lunedì 19 febbraio 2018

Gita al faro – Piovono libri


Gruppo di lettura con puppatola infiltrata, anche lei a suo modo lettrice e anche lei a suo modo in tema, come si deduce dalla foto. Questo grazie a una riunione pomeridiana, la prima a cui ho potuto partecipare dall'inizio alla fine, cosa che per me è stato un godimento intellettuale non da poco.

Gita al faro, dunque.

Gita al faro mi faceva, prima della lettura, un sacro terrore. Incanalata fin dalle medie allo studio del francese, non ho mai affrontato in modo sistematico la letteratura inglese, ho piluccato qua e là e ho letto a mio esclusivo gusto quello che mi pareva. Questo vuol dire che alcuni mostri sacri sono rimasti come tali mostri sacri che si annidano con i loro occhiacci rossi in fondo alle caverne della mia ignoranza. Virginia Wolf è sempre stato uno di quei mostri dagli occhi rossi in fondo a una caverna. Un'autrice troppo grande perché mi azzardassi a leggerla. Ma, si sa, arriva un momento in cui nelle caverne bisogna addentrarsi e i mostri vanno guardati negli occhi. Il fatto di non essere sola in questo viaggio, anzi, in questo caso accompagnata anche da una collega con cui potevo farmi forza  ogni giorno in aula insegnanti, aiuta a trovare il coraggio.
Che poi, ho scoperto, la grotta non era una grotta, ma una spiaggia di uno dei posti che ho più amato al mondo, l'isola di Skye.
A libro concluso non ho la certezza che il faro sia questo.
Però questo per me è il faro più bello di Skye.
Faro o grotta che fosse, non è stata per me, almeno all'inizio, una gita facile. Ho iniziato il libro in quello che al momento è stato il periodo più duro dalla ripresa del lavoro, con la pupattola malaticcia che vomitava quasi tutte le notti e le incombenze di fine quadrimestre a soffiarmi sul collo.
Desideravo disperatamente trovare ariose visioni di Skye e la purezza dell'isola scozzese. Invece c'era, giustamente, la prosa per cui la Woolf è diventata famosa. Il suo saltare disinvolto da una mente all'altra delle persone che popolano la casa dei Ramsay.

Il romanzo, infatti, come i più sapevano e io ignoravo, racconta nella prima parte una giornata nella casa di vacanza dei Ramsay, lui, filosofo di fama, lei, la signora Ramsay, bellissima nonostante i suoi otto figli, i figli, appunto, e gli ospiti e gli amici, tra cui Lily, donna nubile per sua scelta, dedita alla pittura. Una giornata, quella raccontata, illuminata dalla promessa di una gita al faro. Gita che non si realizzerà se non anni dopo, dopo la guerra, la morte di molti di loro.

Una lettura, quindi, tutt'altro che facile, con la prosa che ci porta ora nella mente di uno e ora dell'altro, senza stacchi o avvertimenti di cambio di punto di vista. Eppure una prosa meravigliosa.
Questo mi è stato subito evidente. Non era il momento giusto, per me. Non bastava il mio amore per Skye e per tutto i suoi fari per entrare a casa Ramsay, ma avevo per le mani un libro epocale.
C'è una profondità di sguardo nella prosa della Woolf, che ci porta con delicatezza nella mente dei suoi personaggi fino al limite del non raccontabile (penso all'odio edipico del piccolo James nei confronti del padre o a una cerca ambiguità nelle osservazioni di Lucy) che sicuramente era ineguagliata all'epoca e forse lo rimane anche adesso. Come ha detto una lettrice, che fatica doveva essere essere Virginia Woolf e avere dentro di sé così tanti e così profondi e così contraddittori animi umani.
E poi c'è la prosa, una prosa bellissima. In un libro così incentrato sull'interiorità dei personaggi fa quasi impressione come uno dei pezzi più belli sia dedicato invece alla descrizione della decadenza della casa, una descrizione che rimane dentro e che fa, semplicemente, inchinare di fronte alla bravura dell'autrice.

