lunedì 18 agosto 2014

Leggere IT nel 2014

Non so di preciso perché non avessi mai letto It. Forse perché avevo iniziato due libri di King, entrambi libri sbagliati nel momento sbagliato e mai finiti, forse perché mi avevano detto che c'era un pagliaccio vampiro, cosa che trovavo molto più ridicola che horror.
Adesso, grazie a delle amiche, il momento giusto è arrivato, anche se forse quello davvero giusto era passato per sempre. 
IT andrebbe letto a quattordici anni, relativamente vergini di sovrastrutture mentali. 
Letto a 34 anni, da scribacchina, lo si vede inevitabilmente con altri occhi ed è impossibile non farci sopra una serie di ragionamenti metanarrativi.
Alcune idee entro pagina quindici si erano già stampate nella mia mente: "adesso capisco molto della letteratura di genere americana" e "ecco cos'è il talento".
Partiamo dalla seconda considerazione.
Ecco cos'è il talento
IT è un libro scritto d'istinto, definito da un talento innato che ruggisce alle mie orecchie di autrice. C'è qualche traccia di pulitura tecnica, c'è qualche ruffianata studiata a tavolino (muoiono solo i protagonisti un po' antipatici, tanto per dirne una), ma in generale è la cosa più istintiva, informe e al contempo geniale che mi sia capitato di leggere.
Provo a spiegare.
L'estate della paura di Dan Simmons è un romanzo uscito a pochi anni di distanza da IT, che affronta più o meno gli stessi temi (il passaggio tra infanzia e adolescenza nella provincia americana raccontato attraverso la forma di un horror lovecraftiano). È un romanzo ben scritto, solido, gestito da un autore capace.
IT è più meno la stessa cosa, ma come potrebbe essere raccontata in una seduta psicanalitica da qualcuno che tenta di affrontare i propri traumi. 
Il fatto che il secondo romanzo sia più famoso, più letto e in fin dei conti migliore del primo è quasi del tutto una questione di talento.
Da brava strutturalista di solito tendo a ignorare le biografie degli autori ma qui era evidente che per alcuni tratti King non stesse parlando di personaggi, ma di se stesso. Amnesia e la perdita nell'infanzia sono descritti in un modo possibile, credo, solo da qualcuno che ci sia passato. Aggiungiamoci che, per sua stessa ammissione, all'epoca l'autore aveva problemi con le droghe. A rendere IT un capolavoro e non un disastro è un istintivo senso di cosa stia nella storia e cosa non ci stia.
King descrive con minuzia a volte snervante particolari apparentemente secondari, salvo abbandonarli senza pietà quando "escono dalla storia". Chi ha letto il romanzo, sa quanto sia importante una certa barchetta di carta. Ne viene descritto il viaggio. La barchetta finisce in un tombino, da lì nelle fogne. L'autore la segue per molte righe, descrivendone ogni svolta, la si accompagna per un tratto piuttosto lungo, fino a che, semplicemente "esce dalla storia". Con questa frase, bruscamente, la barchetta viene abbandonata, senza che di lei se ne sappia più nulla. Allo stesso modo vari paragrafi vengono dedicati alla storia di un bar che poi, nella pura trama, ha un ruolo molto marginale di location di un evento altrettanto marginale. Interi anni della vita dei protagonisti, invece, vengono solo accennati.
La mia impressione è che King abbia tracciato, più o meno a istinto, dei confini precisi entro i quali tutto ciò che avviene è parte integrante della trama, mentre tutto ciò che è esterno non ha importanza. Questi confini, in senso lato, coincidono con quelli di Derry, la cittadina "infestata" da It, dove la vicenda si svolge. In quest'ottica, tutto acquisisce senso. Il bar, con la sua ascesa insperata, è esempio di come agisce l'ambigua influenza di IT, che dona prosperità a quello che è il suo territorio di caccia, e allo stesso modo la barchetta viene dimenticata non appena esca dal territorio di influenza di IT. Ecco quindi che tutta la sovrabbondanza di particolari, la ricostruzione minuziosa di particolari in apparenza inutili diventato essenziali alla costruzione di una storia che non è solo quella personale dei protagonisti, è storia di una città, forse metafora dell'intera America.
Allo stesso modo il viaggio alla fine dell'infanzia, è una sorta di catarsi personale, un'immersione in un tempo mitico e drammatico, tutt'altro che idealizzato, raccontato con la crudezza di chi non riesca a liberarsi di alcuni ricordi e non riesca a focalizzarne altri. Che sia una questione personale ci viene detto a chiare lettere. Uno dei protagonisti è uno scrittore di successo e in un passaggio viene detto di lui (parafraso non riuscendo a trovare il passo): "È impossibile che non sia successo nulla d'importante nella sua infanzia, dato che l'infanzia è centrale nei suoi romanzi". 
L'impressione che ne ho avuta è di una storia in cui l'autore si muova a vista, con più istinto che calcolo. 20% tecnica 60% ossessione e talento e 20% fortuna. Questa mi sembra che possa essere la ricetta di IT.
King scrive benissimo, ma non credo di voler essere come lui. In vari punti del romanzo ho pensato che questa narrazione fosse anche una disperata richiesta d'aiuto da parte del suo autore. Non so se sia vero. Suppongo che il fatto che King sia ancora vivo voglia di per sé dire che in qualche modo ce l'abbia fatta.
Ora capisco certa narrativa di genere americana
Che pecca di prolissità. Certo. Sono tutti figli di King e, quindi, di IT. Senza, però, l'istinto del Re per cosa sia storia e cosa non lo sia. La prolissità, almeno in IT, non funziona perché "fa atmosfera", funziona perché circoscrive una città irrimediabilmente contaminata, perché è peregrinazione in labirinti mentali che non possono che essere contorti e ipertrofici. In molti autori americani, invece, avevo notato un fiorire di particolari più o meno inutili messi lì nella speranza che "facessero atmosfera", per imitazione direi adesso.
Grazia al cielo ho letto IT solo adesso, quando il mio modo di scrivere è più o meno definito!

