma che non era fatto per me.
Paolo e Francesco sono stati dannati dalla loro lettura, io probabilmente sono stata salvata. Di certo la mia vita è cambiata. Senza quella lettura forse non mi sarei accorta in tempo della mia nascente infelicità.

Se è tanto pericoloso inoltrarsi in un libro da lettori, per l'autore è tutto ancora più complicato.
Da autori, dobbiamo renderci conto che chiediamo una cosa non banale. Chiediamo al lettore di darci la sua completa attenzione per partire per un viaggio pericoloso che potrebbe cambiargli la vita. La possibilità di tale cambiamento è insita nella natura stessa dell'esperienza della lettura. Come abbiamo visto non ci sono "libri sicuri" tutti i libri sono pericolosi.
Come autori dobbiamo rispetto al lettore che si fida di noi a tal punto da intraprendere questo viaggio interiore cullato dalle nostre parole.
Dobbiamo essere consapevoli di altre cose ancora.
Il viaggio di ogni lettore è unico. In un libro può trovare solo se stesso. Lettori diversi interpreteranno uno stesso brano in modo anche opposto a seconda del loro vissuto e della propria sensibilità. Per questo non ha senso che l'autore se la prenda se il lettore "non ha capito" il suo testo. Un testo esiste perché un lettore ci si possa perdere e possa trovare una parte di sé. Secondo me (ma questa è un'opinione puramente mia) la parte interpretativa non spetta all'autore.
Per certi verso l'autore è come un'agenzia di viaggio. Prepara le tappe, i pernottamenti, prepara anche alcune esperienze come "visite guidate". Può mettere delle avvertenze "rischio emozioni forti" invece che "rischio piogge nella stagione dei monsoni", ma non può prevedere fino in fondo quello che un lettore troverà in un testo.

E se è così imprevista e pericolosa l'esperienza del lettore è ancora più imprevedibile l'esperienza emotiva dell'autore.
Se il lettore potrà scegliere in quale personaggio riconoscersi di più, l'autore dovrà trovare tutti i personaggi e tutte le situazioni dentro se stesso. Ci sono gialli che, da lettrice, non trovo spaventosi, perché l'autore ci tiene lontano dalla testa dell'assassino. Ma lo scrittore, inevitabilmente, nella testa dell'assassino ci è entrato. Ha progettato il perché e il come. Ha visto il mondo dai suoi occhi. In altre parole, ha trovato l'assassino dentro di sé. 
Inevitabilmente l'autore si muoverà attraverso angoli nascosti e pericolosi del proprio animo, esplorando una gamma di emozioni e sensazioni che magari neppure sapeva di avere dentro di sé. Non sono mai stata in analisi, ma non posso non pensare che la scrittura sia una sorta di auto analisi, che ci fa venire a patti con il nostro inconscio senza quella rete di protezione data dalla presenza di un psicologo o di uno psichiatra specializzato. Scrivendo andiamo ad aprire le botole dell'inconscio senza sapere cosa vi potremmo trovare.

C'è una sola attività più pericolosa della lettura che si può praticare in apparente totale sicurezza, la scrittura.

L'aspetto tecnico della scrittura, l'operazione che ci permette di filtrare il personale per renderlo universale e quindi comprensibile al lettore è, per certi versi ciò che ci salva. L'unico scudo che abbiamo per proteggerci, per addomesticare le nostre emozioni e riversarle su carta in modo che non feriscano troppo noi e che siano fruibili al lettore.

Domenica, alla prima lezione del corso di scrittura, cercherò di iniziare da qui, da Paolo e Francesca e dagli inaspettati esiti della lettura e della scrittura.
Ovviamente, voglio sapere cosa ne pensate e se vi è mai capitato che un libro vi abbia cambiato davvero la vita.



mercoledì 25 febbraio 2015

Le buone abitudini che non ho (e una che ho) – Scribacchiando


Ieri la necessità di andare a Torino a consegnare il cd della tesi si è trasformata in una bella gita con le amiche. Tra una piadina di qualità e una chiacchierata sulla storia vera di un genio della truffa su cui prima o poi scriverò una storia, potevamo non entrare in una libreria? E chi mi trovo? Me stessa! Ma non sistemata in un uno scaffale polveroso polveroso e in alto in alto (o in basso in basso), ma di fianco al Maestro Tolkien! Certo, il motivo mi è completamente oscuro, dato che né il genere né l'alfabeto offrono una giustificazione, ma ho apprezzato.
E a casa mi attendeva un'altra bella coccola, questo post di Lisa Agosti.

Non so se sia stata la trasferta a favorire la riflessione, ma questa mattina andando al lavoro ragionavo sul fatto che la scrittura è una pratica diversa per ciascuno di noi. Quella che per qualcuno è un'attività assolutamente necessaria, una condizione sine qua non per la scrittura di una buona storia, per altri è del tutto inutile. Questo causa la proliferazione di consigli di scrittura contraddittorii. King dice di scrivere e poi di tagliare, altri autori consigliano di allungare. Per alcuni la scaletta è necessaria, per altri è inutile, la prima stesura va fatta a braccio.
Alla fine anche considerando i consigli che si ripetono più frequentemente (e quindi che presumibilmente sono più utili) scopro cose che non ho mai fatto e abitudini di scrittura che non ho mai seguito. Eppure capisco che si tratta di consigli utilissimi!
Sono le BUONE ABITUDINI CHE NON HO

– Prendere appunti appena viene un'idea.
Io sono un'ossimoro vivente. Odio scrivere. Per lo meno a mano. Odio prendere appunti. Quando seguo delle lezioni (ad esempio quelle del PAS) i miei appunti sono di solito gettonati perché "sono così chiari e sintetici!". Pigrizia, la mia si chiama pigrizia, non dono della sintesi. Odio scrivere a mano e quasi non lo faccio quando dovrei per studio/lavoro, figuriamoci per la narrativa!
E poi non mi fido della mie idee.
Credo nella selezione naturale. Se un'idea è forte sopravvivrà e mi rimarrà in mente. Se non lo fa, allora non valeva la pena di perderci del tempo.

– Schede dei personaggi.
I miei personaggi li conosco. Sono quei tizi che campeggiano nella mia testa, nel salotto del mio palazzo mentale. Inciampo in loro continuamente. Se ho bisogno di conoscere un particolare su di loro glielo chiedo, che problema c'è?
Questo è il motivo per cui non preparo schede dettagliate sui personaggi.
Il fatto è che i personaggi principali campeggiano in casa mia, ma le comparse sono, appunto, comparse. Appaiono un attimo e poi sono già sparite, la mia attenzione tutta focalizzata sulle star della storia. E poi vai a ricordarti 100 pagine dopo quant'era alta quella data comparsa e anche come si chiamasse...

– Usare un apposito programma per la scrittura.
Scrivo. Quindi uso un programma di scrittura, no? Word se uso un pc, Pages sul mio Mc. Perché, esistono altri programmi per scrivere? A quanto pare sì e sono mirabolanti, eccezionali, praticamente indispensabili... Ma io sono imbranata! Non ho ancora scoperto tutte le potenzialità di Word o di Pages e dovrei passare a qualcosa di ancora più sofisticato?
Io sono sempre quella laureata in archeologia del neolitico. La pietra levigata è la tecnologia più elevata che posso padroneggiare! 

– Revisionare, correggere, recuperare.
Non mi ci ero mai soffermata, prima di un commento di Grazia. Scrivo. Poi lascio decantare almeno qualche ora. Rileggo. I casi sono due. O quello che ho scritto mi piace, è solo che ci sono orrori ortografici da sistemare, frasi da accorciare o da allungare, insomma, le solite magagne della prima stesura, oppure non mi piace. Nel primo caso mi metto al lavoro, nel secondo caso impreco e cancello. Pagine e pagine, capitoli interi. Senza pietà e senza pensarci. Che poi, magari, è solo l'umore del momento. Possibile che, che ne so, su tre pagine non ci sia neppure una riga da salvare?
Niente, se non mi piace io cancello.

