martedì 9 luglio 2013

Visioni - Django


Sono convinta che Tarantino sia un serial killer mancato. Nelle sue storie i sentimenti sono solo funzioni necessarie per muovere gli eventi e arrivare a ciò che davvero gli interessa: ammazzamenti, schizzi di sangue, esplosioni. I suoi personaggi non hanno empatia, si muovono per noia, curiosità, crudeltà o per, appunto, sentimenti stilizzati interessanti solo in quanto motori della vicenda.
Detto questo, Tarantino ha anche un talento visivo unico, non c'è inquadratura nei suoi film che non sia splendida.
Da un punto di vista formale, Django è un esercizio di stile, una rivisitazione postmoderna degli spaghetti western (già piuttosto postmoderni di loro), di cui vengono ripresi stili, sequenze, inquadrature e colonna sonora.
Dal punto di vista della trama non starò lì a tediarvi con la storia d'amore, la schiavitù o altro, è, come sempre, una scusa per arrivare a un finale di scatenata violenza.
C'è da dire che funziona.
Sarà che sono cresciuta a pane e Sergio Leone, sarà che il tedesco ha la simpatia sorniona di un Yanez de Gomera, sarà che gli attori sono tutti molto bravi a rendere se non credibili, almeno plausibili i loro personaggi.
Il film scorre tra paesaggi mozzafiato, battute fulminanti e improbabili schizzi di sangue.
Ovviamente non bisogna cercare un senso profondo, una riflessione o anche solo un'emozione. E' pura estetica. Ma almeno è fatta bene.

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