martedì 29 maggio 2018

Macerie Prime – Letture


Lo scrivo ogni volta che parlo delle opere di Zercalcare, ma questa volta vale di più.
L'unico artista da cui mi sento rappresentata in quanto appartenente alla mia generazione è un tizio che parla con un armadillo immaginario e che ha idee politiche che a confronto io sono una suora democristiana.
Vale sempre, ma questa volta di più.

Macerie Prime è una narrazione a fumetti che si articola in due volumi e racconta il naufragio della mia/nostra generazione.
Zero, rispetto ai suoi amici, è quello che ce l'ha fatta. Ha avuto successo, non sa neppure bene lui come e perché. I suoi amici no. Sono trentenni come tutti noi trentenni, precari e irrisolti, sovvenzionati dai genitori, sempre più disperati ad annaspare in potenzialità che da inespresse diventano inesorabilmente perdute. Questa è la storia degli amici di Zerocalcare e quindi della mia generazione.

Fa impressione. Non c'è uno dei personaggi di questo libro a cui io non possa dare un nome preciso, pensando ai miei amici. Non ho un Secco, con i suoi guai con la giustizia dovuti a risse e vandalismo, ok, ma abbiamo altro. Per il resto non ci manca nessuno. La coppia che continua a vivere in un'eterna adolescenza. Chi vorrebbe un figlio e per vari motivi non può. Chi non riesce a trovare un lavoro all'altezza dei propri studi. Chi è dentro un impiego prigione. 
Ne parlavo col marito e ci dicevano "forse ci manca l'amico cinghiale" e poco dopo, uscendo incontriamo un amico e... È proprio come l'amico cinghiale di Zero!

Noi trentenni siamo o conosciamo di sicuro qualcuno che nuota in questa precarietà, affettiva, emotiva, economica o lavorativa. La palude delle potenzialità inespresse che alla lunga inaridisce il cuore e diventa un alibi per non raggiungere neppure gli obiettivi prendibili.

Personalmente mi ha impressionato anche la riflessione sui ragazzi di oggi.
Noi ci sentiamo una generazione tradita. Noi abbiamo avuto tutte le possibilità da ragazzini, noi, la generazione Erasmus, che doveva essere cittadina del mondo, costretti magari a lavorare in un call center pur con due lauree, imprigionati in un precariato senza fine. Noi pensavamo, sbagliando, di avere diritto a un futuro radioso. Che bastasse dedizione e impegno perché tutto andasse bene. Siamo figli di genitori che, spesso, hanno visto migliorare la propria condizione grazie all'impegno e al lavoro. Quindi per noi era matematico: mi impegno e quindi ottengo. Non ottengo, mi sento tradito da un sistema che mi doveva qualcosa. E in questa rabbia perdiamo di vista, spesso, i valori più veri.
I ragazzi che io ho a scuola sono stati cullati nella disillusione dei genitori. Spesso a dodici anni hanno già visto la famiglia sfasciarsi, i genitori perdere il lavoro, i fratelli maggiori naufragare in un mondo del lavoro ingrato. Non vogliono impegnarsi perché non credono che l'impegno possa pagare. Si aspettano dalla vita solo sprangata. E quindi perché impegnarsi? Meglio non pensare, ubriacarsi di social, di giochini scemi, di qualsiasi cosa, pur di non pensare all'inutilità della loro vita.
Peccato che questa condizione d'animo sia per lo più colpa nostra. Sono i figli della nostra rabbia e della nostra disillusione. 
Ah, poi ci lamentiamo se una generazione nutrita a rabbia e disillusione non viene su tanto bene... 

Quindi che dire?
Se avete tra i trenta e quarant'anni e volete riconoscervi, leggete Macerie Prime
Se non appartenete a questa generazione ma volete capirla, leggete Macerie Prime
Se volete uno spaccato vero dell'Italia di oggi, leggete Macerie Prime

Sì, il narratore è un tizio che parla con un armadillo immaginario. È il migliore che abbiamo. Teniamocelo stretto.