– Scrivi con il cuore, revisiona con la mente.
Dal punto precedente si evince che tra la prima stesura e quella finale di un mio testo, salvo casi particolari, non ci sono molte differenze, solo una pulizia del testo. Certo, magari ci sono dieci tentativi abortiti nell'Inferno delle Storie Perdute, di cui non è rimasta memoria...

Ecco le mie buone abitudini che non ho.
Le vostre quali sono?

Ci sono invece buone abitudini che ho e che mi piace divulgare. Ho scritto millemila volte quanto secondo me sia importante scrivere racconti. Ai fini pratici, uno degli sbocchi più ovvi per i racconti sono i concorsi, quelli seri (vedi come sopravvivere a un concorso letterario).
Marzo, non so perché, è il mese dei concorsi letterari ce ne sono tanti in scadenza. Senza voler far torti a nessuno, ve ne segnalo due a cui ho partecipato in passato e di cui ho potuto toccare con mano la serietà.
Grado Giallo, insieme a Giallo Stresa (che pare cambierà nome e di cui non è ancora uscito il bando) è tra i concorsi che coccola di più i finalisti. In generale io ho avuto ottime esperienze con i concorsi di Giallo Mondodori e non esito a consigliarveli.
Trofeo RiLL per i racconti di genere fantastico, invece, non posso che consigliare il Trofeo RiLL a cui sono affezionatissima. Sarà perché la premiazione si svolge in quel luogo magico che è Lucca Comics, sarà perché le copertine delle antologie che nascono dal concorso le trovo bellissime, sarà perché è uno dei pochi concorsi che fa tradurre i racconti vincitori all'estero. Insomma, se dovete investire 10€ per un concorso, mi sento di dirvi di farlo per RiLL.

lunedì 23 febbraio 2015

... A passi tardi e lenti


A livello burocratico detenere legalmente uranio impoverito (o pure arricchito) non può essere tanto più complicato che iscriversi all'esame finale del PAS.
Ho completato l'apposito modulo con tanto di codice materia/santo graal da richiedere in segreteria a Torino. Mi sono caracollata a Varcelli per far firmare il modulo da inviare poi in PDF a Torino. Non che questo mi eviti un viaggio, perché la tesi va portata a mano su CD proprio a Torino e invece in cartaceo a Vercelli, con tanto di titolo in inglese. Che poi, mi chiedo, a chi mai interesserà leggere un percorso didattico studiato (come da apposite istruzioni) per una classe specifica di una scuola specifica e come tale non riproducibile?
Il tutto mentre i politici ogni 20 minuti circa cambiano idea sul reclutamento degli insegnanti. Prima dicono che il titolo che conseguirò con il PAS è inutile, poi no, che è essenziale. Poi che devo sostenere un concorso, poi che no, bastano i tre anni di servizio. Però con il contratto al 31 agosto (che esiste, ma è come l'araba fenice e comunque io ne ho catturati due e non tre). Gli altri tutti a casa.
C'è di buono che sono troppo stanca per farmi venire un esaurimento nervoso.

Stanca.

Alla fine del PAS è rimasto questo. La stanchezza.

Per la prima volta in vita mia ho rinunciato a leggere un libro perché era scritto a caratteri troppo piccoli e la sera, dopo aver sistemato la tesi, non ce la facevo a metterli a fuoco. Mi sono sentita infinitamente vecchia. O infinitamente giovane ("Prof! Ma è scritto TROOOPPO piccolo! Non ce la faccio a leggerlo!).
Non ho neppure voglia di scrivere. Il famoso tentativo di racconto rosa è tutto pronto nella mia mente, ma è fermo a metà stesura. Con due neuroni a mezzo servizio un post bene o male posso metterlo giù, ma una prosa vagamente leggibile per la narrativa no.

Passerà.
Questo è stato il primo fine settimana senza studio. Un unicum, dato che dal prossimo inizio il corso "Nelle trame del lago". Ho passato tutto sabato con la febbriciattola sul divano a leggere un libro con le scritte grandi e a vedere documentari naturalistici. 
Ho capito che quando si fatica a seguire un documentario sullo squalo balena (una delle bestie più placide e noiose del creato, in pratica un enorme filtra-placton che passa tutto il giorno a nuotare con la bocca aperta) è perché il cervello ha davvero alzato bandiera bianca. 

Passerà.
Un giorno di questi mi alzerò, scoprirò che è primavera, che il PAS è finito e avrò voglia di scrivere un racconto sugli squali balena.

venerdì 20 febbraio 2015

Naufragi – Racconto breve




NAUFRAGI

Il sudore scorre e porta via. 

Porta via le tossine, gli umori cattivi, scivola sul viso, sopra la barba e se ne va. 
Bagna prima la fronte, poi le guance, scende in torrenti che scavano canyon sulla pelle. 
Goccia a goccia bagna i pensieri ed ad uno ad uno li trascina via, relitti nella piena. 
Il sudore scorre e porta via. 
Passo dopo passo l’aria è fatta di molecole da spezzare e da attraversare, scorre sulla pelle e porta via.
Passo dopo passo i pensieri si fanno indistinti, parti del paesaggio notturno, lampioni offuscati di foschia, alberi spogli. L’aria passa e porta via, i pensieri si sciolgono dentro al sudore e scorrono via, non si possono più inseguire, rimane solo un ritmo da tenere e chilometri da percorrere. Non c’è più tempo, solo un presente sospeso, un ritorno ritmico sempre dalla stessa partenza. Allora si vorrebbe continuare così, a correre nella notte che avanza, solo per conservare questo tempo interrotto…

Finisce il sudore prima che finisca la notte. La luna si alza e il tempo riprende il suo corso. Carlo si ferma e guarda la luna. Si potrebbe correre, in sere come queste, fino a raggiungerla, basterebbe continuare laggiù, oltre l’ultimo lampione sopra il ponte, dove la notte e la nebbia si fondono e la luna attende. 
Ma la luna in cielo non accenna un invito.
Carlo si china, si toglie le scarpe e sceglie la doccia.  

Scende l’acqua e lava il sudore, rende i pensieri. Carlo torna ad essere creatura di terra, dopo un ultimo abbraccio caldo di amante. Non c’è più tempo di guardare la luna. 

Carlo ha ancora i capelli umidi davanti al campanello di casa, naufrago giunto a una terra su cui non vuole approdare. 
Mara gli apre la porta, suo sorriso è una maschera di cera. 
Arrivano effluvi di patate, carote e fagioli che si mescolano in minestra dentro la pentola, in cucina; il divano ha un sentore di cuoio e il pavimento profuma di detersivo lavanda passato ogni pomeriggio alle quattro.   

Un luogo dove preparare la tavola insieme, con movimenti sicuri e sguardi di rito. 

Si versa la minestra nei piatti, si spande il vapore, si mescola al profumo dei capelli di Mara.
 – Buon appetito. 

