domenica 20 settembre 2015

I reietti dell'altro pianeta – Riletture (retrospettiva Le Guin)


Dire che queste giornate sono state intense è riduttivo. È successo un po' di tutto, al punto che ogni stato d'animo è giustificato: euforia e profondissima tristezza, sollievo e ansia. Una persona che conoscevo da sempre se n'è andata all'improvviso, ho dovuto correre a Torino a recuperare un documento molto importante (positivo e per altro arrivato assai prima del previsto), le convocazioni sono state un caos confuso, ma così confuso che il provveditorato ha deciso di rimandare tutto a martedì. Infine, ciliegina sulla torta, una bella crisi allergica con tanto di attacco d'asma in piena notte per ragioni tutt'ora sconosciute.
Volevo scrivere un post tosto sulla scrittura, la revisione o l'invio del manoscritto, ma ho deciso di premiarmi con la seconda puntata della retrospettiva Le Guin, che mi mette sempre di buon umore.

I REIETTI DELL'ALTRO PIANETA: ma che razza di titolo è?
Questo è esattamente il primo pensiero che ho fatto io, quando, nel 2003, ho trovato questo romanzo in libreria. Ma era della Le Guin, di cui avevo letto all'epoca solo Earthsea, quindi, grazie al Cielo, l'ho acquistato ugualmente.
Il titolo originare è:
Dispossessed. An ambiguous utopia.
Persino il mio inglese mi permette di tradurlo. 
Fa molto trattato filosofico/politico, vero? 
Ebbene, è così che dev'essere. 
Lasciamo le magiche isole sotto cieli solcati dai draghi e inoltriamoci nelle ambiguità delle utopie.

I REIETTI DELL'ALTRO PIANETA
Dispossessed. An ambiguous utopia

Ci sono due pianeti gemelli, Urras e Anarres. Gli abitanti di entrambi i mondi considerano l'altro "la luna", sanno che è abitato, ma non ci sono mai stati. 
Urras è un lussureggiante pianeta dove impera la società capitalistica, con tutti i suoi pregi e le sue contraddizioni. Sul desertico Anarres è migrato un gruppo di anarchici non violenti (le cui teorie sono ispirate al pensiero di alcuni anarchici pacifisti statunitensi di fine '800) per costruirvi una società perfetta.
Su Anarres tutto è in comune, la famiglia stessa non esiste, anche se alcuni individui tendono a formare coppie stabili. I bambini, cresciuti in comunità, imparano ben presto a "non egoizzare" a non considerare nulla come loro e tutto della comunità. 
Su Anarres nasce e cresce Shevek, un fisico teorico di quelli in grado di cambiare la visione dell'universo intero. Sin da giovane Shevek si rende conto che l'utopia perfetta in cui è cresciuto non è priva di ombre e tende a distruggere ogni voce dissonante. Inoltre, nella chiusa e autarchica Anarres, gli studi di Shevek sono del tutto inutili, se non dannosi. Anarres non vuole comunicare con i mondi esterni, non vuole viaggiare nello spazio.
Ben diversa è la situazione di Urras, dove da poco sono sbarcati gli alieni, cioè altri esseri umani, che vivono in altri mondi, a cui si sono variamente adattati. Gli studi di Shevek, che potrebbero rendere possibili comunicazioni istantanee e un nuovo motore spaziale, su Urras fanno gola a molti. Il fisico decide quindi di lasciare il suo mondo natale per recarsi "sulla luna", per poter completare le sue ricerche, che su Anarres vengono osteggiate. Ma una volta arrivato su Urras non potrà che guardare la luna, Anarres...

Il romanzo non procede in ordine cronologico. I capitoli pari raccontano la giovinezza di Shevek, dalla sua nascita alla sua scelta di lasciare Anarres, quelli dispari, invece, narrano la sua esperienza su Urras. A inizio di ogni capitolo un disegno permette di collocare il protagonista all'interno di uno dei due pianeti.
In questo modo il lettore scopre in contemporanea Urras e Anarres, con occhi prima sognanti (quelli di un bambino per la parte di Anarres, quelli di uno straniero affascinato per Urras) e poi via via sempre più consapevoli.

Di utopie e di uomini imperfetti
Uscito nel 1974, questo romanzo ha vinto, l'anno seguente, tutto ciò che poteva essere vinto da un romanzo di fantascienza (premio Hugo e Nebula). 
Si era in piena guerra fredda ed è stato interpretato come un'allegoria di quella situazione.

