lunedì 29 giugno 2015

Le difficoltà di raccontare un mondo diverso dal nostro – scrittevolezze


C'è una cosa che come lettrice mi conquista, ma che come autrice faccio ancora fatica a gestire: immergermi in un mondo davvero diverso dal mio. Ci sono molti libri che amo e che descrivono la mia realtà, ma se penso a quelli che porterei nella proverbiale isola deserta, allora la fanno da padrona  opere che mi portano altrove. Mi affascina il diverso, l'entrare in contatto con qualcosa ne non è il mio modo di vivere e di pensare.
Quando scrivo "mondo altro", la mente corre subito al fantasy, ma in realtà ci sono molte storie che si ambientano in un mondo diverso dal nostro.
Storie ambientate in luoghi lontani con condizioni socio-economiche e ambientali diverse dalle nostre.
Storie ambientate nel passato.
Storie ambientate nel futuro.
Storie ambientate in un altrove che non ha alcuna relazione con la nostra realtà.
In tutti questi casi l'autore dovrà il lettore al di fuori dalla sua realtà, da quello che conosce e che giudica normale e logico. A ben vedere, non ritengo queste quattro categorie così diverse. L'unica che ha davvero una differenza sostanziale è la prima, perché può basarsi su una solida esperienza personale. Posso ambientare una storia in Groenlandia dopo esserci stata, invece il passato, il futuro e l'altrove alternativo mi sono parimenti preclusi. Le difficoltà, quindi sono affini.

RENDERE CREDIBILE IL PROPRIO MONDO
Si fa sempre l'esempio di Tolkien che ha inventato tutte le lingue della Terra di Mezzo, con tanto di grammatica e storia della lingua per rendere credibile il suo mondo. Non è precisione maniacale è quello che serve. Per costruire un mondo altro bisogna cesellarlo nei più piccoli dettagli.
Come parlano, come pensando i suoi abitanti? Come il mondo che abitano influisce sulla loro vita?
Non bisogna dare per scontato, ad esempio, che il mondo del passato fosse lo stesso di oggi o venisse vissuto come oggi. Basti pensare alla continua paura dei contagi, delle pestilenze, al fatto che ogni ferita, se si infettava, era potenzialmente letale. Tutte paure oggi in gran parte dimenticate e che influivano moltissimo non solo sullo stile di vita, ma anche sul modo di pensare, sulla scala dei valori. Basti pensare che perdere un figlio sotto i tre anni era cosa tanto comune che quasi erano guardati male i genitori che lo piangevano, oggi è una disgrazia immane.
Un mondo totalmente altro porrà poi, ulteriori difficoltà. Ogni variazione, di clima, di flora, di fauna rispetto al nostro presente avrà delle ripercussioni sul modo di vivere e di pensare degli abitanti.

LA PAURA DI SPAESARE IL LETTORE E IL MONDO EDULCORATO
La cosa che più mi irrita, da lettrice è "l'altrove addomesticato" cioè un mondo diverso dal nostro, ma non così tanto da spaventare il lettore.
Mi irrita particolarmente quando si parla di un passato storico edulcorato delle parti che possono disturbare il lettore moderno. Ricordo in particolare una saga ambientata nell'antica Roma dove nessuno dei personaggi si divertiva ad andare a vedere i giochi gladiatori, tutti trattavano bene gli schiavi e Giulio Cesare era un giovanotto romantico fedele alla propria moglie. 
Irritazione non troppo diversa mi coglie quando in un fantasy simil medioevale ci sono le guerre, sì, ma nessuno si fa male davvero, di saccheggi non si parla e tutti agiscono secondo le regole della cavalleria. Se c'è un enorme merito che ha Martin e le sue Cronache del Ghiaccio e del Fuoco è quello di mostrare un medioevo alternativo ma credibile, dove la gente viene massacrata, stuprata, storpiata e dove "tutti possono morire". Non è questione di sadismo, ma di coerenza.
Il primo consiglio che mi sento di dare, quindi, è di non aver paura di spaesare il lettore e di non edulcorare il mondo che si vuole raccontare.
Se dovessi raccontare una storia ambientata in un certo periodo nell'Isola di Pasqua o tra gli Anasazi, dove l'antropofagia era la norma, ebbene non dovrei pormi il problema di non spaseare il lettore. Dovrei avere personaggi che giudicano normale o comunque inevitabile il cannibalismo, senza per questo essere dei mostri.

