giovedì 13 marzo 2014

Letture - Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo

Rino Cammilleri

Urgono due premesse.
Premessa numero uno.  Non mi soffermo sul blog su tutto ciò che leggo, ma solo su ciò che mi colpisce di più. Per quanto riguarda i libri, quindi, si tratta di sorprese per lo più positive perché la vita è troppo breve passarla a leggere libri che non mi piacciono. Se persevero nella lettura di qualcosa che non mi piace è perché è intervenuto qualche altro fattore e quindi il testo ha per me un interesse al di là della sua piacevolezza.

Premessa numero due. Io amo Giallo Mondadori e Urania. Le mie finanze devono a queste collane il loro mancato collasso, dato che compro libri in modo compulsivo. Sopratutto quando pubblica italiani, Giallo Mondadori di solito offre testi di cui magari non mi innamoro, ma che sono un bel leggere, come il recente Il palazzo dalle cinque porte. Quindi un dolore inaspettato risulta più spiacevole.

Raramente un romanzo è riuscito a irritarmi così tanto in così poche pagine.
Se mi si presenta un apocrifo sherlockiano io lo leggo. Negli anni ho seguito Holmes sul Titanic, in Transilvania, in Russia, tra gli stregoni di Londra e per essere una che gli apocrifi li scrive anche sono molto meno rigorosa di altri. Ma ho comunque degli standard.
Scorrere i titoli dei capitoli mi mette di buon umore. Ciascuno gioca con un titolo di Doyle. Il fatto che ci siano rimandi anche a racconti poco noti mi indica che l'autore la materia la conosce. E allora perché, perché piazzare subito qualcosa che sembra messo lì apposta per far drizzare i capelli allo sherlockiano?
Siamo nel 1892! Holmes e Watson (che non pare essersi mai sposato, dato che ha due anni d'affitto arretrato) abitano ancora a Baker Street e sono oberati dai debiti!
Ok, prendo un respiro e mi calmo.
L'autore non vuole scrivere un vero apocrifo, vuole solo giocare con i personaggi, senza rispettare le regole. È sleale ma non è un delitto.
Vediamo come sono questi Holmes e Watson, dopo Elementary, del resto, sono pronta a tutto.
Holmes è un timidone che non riesce a concludere con le donne (giuro), massone e schiavo della droga (questo, forse, ci sta). A tratti sembra anche quasi se stesso, come se l'autore si distraesse e il personaggio riemergesse suo malgrado dalle pagine. Tutto sommato ho visto di peggio (Sherlock Holmes e il morbo di Dracula, per dirne uno)
Watson è insopportabile. Borioso, querulo e inutile. Ogni tre righe si lamenta di Holmes peggio di una vecchia moglie isterica e davvero non si trova una ragione perché, se non lo sopporta a tal punto, si imbarchi in un'avventura con lui. A tratti il tono di questo Watson che definisce la Regina Vittoria "un tappo di damigiana" sembra quello della parodia. Il che andrebbe anche bene, ma il romanzo non sembra voler essere una parodia.
Prendo un altro respiro e mi calmo.
Il caso sarà appassionante.
Holmes e Watson vengono spediti in Italia a indagare sulla morte di Ippolito Nievo dalla nipote di un'amica di lui che assicura i nostri che il caso, benché vecchio di decenni, ha ancora scottanti risvolti politici e che lei non può vivere senza sapere (parliamo sempre dell'amico della nonna morta che la nostra  conosce solo per via di vecchie lettere da poco ritrovate). I nostri non ci trovano niente di strano e qui il sospetto che Holmes abbia davvero esagerato con la droga inizia a farsi forte. E siamo solo a pagina 20.
Prendo un altro respiro e mi calmo.
Il tutto sarà un pretesto per raccontare altro.
Gioia e gaudio, è così.
Ma "l'altro" si rivela essere una sorta di conversione dalla massoneria al cristianesimo che Holmes intraprenderà con l'aiuto di don Bosco.
Lascio al lettore ponderare quanto tale percorso sia plausibile per un inglese qualsiasi di fine ottocento. Sulla spiritualità di Holmes in particolare non mi dilungo, tanto stiamo parlando del timidone col cervello fritto dalla droga (prendo dal testo pari pari, alla fine almeno scopro che non era un sospetto mio), non del detective di Baker Street.
Altro respiro.
La conversione è un tema tosto, vuoi vedere che il tutto ancora si salva?
Il tutto è narrato dal Watson insopportabile e a tratti semi parodistico, il che è come affidare un vetro di murano a chi è famoso per spappolare sassi a mani nude.

E quindi questo è un apocrifo che prende a calci il Canone e un giallo un po' farlocco. L'unico quesito è cosa mai ci faccia in Giallo Mondadori.
Poi, per carità, la parte su Ippolito Nievo rimane interessante (pur con i miei dubbi su come è stato inserito) e l'Italia post unitaria è sempre fonte di riflessione, però in copertina rimane il nome di Sherlock Holmes. E magari qualcuno si trova a pensare che questo sia il meglio che il Italia si possa avere con Sherlock Holmes. E non è così (Solito, Martinelli, giusto per citare due nomi).

6 commenti:

  1. Però sembra interessante, per lo meno come opera free! :)

    Moz-

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    1. Non dico che non valga i suoi 4,90€, io però l'ho trovata un'enorme occasione sprecata, questo personaggio con questa ambientazione e queste tematiche poteva far faville...

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  2. Credo che scrivere un apocrifo sia veramente difficile, io non mi cimenterei mai con il mio mito che è Ellery Queen, non mi sento assolutamente all'altezza, anche se sono una grande conoscitrice di questo investigatore. Peccato per l'occasione sprecata di questo romanzo di cui ci hai parlato.

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    1. Scrivere apocrifi è un incubo. Però, quando ci sia abitua alle regole del caso, diventa anche dannatamente divertente. L'effetto collaterale è che fa diventare lettori pignoli.

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  3. Penso che per te sia davvero deludente leggere un testo come questo.
    Ma chissà quanti lettori avranno letto il libro senza notare alcuna incongruenza...

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    1. Non so. Ho cercato anche di immaginare di non sapere nulla di Sherlock Holmes. A dir la verità ci sono molte altre cose che non mi tornano (don Bosco che evoca il lupo celestiale come un chierico di D&D...), ma non volevo inoltrarmi in questioni che conosco meno, rimanendo su un terreno che mi è proprio

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