Carlo osserva la moglie da sopra il cucchiaio. 
Ogni giorno che passa è un oltraggio che non vuole affrontare. Mara non si arrende ai cinquant’anni. Lotta ogni settimana dal parrucchiere, lotta ogni settimana dall’estetista. Ogni ruga è la stoccata di uno schermitore a cui ribattere colpo su colpo. Centellina la verdura sul cucchiaio, è una guerra da combattere chilo su chilo. Sotto il maglione scorza d’albero il corpo è quasi quello che Carlo ricorda, ma è un dato precario. Mara ha negli occhi la stanchezza di una guerra che non si può vincere. Carlo cerca una corda da lanciare oltre il vuoto.
– Hai preso il regalo per Lorenzo e Anna?
– No, dovrai andarci tu, domani.
– Credevo che avessimo scelto quei bicchieri. – difficili quesiti di cristallo.
– Li hanno finiti. Vai tu a vedere cosa è rimasto allo spaccio. Non mi interessa cosa prendi, l’importante è che sia di marca e non costi troppo. C’era gente, oggi, in ferramenta?  
– Come al solito. Abbiamo finito le punte per i trapani. Devo ricordarmi di ordinarle, domani. 
– Devi anche andare a pagare il gas, che se no scade. 
Carlo annuisce posando il bicchiere di minerale. Dentro, le bollicine vanno verso l’alto danzando prima di sparire. Non hanno bollette da pagare, né regali come doveri da adempiere, loro, solo una superficie da raggiungere e contro cui morire…
– Me ne ricorderò. Cosa hai fatto oggi?
– Ho pulito i pavimenti. 
Non c’è orgoglio nella voce. Mara li pulisce ogni pomeriggio, trincerandosi dietro il profumo di lavanda. Chissà dove si rifugia la polvere sfrattata? Sulle menti e sulle anime. 
Mara pulisce la sua anima sul divano di pelle nera due volte la settimana. Si toglie il maglione, lascia cadere la corteccia, scaccia la polvere dai pensieri. 
Carlo le osserva le mani che spezzano parsimoniose un grissino. Come si muovono quelle mani dalle unghie sfumate di rosa sulla schiena di lui? Lo avranno esplorato, diligenti, come soldati su un territorio straniero o si saranno arrese in un abbraccio senza lotta? Labbra avide o remissive, cose da prendere o da dare, su quel divano?
Lui ha i capelli bruni, probabilmente tinti, che Carlo ha trovato sui vestiti di lei e un deodorante Pino Silvestre. Un nome a cui quasi di certo da del tu. Sarà stato seduto a quella stessa tavola, vestito da amico o da parente? Ha senso trovargli un viso o un nome? Per cosa? Regalargli bicchieri rotti, cocci taglienti avvolti in strascichi di recriminazioni? 
Mara si aggrappa alla sua schiena sopra il divano, prima o dopo aver versato lavanda sul pavimento come  napalm sopra le palme.
Ogni naufrago cerca il suo relitto a cui affidarsi.

Carlo torna a guardare la moglie, il pasto è finito senza che il suo sguardo l’abbia scalfita. Si alzano insieme, portano i piatti al lavello sfiorandosi senza incrociarsi, senza toccarsi: quello tra il tavolo e il lavandino è uno spazio da occupare, non da vivere. Si accumulano i piatti utilizzati, macerie di un pasto consumato. 

Dovrebbero inventare anche detersivi per le anime, lavatrici di sentimenti, che portino via i rimpianti come briciole. Come le briciole che cadono dalla tovaglia che Carlo scuote oltre la finestra. Qualche passero domattina le troverà. Qualche uccello dovrebbe venire a mangiare anche i rimasugli di un amore finito, portarne via i segni e lasciare il mondo pulito…

Mara ha acceso la televisione, passano informazioni sui capi di moda per l’inverno e poi stralci di carni straziate e fumi di esplosioni, da qualche parte nel mondo, dove il dolore fa rumore e notizia. Qui è solo l’acqua che scorre, un brusio di fondo di piatti puliti e riposti in mobili di finto rovere. 
Carlo passa lo sguardo dai cadaveri del telegiornale alla pelle restaurata di lei. Ci sono accenni di rughe incombenti, ma il fondotinta leviga e nasconde. Nasconde dietro il suo viso qualsiasi espressione. Carlo vorrebbe quasi spiarle un sorriso, ricordo di una gioia da cui è escluso. Un pretesto per far bruciare la cera. Mara non sembra avere gioie nascoste e il divano laggiù è solo una fuga incompiuta che pian piano affonda dentro la tempesta. 

Si parla di Luca che è fuori a cena anche questa sera e non vuole andare all’università. Forse fuma qualche spinello, Mara vorrebbe parlarci, ma Carlo scuote la testa e guarda fuori dalla finestra, alla ricerca della luna che non si vede.
Tutti cerchiamo di addomesticare il tempo, invece di arrenderci ad un nemico che non si può combattere. E dimentichiamo di farci coraggio a vicenda.
– Non ho voglia di litigare. 
– Tu non hai polso, Carlo. 
Carlo annuisce, accettando il giudizio. 
La televisione ribatte con un nuovo bombardamento. Gente di polso, che si illude di esistere con più forza degli altri. Che ha bisogno di distruggere per provare a sé stessa la propria esistenza. 
La notte li assedia. E ognuno cerca la sua fuga, per convincere la mente che il buio possa rimanere fuori, un momento di tempo sospeso, una zattera di fumo, un relitto sul divano. Che senso ha poi giudicare quale detrito sia migliore?
– Cosa fai domani sera? Vai a correre? 
– Sì. 
Lo sbuffo di lei è un rapido calcolo del tempo che resta tra il pavimento e la cena, altra polvere da esiliare, altra morte da eludere e dimenticare.
– Io vado a cena con le colleghe, per il compleanno di Nadia.

Non sembra aver voglia di festeggiare, Mara, forse di piangere o di urlare. 
Non si può raggiungere la luna, per quanto si corra e ci si affanni. 
Non ferma la morte o il tempo che scorre incrociare i bicchieri e fingersi amici per una sera. Fingere che l’agonia di un anno trascorso sia motivo di musiche e feste, tanto assordanti da non fare ascoltare il suo grido. Perché forse anche quel tempo morente vorrebbe una mano per farsi aiutare e restare ancora, per sempre, presente.

Carlo guarda la luna che ascolta il suo grido inespresso. Guarda la moglie a cui non sa tendere la mano.
Possiamo solo cercare una zattera e tentare di addomesticare il tempo che fugge.
Ma dimentichiamo di farci coraggio a vicenda.

mercoledì 18 febbraio 2015

Cattivi alla ribalta – Scrittevolezze


Oggi parliamo degli Antagonisti, i cattivi della storia, o, quanto meno, coloro che si oppongono ai nostri eroi.

C'è proprio bisogno di un cattivo?
Tolkien, ne Lo hobbit dice giustamente che a parlare dei periodi felici si impiega giusto qualche riga.
Qualsiasi storia nasce da un conflitto e quindi da un qualcuno che si oppone a un qualcun altro o a un qualcosa.
Qualsiasi storia, quindi, pone degli ostacoli al proprio protagonista. Non è detto, ovviamente, che questi ostacoli prendano la forma di un personaggio.
Ci sono storie in cui è il protagonista stesso il peggio nemico di sé stesso e non fa che cacciarsi nei guai. Altri in cui sono fattori esterni e inanimati, le convenzioni sociali, la lontananza, la malattia, a mettere in difficoltà i protagonisti.
Vi sono inoltre tutta una serie di storie dove l'antagonista non è affatto il cattivo, anzi, è solo un personaggio che il caso o la scelta hanno posto sul fronte opposto rispetto a quello dell'eroe. Ettore è senza dubbio l'antagonista di Achille, ma di certo non è il cattivo. 

Io scrivo gialli e quindi è quasi inevitabile che ci sia un antagonista, anzi, un cattivo vero e proprio, con il quale colui che indaga deve fare i conti.
Anche da lettrice, tuttavia, prediligo le storie dove ci sia un antagonista forte. Anzi, me ne viene in mente più d'una in cui è il cattivo a fare tutta la differenza. Due esempi su tutti: Il silenzio degli innocenti e Dracula. 