COME PORTARE IL LETTORE IN UN MONDO ALTRO?
Quando ambientiamo una storia in un mondo diverso dal nostro non dobbiamo aver paura di spassare il lettore, ma dobbiamo comunque portarlo per mano in una realtà diversa e, in molti casi, in contrasto con la nostra e con quello che riteniamo buon senso. Per farlo ci sono tre sono le strategia più usate.
– Il protagonista viene dal nostro mondo/è più affine a noi
Può essere ad esempio un nostro contemporaneo che tramite macchina del tempo/portale/vai a sapere cosa, si trova catapultato in un mondo altro/in un'altra epoca. Vedrà la realtà con uno sguardo che è comunque affine al nostro e lo spaiamento del lettore sarà il nostro.
È il caso, ad esempio de Le cronache di Covenant o di Timeline
A volte il protagonista non viene direttamente dal nostro mondo, ma è comunque più affine al lettore degli altri personaggi che andrà a incontrare.
È il caso di Genly Ai, terrestre e inviato dell'Ecomune nello strano mondo di Gethen nel mio "romanzo-feticcio" La mano sinistra delle tenebre
Se ci fate caso, è anche l'espediente usato da Tolkien che, tra tutte le creature della sua Terra di Mezzo usa come protagonista degli hobbit, che sì, vivono in caverne e hanno i piedi pelosi, sono bassini e gioviali, ma sono relativamente simili agli abitanti dell'Inghilterra rurale. Tra gli hobbit, poi,  Bilbo e Frodo sono particolarmente simili a gentiluomini di campagna e il lettore li percepisce come i più affini a lui tra tutti i personaggi presentati.
– Il protagonista è un'eccezione all'interno della sua società
Frodo e Bilbo sono i personaggi più simile al lettore ideale di Tolkien, ma sono comunque degli hobbit ben inseriti nel loro gruppo sociale.
A volte, dovendo presentare un altrove particolarmente alieno dove la "norma" è qualcosa che fa a pugni con il nostro senso comune, l'autore sceglie un personaggio che sia un diverso nella sua società, con dei valori più affini a quelli del lettori. Ad esempio, nella mia ipotetica epopea anasazi, un giovane anasazi che rifiuta in cannibalismo. In questo modo si racconta una società molto lontana dalla nostra, ma allo stesso tempo se ne prende le distanze e non si mettono in discussione i valori dei lettori.
Tra i tre espedienti è quello che amo meno, anche se nella mia adolescenza ho letto le avventure di Drizzt Do'Urden (per la serie, pessimi libri che comunque abbiamo amato...)
– L'autore fa proprio il punto di vista del/dei protagonisti
Con la prima persona o la terza limitata l'autore porta il lettore direttamente nella testa del/dei protagonista, fa vedere il mondo dai loro occhi e quindi appare normale ciò che al protagonista appare normale. Se l'autore è bravo, anche le cose più lontane dalla nostra sensibilità appariranno ovvie se percepite come tali dal personaggio. Amo molto le storie di questo tipo, ma mi limito a due esempi.
La saga dell'assassino di Robin Hobb in cui entriamo nella testa di un ragazzo istradato alla "nobile" carriera di assassino di fiducia del re.
Le ultime gocce di vino uno dei pochi romanzi capaci di portare davvero dentro alla mentalità della nobiltà ateniese del V secolo (piuttosto lontana da quella odierna).

Io come dicevo, amo molto questo genere di storie, ma mi rendo conto che non sono brava come vorrei a scriverle. Voi le amate? Le leggete? Che difficoltà incontrate, da lettori o da autori?

24 commenti:

  1. Da lettore e da autore cerco sempre di documentarmi sul periodo storico trattato proprio per non essere troppo spiazzato e capire meglio la mentalità vigente.
    Le difficoltà maggiori nascono più nel tentativo di raccontare storie future: cerco di basarmi sul presente e sulle possibili evoluzioni della società e della tecnologia, ma resta sempre la sensazione di non aver espresso a sufficienza questo "mondo che verrà".

