mercoledì 5 febbraio 2020

Racconti di pioggia e di luna – Piovono Libri


Attenzione.
Di tutto il gruppo di lettura questo libro è piaciuto soltanto a me. Quindi la mia opinione è una sorta di anomalia statistica che non va presa in considerazione. 


"Luo Guanzhong compose il romanzo Sul bordo dell'acqua e per questo motivo i suoi discendenti per tre generazioni nacquero sordomuti. Murasaki Shikibu scrisse La storia di Genji e per questo finì per un certo periodo all'inferno... Anch'io per caso possedevo alcune futili storielle e quando le ho buttate giù esse hanno creato un mondo fantastico dove cantano i fagiani e i draghi combattono... Non vorrei che per questa colpa i miei discendenti nascessero senza naso o con il labbro leporino".
Così inizia "Racconti di pioggia e di luna", nove narrazioni fantastiche del Giappone del XVIII secolo e subito mi svela un segreto che avrebbe dovuto essermi rivelato molto tempo fa.
Scrivere è pericolosissimo. Si rischia di finire all'Inferno (per un certo tempo), pena tutto sommato minore che vedere figli nipoti e bisnipoti sordomuti o con il labbro leporino.
Non conosco abbastanza la cultura giapponese del tempo per capire esattamente perché una tale punizione gli dei infliggessero agli scrittori, ma capisco la pericolosità insita nella scrittura. Sovrapporre alla realtà una realtà altra, simile, ma più affasciante, in cui restare ammaliati e perdersi. E, del resto, come non sentire il richiamo di "un mondo fantastico dove cantano i fagiani e i draghi combattono"?

Io sono tra quelli, di certo, che rischiano di far condannare Ueda Akinari all'Inferno, perché io voglio perdermi in queste nove storie di fantasmi giapponesi pubblicate nel 1768 e che, pertanto, portano a un mondo lontanissimo, che non possiamo capire fino in fondo, ma da cui si può rimanere affascinati.

Il mondo di Akinari è quello, per me del tutto sconosciuto, della borghesia giapponese del '700, fatta più di mercanti che di samurai, dove la guerra esiste, appare, porta scompiglio in realtà operose che ne farebbero volentieri a meno. Un mondo, tuttavia, dove il regno degli spiriti inizia appena oltre la soglia di casa, dove è normale contrattare per farsi strada nel mondo mercantile, ma anche incontrare un fantasma o farsi sedurre da un mostro. Un mondo, insomma, dove il soprannaturale è in qualche modo ordinario, nessuno ti prende per pazzo se dici che sei perseguitato da un fantasma, anzi, molti si prodigheranno per aiutarti, come se due realtà così distanti, quella degli affari e quella degli spiriti, si sovrapponessero senza troppi problemi.
Ho trovato estremamente affascinante provare ad entrare in racconti così lontani da noi nel tempo e nello spazio, scritti per la borghesia istruita di un'epoca ormai scomparsa, pieni di riferimenti del tutto incomprensibili per noi. I racconti hanno però strutture simili, luoghi comuni che si rincorrono, che possono annoiare, ma che aiutano anche a puntellare il lettore moderno in questo universo, fare campi base di nozioni acquisite da cui poter andare in esplorazione.
Non credo possano piacere nel senso moderno del termine, ma possono affascinare.

La trama di alcuni racconti è ricorrente. Due persone, amici o coniugi vengono separati, si incontrano di nuovo, ma uno dei due (se coniugi la moglie) è un fantasma, benevolo o maligno a seconda delle circostanze della morte. Una delle cose che più mi ha colpito di questi racconti, ma che torna anche in altri (La passione del serpente) è che il protagonista è quello che definiremmo un inetto. Un figlio che non si è mai allontanato da casa, di buona volontà, con attitudine allo studio, ma caratterialmente poco adatto a farsi strada nel mondo. Un personaggio, insomma, proprio borghese, come ce lo aspetteremmo, un po' più a vanti nel tempo, in Europa. E verso questi personaggi l'autore sembra avere ogni sorta di simpatia. Il protagonista del racconto L'appuntamento dei crisantemi riesce finalmente a trovare un'anima affine, un samurai che morirà pur di tornare (fantasma) puntuale all'appuntamento. Questo scuote il protagonista al punto da trasformarlo in una sorta di eroe vendicatore. 
Un inetto è il protagonista de La passione del serpente, il figlio cadetto e imbranato di un mercante, di cui si innamora una demonessa serpente. Il giovane non fa che scappare, in modo un po' goffo, dalla sua sovrannaturale amante, eppure è guardato con evidente simpatia e l'autore si premura di rassicurarci sulla sua buona sorte finale.
Non è un uomo d'azione neppure il pittore del racconto che ho trovato più curioso, La carpa del sogno, un uomo il cui desiderio, esaudito, è quello di trasformarsi in un pesce in uno stagno (contento lui) e che finisce per essere pescato. Anch'egli, tuttavia, pur senza dar prova di eroismo, riesce a cavarsela e il suo premio è una lunga vita di meditazione delle carpe (che a me continua a sembrare più una maledizione).

