martedì 1 luglio 2014

Da dove viene la mia scrittura?


Colgo lo spunto da questo post di Grazia, ripreso a sua volta da quest'altro  di Daniele di Penna Blu e da questo di Chiara per provare anch'io a rispondere alla tutt'altro che semplice domanda:

Da dove nasce la mia scrittura?

Potrei dire che la mia scrittura è nata dalla noia, ma sarebbe una risposta vera solo in parte.
Dopo il liceo ho frequentato l'università lontano da casa, a Pisa. Ero già d'accordo con una mia compagna per dividere con lei l'appartamento, ma per vari motivi la mia coinquilina arrivò qualche mese dopo di me. Mi trovai quindi sola, senza televisione, radio e connessione internet, con del tempo per me e un sacco di storie che mi frullavano in testa. Iniziai a scriverle.

Se fosse stato solo un passatempo, però, non avrei poi scelto di frequentare un master incentrato sulle tecniche di narrazione né mi sarei incaponita così a lungo sulla strada della pubblicazione. A nessun altro dei miei interessi, atletica compresa, ho dedicato così tanto in termini di energia e tempo. Quindi la Noia è stata levatrice di qualcosa che già stava crescendo dentro di me da tempo.

La scrittura è comunicazione. Un'altra risposta vera solo in parte è quindi che scrivo per comunicare.
Negli anni del liceo ho avuto modo di mettermi alla prova e di testare la mia totale inettitudine in campo artistico e musicale. Sentivo di avere qualcosa dentro, ma non trovavo una forma per regalarlo al mondo. La narrativa, quindi, è la misura della mia comunicazione. Ma, scavando ancora più a fondo, cos'è che voglio comunicare?

Nelle storie di chi si è dedicato alla scrittura, ritorna spesso la solitudine, la difficoltà di integrarsi e l'attitudine a fuggire nel proprio mondo mentale. Tutto questo è vero anche per me. Quando avevo nove anni mi trasferii con i miei genitori e per alcuni anni, fino al liceo, non riuscii a farmi dei nuovi amici. Adesso vedo la cosa in modo molto diverso. Ero stata molto fortunata quand'ero molto piccola, tanto che due delle mie più care amiche sono proprio le mie migliori amiche di quella prima infanzia. Per me "amicizia" voleva dire affinità spirituale e condivisione in una forma che, oggettivamente, non si incontra dietro ogni angolo. Le mie nascenti amicizie erano frustrate dai miei altissimi standard. Allora, però, ne soffrivo e spesso avevo la sensazione di capire a livello empatico gli altri, ma di non saperlo comunicare.
Ecco, se dovessi scavare fino in fondo, posso trovare questo.
Una bambina che avrebbe voluto dire: "lo so come ti senti, anche se sei diverso da me."

Scrivere per me è gettare dei ponti. Ponti che mi portano in altre vite. 
Per questo per me i personaggi vengono sempre prima delle storie.

"So come vi sentite, al punto di voler vivere le vostre vite e raccontarlo agli altri."

Per questo, credo, i miei personaggi sono sempre degli introversi, dei trattenuti, spesso degli incompresi.

Grazia, Daniele e Chiara si chiedono poi da quale parte del corpo nasce la loro scrittura. Grazia risponde Gola, Daniele Cervello e Chiara Cuore.
Io ci ho pensato e non ho trovato una risposta precisa.
Ho pensato però al corso sulla personalità e la comunicazione seguito l'anno scorso. Ho già avuto modo di raccontare che ci fecero fare diversi test per conoscerci meglio. Uno diede, nel mio caso, risultati peculiari. Uscì (unica nel gruppo) che la componente principale della mia personalità è il carattere intuitivo. In pratica è risultato che sono abbastanza equilibrata sul rispetto delle regole, sull'essere istintiva o pianificatrice, ma ho sviluppato moltissimo il pensiero laterale tanto che interpreto la realtà attraverso di esso. È, almeno in parte, vero. Posso non notare particolari lampanti (sempre secondo il test ho soffocato la mia parte sensoriale), se devo ricostruire un ricordo posso mescolare colori e proporzioni, ma ricorderò sensazioni e strane associazioni. Questo mio modo un po' surreale di vedere il mondo è la parte di me da cui nasce la mia scrittura. Le costanti libere associazioni mi regalano storie o brandelli narrativi quasi costantemente, ma sopratutto cerco di mettere il mio modo di guardare la realtà in quello che racconto.
Eccone un assaggio:

"...Si accumulano i piatti utilizzati, macerie di un pasto consumato.
Dovrebbero inventare anche detersivi per le anime, lavatrici di sentimenti, che portino via i rimpianti come briciole. Come le briciole che cadono dalla tovaglia che Carlo scuote oltre la finestra. Qualche passero domattina le troverà. Qualche uccello dovrebbe venire a mangiare anche i rimasugli di un amore finito, portarne via i segni e lasciare il mondo pulito…"

E da dove viene la vostra scrittura?

26 commenti:

  1. Ecco, un blog ad alta percentuale femminile di frequentazione e l'unico che ha dato una risposta simile alla mia è Daniele! Anche se per motivi diversi... (e se per come la intendo io in questo caso tra testa e cervello c'è differenza).
    Comunque, riferendomi a quanto detto nella mia indebita incursione da Grazia, ho capito anche il motivo personale per la mia risposta "dalla testa" e non ha a che fare con l'infanzia. Però ha a che fare con Lucca (chi ha orecchie per intendere, sono sicura che intenderà!) ;-)

    Per quanto mi riguarda, Tenar, la tua "visione peculiare" è una delle cose che mi piacciono di più e anch'io, dall'esterno, avrei detto che è "l'ispirazione" della tua scrittura.
    MI ricordo che una sera commentavamo il fatto che a volte è necessario "togliere" alla realtà per renderla più credibile in una storia...

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    1. Sì, io devo aver avuto in dono da una fata madrina "una vita interessante" per cui spesso ho una visione peculiare su fatti peculiari e il fantastico sembra più normale...

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  2. Avevo già risposto da Dani, ora che riprendo coi post più impegnativi (ossia dopo l'estate) scriverò pure io una cosa simile.
    Intanto mi son goduto il tuo articolo, e devo dire che condividiamo le libere associazioni, forse io tento di applicarle a storie quotidiane^^

    Moz-

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    1. Mi piace questo rimbalzarci da blog a blog degli spunti di auto analisi. E le libere associazioni anche secondo me si sposano meglio con storie quotidiane. In effetti il pezzo che ho messo è esemplificativo del mio modo di ragionare in cui si può passare dal decidere di sparecchiare a immaginarsi scene degne del film "gli uccelli" in un nanosecondo.

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    2. Insomma, come le sessioni di gioco multitasking.

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    3. Infatti mi ci trovo benissimo, anche se poi, come master, spetta a me riprendere le redini del discorso precedente (per i non addetti, nel nostro gruppo di gioco di ruolo si passa in pochi secondi da un discorso all'altro, spesso tirando fuori temi complessi di carattere filosofico-letterario, per poi tornane come se niente fosse alla problematica contingente del gioco.)

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  3. Bel post, come sempre.
    In realtà non so da dove viene la mia scrittura, ma sinceramente mi ritrovo in tutte le tue osservazioni.

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  4. Premetto che non sono uno scrittore, non è il mio mondo e addidrittura a scuola non mi piaceva fare i temi, però questo post mi ha fatto pensare a tutte quelle volte che ho sentito il bisogno di scrivere. Nella mia testa si accende un'idea ha voglia di uscire e fa di tutto per farlo prima che il quotidiano trambusto la faccia sparire dalla memoria. Ecco perchè sento che devo metterlasu carta o su un qualunque supporto,per permettere a questa idea di esistere e non sparire, so che è lì e sta bene quindi non mi farà più impazzire e potrà lasciare il posto ad altre idee! E' un po' come accade nell'albo di Dylan Dog: "La prigione di carta" dove uno scrittore imprigiona i suoi demoni personali (alcolismo, vizio del gioco ecc.) nelle storie che scrive in modo da liberarsene.