Letto a guerra fredda ormai finita da un pezzo, il suo fascino è, a dire il vero, accresciuto.
Quello che colpisce immediatamente il lettore è la descrizione della società di Anarres che non è il comunismo di stampo sovietico. È un comunitarismo utopico che, però, viene rappresentato come perfettamente funzionante. Tutto è in comune, la famiglia stessa è stata destrutturata e l'arido clima di Anarres crea nella popolazione un senso di assedio perenne, che costringe a stringere i denti, restare uniti e sentirsi eroi. 
Anarres affascina. È difficile non pensare, leggendo dell'adolescenza di Shevek, priva di vincoli e pregiudizi che non sarebbe male crescere su Anarres. Affascina anche quando il lettore inizia a percepirne le storture e il sottile condizionamento che un'oligarchia inizia ad esercitare. 
Vi sono inoltre delle debolezze strutturali. La bellezza, l'arte è un lusso, che spesso Anarres non può permettersi. La salute è un lusso che Anarres non può permettersi. L'aspettativa di vita su Anarres è terribilmente più bassa che per i ricchi di Urras e, nel profondo, gli uomini si ribellano all'idea di essere solo copie conformi le une delle altre, destinate a vivere una breve vita di fatica, per essere dimenticati da tutti. C'è qualcosa di spersonalizzante nella società di Anarres che la fa sentire curiosamente ingiusta.
Eppure, è anche nei capitoli dedicati ad Urras che si sente il fascino di Anarres. Perché, con tutte le sue storture, Anarres è meglio di Urras. 
Alla fine, l'impressione che rimane a lettura conclusa, è che l'uomo non sia capace di raggiungere la perfezione. Qualsiasi utopia, tradotta in realtà, sarà per forza ambigua e imperfetta. Questo non vuol dire che non si debba provarci. Alla fine, il lettore non può non schierarsi con Shevek, più anarresiano di molti suoi pari, che cerca di migliorare ancora un'utopia che non sarà mai perfetta. Si tende all'infinito senza raggiungerlo mai, sapendo di non poterlo mai raggiungere. Ma smettere di provare sarebbe la morte stessa dell'animo umano.

Questo, però, non è solo un libro di filosofia politica (anche se è inutile nascondere che la filosofia politica ha un grande spazio) è anche la storia di una crescita personale, di un uomo introspettivo che ragiona su quello che vede e cerca, anche come individuo, una perfezione impossibile.

Benché sia un romanzo più freddo di altri della stessa autrice, non è un romanzo privo di sentimenti. Tutt'altro. C'è un passo, in particolare, che mi rimarrà impresso con forza, per sempre.
Nel gruppo di amici adolescenti di Shevek c'è un giovane letterato che scrive una commedia satirica e critica nei confronti del sistema. Accusato di essere un pericoloso sovversivo, gli viene impedito di scrivere. Shevek ritrova l'amico anni dopo, ormai pazzo, che ripete ossessivamente i passi di quella vecchia commedia. Amaramente, Shevek ragiona sul fatto che uno scienziato ha più difese nei confronti di un potere oppressivo perché ha la speranza in una ragione oggettiva, sa che qualcun altro, magari dopo di lui, convaliderà le sue teorie. Uno scrittore, invece, non può scindere se stesso dalla sua opera. Uno scrittore è la sua opera. Distruggendo completamente la sua possibilità di scrivere, si distrugge completamente anche la sua personalità.

Una scrittura di arida, struggente bellezza
Quando ho preso in mano per la prima volta questo libro, della Le Guin avevo già letto solo i primi quattro romanzi di Earthsea. Mi erano molto piaciuti, ma pensavo che quello fosse lo stile dell'autrice. Limpido, semplice, adatto a storie eleganti, ma tutto sommato lineari.
Di quello stile, qui, ho riconosciuto solo l'eleganza.
La prosa de I reietti dell'altro pianeta è di una precisione chirurgica. Lo sguardo sui mondi è quello di un fisico/filosofo. Le frasi sono brevi, ogni elemento è descritto con minuziosa precisione. I ragionamenti arrivano subito al dunque. Come Anarres, la scrittura è arida, non si perde in fronzoli o in aggettivazioni inutili. E tuttavia ha la sobria eleganza del deserto. La bellezza delle dune e delle rocce levigate dal vento. Una scrittura decisamente non sentimentale, ai limiti, a volte, del trattato, ma che non rinuncia mai alla ricercatezza formale. L'inizio, in questo senso, è folgorante:

