martedì 22 maggio 2018

Il racconto dell'ancella – Letture


Il racconto dell'ancella, romanzo distropico di Margaret Atwood adesso molto in voga anche per una serie tv che io comunque non ho visto, è stata per me un'esperienza di lettura assai particolare.
Non ricordo un altro romanzo che mi sia piaciuto così tanto che ci abbia messo così tanto a leggere.
I motivi sono molteplici, anche aver scritto quelle 130 pagine per puro diletto con annessa documentazione ha influito. Ma è innegabile che sia un romanzo da cui ho dovuto più volte staccarmi perché emotivamente insostenibile. Certo, sono un po' ipersensibile di questi tempi, ma questo la dice lunga sull'intensità di questo libro.

Siamo in una distropia, un'America alternativa in cui è salita al potere una dittatura di stampo religioso che segrega le donne, negando loro qualsiasi identità e dividendole per finalità sociali. Le mogli, compagne di vita degli uomini di alto rango, le zie, insegnanti e controllori di altre donne, le marte, donne adibite ai lavori domestici e le ancelle, donne fertili che devono procreare per conto delle mogli sterili.

È proprio un'ancella l'io narrante della vicenda che racconta, in qualche modo registra, la propria vita momento per momento e la quotidianità del sopruso e dell'alienazione.

Sono moltissimi i motivi che rendono questo libro così intenso e duro.

La prima cosa che mi ha colpito è la voce della protagonista. Una donna come potremmo essere molte di noi, istruita, figlia di una femminista, moglie di un divorziato che si trova in un regime disumanizzante che le nega persino il diritto al proprio nome.
Le ancelle, tra tutte le donne, sono forse le più sole. È vietato loro quasi ogni contatto umano, nella casa a cui sono state assegnate sono malviste dalla moglie legittima e guardate con sospetto dalle marte. Su di loro aleggia la possibilità di qualcosa di terribile e non esplicitato. Cosa accadrà se non riusciranno ad adempiere al loro ruolo di donne fertili?
Questa protagonista si mostra fin dalle prime pagine forte di una silenziosa relisienza. Non lotta, non si ribella, non progetta la fuga, almeno non subito. Sopravvive e ricorda. Ricorda l'uomo che ha amato, la figlia che le è stata tolta. Si adatta al silenzio, alle imposizioni assurde, si insinua nelle piccole possibilità che la vita le offre. La sua è a tutti gli effetti una resistenza attiva, un mantenere la mente libera che nulla ha a che fare con l'arrendevolezza del corpo e delle azioni. Lei ricorda il mondo di prima, i propri valori e rimane libera nella mente pur mostrando una totale passività di facciata.
Colpisce la violenza silenziosa a cui è soggetta che non è fatta di maltrattamenti plateali, ma di mille cose negate, di silenzio, di solitudine. Il tempo che non scorre, il tornare della mente sempre sugli stessi pensieri. 
È, narrativamente parlando, un'immersione sublime. Una lettura che quasi schiaccia. Quanti esseri umani e quante donne in particolare, ho pensato, si trovano oggi in situazioni simili, di totale sottomissione, senza altra fuga che quella del pensiero? Quanta sofferenza l'umanità riesce a infliggere ad altra umanità nella granitica certezza di essere nel giusto? Perché il dramma è questo. Come tutte le dittature, anche quella di Gaalad nasce dalla certezza di essere una miglioria. Che sia la strada per la felicità. Del resto, chi è costretto al mutismo non può esprimere un dissenso.
Poi, per me, c'è anche il non sottovalutabile aspetto che la protagonista sia una donna destinata ad essere madre di un figlio che non potrà crescere e già madre di una figlia che le è stata sottratta. Ecco per me questo a tratti è stato troppo. Ho chiuso il libro e ho fatto altro. L'ho letto per non più di un quarto d'ora di fila. 