Si può fare nel 2014 una recensione di IT? Non lo so.
Alla fine, anche qui, è sempre la solita vecchia storia. Il male, il bene, la chiamata degli eroi.
Questo, dopo tutto, è quello che gli autori sono chiamati a fare, reinterpretare in modo personale formule universali. Cercando, forse, di salvare nel mentre non il mondo, ma almeno se stessi.

7 commenti:

  1. Qualche settimana fa mi è venuta voglia di leggere IT (forse siamo state ispirate dallo stesso post di aisilinn?) e dopo aver letto il tuo articolo ne sono ancora più convinta. Non avendo visto il film mi sento una tabula rasa, non ho alcun preconcetto, quindi vedremo... devo solo smaltire la "pila" che ho sul comodino :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Leggo Aisilinn, ma a convincermi sono state altre amiche, tra l'altro sue concittadine. Neppure io avevo visto il film, sapevo solo vagamente che c'era un pagliaccio in salsa horror. Devo ammettere che come compagno di viaggio non è stato molto comodo, 1800 pagine hanno il loro spazio e il loro peso, però la lettura è stata soddisfacente!

      Elimina
    2. Ah, ecco da dove era venuta l'idea anche a me, da Aislinn. Leggerò il tuo post dopo avere letto il libro, tanto per non inquinarmi il giudizio. Certo che 1800 pagine sono toste; se il piacere della lettura regge, complimenti all'autore!

      Elimina
    3. Sì, regge!
      PS: prima o poi riesco a mandarti qualcosa sui riti funebri con scarnificazione, spero in tempi non geologici!

      Elimina
    4. Ci mancherebbe che diventasse un impegno! Se la curiosità non dico mi divora, ma mi rosicchia, posso sempre frugare in rete. Grazie comunque!

      Elimina
  2. "L'impressione che ne ho avuta è di una storia in cui l'autore si muova a vista, con più istinto che calcolo".

    Sono abbastanza certa sia così, se non altro per le dichiarazioni frequenti di King, in cui dichiara appunto che "tramare è peccato" e che tende a scrivere di getto tutti i suoi libri. Questo metodo porta senza dubbio alla stesura di passaggi non indispensabili alla trama, che poi non è detto vengano sempre limati. E da qui la prolissità dovuta a questo metodo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il fatto è che, almeno nel caso specifico (sto affrontando ora il mio secondo King, troppo presto per generalizzare) funziona. È come se la storia si sviluppasse tridimensionalmente, lungo gli eventi, ma anche in "verticale" attraverso la storia e la profondità della città di Derry. Il problema, secondo me, è il cercare di replicare questo effetto da parte di altri autori. Mi vengono in mente anche certe lungaggini nella fantasy americana. Che siano figlie di King?

      Elimina