sabato 22 febbraio 2014

Scrittevolezze - Personaggi dal destino segnato


Con il primo fiore spuntato nel mio giardino possiamo tornare a parlare di Scrittevolezze.

Si sente o si legge, a volte, nelle interviste agli autori, che questo o quel personaggio ha preso una strada che l'autore stesso non si aspettava ed è corso, magari, verso un finale che non era quello che era stato progettato per lui.
Così come lo si sente raccontare è tutto molto romantico, con personaggi dotati quasi di vita propria che fuggono al volere del loro autore per cercasi un destino autonomo.
La verità, temo, è molto meno fiabesca, ma non meno affascinate.
Autori e personaggi sono ugualmente prigionieri dei vincoli narratologici.

Avevamo già discusso qui della frase di Saramago sulla "duplice forza della necessità e della fatalità" che si stringe sul personaggio.
La prima regola a cui autore e personaggi devono sottostare è quella della COERENZA INTERNA
Se ho costruito bene un personaggio, questi ha un suo passato, un suo mondo interiore, un suo modo di vedere la realtà e quindi un suo modo di prendere le proprie decisioni. Posto in determinate circostanze non può imboccare una a caso tra tutte le strade possibili, ma avrà solo un numero limitato di scelte che può compiere in modo coerente. Ho già fatto l'esempio, credo, di Lucia che non avrebbe potuto, per com'era stata costruita, sedurre l'Innominato e neppure tentare di scappare. La buona Lucia non è proprio il tipo di ragazza a cui viene in mente che potrebbe salvarsi da sola..

I vincoli della coerenza interna, però, non sono gli unici che gravano su una storia.
Ci sono anche questioni di tono e di ritmo.
Se scrivo un romanzo per ragazzi, con un pubblico di riferimento di bambini sui 10 anni con come protagonista un orfanello insicuro che pian piano prende coscienza delle proprie possibilità e si affaccia alla vita con maggiore consapevolezza posso alla fine farlo morire tra atroci sofferenze per una mera casualità o perché ha fatto un errore banale? Ovviamente posso, ma probabilmente finirò per traumatizzare il mio pubblico di bambini (e farmi odiare dall'editore).
Sul vecchio blog avevo già fatto questo esempio.
Nella saga di Harry Potter, alla fine del penultimo volume, il professor Piton, personaggio ambiguo, uccide il preside Silente sotto gli occhi di Harry. A ben vedere ci sono indizi sia per credere che Piton sia un traditore bastardo, sia per pensare che abbia solo eseguito gli ordini di Silente stesso.
In ogni caso è un uomo morto.
Nel mondo reale, colpevole o innocente, al buon Piton rimarrebbero un bel numero di opzioni. Scappare ai Caraibi con i risparmi di Silente e godersi la vita, ad esempio. Il poveretto, però, è in una storia che ha un preciso tono e un preciso ritmo. È una storia di formazione che ha per protagonista un adolescente e Piton ha ucciso Silente proprio sotto gli occhi del suddetto adolescente.
Se è colpevole toccherà a Harry vendicare l'amato preside e quindi Piton potrà solo morire per sua mano.
Se è innocente, considerato il suo passato non troppo limpido, sta compiendo un cammino di redenzione. Dopo aver sacrificato il suo buon nome uccidendo una persona per ordine della vittima stessa, potrà completare il suo percorso solo sacrificando la sua stessa vita.
A prescindere da tutto, anche dal carattere del povero Piton, dalla fine del sesto libro, il professore di pozioni è un morto che cammina.

Nella vita le cose sono ben diverse. 
Nel libro Nelle terre estreme (da cui è stato tratto lo splendido film Into the wild) un giornalista ricostruisce la vicenda reale di un ragazzo che, fuggito di casa, è andato a rifugiarsi in mezzo alla natura selvaggia. La cosa più straziante della vicenda è che il ragazzo è morto poco dopo (si presume) aver preso la decisione di tornare a interagire con gli uomini e la sua morte, per di più, è dovuta a una serie di circostanze sfortunate, dal momento che il ragazzo era tutt'altro che sprovveduto.
Se la vicenda fosse stata pura fiction, il protagonista de Nelle terre estreme avrebbe avuto più chance di sopravvivenza o almeno una morte più epica (infatti il film si impegna molto in questo senso).

Vita e letteratura, tuttavia, non sempre coincidono. 
Quando un autore decide tono e ritmo di una storia ne rimane vincolato anche suo malgrado. Dopo aver creato Sherlock Holmes come un eroe quasi indistruttibile (o quantomeno danneggiabile solo da se stesso) Doyle poteva farlo ammazzare davvero da un Moriarty qualsiasi? No, il pubblico ha percepito la cosa come inconcepibile, anche perché contraria al tono, al ritmo e alla coerenza interna delle storie che Doyle stesso aveva creato. E quindi Sherlock Holmes è tornato a Londra, malgrado il proprio autore e nessun lettore se ne è lamentato. A ben vedere, il ritorno di Sherlock Holmes è molto più coerente che l'idea di una sua morte in fondo a una cascata.

Quindi a volte i personaggi ben costruiti (quelli fatti male sono molto più "maneggevoli") sfuggono al controllo dei loro autori e raggiungono finali imprevisti. Non sono davvero dotati di vita propria, ma perché la coerenza con la psicologia del personaggio, il tono e il ritmo di una storia devono prevalere perfino sulla volontà dell'autore

2 commenti:

  1. Sì, sono d'accordo con la tua analisi, Tenar.
    Che poi, nella finzione si cerca ovviamente di romanzare un poco, personaggi ma anche situazioni.
    Io penso sempre alla fiction poliziesche: immagina una storia basata totalmente sulla realtà. Ci sarabbero zero sparatorie, zero inseguimenti, zero crimini coinvolgenti ma solo agenti che timbrano carte, pattugliano annoiati ecc ecc...
    Insomma, i personaggi e le situazioni devono anche un po' seguire il motivo che ci spinge a scrivere di loro ;)

    Moz-

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    Risposte
    1. (Attimo di depressione on) Più che altro in una fiction realistica ambientata in Italia sarebbe impossibile avere il malfattore in prigione prima di dieci anni di processi e poi uscirebbe in un baleno per cavilli vari (attimo di depressione off)

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