Un pugno nello stomaco è il modo in cui il regime si è insinuato ed è andato al potere. Oltre all'aspetto della sterilità di massa, che porta questo aberrante sistema delle ancelle, colpiscono i ricordi spezzati della protagonista su come il regime abbia preso il potere.
Lei, come molte di noi nelle stesse condizioni, non pensava che sarebbe stato possibile. E anch'io, leggendo, ho pensato: non potrebbe accadere in una democrazia occidentale. Peccato che sia stato esattamente lo stesso ragionamento che hanno fatto molti ebrei davanti al nazismo, immagino anche molti iraniani prima della rivoluzione (che tra l'altro precede di pochi anni la pubblicazione di questo romanzo, non so l'autrice pensasse all'Iran, ma, almeno in modo inconscio è probabile). 
E quindi sì, la dittatura è sempre un rischio possibile. E insinua piano le proprie idee tra la gente, partendo da problematiche reali e innegabili. Partendo dalle paure, alimentate ad arte. Partendo, a ben vedere, dalla nostra realtà, dalle nostre paure, dai nostri problemi.
Tra noi e la dittatura di Gaalad c'è veramente poco. La libertà di pensiero e di espressione non è né un diritto acquisito né uno stato di natura. È fragile e lo diventa tanto più quanto più la diamo per scontata.
Infine, questo è considerato un romanzo femminista. Lo sguardo è quello di una donna, quelle a cui viene negato persino il nome sono donne. Ma gli uomini non sono più liberi. Divisi per categorie loro pure, con la possibilità o meno di avere una moglie o una donna fertile deciso da altri, inviati in guerra... Togliere libertà a una categoria è sempre togliere libertà a tutti.

Un pugno allo stomaco per me è stato anche il finale.
SPOILER ALLERT
Non sappiamo che ne è stato della protagonista, ma le sue registrazioni sopravvivono, sopravvivono alla fine di Gaalad e arrivano a un convegno di storici.
Annoiati, ironici, interessati ad altro. Del tutto poco empatici rispetto alle sue sofferenze. Che danno per scontato le libertà in cui vivono.
Se da un lato è rassicurante sapere che Gaalad è finito, dall'altro fa male questo pressapochismo nei confronti di chi ne ha sofferto. E questa mancanza di empatia è proprio l'humus ideale per un nuovo autoritarismo...


Se volete, un'altra bellissima riflessione su questo libro la trovate qua

Qualcun altro ha letto questo romanzo?
Io non ho visto la serie tv che ne è stata tratta, se qualcuno l'ha fatto sono curiosissima di conoscere i vostri pareri.

7 commenti:

  1. Io ricordo solo il film. Ora la serie tv ha riportato in auge il titolo, ma non ho mai letto il romanzo.
    Dovrei farlo.
    Sì, pensa tu, ero piccolo e il film mi sconvolse... posso immaginare il romanzo, che di distopico ha solo qualcosa di vago, perché -come dici- potrebbe essere il racconto di molta gente reale.

    Moz-

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    1. È un libro intenso, che fa pensare il vuoto e il silenzio. Non c'è nulla di eccessivo, nessun indulgere sulla violenza e forse è per questo che fa più male

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  2. Non ho letto il romanzo, ma ne ho molto sentito parlare... per cui non guarderò nemmeno la serie TV in quanto preferisco prima leggere il libro. Da quello che racconti non dev'essere una lettura facile, emotivamente parlando, e mi è molto piaciuto il tuo parallelismo sulla situazione di molte donne di oggi, che non hanno una voce e sono sottoposte ad abusi di ogni tipo.
    Invece di Margaret Atwood ho letto altri due romanzi, il primo secondo me è un capolavoro e infatti l'avevo inserito nel mio elenco dei 100 libri, "L'assassino cieco". Il secondo è "Occhio di gatto".

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    1. Devo dire che la serie non mi attira molto, non penso possa rendere questo senso di vuoto e silenzio che aleggia sul romanzo. Invece vorrei leggere altre opere di questa autrice.

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  3. Letto due volte, la seconda nel 2002. All'epoca non pensai all'Iran ma ai talebani - in tutti i casi è inquietante (perché molto credibile) la facilità con cui quella dittatura si afferma. Credo sia un romanzo che ha sempre qualcosa da dire anche se lo rileggi venti volte, e mi hanno sempre colpito molto quei piccoli scampoli di irregolarità e di ribellione che non solo la protagonista coltiva, dal burro nelle scarpe alle partite a scacchi col Generale. Tra l'altro il finale è aperto, e a me piace pensare che la seconda fuga della protagonista è riuscita - di sicuro Galaad è durata pochi anni, quindi anche lì a livello generale il finale è ottimista.
    Un gran bel libro, comunque, e Atwood è davvero una grande autrice.
    (Il mio commento, invece, è parecchio sconclusionato!)

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    1. Anch'io voglio pensare che la protagonista ce l'abbia fatta. Se no come si spiegano le registrazioni?

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  4. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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