venerdì 27 ottobre 2017

Le otto montagne, lettura condivisa – impressioni finali

Avevo iniziato questo romanzo con un entusiasmo che avevo condiviso in questo post.
Venti giorni dopo mi trovo a chiudere il libro con una precisa domanda: le aspettative sono state mantenute?
Purtroppo no.

Le otto montagne mi ha fatto l'impressione di un pacco perfettamente confezionato, o, meglio, di un pasto in cui a imprimersi nella memoria siano l'antipasto e il locale, non le portate principali.
Ho molto amato le prime pagine del romanzo, la descrizione delle montagne, le mie montagne, questo Monte Rosa che chiude il mio orizzonte con il rifugio Regina Margherita che, nei crepuscoli più limpidi, si vede brillare fin da quaggiù. Ho amato alla follia la storia del padre del protagonista, così simile al mio. E poi?

Il padre rimane il personaggio meglio delineato del romanzo, l'unico con una personalità ben definibile, intrisa di una malinconia struggente, un'evoluzione psicologica e una fine così amara che si stampa nella memoria del lettore.
Suo figlio e Bruno sono evanescenti al punto che, a una sera dalla fine del libro non solo non li so definire, ma li sto già anche scordando.
Del protagonista (?) e voce narrante non saprei dire molto. Sparisce e non si interessa della propria famiglia fino alla morte del padre, momento in cui viene preso dal rimpianto di tutti quegli anni buttati. La cosa davvero sorprendente è che nonostante tutto il padre gli abbia lasciato qualcosa, invece di intestare tutto a Bruno (cosa che avrebbe evitato ulteriori disgrazie, per altro). Non si sa bene che faccia nella vita, salvo poi partire per l'Himalaya e dedicarsi ai documentari e, si presume, a non meglio identificati progetti di volontariato. Di lui di fatto sappiamo che non sa costruire relazioni stabili e ama la montagna. Un po' poco per costruire un personaggio.

Bruno è, almeno in linea teorica, più interessante. C'è qualcosa dei vinti di Verga in questo ragazzo incapace di emanciparsi da un destino segnato nonostante l'incontro con potenziali benefattori. Non può scendere in città a studiare, è condannato alla montagna e al mestiere del padre, il muratore. Cerca una strada sua, una donna, un alpeggio da rimettere in funzione, ma, proprio come come accade in Verga ogni speranza di riscatto è effimera e condannata al disastro.
Prima una nota personale: in quegli anni, su quelle valli, un buon numero di alpeggi sono rinati, grazie anche alla rinnovata attenzione al formaggio montano (basti pensare a slow food e a cheese), quindi Bruno si è lanciato in un'impresa tutt'altro che impossibile e non condannata in partenza come sembra leggere tra le righe. 
In ogni caso la sua storia ha un qualche interesse, ma è vista da lontano, dall'occhio assente e tutt'altro che perspicace di un osservatore che un po' c'è e spesso non c'è. Il risultato è la mera trasposizione di una vicenda, senza approfondimento, senza analisi, in fin dei conti anche con scarsa partecipazione emotiva. 

Ma ci sono le montagne, le descrizioni, le atmosfere. Certo, verissimo. Quando vado al ristorante, per tornare alla metafora iniziale, l'atmosfera e la location contano. Purché si mangi bene. E qui io la pietanza non l'ho trovata.
C'erano delle aspettative, create dal premio vinto e da un inizio che mi era molto piaciuto, certo. Ma è giusto che le aspettative ci siano quando un libro si presenta come un "libro importante". Cosa mi resterà di questo romanzo tra due mesi o tra due anni? Già adesso fatico a mettere a fuoco i personaggi e gli episodi. Mi resterà la storia del padre, più per motivi autobiografici che per meriti letterari e un vago sentore di montagna.
Grazie al gruppo di lettura negli ultimi anni sto riscoprendo i classici. Non tutti sono una folgorazione. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, sono libri che restano. Nella memoria, nelle emozioni, nelle riflessioni suscitate.
Quali riflessioni mi ha suscitato questo romanzo, dopo pagina venticinque? 
– Prima di ristrutturare e rimettere in funzione un alpeggio senti un commercialista
– Ma si può davvero vivere di documentari girati in Nepal? È così facile costruirsi una professionalità là?
Belle atmosfere, belle descrizioni, giri di parole un po' vuoti come quello che vorrebbe dare un senso al titolo, le otto montagne.
Un po' poco per un libro di tale successo.