C'è  bisogno di cattivi per le nostre storie?
Dipende dalla storia, ovviamente.
Io sono dell'idea che una disgrazia, al massimo due, bastino e avanzino in una narrazione. Se la storia è incentrata, come si diceva sopra, sulle pulsioni autodistruttive del protagonista o su degli eventi esterni (malattie, lutti, guerre...) forse non c'è bisogno di rincarare la dose ponendo sulla strada anche un antagonista umano.
Il cattivo, tuttavia, è un espediente narrativo che funziona sempre e svolge nella storia diverse funzioni:
– Fa progredire la storia, ovviamente, dato che pone difficoltà sul cammino dell'eroe.
– Fa risaltare per contrasto le doti del protagonisti. I nostri protagonisti, si sa, non possono essere perfetti. Ma saranno comunque meglio del cattivo di turno, cosa che ci permetterà di apprezzarli, nonostante tutti i loro difetti.
– Portare alla ribalta tematiche disturbanti senza rischiare di finirne risucchiati. 

Scegliere e calibrare i proprio cattivo.
Neppure Sauron è cattivo perché è nato così. 
Nessuno, neanche i peggiori pazzi criminali agiscono per impulso immotivato. E è improbabile che un qualsiasi cattivo si metta a perseguitare il nostro protagonista senza un perché, per una semplice antipatia.
Quindi ci sono sempre una serie di domande che è bene porsi quando si inizia a progettare il proprio cattivo:
Qual è il suo obiettivo? C'è sempre un motivo alla base di ogni azione umana. Non è detto che debba essere razionale, però c'è.
Come è diventato così? Non credo che si nasca cattivi (neppure Sauron...), quindi perché il nostro cattivo è diventato tale? È cresciuto in un ambiente difficile? Ha incontrato le classiche "cattive compagnie"? Ha deciso che pur di ottenere ciò che vuole è disposto a tutto? Diffidate dal trauma infantile, che ormai è abusato...
Fin dove è disposto a spingersi?Non tutti i ladri farebbero stragi di bambini. Non tutti gli assassini ucciderebbero chiunque. Ognuno ha una sua, più o meno contorta, morale e dei limiti che non vorrebbe superare. Assicuratevi di conoscere quelli del vostro cattivo, anche perché può risultare narrativamente interessante indagare le sue reazioni, nel caso dovesse arrivare a infrangerli.

Dieci sfumature di cattivi.
I cattivi non sono tutti uguali! Ecco elencati dieci cattivi archetipi che potete usare, modificare e stravolgere come vi pare.

Il braccio armato
Non è la mente, è il braccio di qualcuno. È l'aiutante di qualcuno di più potente. Di solito pone un ostacolo meramente fisico, può tentare di ferire, di uccidere o di bloccare in qualche modo il protagonista. Non è detto che agisca di sua sponte e abbia un animo malvagio. Potrebbe essere ricattato dal "grande cattivo" o essere manovrato, avere informazioni sbagliate sul protagonista e pensare di essere nel giusto.

Il cattivo della porta accanto
È la classica persona che "l'occasione ha fatto ladra". Fino al giorno prima conduceva una vita onesta e normalissima, poi un'occasione o anche un tragico errore gli hanno fatto compiere qualcosa di orribile. Può tentare di occultare tale cosa, o, al contrario, commettere azioni sempre peggiori nel tentativo di "uscirne". Può prenderci gusto e diventare un professionista del male.
Fatti di cronaca e film ci danno tutta una serie di esempi di questo tipo.

Il cattivo seducente
Conturba il protagonista e, di riflesso, il lettore. È quel tipo di personaggio che si vede lontano un miglio che ha un doppio fine, eppure non si riesce a resistere al suo fascino. Tira fuori il lato oscuro del protagonista e, di riflesso, del lettore. Perché lo sappiamo che ci vuole morti, ma ce lo porteremmo comunque a letto. A saperlo gestire è un cattivo di sicuro impatto.

Il cattivo intellettuale
Come un ragno al centro della tela, tesse oscure trame, fino a portare il protagonista a un vero duello intellettuale. Difficilmente appare in scena in prima persona e non ha bisogno di essere armato per risultare pericolosissimo. La sua intelligenza e la sua raffinatezza, d'altro canto, lo rendono affascinante e pieno di classe. È il classico cattivo che prima di ucciderti ti offre una cena di lusso.

Il corrotto dal potere
Posto anzitempo in una posizione di potere il senso del dominio gli ha dato alla testa. Oppure tenta ogni volta di fare quello che crede meglio per "un bene superiore", compiendo azioni via via sempre più turpi. Può essere un re, un capitano militare, ma anche il direttore di un'azienda.

Il superiore
È o si crede superiore agli uomini comuni, che quindi sono animali da pascolare (o da macellare). Può essere un vampiro assetato, un alieno in cerca di risorse da sfruttare, ma anche una persona convinta di essere superiore agli altri, che pertanto vanno sottomessi/eliminati.

Solo il più forte sopravvive
Posto sin da giovane in situazione limite è convinto che solo il più forte/il più spietato possa farcelo. Il suo può essere solo un atteggiamento mentale (il padre intransigente che non sopporta segni di debolezza nei figli) o qualcosa di più concreto. Come il superiore ha la granitica certezza di essere nel giusto.

Il disturbato
Qui entriamo nell'infinita casistica della psicopatologia. Ricordiamoci sempre, però, che c'è una logica a cui il criminale folle obbedisce e che anche per lui ci sono dei limiti invalicabili.

Il focalizzato
Ha un obiettivo, magari degnissimo (salvare una persona cara), magari abbietto. La cosa essenziale è che per conseguirlo è disposto a fare ogni patto con diavolo necessario. Può avere una morale ferrea, ma quando si tratta di quell'obiettivo salta ogni freno. In un'altra vita, o in un'altra storia, forse, potrebbe essere un eroe.

Il sicario
Lui non è cattivo. È che lo pagano per esserlo. Può essere la persona più normale e amorevole del mondo, ma non sul lavoro! Che sia un truffatore, un falsario, un ladro acrobata o un killer professionista, ha fatto del male la sua professione. Può essere bravissimo nel suo lavoro o un dilettante allo sbaraglio. In ogni caso, questo genere di personaggio si gioca sulla dicotomia vita normale/vita "lavorativa".


Ovviamente ci possono essere ulteriori mille sfumature di cattivi, perché, si sa, il male ha mille facce.

Tenar e i suoi cattivi
Come avete avuto modo di leggere, a volte ho dei problemi a gestire i miei cattivi, perché sono troppo bravi in quello che fanno e finisce che il lettore li ama, ma io no.
In generale sono affascinata dal "cattivo della porta accanto" da quel quid che può trasformare una persona normale in un assassino.
Cerco invece di evitare "il disturbato", perché lo trovo abusato. Alcune storie di serial killer mi sono piaciute anche molto, ma in generale è difficile che non mi risultino già sentite. 

E voi come ve la cavate con i vostri cattivi? Fanno parte di una di queste categorie?

PS: mi scuso per il bel micione in foto, che ha tutta la mia simpatia. Non dubito, però, che le sue prede, potendo, lo classificherebbero come "cattivo".
Alla fine è tutta una questione di prospettiva.


lunedì 16 febbraio 2015

Vincitrice dello Sherlock Magazine Award 2014!



La mattinata di oggi, per motivi che nulla hanno a che fare con la scrittura, è stata per me importante e intensa.
Appena dopo aver stretto la mano a una signora gentilissima che mi augurava un in bocca al lupo, ho guardato sul cellulare la mail e una mi invitava a guardare subito il sito della Sherlock Magazine, perché c'era questa notizia con tanto di foto del mio faccione. Ho vinto l'edizione 2014 dello Sherlock Magazine Award con il racconto Il caso dell'assassino smemorato!
Non è da me (o non sarei una sherlockiana) credere a segni o congiunture astrali, ma è stato un graditissimo incoraggiamento!
Quindi, davvero un enorme grazie a tutti, anche a chi, pur senza saperlo, me l'ha comunicato in un momento speciale.