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    1. Mi sembra che King abbia detto qualcosa del genere a proposito della sua scrittura, che era un modo per liberarsi dagli incubi e dalle ossessioni. Non so, io sto bene con e dentro le mie storie, però è vero che a volte è necessario mettere su carta qualcosa per lasciare spazio ad altre idee (e altre ossessioni)

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    2. Credo che alla fine sia qualcosa di simile alla funzione "consolatoria" della poesia, o a quando si cerca di spiegare perché la maggior parte delle poesie esprima stati d'animo "tristi" (passatemi la semplificazione), no? Quando sono contento, per esserlo fino in fondo devo "condividere", ma quando sto male... Allora prendo il mio peso, gli do una forma con le parole per poterlo tirare fuori e guardarlo dall'esterno e conoscerlo, così fa un pochino meno male e inizio a metabolizzarlo.
      Nell'esempio di Mist questo lavoro è quasi "preventivo", per esorcizzare determinate cose.
      Alla fine, in un modo o nell'altro, la scrittura nasce dalla necessità di dare forma a qualcosa che in realtà si ha bisogno di conoscere meglio dentro noi stessi. E da lì si costruisce il "ponte" verso gli altri...
      La cosa che davvero mi incuriosisce, è da quale elemento si parte per "dare le forma" a questo qualcosa. Per Tenar è il protagonista, giusto? Per qualcuno invece si parte direttamente dalla trama? O da un'idea astratta? o da una situazione? O da una scena tipo "fotogramma di un film"? Infilate la vostra idea in una storia che vi capita tra le mani, o costruite una storia ad hoc per quell'idea? Non è una differenza da poco...
      J.

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  5. Bellissimo post, mi ha fatto molto riflettere… e ricordare. Credo che la mia scrittura venga dall’intreccio di due componenti, anche loro derivate dall’infanzia: la sensazione dell’inadeguatezza in termini estetici e caratteriali (mi sentivo brutta ed ero timida con i coetanei), e che la quotidianità non offrisse spunti all’immaginazione. Non tanto la noia, quindi, quanto la necessità di far scaturire un mondo avventuroso, esotico e variopinto che non trovavo attorno a me. Da qui, come sai, la mia passione per i romanzi d'avventura alla Salgari...!

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    1. Per me la noia invece è proprio una spinta notevole. Se c'è qualcosa che ho in comune col mio amato Sherlock Holmes è la necessità di tenere il cervello sempre in attività. La scrittura è un'ottima alternativa alla cocaina, credo.

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  6. Mi ritrovo tanto nella noia, che credo vada molto rivalutata e forse anche protetta, visto che il multitasking tende a farla sparire. Senza il vuoto, lo stimolo a essere creativi per riempirlo viene meno. E poi mi piace l'idea di te che fai da portavoce alle persone (reali o immaginarie). La frase "lo so come ti senti, anche se sei diverso da me" è suggestiva al di là delle parole; è un mondo, in pratica. Quindi, grazie per avere raccontato! Come anche per le altre persone coinvolte nel meme, conoscerti meglio è un privilegio.

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    1. Ti ringrazio molto, sia delle tue parole, che dello spunto. Mi piace davvero tanto questo rimbalzare di idee da blog a blog. Ho sempre sentito la necessità di un confronto su una cosa, la scrittura, che per me è così importante. Tempo fa cercai di partecipare a un collettivo, ma l'esperienza fu devastante (troppe primedonne, idee troppo diverse su cosa si volesse creare...). Invece in questo confronto sento di aver trovato proprio quello che allora andavo cercando.