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    1. Io sul mondo che verrà come autrice non mi sbilancio. Sul passato o sull'altrove... A volte è davvero difficile condurre per mano il lettore in un mondo che non è questo, che ha logiche diverse che a noi sembrano folli. Però come lettrice quando la cosa funziona sono completamente presa all'amo...

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  2. Premesso che la cosa più odiosa sono le vie di mezzo (es. paura delle ferite che si infettano ma di contro tutto il resto viene illogicamente dimenticato), non so rispondere alla tua domanda.
    Il futuro puoi anche immaginarlo con moltissima fantasia (fino a dieci anni fa gli schermi del 2599 sarebbero stati ancora a tubo catodico) e il passato lo puoi studiare fin nei dettagli, ma secondo me trasportare il lettore nel tuo mondo è ben più di qualcosa di accademico...


    Moz-

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    1. Appunto, non è solo accademia. È riuscire a fargli respirare quell'aria, a fargli sentire la sensazione tattile di quelle calzature... Da lettrice mi incanto quando la cosa riesce. Da autrice faccio tanta, tanta fatica

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  3. Parlando del fatto che i bambini sotto i tre anni morivano molto facilmente, mi hai fatto venire in mente un articolo che avevo letto qualche tempo fa. C'era questo erudito del 1500, di cui non ricordo assolutamente il nome, che si rifiutava di sapere il nome dei suoi figli fino a quando fossero stati grandicelli. Questo, che poteva sembrare insensibilità, era dovuto invece alla paura di affezionarsi troppo, perché molto spesso, appunto, i bambini morivano

    Per quanto riguarda le storie che menzioni, mi potrebbero interessare tutte come autrice, a patto che ci sia qualcosa che mi agganci nel profondo - il che molto spesso appartiene alla sfera dell'irrazionale. Attualmente, ad esempio, gli antichi Romani non mi acchiappano per niente, parlando di passato.

    La maggiore difficoltà che ho è senza ombra di dubbio quella di immergermi in una mentalità così diversa dalla mia, e considerare normali cose che, oggi, non lo sono affatto.

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    1. Sì, sullo stesso tema ricordo un articolo in cui si spiegava che era comune non chiamare per nome i bambini prima di una certa età, per non affezionarsi. Sono piccole cose che però danno la misura della distanza in termini di visione del mondo e non è facile immergersi nella logica di un altro tempo (o di un altrove).

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  4. Io non ho mai scritto storie ambientate in "altri mondi" né, come lettrice, posso dire di apprezzare il fantasy, con eccezione della variante urban.

    I romanzi storici mi piacciono moltissimo, perché posseggono forti basi di verosimiglianza. Ne ho appena letto uno che si intitola "La meretrice di Costanza" e che ho gradito proprio perché non offre una versione edulcorata del medioevo. Al contrario, gli autori marito e moglie non hanno peli sulla lingua nel parlare di stupri e torture, sebbene riescano a farlo senza scadere nella pornografia o nello splatter.
    Aggiungo, a quanto già hai detto, che anche l'obiettivo del protagonista deve essere coerente con l'epoca storica raccontata (a questo dedicherò un post) ed essere gestito affinché sia condivisibile dal lettore, anche quando poco etico. Nel romanzo di cui sopra, per esempio, la protagonista desiderava vendicarsi del fidanzato che l'aveva buttata in strada...

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    1. A livello tecnico non vedo molta differenza tra un (buon) fantasy e un romanzo storico, in ogni caso devi immergere il lettore in una realtà diversa dalla sua. Cambia il lavoro di documentazione, certo, ma quello di scrittura non molto.

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    2. Cambia però anche l'esperienza di lettura. A me piace ritrovare nelle storie un mondo che conosco, o che è comunque esistito. Poi qualche fantasy lo leggo... se scritto dagli amici! ;)

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    3. L'esperienza di lettura in parte cambia, quella tecnica di scrittura è molto simile

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    4. Cambia però anche l'esperienza di lettura. A me piace ritrovare nelle storie un mondo che conosco, o che è comunque esistito. Poi qualche fantasy lo leggo... se scritto dagli amici! ;)

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  5. Hai ragione, specialmente sulle storie edulcorate. Follett, ma anche Bernard Cornwell, hanno scritto romanzi ambientati nel Medioevo, ma non hanno risparmiato nulla di ciò che avveniva a quel tempo, come torture, stupri, omicidi brutali.
    Riguardo al futuro la penso come Miki: secondo me siamo limitati nell'immaginazione, a meno di metterci in testa di leggere le riviste più accreditate di scienza (in funzione del tipo di fantascienza da scrivere), così da poter precorrere, con tutte le riserve del caso, i tempi.
    Per quanto riguarda un mondo immaginario, per me bisogna fare come Tolkien: crearlo da zero, inventando tutto. Altrimenti addio credibilità.