Sono davvero felice, felice, felice per questo risultato!
Come credo si sia capito, un 5-10% delle mie letture è, da che ho memoria, a tema sherlockiano, leggo apocrifi italiani, stranieri, a fumetti, li guardo al cinema e in televisione. E i racconti dell'albo d'oro dello SherlockMagazine Award sono tra i miei preferiti tra sempre. Il caso dell'unicorno nero di Elena Vesnaver, Il gioco è cominciato, Holmes di Patrizia Trichero e Uno studio inutile di Samuele Nava, solo per citare i primi che mi vengono in mente, sono superlativi (tra l'altro due su tre sono reperibili in e-book e il terzo lo sarà a breve: leggeteli!). E quindi sono davvero, davvero, davvero felice che anche il mio racconto possa figurare nello stesso elenco.

Conoscendo il livello della competizione non vedo l'ora di leggere gli altri racconti finalisti, sopratutto quello di Luca Martinelli (che mi ha incuriosito già dal titolo) e quello steampunk di Giuseppe Berti.

Quanto al racconto vincitore, Il caso dell'assassino smemorato, come tutti i racconti, ha dietro una storia particolare.
L'ho ideato più di un anno fa, durante un viaggio in treno. All'inizio era un divertimento intellettuale: volevo mettere nei guai Watson nel modo migliore possibile, giocando con tutti i suoi punti deboli. Poi, però, mentre la storia prendeva forma, ho iniziato ad odiarmi. Perché, lo sapete, io adoro Watson e mi spiace fargli male. Il mio antagonista, tuttavia, ormai era delineato. Era sadico, crudele e preciso. Man mano che scrivevo lo odiavo sempre più e odiavo me stessa per averlo creato. 
Alla fine, però, i lettori beta erano così entusiasti del cattivo che volevano che scrivessi un sequel. Io invece, volevo tornare con i miei protagonisti al sicuro a Baker Street nel più breve tempo possibile!

A voi è mai capitata una cosa del genere, di aver dato vita a un personaggio che avete odiato con tutte le vostre forze?

domenica 15 febbraio 2015

Birdman – Visioni


Mettiamo subito le cose in chiaro. Il nuovo film di Inarritu chiede molto allo spettatore. È costruito a misura di uno spettatore ironico e colto, che conosca la grammatica cinematografica holliwoodiana, che riconosca gli attori, abbia famigliarità con la loro storia cinematografica, ma che non disdegni il teatro e che, quando meno, abbia letto Carver.
A fronte di tutte queste richieste, il regista confeziona una sorta di cubo di rubik cinematografico che si può girare, assemblare e interpretare in infiniti modi.

La trama, dopo numerose nomination agli oscar, è nota.
Un attore famoso per aver in passato interpretato un supereroe di successo vuole riabilitare la propria immagine di attore mettendo in scena a New York un proprio adattamento di un racconto di Carver (il celebre Di cosa parliamo quando parliamo d'amore). Il tutto è raccontato con virtuosistici pianosequenza che alternano senza soluzione di continuità scena e fuori scena, i deliri della mente del protagonista e la follia del reale.

L'unica cosa evidente, a film concluso, è che questa pellicola analizza e decostruisce il cinema d'intrattenimento americano, ma non è contro il cinema americano. Inarritu ne conosce e ne utilizza la grammatica, realizzando, tra l'altro, una bellissima sequenza supereroistica con tutti i crismi. Ci mostra i deliri degli attori di teatro, non meno folli e staccati dal mondo di quelli dei blockbuster, solo più coccolati da una critica schizofrenica che applaude solo quando in scena scorre del sangue vero.
Non a caso il film è piaciuto tantissimo proprio ad Hollywood, che, infatti, si prepara a ricoprirlo di oscar.
Detto questo, ognuno può vederci dentro quello che vuole e divertirsi a trovare rimandi e significati, tutti perfettamente giustificati da un testo che è davvero "una macchina per costruire interpretazioni".
Che sia questa, alla fine, l'imprevedibile virtù dell'ignoranza? Quella dei molti significati generati e in origine ignorati dal regista stesso?

Affrontato con la giusta disposizione d'animo, Birdman può essere un film gradevolissimo, perché l'ironia lo pervade dalla prima all'ultima inquadratura e alla fine questi attori disperati, attaccati a una fama effimera, che altro non è che un frammento infinitesimale della carta igienica del cosmo, sono irresistibilmente, e tragicamente, divertenti.

Al momento il più bel film dell'anno.

venerdì 13 febbraio 2015

Voglia di coccole!


È un periodo così.
Ho bisogno di coccole e non perché domani è San Valentino.

Continuano ad arrivarmi notizie di persone che hanno più o meno sfiorato la mia vita che mi ricordano come siamo precari nella nostra esistenza, senza alcuna certezza attaccati al nostro oggi.

Credevo che la parte più folle del PAS fosse ormai alle spalle. 
Credevo.
Giacché siamo nel 2015 e tutti dobbiamo stare al passo con la tecnologia, di sera ci avvisano che entro il 20 febbraio dobbiamo consegnare un foglio firmato dal relatore della nostra tesi di abilitazione. Firmato di persona personalmente, come direbbe il Catarella di Camilleri. Ma il prof non abita esattamente sotto casa mia e, per di più, in Piemonte questi sono i giorni di carnevale, con le relative chiusure di scuole e università. Per un folle momento ho immaginato la mia relatrice in settimana bianca e la mia abilitazione che saltava perché io non riuscivo a inseguirla sulle piste da sci con il modulo da firmare in mano.
Fortuna che la relatrice insegna storia Medioevale e i medioevalisti non si fermano mai. Dovrò solo sobbarcarmi un viaggio a Vercelli esclusivamente per una firma.
Ottenuta questa preziosissima reliquia (e siamo sempre nel 2015) possiamo registrare la nostra tesi su cd. Tale cd va consegnato, sempre di persona personalmente, all'apposito ufficio di Torino (due ore d'auto da casa mia) dalle ore 9.00 alle ore 11.00. Perché l'insegnante abilitando è evidente che di mattina non lavora, non ha null'altro da fare se non una bella gita a Torino. 

Eccomi quindi con la mia voglia di coccole.
Voglia di coccole e di storie a lieto fine, perché più mi guardo intorno e meno ne vedo.
Da qui, ricorderete, il mio desiderio di racconti rosa.
Così ne ho comprati alcuni in e-book. Racconti professionali, ben scritti e scorrevoli. Il primo Non dimenticarmi mi è piaciuto, lei vedova, figlia di un pastore, con i piedi ben piantati per terra, è proprio il tipo di donna di cui mi piace leggere. 
Gli altri due... Avrei iniziato a prendere a schiaffi le eroine già a pagina tre. 
La prima è una ragazzetta che si innamora del classico "bello e dannato" convinta di riuscire a redimerlo. Il racconto, com'è ovvio, termina con lui che si scopre davvero innamorato. Tuttavia è fin troppo facile immaginarlo, dopo il matrimonio, ricadere nelle cattive abitudini e magari pure tornare a casa ubriaco e manesco. 
Il mio riassunto: "sciocchina si condanna a una vita di tradimenti e violenze domestiche". Ehm... Non credo fosse questo l'intento dell'autrice...
La seconda è insopportabile. In 20 pagine di racconto avrà bisogno di essere salvata un 7/8 volte. E quel sant'uomo del suo lui che ogni volta la va a recuperare in mezzo ai soldati nemici, in mezzo ai lupi, in mezzo al fiume... Sempre in guai in cui si è cacciata da sola (del tipo: papà ha detto di non uscire che ci sono dei soldati nemici in zona, ma io ho voglia di fare il bagno e scappo per sguazzare al fiume...). 
Il mio riassunto: "lei si caccia nei guai. Lui la salva. Se l'avesse affogata avrebbe fatto meglio."
Questo, chiaramente, è solo un giudizio basato sul mio gusto. I racconti erano professionali e ben scritti. È solo che le donne di cui mi piace scrivere e leggere sono di tutt'altra pasta. E continuo a pensare che abbiano diritto anche loro a delle storie d'amore a lieto fine.