9 commenti:

  1. Colpa nostra... Uno fa del suo meglio per permettere ai propri figli di mantenere la serenità che ogni bambino dovrebbe avere. Però quando una bimba vede il suo papà (eccolo) che all'improvviso non va più al lavoro e lei chiede come mai, bisogna spiegarle che esiste una cosa chiamata "cassa integrazione". Quando la bambina vede la cugina di vent'anni che si lamenta perché non si trova uno straccio di lavoro, magari vorrebbe capire perché studiare e prendere un diploma non sembra aver aperto nessuna strada alla cugina più grande. Quando la bambina è ormai un'adolescente e inizia a guardare i notiziari oltre ai cartoni animati, magari si accorge che in questo paese le cose non stanno andando bene. E il suo papà che ormai da più di un anno riceve lo stipendio con due/tre mesi di ritardo forse è poco convincente quando prova a dirle che non deve preoccuparsi e che a volte i notiziari esagerano...

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    1. Nascondere la realtà è sbagliatissimo. Spiegare che i problemi esistono è sacrosanto.
      Ma dire a un bambino "tanto studiare è inutile, è inutile se ti impegni, tanto passano solo i raccomandati, tu non hai speranza alcuna e non vali niente." è devastante.

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    2. Questo genere di discorsi, impostati in questa maniera, sono ovviamente da evitare. É giusto - secondo me almeno - che sappiano che non necessariamente l'impegno viene premiato. Però contemporaneamente bisogna fargli capire che lo studio, l'apprendere un' "arte" (che sia il saper scrivere bene o il saper disegnare bene, o anche saper cucire bene o quant'altro) sono prima di tutto un patrimonio personale, qualcosa che eleva la propria persona a prescindere dal lavoro, i soldi, etc. Fargli capire che c'è gente che il lavoro ce l'ha, i soldi pure, e tuttavia si sente vuota, come se gli mancasse costantemente qualcosa. Quel qualcosa che non possono comprare coi soldi ma solo con l'impegno e la dedizione che si dedica a un'attività che riempie l'anima (anche se lascia vuoto il portafogli). Gli ho fatto capire come il suo papà non ha mai guadagnato nulla con la scrittura, né suo nonno con la fotografia. Eppure per me scrivere è qualcosa cui non saprei rinunciare perché mi fa stare meglio, così come è stupefacente vedere la passione da ventenne che mio padre ottantenne continua a mostrare quando scatta fotografie e quando le elabora al computer.

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    3. Io ho sempre più alunni che mi dicono "tanto studiare è inutile, lo dice mio papà che è disoccupato, mia sorella laureata che fa la cassiera, a me piacerebbe anche questo o quello, ma tanto che mi impegno a fare?" Lo trovo molto triste.

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    4. Ovvio che sia triste sentire adolescenti che dicono cose del genere. Tu spronali sul fatto che lo studio è anche cultura personale, una cosa che va al di là del trovare un lavoro.

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  3. Probabilmente (si spera) questo atteggiamento è una fase di transizione tra un'epoca in cui l'impegno pagava e quella in cui l'impegno si pensava pagasse e invece non sempre è così. Per non parlare di quelli che fanno i milioni facendo stupidaggini (quindi impegno e preparazione praticamente zero) e che poi rischiano pure di diventare dei modelli a cui aspirare.
    Chiaro che però i semi sono velenosi perché gli adolescenti disillusi di oggi come possono trasmettere cose positive?
    Voi insegnanti avete un compito molto difficile, davvero e quelli come te che si pongono questi interrogativi hanno tutta la mia ammirazione.

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  4. Mi colpisce ancora una volta l'osservazione sui ragazzi disillusi dal cinismo rassegnato dei genitori. Se non erro ne parlavi anche in un altro post, raccontando di uno scambio di vedute con un ragazzo cui hai fatto supplenza.

    Mi chiedo quale sia l'equilibrio giusto per credere ma non illudersi, per costruire pur sapendo che tutto ciò che facciamo può essere distrutto in una notte (parafrasando una tizia che faceva volontariato).

    Quello che vorrei trasmettere alle mie figlie è che vale la pena di impegnarsi e credere, indipendentemente dal risultato.
    Però, cavolo, non credo di avere le argomentazioni per convincerle!!

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