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    1. Sicuramente non bisogna pensare che il fantasy sia facile perché non necessita di documentazione! Al massimo è "autarchico" nel senso che ti devi creare tu il mondo, ma nel dettaglio.
      Ed evviva i romanzi storici non edulcorati!

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    2. Neanche per me è facile scrivere fantasy, anzi, se vuoi scrivere un buon fantasy, è forse più difficile di altri generi letterari, proprio perché devi essere autarchico, come dici (mi piace un sacco questa parola).
      Magari ci faccio un post, perché "L'autarchia del fantasy" suona proprio bene :D

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  6. Come ben sai il fantasy non mi attrae, dunque la mia mente farebbe una fatica doppia a immaginare una storia ambientata in mondi diversi, soprattutto se creati di sana pianta dal nulla; non ho quel genere di immaginazione, anche se ammiro chi, invece, ha la capacità di inventare universi paralleli credibili e ben dettagliati.
    Certo, la paura di spaesare il lettore rischia di rendere debole l'efficacia della storia, sono convinta che chi si immerge in determinate atmosfere o epoche storiche ben caratterizzate debba farlo fino in fondo, con annessi e connessi, senza edulcorare, tralasciare, evitare. Per questo non ne sarei capace!

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    1. A me piace molto leggere libri che mi trasportino altrove, ma quando scrivo... Ecco, non sempre sono davvero davvero capace di replicare quella magia. È difficilissimo, almeno per me.

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  7. Questo è un tasto che dovrebbe suonare di continuo, perchè spesso, troppo spesso, si colgono inesattezze e anacronistiche scelte nelle storie che leggiamo o guardiamo su uno schermo.
    Faccio l'esempio delle riduzioni cinematografiche e televisive dei romanzi della Austen: insopportabili. Credo che il solo realmente accettabile sia "Orgoglio e pregiudizio" del '95 per la serietà con cui autori e regista lavorarono alla produzione. Negli anni successivi, ho assistito a pettinature inverosimi, gesti e movenze del tutto fuori luogo e trucco assai discutibile. Uno scempio irritante.
    Ben vengano i narratori e i registi che implacabilmente decidono di percorrere onestamente una storia, senza remore e senza timore di offendere nessuno.

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    1. Bello l'"Orgoglio e pregiudizio" del 1995!
      In realtà sui film sono un pochino (un pochino, mica troppo) più elastica. Ma sui libri non transigo, è una questione di deontologia professionale, se scrivi storico non puoi imbrogliare, addolcire o raddrizzare la storia secondo il tuo gusto.

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    2. Io sono severissima con tutte le forme di linguaggio, non ultima il teatro, dove vedi strafalcioni e anacronismi assurdi. Fra i tanti spettacoli, uno del repertorio di De Filippo, con movenze e atteggiamenti in cui gli "attori" non facevano che mettersi in mostra piuttosto che raccontare realmente quel mondo.

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    3. Non so, il teatro lo conosco relativamente poco, però ricordo con piacere un Amleto molto attualizzato. Dipende dalle finalità narrative, suppongo. Se si vuol raccontare proprio quel mondo passato, allora non si può sgarrare.

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    4. Credo che alcuni autori vengano "snaturizzati" con letture poco attente. Amleto contiene principi universali applicabili a diverse epoche, De Filippo racconta quello specifico mondo, quella gente, quegli animi. Per renderlo, bisognerebbe avere sensibilità e autentica esperienza.

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  8. Le storie che ho scritto fino a oggi ambientate in un mondo diverso sono poche, e in linea di massima ho risolto nel primo modo: il protagonista è uno di noi in viaggio. Mi rendo conto, però, che forse d'istinto schivo le complicazioni. Ottimo spunto di riflessione! :)

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    1. Sarà anche schivare le complicazioni, ma è una formula che continua a funzionare.

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