Ho bisogno di coccole, quindi, ma coccole intelligenti.
Una bella coccola è stata l'uscita in digitale del mio romanzo, che ha addolcito la notizia della morte definitiva di un altro progetto a cui ero stata dietro davvero tanto.
Un'altra coccola è stato questo bellissimo post sul romanzo storico di Grazia e Cristina che mi ha aiutato a decidere quale regalo volevo davvero per San Valentino: mi sono iscritta a un seminario sul romanzo storico che si terrà domani pomeriggio.
Dopo mesi di sabati pomeriggi passati a scrivere roba di storia per dovere è stranissimo regalarsi... Un sabato pomeriggio da passare a scrivere roba di storia per piacere!
Ma ognuno ha le sue coccole, immagino.
E questa sera il Nik ha promesso di tornare a casa con la torta!

mercoledì 11 febbraio 2015

Il mio romanzo in formato digitale e qualche riflessione sul marketing editoriale


Da qualche giorno il mio romanzo Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico è disponibile anche il formato digitale.
Qui la notizia ufficiale.
Sul Delos store potete acquistarlo a 3,99€ nei vari formati.
Se preferite, lo trovate disponibile su tutti gli altri store on-line. Ad esempio su Amazon.

Ieri ho avuto anch'io tra le mani la versione digitale e, come sempre, mi ha fatto una strana impressione vedere quello che era solo un file nel mio computer nella forma elegante di una pubblicazione professionale. La forma che era da sempre destinato ad avere. Come vedere una farfalla che si è conosciuta da bruco.
E sperare che possa volare a lungo e bene.

Questo mi ha fatto ragionare un poco sul marketing editoriale. Se n'è parlato molto, ultimamente, sui blog letterari. Non metto link perché ne salterei inevitabilmente qualcuno, però è rimbalzata quasi ovunque le domande: come promuovere la propria creatura?
Social? Presentazioni? Comunicati stampa? Recensioni?
Ecco, io non ho competenze in questo campo. Male? Ho una laurea, un master e, tra poche settimane, un'abilitazione professionale. Ci sono cose di cui mi intendo. Cose di cui mi intendo molto. Un paio di ambiti molto ristretti in cui posso contare sulle dita di una mano chi ne sa più di me. Ma il marketing non è tra questi. E sono un po' stufa di sentirmi dire, a quasi 35 anni, che è un problema mio e che devo studiare di più.
Di questo romanzo non ho scelto la data di uscita, la copertina, il prezzo, né la scelta di distanziare di qualche mese l'uscita cartacea da quella digitale. E mi sta benissimo così.
Ci sono una rivista cartacea, un sito internet, un'apposita pagina fb e un forum che hanno dato la notizia del romanzo. Io faccio quel che posso con il blog, con la mia pagina fb. Vado volentieri alle presentazioni e se qualcuno mi aiuta a organizzarle è anche meglio.
Faccio del mio meglio. Ma il mio meglio, in fatto, ad esempio, di copertina, reperibilità sui vari store on-line e comunicazione avrebbe portato a un risultato assai più modesto.
Il mondo editoriale è tutt'altro che il migliore dei mondi possibili, eppure sono ancora convinta che la sinergia sia la migliore strategia possibile. 
L'alternativa mi sembra sia il rischio di sfinirsi nel costruire una massa critica di competenze che difficilmente una persona sola può sostenere.

PS: sono arrivata alla versione definitiva della tesi. Per festeggiare sono uscita a correre, cosa che non facevo da mesi. Ho resistito per un numero ridicolo di minuti. E adesso mi fa male TUTTO!!!

lunedì 9 febbraio 2015

La mia realtà


Ogni tanto ci riprovano. Amici, esperti, gente che mi incontro per caso. Persone convinte, immagino in ottima fede, che ci sia bisogno di autori che raccontino "la realtà vera", "i problemi delle persone comuni", intendendo per questo storie più o meno deprimenti di persone più o meno depresse in periferie più o meno tristi.
Non nego che ci possa essere l'esigenza di questo genere di storie. Ma io non posso scriverle. Non è che non voglia. Non posso. Perché quella non è la mia realtà.

Mio marito dice che se fossi un personaggio di un gioco di ruolo avrei la caratteristica attirare stranezze, una cosa che recita più o meno così: "se ti rechi in un luogo che era stato maledetto in antico, tale antica maledizione si risveglia proprio quando ci entri. Se c'è un fantasma nella stanza se tu quella che lo vede. Se un fatto insolito deve accadere in un luogo, accadrà proprio quando tu sei lì".
Qualcun altro dice che alcune cose me le vado a cercare. Di certo mi piace frequentare persone che siano uno stimolo intellettuale, che abbiano passioni/mestieri interessanti e che mi parlino di cose che non conosco.
Infine mi è stato consigliato di fare una rubrica regolare sul blog per segnalare i fatti più improbabili in cui incappo (almeno quelli che possono essere resi pubblici). Non so se avrò in effetti materiale per una rubrica regolare, ma non vedo perché non seguire il consiglio.

Premio Fantarealtà gennaio 2015 – Cyberattacco!
Per scrivere la mia ormai famigerata tesi di abilitazione in storia medioevale sono andata a chiedere asilo, come il mio solito, presso l'associazione con cui collaboro abitualmente, che vanta anche una ben fornita biblioteca.
Per contestualizzare meglio va detto che si tratta di un'associazione culturale che si occupa di valorizzazione del territorio, vi lavorano tre persone e, per quanto in effetti allevino draghi (giuro!) non mi risulta sia di copertura per alcunché. 
Fatto sta che, proprio il giorno in cui mi sono istallata nella biblioteca per lavorare alla mia tesi, i computer dell'associazione hanno iniziato a fare sciopero. A nulla è valso l'intervento dell'amministratore del sistema informatico, né l'intervento del tecnico da remoto.
Mentre io mi inoltravo negli oscuri retroscena di un evento bellico avvenuto nel 962 e chiedevo informazioni circa metodi d'assedio e armate altomedioevali, il tecnico, giunto sul posto, ha dichiarato che era in corso, ai danni del sistema informatico dell'associazione, un cyberattacco partito dalla Cina.
La notizia, oltre a domande contingenti (è possibile bloccarlo?) ha suscitato tutta una serie di altri interrogativi:
– Chi mai, dalla Cina, può decidere che vale la pena di mettere sotto attacco il sistema informatico di un'associazione culturale che si occupa di valorizzare il lago d'Orta?
Numerose le possibili risposte tra cui quelle ritenute più probabili sono state:
– Un errore di traduzione ha travisato il contenuto di uno degli ultimi documenti pervenuti (uno studio sulle ostriche d'acqua dolce) ritenendolo di importanza strategica (vi prego di visualizzare lo sguardo degli esperti militari cinesi quando invece di un sistema d'arma si sono trovati a leggere di molluschi).
– Un compito affidato a un aspirante hacker di 7 anni che ha pescato a caso il sistema occidentale da bloccare (blocco che poi è stato aggirato dal tecnico, quindi supponiamo che il piccolo sia andato in contro quanto meno alla derisione dei compagni).

Motivi di privacy mi impediscono di raccontare il secondo classificato, una torbida storia di vendetta che ha per oggetto un gatto bianco. Come in un dramma d'altri tempi prevede sostituzioni, errori di identità e un deus ex machina che ha provveduto (fino ad ora) affinché il peggio non accadesse.