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  7. Ti confesso che, circa un mese fa, ai temi dei nostri primi scambi di commenti, avevo l’impressione che fossi molto diversa da me, ed un po’ invidiavo il tuo approccio razionale alla scrittura in quanto io, talvolta, mi faccio possedere dall’ispirazione e perdo un po’ il controllo. Credo che si veda anche dai miei post sul blog: sai dove iniziano, e non sai dove finiscano…
    Tuttavia, mi sono molto ricreduta. Già quando hai commentato il post di Grazia, ho avuto modo di notare molte somiglianze, al punto che mi ero ripromessa di scriverti in privato su facebook, per poterne parlare: anche io ho sempre avuto un dialogo molto difficile con mio padre. Gli voglio bene, ma è sempre stato capace di tarparmi le ali, con i suoi giudizi lapidari e la sua mancanza di comprensione al punto che, ormai da un mese, ho deciso di non frequentarlo finché non mi sentirò abbastanza forte per relazionarmi con lui senza soffrire se per una settimana ignora telefonate e sms perché ha troppo da fare. Questo rapporto così complesso torna molto, nei miei scritti e credo inoltre che per molto tempo mi abbia bloccata, in quanto ero troppo vincolata al tipo di valori che cercava di inculcarmi, e nei quali libertà e creatività non rientrano. Altra cosa in comune è la difficoltà a relazionarsi con i coetanei. Anche io temevo di risultare strana o noiosa. La frase che ho sentito più spesso è “sembra che vivi nel tuo mondo”… ma che ci posso fare, io, se il vostro fa schifo? Infine, anche per me è stata fondamentale, per la scrittura, l’esperienza dell’università fuori casa, a Milano. Ne parlo anche nella sezione “mi presento sul mio blog”. Ed anche io ho fatto il biennio di specializzazione (la mia facoltà era un 3+2) proprio in scrittura, non solo narrativa, ma anche per tv, cinema, ecc…

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    1. La razionalità per me è un'ancora e un modo per dare forma a tutto il caos di sentimenti e emozioni che sta dietro. Come Jamila, penso che sia la razionalità a fare la differenza nella scrittura e quindi a volte tendo a dare un po' per scontato l'aspetto emozionale.
      In realtà noi siamo la forma delle nostre emozioni, che a loro volta sono state plasmate nella nostra infanzia e, quindi, anche dal rapporto con i nostri genitori. Credo che il rapporto con i padri sia sempre un po' problematico. Io ho un grande rispetto per il mio ma a volte la comunicazione spiccia risulta difficile, anche perché abbiamo gli stessi identici difetti (riassunto di mio marito "quando c'è un problema grosso ve lo mangiate senza esitare e poi andate in panico per le inezie"). Inoltre credo che la scrittura nasca solo dalla solitudine. Ci vuole tempo e silenzio per intessere trame e quindi non è proprio un'attività che si adatta agli estroversi e compagnoni.

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    2. Io faccio sempre differenza fra “razionalità” e “mentale”. La prima è sana,fornisce supporto alla scrittura in quanto indirizza lo stile, offre un sostegno nella scelta delle parole, aiuta ad architettare la trama e… potrei andare avanti all’infinito. Quel tipo di razionalità è fondamentale anche per me, mi serve come il pane, mi aiuta a dare forma a ciò che altrimenti sarebbe pura ispirazione, poco concreta e molto evanescente. Il “mentale” è diverso dalla razionalità: è un rimuginare senza una meta, passivo e fine a sé stesso, che non porta da nessuna parte ma finisce per alimentare le nostre paranoie. Finisco nel mentale, ad esempio, quando un testo non mi convince. Mi inchiodo e non ne vengo più fuori. In passato mi capitava spesso, ora un po’ meno.
      No, io non somiglio per nulla a mio padre. È una persona convinta che l’ipocrisia sia un valore. Dopo trent’anni di politica (anche se a livello locale e regionale) credo sia finito su una sorta di pianeta sconosciuto, dove anche i rapporti con i familiari sono basati su una logica di scambio. Gli voglio bene, ma sono stufa di sentirmi ripetere che devo contraccambiare ciò che ha fatto per me (ovvero non farmi mancare nulla sul piano materiale) . Questo non è sufficiente per essere un buon padre. Se penso al mio rapporto con lui non vedo altro se non una profonda assenza. Da quando si è separato con mia madre (nel 93) credo siano state più le volte in cui ho dovuto prendere appuntamento con la sua segretaria per vederlo rispetto a quelle in cui ci ho cenato assieme…

