giovedì 3 aprile 2014

Leggendo i classici


Come avevo raccontato qualche post fa, dopo alcune delusioni librarie mi sono buttata sui classici, che costano pure meno, portandomi a casa a € 14 totali sia Cuore di Tenebra che Emma.
Ma come si legge un classico, oggi?
Io pretendo di leggere un classico esattamente come un qualsiasi altro libro, con la motivazione per cui leggo qualsiasi altro libro: perché mi appassiona.
Almeno in un primo momento non me ne frega niente di chi sia l'autore, del perché lo abbia scritto o del contesto storico, voglio delle pagine che si facciano leggere per il puro gusto di sapere cosa accade dopo.
Voglio potermi fidare di ciò che mi è raccontato, voglio cioè che l'autore mi racconti una storia che secondo lui valga la pena di essere raccontata. Non voglio che mi faccia la morale o che mi spieghi come devo pensare. Può, se vuole, accompagnarmi attraverso un percorso che susciti delle riflessioni, ma non voglio che rifletta lui per me.
Voglio che il testo basti a se stesso, non che mi faccia sentire stupida o ignorante perché non conosco questa o quest'altra opera. Può farmi venir voglia di leggere altro, ma non impormelo.

Il problema è che non è facile approcciare così un classico. Il solo fatto di averli studiati a scuola genera tutte quelle sovrastrutture che io, almeno nel mio primo incontro col testo, voglio evitare. Per questo, dato che al liceo ho studiato francese e quindi letteratura francese, è più facile che mi avvicini a un classico inglese. Ho letto l'Amleto a quattordici anni senza sapere altro se non che si ambientava in un castello e che c'era un fantasma. Ancora adesso amo tantissimo l'Amleto.
Voglio poter essere io, se mai, dopo, a cercare informazioni e approfondire. Per quel poco che si fa letteratura alle medie, cerco di usare questo approccio anche con i ragazzi, farli incontrare con il testo senza troppe informazioni e farlo interpretare a loro. Può anche capitare, facendo così, di sentirsi dire che la poesia che più li ha commossi sia stata "In morte del fratello Giovanni" di Foscolo che di solito non è considerata proprio il massimo della fruibilità (quest'anno, devo dire, è andata forte anche "A Silvia" che è stata preferita a "L'Infinito").

Cuore di Tenebra e Emma hanno svolto (Emma sta ancora svolgendo) bene il proprio ruolo.

Nessuno potrà smentirmi se dico che Cuore di Tenebra è un horror, o meglio, è un racconto sull'orrore e come tale l'ho letto. 
Ho sentito tutto il disagio di Marlow durante il proprio viaggio, dai vaghi accenni sulla follia del medico, fin tutta la risalita del fiume. Ho pensato che il fiume poteva essere ovunque e che col colonialismo questa storia aveva poco a che fare. Marlow stesso all'inizio immagina un altro se stesso di epoca romana che risalga il Tamigi animato dalle stesse inquietudini che lui ha provato sul Congo. La follia, dopo tutto, si annida non nell'animo selvaggio dei nativi, ma dalla mancanza delle regole a cui gli europei sono abituati. Un mix pericoloso di costante presenza della morte, sotto forma di malattie striscianti e misteriose, e senso di onnipotenza dato dall'assenza di un controllore riconosciuto. È questo che trasforma Kurtz.
Mi ha colpito inoltre quanto sia sempre affascinante e ambiguo il male, nell'ottocento. Nei romanzi ottocenteschi sono sempre gli uomini ottimi, intelligenti e animati dai sentimenti migliori quelli da temere. Dal dottor Frankestein a Jekyll fino, appunto, a Kurtz abbiamo tutta una serie di ottime persone che vorrebbero diventare anche migliori, finendo poi per sprofondare in loro stessi. A sopravvivere sono i Marlow, i comuni, un po' ottusi, che ci danno sempre la sensazione che, avendone avuta la possibilità, sarebbero stati anche peggio.

Di Jane Austen mi piace la prosa. 
Potrebbe raccontarmi qualsiasi cosa, anche niente, per pagine e pagine e pagine e io la leggerei. Di lei amo l'ironia garbata con cui analizza il proprio mondo. Sa come funzionano le cose, sa che è il denaro a governare le relazioni sociali. Tutti hanno una sorta di cartellino col prezzo, nei suoi romanzi, le donne da sposare hanno la dote e la rendita, gli uomini le proprietà e lo status sociale e tutti agiscono come se il loro valore fosse dato proprio da quello. Il mondo di Jane Austen viene analizzato senza alcuna ipocrisia, ma non viene odiato, non viene data colpa alle persone per la società in cui sono inserite. Le sue eroine non vincono scardinando le regole, ma giocando in modo fine con esse e volgendole a loro vantaggio. Mi piace questa capacità di analisi che non diventa freddezza o astio.
Emma stessa è un personaggio frivolo, dai mille difetti, che potrebbe diventare odiosa, ma è ritratta con tanta cura, affetto e simpatia che non le si può non volere bene. Proprio come Mr. knightley, la rimproveriamo solo perché l'amiamo.  

3 commenti:

  1. Dopo l'infornata attuale di romanzi, 2 presi in biblioteca, 1 acquistato domenica solo perchè era in sconto in una libreria di catena, penso di tornare in biblioteca alla ricerca di classici. Prima o poi dovrò decidermi ad affrontare Anna Karenina, mentre ho trovato Le affinità elettive un romanzo attualissimo e meraviglioso che consiglio a tutti. Un bacione Sandra

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    1. Mi mancano entrambi. I russi in generale mi spaventano e per il momento giro al largo. Le affinità elettive, invece, mi attira abbastanza.

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    2. UHUHUHU... i russi sono anche il mio spauracchio, mentre mi sono divorata gran parte dei classici francesi e italiani. Le affinità elettive è stata una delle mie letture da metropolitana all'epoca dell'università....ho rischiato più volte di non perdermi la fermata giusta per il gusto di non fermarmi!
      E poi ti consiglio Figli e Amanti di Lawrence. Assolutamente impossibile fermarsi!

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