Per avere un'idea della "vera realtà" in cui sono stata immersa nelle ultime settimane, vorrei aggiungere che sono andata a lavorare nel contesto che vedete in foto (corredato, però, da meno romantiche strade ghiacciate) e che gran parte dei miei problemi riguardava eventi vecchi almeno 800 anni.
Non c'è da stupirsi, poi, che scriva racconti su mummie ritenute miracolose e non sui drammi dell'oggi. Ho più esperienza diretta di mummie miracolose che di un sacco di altre cose!

Qual è, invece, la vostra realtà, quella da cui prendete spunto per le vostre storie?

NOTA TECNICA: sul Delos Store, qui, è possibile acquistare la Sherlock Magazine 33, contenente il mio racconto sulla Morta di Agrano, in formato digitale.

venerdì 6 febbraio 2015

Il caso della Morta scomparsa – racconto pubblicato su Sherlock Magazine 33


Sulla Sherlock Magazine n°33, la rivista dedicata al giallo e all'investigatore di Baker Street diretta da Luigi Pachì, è presente, come si legge in questo articolo un mio nuovo racconto e un'intervista, relativa, invece, al romanzo, Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico.

La rivista è al momento è in distribuzione agli abbonati. È possibile abbonarsi qui. A breve sarà comunque possibile acquistare, alla stessa pagina web, anche il numero singolo, in formato cartaceo e digitale.

Finite tutte le indicazioni pratiche per reperire il racconto, lasciatemi un momento per coccolare quella che per me è una creaturina speciale, con una storia davvero particolare dietro.

Il caso della Morta scomparsa – presentazione racconto
Inverno 1891, in attesa di partire per l'oriente, Sherlock Holmes, che tutti credono morto, si trova invece, sotto falso nome, ospite di un nobile italiano ad Ameno, sul lago d'Orta. Qui viene coinvolto nell'indagine sulla scomparsa di una "signora" ben particolare.

Come già accaduto per il romanzo, Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico, questo racconto si basa non solo su una storia vera, ma anche sull'incontro che ho avuto con uno dei suoi protagonisti.
La Morta di Agrano
La signora scomparsa su cui indaga Holmes, infatti, altri non è che la Morta di Agrano, una mummia naturale, che è stata oggetto, nel corso dei secoli, di devozione popolare. Proprio nel 1891, la Morta fu oggetto di una strana contesa che vide schierati da una parte vescovo e parroco e dall'altro i paesani di Agrano. I prelati, infatti, espulsero dalla chiesa del paese la morta senza nome che la gente venerava come una santa, mentre gli abitanti del paese non volevano saperne di separarsi di una mummia senza nome, sì, ma miracolosa. Non ho resistito a inserire in questo contesto Sherlock Holmes. Grazie a un'ottimo racconto Samule Nava, infatti, sapevo che Holmes nella primavera del 1891 si era recato dalla Svizzera a Stresa sotto falso nome. E in effetti, all'epoca c'era nella zona, ad Ameno, una famiglia nobiliare che aveva contatti sia con il servizio segreto inglese che con la nobiltà indiana. Holmes, in attesa di partire per l'oriente, non poteva che essere lì!

Come molti di voi avranno intuito, la voce narrante di questo racconto non è che Sherlock Holmes in persona. Si tratta dell'unico racconto che io abbia mai scritto dal punto di vista di Holmes e, ammetto, l'esperienza mi ha stremato abbastanza per essere sicura che solo eventi straordinari mi potranno spingere a scriverne un altro.
Non è per nulla facile, infatti, seguire i pensieri di una persona che pensa a sette/otto cose contemporaneamente. Né è stato facile seguire il suo sguardo e i suoi collegamenti fulminei.
Aggiungiamoci che Holmes è colto in un momento di particolare fragilità emotiva. Detto di Holmes sembra un ossimoro, ma si trova solo in un paese straniero, senza violino, senza cocaina e con un senso di colpa schiacciante. Volevo far trasparire tutto ciò senza snaturare il personaggio, dare la parola a un Holmes che per una volta non può o non vuole proteggersi con l'abituale cinismo. Non so quanto sia riuscita nell'intento, ma di certo questo racconto ha il record di frasi riscritte (credo in un caso di essere arrivata a otto versioni di una frase di due righe).

Infine, questo racconto è precedente alla mia collaborazione con la casa editrice Delos. È stato nel 2013 finalista al premio Giallo Luna di Giallo Mondadori, un concorso che non era a "tema Sherlock Holmes". Il fatto che sia entrato comunque nella cinquina dei finalisti, spero che stia a indicare come sia una lettura fruibile e piacevole anche per chi di Sherlock Holmes è del tutto digiuno.

Sperando di avervi incuriosito, vi lascio, per chi vuole alla lettura di quello che, a livello tecnico, è il racconto più difficile che mi sia capitato di scrivere.
Sono curiosa, a questo punto, di sapere quale sia stata la storia più tecnicamente difficile che abbiate scritto.

giovedì 5 febbraio 2015

L'anima della storia – Scrittevolezze


In questi giorni in cui sono impegnata con i mille cavilli tecnici legati alla scrittura della tesi di abilitazione (il carattere delle note! La bibliografia! Le citazioni dal latino in corsivo, e che concordino sintatticamente con la frase!), non riesco ad appassionarmi più di tanto agli aspetti tecnici della narrativa. O forse sarà la neve, che ormai ammanta l'isola ben più di così, a farmi sentire più "spirituale".
O più semplicemente, se dopo una mattinata di lavoro e un pomeriggio di scrittura tesi (a sistemare le note in corpo 10 e le didascalie in corpo 9) dopo cena ho ancora voglia di dedicarmi alla narrativa vuol dire che c'è qualcosa di profondo che mi spinge a farlo.

Dopo aver parlato del cuore della storia, oggi volevo dedicarmi a qualcosa di altrettanto importante l'anima della storia.
Badate bene, questa terminologia è solo mia. Se quando scrivo di narratario, lettore ideale, narratore interno o esterno potete trovare gli stessi termini in qualsiasi manuale di scrittura o di narratologia, via via che ci inoltriamo nelle motivazioni profonde che permettono a una storia di esistere, i termini si fanno aleatori e i confini imprecisi. 

Che cosa intendo per Anima della Storia
Per Anima della Storia intendo il quesito morale più o meno esplicitato che sta alla base di una narrazione. 
Se ci pensiamo, ogni storia forte ha alla base un quesito morale ben definibile.
Può l'amore prevalere sull'odio famigliare? – Romeo e Giulietta
Ci si può davvero affidare alla Divina Provvidenza? – I Promessi Sposi
C'è ancora speranza per gli ideali cavallereschi o sono superati dalla storia? – Don Chisciotte
Anche storie molto più leggere hanno alla base quesiti simili.
Può un individuo comune avere la forza per salvare il mondo? – Il Signore degli Anelli
Il rigore scientifico è sufficiente per arrivare alla verità? – Indagini di Sherlock Holmes (e mille altri gialli)
Potrei andare avanti così all'infinito.

L'Anima della Storia non è una questione banale
Non importa quanto leggera sia il tono che verrà dato alla storia. Una buona storia ha ragione di esistere perché alla base ha un'anima forte, pone una questione non banale a cui il lettore sente di dover dare risposta. Vuole vedere a quale risposta arrivano i personaggi, l'autore e confrontarla con la sua. 
Quando il lettore dice "io al posto del personaggio X avrei fatto così e così" vuol dire che ha sentito la necessità della domanda che sta alla base della narrazione e ha trovato una risposta, uguale o diversa rispetto a quella data dai personaggi.
Prendiamo il tanto bistrattato (anche da me) Twilight. Per quanto trovi la trattazione improbabile, ritengo che parte del suo successo sia dovuto al fatto che pone una domanda tutt'altro che banale: vale la pena, per amore, di rinunciare alla propria umanità?

