Amo cercare tra i libri usati romanzi di cui non so niente, di cui non abbia letto recensioni, riassunti, non conosca nulla dell'autore né sappia quantificarli in stelline. Libri che abbino ancora il potere di sorprendermi. Non è facile. Intanto è sempre più difficile per me trovare il tempo e l'occasione per curiosare. Anche la sorpresa, infatti, è un'arte che va coltivata. Bisogna mettersi in condizioni di farsi sorprendere, non basta sperare che accada. Ma anche la giusta condizione d'animo non è sufficiente. La sorpresa è un incontro e pertanto bisogna essere in due. Il lettore e il libro.
Aquila della neve è un libro di cui non sapevo nulla e che mi ha sorpreso per essere esattamente ciò che dichiarava di essere. Sulla copertina, come potete vedere, si legge "la più importante ricostruzione letteraria sulla caduta dell'Impero romano". Ma quando mai le frasi sulle copertine dei libri dicono il vero?
A quanto pare questa è l'eccezione che conferma la regola, perché sì e senza alcun dubbio, Aquila nella neve è la più importante e migliore ricostruzione letteraria della caduta dell'Impero.
C'è un enorme senso di stanchezza che pervade tutto il romanzo. Maximus e Quintus sono ufficiali di una Roma che non hanno mai visto, a cui non appartengono, essendo entrambi figli di popolazioni che sono state asservite e poi assimilate, che con l'imperatore non hanno più in comune neppure il credo, Onorio è cristiano, loro sono tra gli ultimi seguaci di Mitra. Sono sin dalle prime pagine degli sconfitti che si muovono verso la sconfitta, sorretti forse solo da un sogno: se fossero vissuti in un altro tempo, quando Roma era grande, anche loro sarebbero stati riconosciuti come dei grandi. Hanno la consapevolezza dell'estrema fragilità di un impero che è ormai un gigante morente, corroso dalla corruzione e da una generale sottovalutazione della situazione reale. Nessuno pensa davvero che la frontiera germanica dell'impero possa crollare e quindi nessuno si cura delle sue condizioni, nessuno fa una sensata valutazione del rischio. Maximus e Quintus vengono spostati dalla Britannia al Reno, da una periferia all'altra, con la sola illusione di poter ritardare un disastro ineluttabile che, invece, non si può ritardare.
C'è una descrizione precisa, quasi meschina di tutto ciò che li ostacola. Non certo il vescovo, che sì, non li capisce, li considera pagani, ma tutto sommato ne rispetta l'integrità morali e gli sforzi. A distruggere Roma, più che le tribù che si accalcano, sono i rifornimenti che non arrivano, le spade di pessima qualità, la burocrazia insormontabile, gli infiniti tempi di risposta alle domande di nuove armi, la gente che non ha nessuna intenzione di arruolarsi, convinta che tutto sommato la propria vita non possa cambiare poi tanto. Del resto i "romani" difesi da Maximus non sono altro che "barbari" diventati romani da una o due generazioni, cui gli "invasori" non sono che dei cugini. Siamo noi lettori, ovviamente, a sapere che quei "cugini" sono a loro volta pressati dagli Unni che quello che preme alla frontiera è un cambiamento che forse non c'era modo di fermare, ma che avrebbe spazzato via la romanità.
Ed è la romanità imbastardita un'altra forza del romanzo che ci riporta in un mondo in cui ormai tutti o quasi erano cristiani, ma in cui si andava ancora ad assistere ai giochi con le belve. In cui sopravvivevano le usanze romane, portate ai confini dell'Europa, in un mondo che ineluttabilmente, ma con un'apparente lentezza, si andava a instradando verso il medioevo.
L'autore, poi, gioca col lettore proponendo e sviando tutti i cliché del romanzo storico e romano in particolare. Tutti o quasi conosciamo la trama base di Ben Hur, trama base di moltissime altre narrazioni storiche ambientate in epoca romana: due uomini cresciuti insieme si trovano a prendere strade opposte, si affrontano come nemici, salvo poi arrivare a una sorta di pacificazione finale. Tutto ciò c'è anche in Aquila nella neve. Nelle prime 30 pagine. Come a dire che quella storia, una storia così pienamente romana è ora impossibile, ma i protagonisti l'hanno mancata di poco. Sono cresciuti in un impero, moriranno in un'altra epoca. Non si fugge neppure all'altro cliché, il protagonista scopre che l'amata moglie lo tradisce col migliore amico. Ma lo scopre quando la moglie è già morta da anni, l'amico è ancora al suo fianco e davanti hanno solo i nemici che li annienteranno. La rabbia diventa malinconia triste e senso di impotenza. Maximus non è sconfitto dai nemici o dal tradimento, ma dai tempi in cui ha vissuto.
"È mio dovere"
"Verso chi? Verso un imperatore che pensa solo ai suoi polli? Verso un vandalo corrotto che pensa solo ai suoi affari? Verso la gente di Gallia che non alzerebbe un dito per aiutarti?Verso i tuoi uomini che ti seguono solo finché ricevono la paga?O verso la memoria di tua moglie?"
Quello che ne risulta è un romanzo particolare. Non lo si può definire avvincente, perché accade poco e ciò che accade è ineluttabile e per tanto ben prevedibile. Ma ti porta in un mondo preciso, visto da un'angolazione particolare, quella del limes, il confine ultimo, dove si può vedere l'ultima luce di un mondo morente.
Non è un libro per tutti è, indubbiamente, il miglior romanzo sulla fine dell'Impero Romano.
PS: in questi giorni ho fatto ben altro oltre a leggere. Sono andata con gli alunni ad incontrare Liliana Segre. Ho anche iniziato a scrivere un post in merito, ma mi sono mancate le parole, non sono riuscita a scrivere nulla che valesse la pena di leggere. Spero di trovarle in futuro. Di sicuro, la mia già enorme ammirazione per la senatrice si è accresciuta e invito tutti a cercare la sua testimonianza in rete.
PPS: per chi volesse, ricordo che è disponibile l'ebook La spada di Emarana, primo di quattro ebook dedicati alle Cronache delle Ley
Se ti piace questo periodo storico ti consiglio di vedere il film "De reditu - il ritorno" (non così facile da rimediare però) ispirato dal poemetto tardolatino "De reditu suo" di Rutilio Namaziano.
RispondiEliminaNon lo conosco. Lo tengo a mente. Grazie per la segnalazione!
EliminaIl grande fascino dei libri usati, sospiro di pura goduria x certe sorprese.
RispondiEliminaCosa si potrà mai dire di Liliana Segre in un giorno come oggi?
Su Liliana Segre si dovrebbero dire molte parole, oggi, ma me non vengono. Preferisco mancare la data che scrivere frasi che non le rendano rispetto.
EliminaUn mondo corroso dalla corruzione con una generale sottovalutazione della situazione reale, questa descrizione mi fa venire in mente - per certi versi - la nostra Italia. Sulle bancarelle si trovano libri interessanti, una volta facevo spesso questi giretti, oggi diventa sempre più raro anche per me. Scrivilo il post su Liliana Segre, io la seguo sempre e il suo libro mi ha davvero aperto gli occhi.
RispondiEliminaAnche a me ha fatto venire in mente l'Italia... Ecco, speriamo di no. E, ovviamente, evviva i libri usati, ora e sempre.
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