In tutti i racconti emerge il ritratto di una società maschilista a livelli che probabilmente erano impensabili persino per l'Europa di quel tempo. Le donne sono creature incomprensibili "malvage per natura". Le mogli vengono dimenticate a casa per anni, mentre i mariti si rifanno una vita altrove salvo scoprire che, ops, loro sono morte nell'attesa (La casa fra gli sterpi). Oppure vengono sposate di malavoglia, cornificate in ogni modo possibile, ingannate e poi, ops, si trasformano in fantasmi vendicativi (La pentola di Kibitsu). Di sicuro è per la loro natura corrotta, non per l'esasperazione! Del resto se una donna viaggia da sola, mostra un certo qual spirito d'iniziativa e osa innamorarsi è di certo un mostro (La passione del serpente) e in quanto mostro femminile non c'è alternativa che ucciderla, anche se lei chiede solo amore e compagnia.
La cosa più sorprendente è che se a trasformarsi in un mostro è invece un uomo, il poveretto va compatito e aiutato qualsiasi cosa abbia fatto!
Il racconto senza dubbio più sorprendente è Il cappuccio blu, in cui si narra di un monaco pedofilo, necrofilo e cannibale che, poverino, va compreso e aiutato. Ripeto, pedofilo, necrofilo e cannibale. 
Le donne cornificate e derubate se si trasformano in fantasmi vendicativi lo fanno perché sono malvage!
Nel Il cappuccio blu un monaco ha perso la retta via non tanto perché si è invaghito di un giovane studente (non che sappia molto di monachesimo giapponese del XVIII secolo, ma già questo non mi sembra l'agire di un santo), ma perché alla morte di questi, prima "ne ha amato il corpo morto come faceva da vivo" e poi se l'è mangiato. A quel punto il monaco si è trasformato in un mostro che si aggira intorno ai villaggi e depreda i cimiteri per papparsi i defunti di giornata. Mentre in tutti gli altri racconti il mostro di turno era da eliminare senza pensarci due volte, qui no. Il monaco va fatto ragionare, compatito e riaccompagnato sulla via della preghiera. Alla faccia di due pesi e due misure!

Tutte queste vicende si svolgono in un mondo che è facile immaginare come le stampe giapponesi, di assoluta eleganza. Quasi tutto avviene di notte, sotto la luce della luna, tra il canto di uccelli notturni. La natura, con la sua bellezza umida e densa di vita, incornicia tutte le vicende e, tuttavia, è altro rispetto al mondo degli uomini. Sono pochi, monaci sapienti, o animi contemplativi, coloro che si muovono in armonia tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Per il resto gli esseri umani sono creature per lo più passive, in un mondo che non capiscono, sbattacchiate tra gli eventi, desinati a cedere alla passioni. E sono le passioni, per lo più, a generale mostri. Il sovrannaturale, infatti, ha quasi sempre un'origine umana, qualcosa che è diventato troppo, come l'insaziabile (è il caso di dirlo) amore del monaco e che ha trasformato una persona in altro.

Va detto, per amore di verità, che sono racconti piuttosto lontani da noi, pieni di riferimenti a noi incomprensibili, rimandi a una cultura data per scontata e che non ci appartiene. A nessuno degli altri lettori è piaciuto. Io, invece, ne sono rimasta irrimediabilmente affascinata.

5 commenti:

  1. La scrittura è certamente un'arte magica, ma che io sia finita, se pur per breve tempo, all'inferno, è voce priva di fondamento messa in giro ad arte da pochi colleghi invidiosi. Dei discendenti di Luo in verità non so molro, ma credo che l'autore dei racconti che presenti abbia voluto divertirsi alle spalle dei lettori giocando sul tema del confine assai labile tra il mondo cosiddetto concreto e quello degli spiriti, che ai giapponesi è davvero molto caro e ai lettori e fan di Rumiko Takahashi ancor di più.
    Forte dell'esperienza della lettura di Lamù e Ranma, dove uno spirito di divertita comprensione verso gli invasati non manca, proverò ad affrontare la lettura, e intanto grazie della segnalazione 💙📚💜💙

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    1. Infatti ho pensato subito a te, leggendo questa introduzione! Felice che la scrittura non ti abbia trascinato all'inferno!

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  2. Questo articolo è meraviglioso, e ho apprezzato molti temi che avevo colto appena durante la lettura di questo libro. Infatti ero approdata qualche anno fa a leggerlo attraverso "L'appuntamento dei crisantemi", uno dei racconti che mi era più piaciuto. A parte la mia predilezione per fantasmi&affini, e l'indubbia bellezza delle descrizioni naturali, questi racconti mi hanno lasciato poco. Però sono molto ignorante sulla cultura giapponese, riconosco il mio limite.

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    1. Sono effettivamente racconti effimeri, dallo spessore della carta velina, però mi ha divertito leggerli, anche se questa storia di sognare di diventare una carpa di laghetto come massima aspirazione continua a lasciarmi un po' così...

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    (And really, it is not about genetics or some secret-exercise and really, EVERYTHING to do with "HOW" they are eating.)

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