"Stenderò il mio rapporto come se fosse una storia. Mi è stato insegnato, quand'ero bambino, sul mio pianeta natale, che la Verità è una questione di immaginazione" U.K.Le Guin - La mano sinistra delle tenebre
martedì 9 aprile 2013
Perché scrivo di Sherlock Holmes
Proprio adesso che i miei personaggi iniziano a trovare la strada per la libreria (iniziate a segnare la data del 30 aprile...) io mi metto a scrivere apocrifi (o, più elegantemente pastique) sherlockiani.
Avevo iniziato per impratichirmi con il giallo, solo per esercizio, mi sono inoltrata in una serie di racconti e ho finito per venire risucchiata da una storia più lunga. All'inizio ero dubbiosa, un conto è dedicare una decina di pagine a un personaggio e a un'ambientazione che non sono mie, ma sarei riuscita a mantenere l'entusiasmo per mesi, cesellando dettagli su una base che non mi appartiene e costretta a ubbidire a regole scelte da altri?
Adesso i capitoli già scritti sono tredici e posso dire che raramente mi sono divertita così tanto a scrivere. Pregusto il momento di aprire i documenti (raro e atteso, in questo periodo di vita frenetica e piena di imprevisti) come si attende un dolce gustoso o una serata di festa.
Arrivata a questo punto, non potevo che fermarmi a ragionare un attimo.
Perché mi piace così tanto scrivere di Sherlock Holmes?
Almeno metà del piacere è meramente stilistico, amo in modo imbarazzante il "finto ottocentesco" e, più precisamente lo stile da "finto romanzo d'avventura ottocentesco". Drood di D. Simmons, Capitan Alatriste di A. Pèrez-Reverte, i romanzi di P. O'Brian sono tutti libri che giocano sul riprodurre con una sensibilità moderna lo stile del romanzo d'avventura ottocentesco e che ho amato moltissimo. Scrivere un apocrifo sherlockiano significa poter indulgere su qualche frase dalla costruzione antica, concedersi il lusso di qualche parola desueta, assaporare il gusto di qualche avverbio in più (persino i tanto temuti avverbi in -mente). Solo un poco, naturalmente, ma io sono cresciuta con Verne, Salgari e Dumas (oltre che con Doyle) e scrivo con lo stesso gusto con cui li leggevo a dieci anni...
I dialoghi. Io amo le storie molto dialogate, fosse per me, scriverei solo dialoghi. Doyle spesso si avvicina. Nei racconti di Sherlock Holmes i dialoghi la fanno spesso da padrone e ne sono a mio avviso la parte migliore. Dialoghi secchi, in cui Holmes i mostra, ma non si svela - non sappiamo quasi mai con che tono pronunci le sue frasi o seguendo quali pensieri. Dialoghi brillanti, da commedia, anche sulle scene dei delitti. Passerei ore (passo ore) a scrive i dialoghi di Sherlock Holmes.
Un classico non ha mai finito di dire quello che ha da dire. Non sarà alta letteratura, ma Sherlock Holmes è un classico, non ha mai finito di dire quello che ha da dire e ne sono prova le innumerevoli trasposizioni contemporanee. Ha il fascino della contraddizione. Paladino della razionalità che cede alla droga, dichiara freddezza, ma più di una volta agisce d'impulso. Eleva l'antipatia a fascino: lo strozzeremmo, ma continuiamo a leggere di lui. Un personaggio così, con tutte le sue contraddizioni e le possibili interpretazioni, non perde mai d'attualità. Scrivere apocrifi vuol dire avere il privilegio di indagare contemporaneamente con Sherlock Holmes e su Sherlock Holmes.
Lo sguardo di Watson. Con l'eccezione di tre racconti, tutte le storie di Sherlock Holmes sono raccontate da Watson. Spesso bistrattato dalle trasposizioni cinematografiche e televisive (che l'hanno voluto grassoccio, vecchio, tonto, donna...), il buon dottore ha uno sguardo gentile. Ha un'ironia leggera che si contrappone al sarcasmo di Holmes e una sottile vena malinconica. Sto straordinariamente bene, come narratrice, nella testa di Watson...
Scoprire il mondo con gli occhi di Sherlock Holmes (e Watson). Nella serie della BBC si dice che di fianco a Sherlock anche la città è un campo di battaglia. Di certo non ci si annoia mai. Mi sono inoltrata in aspetti che non conoscevo del mondo vittoriano e, con Holmes a fianco, li ho trovati di un fascino inaspettato. Ho indagato su una storia che non conoscevo cercando di farlo come avrebbe fatto Holmes e me ne sono perdutamente innamorata. Grazie a lui, spero anche di riuscire a raccontarla come merita.
Seguire delle regole. Le regole non limitano la fantasia, la direzionano. Un apocrifo fatto come si deve ha un sacco di vincoli, di stile, di ritmo, di tematiche. Rispettarli tutti non solo è un gioco appassionante, ma permette di assaporare e sfruttare al meglio la libertà che ci si può prendere all'interno di questi limiti. Per la prima volta mi sono costretta, per non deragliare, a scalettare con precisione la trama e i singoli capitoli. Il risultato è che scrivo con più leggerezza, sapendo esattamente cosa devo raccontare il quel pezzo e sono più attenta ai particolari.
Agli altri scrittori che passano da qui chiedo se hanno avuto esperienze simile o, comunque, che cosa amano della storia che stanno scrivendo.
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PS: il punto di vista di Watson è molto comodo, invece quello di Holmes è un incubo sintattico (però molto divertente da scrivere, se si riescono a far quadrare le frasi)
RispondiEliminaBella e interessante sfida quella che ti sei proposta. L'amore e la passione per S.H. & C. trapela in tutto quello che dici, di certo farai un ottimo lavoro :)
RispondiEliminaComunque anche io scriverei un romanzo di soli dialoghi!
Belli questi spunti di riflessione sulla tua poetica, è importante per se stessi capire le motivazioni che ci spingono a scrivere, approfondirle e seguirle. Ne verrà fuori qualcosa di grande! E' vero che Sherlock Holmes è un classico, prova ne è il fatto che i ragazzi delle medie e superiori lo leggono sempre volentieri (stando a quanto mi dice mio marito).
RispondiEliminaCongratulazioni per l'uscita del nuovo romanzo! L'ho visto: è bellissimo, è una grande soddisfazione e te la meriti. Un caro saluto e buon inizio di settimana!
Ho una gran passione per SH e ho adorato la trasposizione della BBC. Ti seguo :)
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