Il fatto che alla base della narrazione, anche quella disimpegnata, ci sia una questione non banale è, per me, anche una questione etica. Quando chiediamo a qualcuno di leggerci, esplicitamente o implicitamente mettendo la nostra opera in commercio, gli chiediamo uno sforzo non da poco, gli chiediamo tempo e attenzione, le cose, oggi come oggi, più preziose. Ebbene non lo possiamo scomodare per un'inezia. Se un amico mi telefona per chiedermi se deve cucinarsi pasta o risotto gli sbatto il telefono in faccia. Se mi chiama per una questione importante anche alle due di notte ha la mia piena attenzione.
La questione che sta alla base alla nostra storia deve essere importante. Vitale. Deve tenere desto il lettore anche alle due di notte. Non importa se poi la trattazione è ironica o leggera, alla base, però, il quesito posto deve essere profondo.

Inoltre, l'Anima della Storia deve essere importante in primis per noi. Se della questione che poniamo non ce ne importa niente siamo come un tizio che chiama un amico alle due di notte per una banalità. Ci meritiamo un pugno in faccia.

L'Anima della Storia è una questione aperta
L'anima della storia, per certi versi, si costruisce e prende forma insieme al lettore.
La questione che sta alla base deve essere aperta, la storia stessa deve fare in modo che ogni lettore arrivi alla sua risposta.
L'amore può prevalere sull'odio famigliare? Stando al Romeo e Giulietta cosa dovremmo dire? Muoiono entrambi. Però ognuno di noi, guardando l'opera a teatro o leggendola può decidere se, al posto dei protagonisti avrebbe lasciato perdere o avrebbe insistito nel vivere il proprio amore.
Don Chisciotte è un un pazzo da compiangere o è da ammirare? Ognuno arriva alla sua risposta.
I libri che invecchiano meno, al di là dello stile, sono quelli che pongono domande sempre attuali.
Uno dei principali problemi de I promessi sposi, ad esempio, è che, secondo me, molti di noi sono molto freddi nei confronti della Divina Provvidenza. 
Le storie sull'Eletto, nelle sue varie incarnazioni, invece, funzionano da sempre, perché la domanda: cosa faremmo se ci venisse dato un potere speciale e unico? Funziona da millenni.

L'Anima della Storia non basta
Una bellissima anima in un corpo che non viene nutrito muore.
Un'anima forte, una questione morale importante e ben posta, è essenziale alla nostra storia, ma non è sufficiente. Poi c'è tutta la parte tecnica, che è l'impalcatura, il corpo della nostra storia.

Stessa cosa, però, si può dire di splendidi corpi senz'anima. Uno dei rischi che corriamo, secondo me, è farci prendere da iper tecnicismo. Saper padroneggiare le tecniche di scrittura meravigliosamente, ma scrivere cose vuote.
Tra le recensioni che si trovano in rete ce ne sono alcune che imputano scarsa tecnica ai classici (me n'è capitato una sotto gli occhi in cui si accusava non ricordo quale capolavoro di punto di vista ballerino). Ebbene, lungi da me invocare o giustificare una prosa sciatta, ma tra il corpo imperfetto con un'anima forte e la perfezione senz'anima, sarà il primo a sopravvivere.

L'anima delle storie di Tenar
Si può arrivare alla verità limitandosi a guardare il mondo da una sola angolazione? – La roccia nel cuore
Vale la pena di sforzarsi di capire delle personalità eccentriche? – Sherlock Holmes e il mistero dell'uomo meccanico


Che ne pensate di tutto ciò? Qual è l'anima delle vostre storie?

martedì 3 febbraio 2015

Letture – Fumetti per un fine settimana

Gennaio è finito con un altro addio e una promessa di neve.
Un mese che ricorderò senza rimpianto, accompagnato da una stanchezza infinita, con la corsa a completare gli esami per Percorso Abilitante Speciale e questa maledetta tesi che proprio non vuole sapersi di scriversi da sola e da una insostenibile cappa di tristezza.
Sono davvero tante le persone che a vario titolo conoscevo che questo mese si è portato via. E ogni volta, come sempre, mi sono trovata con la mia incapacità di usare le parole per quello che davvero servono, per supplire a un abbraccio o a un sorriso amico.
Ma col pensiero no, anche quando non riesco a dare una forma alle parole, non dimentico nessuno. 

Febbraio è arrivato ad ammantare di bianco il mio lago.
In questo fine settimana di passaggio, chiusa nella coperta di stanchezza che mi avvolge, tra un capitolo e l'altro della tesi, ho sentito l'esigenza di fuggire almeno con la mente, almeno per qualche minuto.
Mi sono venuti in soccorso due fumetti, diversissimi tra loro, ma entrambi capaci di trasportarmi altrove.



Now Comics porta in formato bonelliano quello che originariamente era un doppio albo a colori pensato per il mercato francese.
1891. Tutti ritengono che Sherlock Holmes sia morto per mano di Moriarty, ma l'investigatore londinese è più vivo che mai e impegnato a fronteggiare dei nuovi nemici: i vampiri di Londra.
Superato l'impatto iniziale (certo che, per essere il 1891, Holmes porta proprio male i suoi anni) e l'assunto di partenza (i vampiri si nascondono, fino a un certo punto, nella società del tempo e hanno un accordo di non belligeranza con la regina Vittoria), l'albo scorre con piacere.
Ho avuto l'impressione che l'opera fosse pensata per essere inserita in un universo più vasto, con una ben precisa mitologia, ma, anche presa da sola, scorre senza intoppi. Mi è piaciuta particolarmente la caratterizzazione di Holmes, terribilmente solo, malinconico, ma non cinico, capace di provare pietà anche per un vampiro. Come si conviene al nostro investigatore, è sempre un passo davanti a tutti, vampiri compresi e la sua dedizione alla causa della giustizia non viene mai meno.
Pur essendo assai schizzinosa in fatto di apocrifi sherlockiani, sopratutto se conditi di sovrannaturale, devo dire che questo ha regalato intrattenimento di buona qualità, segnalandosi per la sensibilità con cui la figura di Holmes è ritratta e per il suo bilanciare l'avventura gotica con il gioco intellettuale che è proprio delle avventure del grande detective.
Le tavole originali, concepite per il colore, soffrono non poco, ridotte in bianco e nero nel formato più piccolo, che non rende onore ai molti particolari di cui sono disseminate. Il prezzo, tuttavia, è assolutamente concorrenziale e il mio consiglio non può essere che quello di correre in edicola, prima che diventi introvabile!



Con il cuore a Kobane

È già introvabile, invece, il reportage a fumetti scritto e disegnato da Zerocalcare per Internazionale.
A tutto il bene che già avevo scritto su Zerocalcare va aggiungersi questa piccola perla che coniuga fumetto e giornalismo (sul modello, mi è parso, di alcuni fumetti di area francese come Cronache Birmane). Con il cuore a Kobane, infatti, altro non è che il resoconto, condito con le riflessioni e l'abituale autoironia, del viaggio di Zerocalcare fino alla città di Kobane, dove i guerriglieri curdi resistono all'Isis.
Zerocalcare dimostra così di saper davvero raccontare il nostro tempo ben oltre i confini di Rebibbia e del suo appartamento, osservando il mondo con suo sguardo straniato da nerd fuori dal proprio ambiente, ma anche con un'intelligenza e una sensibilità non comune.
Eccolo qui, dunque, il più interessante autore italiano della mia generazione. Un tizio che sì, parla con un armadillo immaginario e rappresenta la propria madre come la lady Cocca del Robin Hood Disney, ma sa guardare e raccontare la realtà con una lucidità che molti sedicenti Autori non riescono a guardare neppure con un binocolo.
Servirebbero molti più armadilli.
Un enorme grazie a Elena e Manu per avermi prestato l'introvabile numero di Internazionale!