Al gruppo di lettura abbiamo avuto la fortuna di avere una docente di letteratura inglese che ci ha inquadrato meglio il libro, non solo nell'opera della Woolf, ma anche in un momento di trasformazione della società inglese. Un momento in cui si incontrano persone nate e formatesi in epoca vittoriana, come la signora Ramsay, dove l'apparenza è tutto, dove una donna non è che la retrovia del proprio marito, non ha neanche nome, vive solo dell'idea che gli altri hanno di lei, e donne come Lily, che rivendicano, con fatica e tentennamenti, un ruolo autonomo. Un momento, se vogliamo, in cui le donne sono le protagoniste e gli uomini si disgregano. Incapaci di camminare con le loro gambe, come il signor Ramsay o spazzati via da una guerra lontanissima e inconcepibile nella luce dell'isola di Skye.

Per certi versi questo libro mi è parso, anche, la controparte femminile di Festa Mobile di Hemingway che abbiamo letto qualche mese fa. Là c'era la "generazione perduta" dei giovani andati al fronte. Qui c'è chi resta, i troppo anziani, i troppo giovani e le donne, le uniche a uscirne più forti.
Sono le donne, infatti, a dominare la scena. Due su tutte, la signora Ramsay, che incombe anche dopo la sua morte, e Lily. La signora Ramsay donna vittoriana perfetta, percepita da tutti perfetta tranne che da se stessa, apparentemente senza cedimenti, ammirata, ma senza nome, quasi senza identità propria, forse infelice senza poter ammettere di esserlo (così simile, ai miei occhi, alla mia nonna materna). E Lily. Lily dai mille dubbi, lei che inizia prima di altre la via dell'indipendenza, non senza tentennamenti, con i giudizi che pesano sulle sue spalle (e su quelle di Virginia, certo) le donne non sanno scrivere e non sanno dipingere. Lily che sceglie nonostante tutto di cercare un suo punto di equilibrio interiore che sta nella sua arte, nei quadri che dipinge. 
Mi ha colpito il fatto che la scelta di Lily non dipenda e non cerchi un riconoscimento esterno. Non sappiamo se Lily sia una grande pittrice. Non sappiamo neppure se lei voglia essere una grande pittrice, se esponga, se la critica conosca le sue opere. Noi sappiamo che lei vuole dipingere e rivendica, pure con mille dubbi e tentennamenti, questo ruolo per lei. Non moglie e madre, ma donna che dipinge. 
Mi ha fatto pensare perché io mi dico spesso che se scrivo, rubando tempo agli affetti, allora deve valerne la pena. Devo scrivere bene, devo avere un riconoscimento, perché in caso contrario non ho il diritto a farlo. Ecco, forse devo seguire un po' di più Lily. Quel centro di equilibrio che lei vede nel riflesso di una saliera, quando capisce come il quadro possa funzionare per lei le basta per dare un senso alla sua arte e alla sua esistenza. Forse questo deve bastarmi a dare un senso e a rivendicare lo spazio. Negli ultimi giorni ho lavorato in modo ossessivo a un progetto per cui c'era una concreta possibilità. Possibilità che non ho potuto cogliere, perché prevedeva una trasferta per me impossibile. E adesso mi sembra futile continuare a lavorare su quell'idea, per quanto buona mi sembri. Ma dovrei, credo, essere un po' come Lily. Rivendicare per me il tempo necessario, senza dipendere da un giudizio esterno. Forse.
O forse è la prova, ennesima, che ogni grande libro ha qualcosa di specifico da dire al lettore, al di là del tempo e dello spazio in cui è stato scritto.

Di certo, nonostante la fatica, il libro rimane sulla torre.
Ed è pure tornata la voglia di andare in gita al faro. A Skye

5 commenti:

  1. E niente, questo libro letto molti anni fa, non è proprio riuscito a fare breccia, probabilmente sono io. I fari invece quanto li amo.

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    1. No? Pensavo che fosse una lettura molto vicina alla tua sensibilità. Magari in un altro momento avresti potuto amarlo...

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    2. Infatti potrei riprenderlo ora che mi dici così e mi piace molto questa tua risposta, grazie, deve essere a casa dei miei (dove esattamente non si sa, ma lo cercherò!)

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  2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  3. Letto una decina d'anni fa, ne ho un ricordo molto bello.

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