13 commenti:

  1. Si perde un po' per strada, ne convengo, ma non mi ha amareggiata così tanto. Forse a un mese di distanza posso dire che non mi è rimasto addosso molto, ma mentre lo leggevo ero davvero dentro la storia e felice, il che davvero non è poco per niente. Sandra ps grazie per aver partecipato

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    1. Credo che molto dipenda dalle aspettative che si creano. Fosse stata l'opera prima di un autore sconosciuto gli fare i complimenti. Ma è il romanzo presentato come "il meglio di quest'anno" addirittura paragonato a Pavese. Ora, con queste premesse, che "il meglio di quest'anno" a distanza di un mese lasci poco o niente mi pare grave.

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  2. Ciao Tenar, arrivo qui dal blog di Sandra per cercare le ragioni per un'eventuale lettura di questo romanzo, super pompato. Ma...
    Descrizioni ottime ma storia che si perde. E il narratore? So già che dovrà passare un pò di tempo prima di leggerlo. Se lo facessi ora cercherei i segni di un "prodotto ben confezionato". Sapendo che molti successi sono esattamente questo. Ciao, Elena

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    1. Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Non è un prodotto ben confezionato. È un libro autoriale e si sente, con una voce forte. Fosse stato costruito a tavolino si sarebbero occupati di più di questo drammatico calo non tanto di ritmo quanto di contenuti. È un libro su cui secondo me si poteva lavorare di più e meglio per arrivare a servire anche un po' d'arrosto, insieme al contorno, ecco.

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  3. La biblioteca me lo ha fatto scaricare giusto oggi. Lo comincio stasera e vedremo come va a finire. Però comincio male: già le prime pagine non m'erano piaciute. E adesso so che da pagina 25 sarà pure peggio. Caro Cognetti, andiamo male. Molto male. :)

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    1. Finito adesso. Un libro che è destinato a durare a lungo solo perché è davvero "sotto vuoto spinto". :)
      Anche scrivere in prima persona mantenendo le distanze di una terza non è normale. Roba da amatori più che da scrittori, quelli veri.
      Rimango dell'idea che Cognetti sia la versione hipster di Volo.

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    2. Ecco, così drastica non sarei. Però, ecco, o Cognetti non è "il meglio sulla piazza" e allora il sistema del riconoscimento formale della letteratura italiana ha dei problemi o Cognetti è "il meglio sulla piazza" e siamo messi pure peggio.

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  4. il sistema del riconoscimento formale della letteratura italiana ha dei problemi: certo che li ha, perché per partecipare a premi importanti occorre regalare centinaia di copie e gli editori piccolino non possono permetterselo, quindi opere di nicchia di gran valore manco si candidano. Infatti per anni ha vinto Mondadori. Sicuramente propone una visione molto parziale della produzione italiana. Sandra

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    1. Però sarebbe compito di questi editori cercare autori di vero valore. Qui si potrebbe aprire un vaso di Pandora, però è così che dovrebbe essere.

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  5. Ho scritto cosa ne penso da Sandra, ma capisco il tuo disappunto. Certi elementi che hai sottolineato e che sono veri, in fondo, a me sono parsi secondari rispetto alla sensazione rilasciata dal romanzo.
    Ho trovato adeguata anche la lunghezza del libro, perché dilatarsi troppo su montagne e viaggi avrebbe reso noiosa la storia, alla fine. Pietro, la voce narrante, non è proprio un gran simpaticone, ma in compenso se prima vedevo i paesaggi di montagna con gli occhi di chi ne ha poca esperienza, leggendo il libro ho desiderato essere lì.
    Non so se Il romanzo è l’habitat naturale di Cognetti, io l’ho conosciuto con i racconti: un’evoluzione, rispetto a questi, l’ho notata. Bisognerà vedere alla prova successiva se riuscirà a mantenere le aspettative suscitate con questa opera nei lettori che lo hanno apprezzato. Io, per esempio, tornerò a leggerlo se dovesse scrivere un prossimo romanzo. Se dovesse tornare ai racconti, invece, no: mi sono bastati quelli che ho già letto.

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    1. Sicuramente è una voce autoriale e una penna interessante. Ma che sia il meglio del 2017 in Italia lo trovo un po' deprimente, ecco.

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  6. Sicuramente il romanzo di Cognetti ha qualcosa d'incompiuto - lascia un po' la sensazione che la conclusione sia stata scritta in fretta per rispettare una scadenza - ma voglio difenderlo comunque: a me é piaciuto, mi ha avvolto nella sua storia, anche se imperfetta, con una prosa limpida come un lago.
    Sulla polemica del premio Strega non m'intrometto, anche perché negli non ho praticamente letto mai nulla né dei vincitori né dei finalisti e in generale seguo poco questa selezione. Quest'anno infatti mi ero sorpresa non poco che apparisse un autore che conoscevo :)
    Nika

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    1. Sicuramente è un libro che promuovo a pieni voti per quanto riguarda lo stile. Cognetti scrive bene, se non benissimo. Però preferirei che scrivesse bene qualcosa di senso più compiuto, ecco.

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