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    3. Ho l'impressione - che mi farà tirare i pomodori da tutti, credo - che la personalità degli uomini, in particolare quelli di una certa generazione (non so i vostri padri, ma il mio era del '28) abbia sempre faticato a "fiorire", cioè a esprimersi compiutamente, soprattutto nei rapporti. Io ho perso mio padre nel 2000 e ancora adesso cerco di capirlo. Mi rendo conto che in lui c'era una ricchezza, ma è come se l'avesse tenuta per sé. Ciò che voglio dire è che non è facile essere figli quando il genitore risulta poco accessibile, per qualunque motivo. Mi sembra che nel caso delle madri questo accada di meno. Magari non si va d'accordo, ma almeno si riesce a entrare in contatto.

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    4. Mio padre è del 1947, ed io del 1981. è una generazione diversa, rispetto al tuo, e sicuramente diversa è la loro storia. Per quel che mi riguarda, ho sempre pensato che sia un uomo profondamente viziato, abituato ad essere servito e riverito, convinto che il rispetto gli sia dovuto a prescindere, solo in nome del suo ruolo. Per me non funziona in questo modo: io non lo stimo, perché è sempre stato assente, penso che sia stato un pessimo padre, ragion per cui non mi sento “in debito” con lui. Inoltre da un’eccessiva importanza alla forma, a ciò che dice la gente, al punto da cercare di plasmare a propria immagine e somiglianza chiunque lo circonda.
      Mia madre è più affettuosa, ma non tollera l’emotività. Ha un piglio, secondo me, un po’ maschile. Credo che non mi abbia mai asciugato le lacrime. Ha sempre detto “datti una mossa” credendo di aiutarmi, senza mai capire che, in certi momenti, un abbraccio mi sarebbe servito un po’ di più

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    5. Mio padre è di sicuro più simile a quello di Grazia, anche se è del '48 (io sono del 1980, siamo quasi coetanee, Chiara), un uomo di azioni più che di parole. È molto solido e tiene sempre fede ai propri principi (anche se, chissà perché è diffidentissimo nei confronti del mondo, quasi pensasse di essere l'unico uomo onesto rimasto), infatti lo stimo molto. Solo non è abituato ad esprime le proprie emozioni, non sa farlo e considera una debolezza il provarci quindi la comunicazione spiccia a volte è difficile. Con mia madre è diverso per tutt'altri motivi, per via dei problemi di salute è ormai da molti anni una persona di cui farsi carico e non un punto di riferimento. Da giovane deve essere stata una gran persona, molto anticonformista (lei laureata e di buona famiglia sposata a un operaio nullatenente) e mi manca il non avere la possibilità di confrontarmi con lei da pari.
      Quindi niente rabbia nei confronti dei miei, per quanto mi riguarda, solo il rimpianto per un dialogo mancato o, comunque, difficile.

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    6. PS: che cosa difficile scrivere cose così personali! Però, forse, mi ci voleva!

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    7. Difficile? Io non penso ci riuscirei...
      J

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    8. Io avrei scritto molto di più, se non fosse che la rete mi rende rintracciabile e non vorrei che le persone sbagliate leggessero le mie parole.
      Mi piacerebbe comunque proseguire la conversazione in privato. Mentre scambiavo queste battute con voi, oggi pomeriggio, mi sentivo bene. C'era un'energia bellissima.
      Come ho avuto modo di scrivere anche sul mio blog, il post di Grazia ha dato il via ad un nuovo percorso, emotivo e scrittorico. è come se ogni riflessione ne scatenasse un'altra, che mi porta sempre più in profondità, nella mia scrittura e nella mia vita.
      In generale, penso che il contatto con voi mi arricchisca moltissimo. Ne approfitto dunque per dirvi GRAZIE. :)

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  8. P.S. Il post che pubblicherò domani avrà per oggetto proprio il rispetto delle regole (grammaticali, narrative ecc.) dunque penso potrà venir fuori un bel dibattito, stando a quanto scrivi sul pensiero laterale :)

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