C'era un muro. Non pareva importante. Era fatto di ciottoli uniti senza pretese, con un po' di malta. Gli adulti potevano guardare senza sforzo al di là del muro, e anche i bambini non avevano difficoltà a scavalcarlo. Dove incontrava la strada, invece di avere un cancello degenerava in una pura geometria, una linea, un'idea di confine. Ma l'idea era reale. E importante. Da sette generazioni non c'era nulla di più importante, al mondo, di quel muro.
Come ogni altro muro, anch'esso era ambiguo. bifronte.
Quel che stava al suo interno e quel che stava al suo esterno dipendeva dal lato da cui lo si guardava.

La Le Guin non ha paura di insistere sulla ripetizione di una parola chiave. Le frasi sono brevi, precise. Dalla descrizione fisica si passa all'astrazione geometrica (è un fisico, un matematico, del resto, quello che sta guardando il muro) e poi subito al suo significato filosofico e simbolico.
Poche righe e siamo già nel cuore di Anarres e nella mente di Shevek.

Per la prima volta, leggendolo, mi sono resa pienamente conto della capacità della Le Guin di modificare il proprio stile in base alla materia narrata e di plasmarlo a immagine del mondo che intende descrivere. Non ci sono frasi ariose, su Anarres, né aggettivi decorativi. Non c'è nulla di arioso o decorativo nel mondo che sta descrivendo.

Tenar e I reietti dell'altro pianeta
Questo libro è stato una folgorazione. Credevo di leggere un'elegante favola per adolescenti e mi sono trovata in un testo dove la narrazione va a braccetto con la filosofia. 
Come sempre mi è capitato con quest'autrice, l'ho incontrato al momento giusto, a 23 anni, quando potevo apprezzare appieno i ragionamenti sulla società e l'evoluzione personale del protagonista, perché questo non è, decisamente, un romanzo per adolescenti.
Avevo da poco iniziato a scrivere e questa struttura temporale "a elica" e le caratteristiche stilistiche mi hanno folgorato. Mi ha folgorato la possibilità di giocare con la struttura e con la lingua. Il fatto che tutto sia coerente con i testo (unificare il tempo e lo spazio è lo scopo degli studi di Shevek, quindi la narrazione unifica due piani temporali e spaziali).
Come effetto collaterale, mi ha appassionato alla fisica. 
La Le Guin è una di quelle poche autrici di fantascienza che gioca nel rispetto della fisica moderna, con tutti i suoi paradossi. Il protagonista, poi, rimane affascinato dagli studi terrestri del XX secolo. E io, alla fine della lettura, ho iniziato a leggere articoli divulgativi di fisica...

Di questo romanzo è da poco disponibile una nuova edizione Mondadori, che ha la copertina che vedete a inizio post. 
Non posso che consigliarvi di leggerlo.
Vorrei chiedervi però cosa ne pensate del titolo italiano, se vi vengono in mente delle idee alternative di traduzione. 
Se ci sono altri libri di cui il titolo italiano non vi è proprio andato giù e per quali motivi.
Infine se grazie a un libro vi siete appassionati a qualcosa che proprio prima non vi interessava.

14 commenti:

  1. Beh, che dire? Ottimo libro e ottima recensione. Per il resto, ti auguro una settimana meno intensa di quella appena trascorsa!

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    1. :)!
      Per la settimana: oggi di servizio zia, domani riproviamo con le nomine. Mi sa che devo ordinare dei ricostituenti!

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    2. PS: tu come tradurresti il titolo?

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  2. Mentre aspetto i post sulla scrittura, mi complimento per questa recensione così analitica. Sulla traduzione discutibile di certi titoli ci sarebbe tanto da dire. Buona settimana, meno da montagne russe della precedente, spero. Sandra

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    1. Ammetto che qua era difficile, perché il titolo originale in italiano suonerebbe veramente male. Pare che esista una vecchissima edizione degli anni '70 con il titolo tradotto come "Quelli di Anarres". Si perde l'aspetto filosofico-politico, ma è sicuramente meglio di quello attuale.

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  3. A me il titolo che ha piace, è abbastanza descrittivo per il contrasto tra i due popoli, ciascuno che considera "reietti" gli altri. Comunque sia, io ho letto la nuova versione Mondandori, e anche io l'ho trovata una lettura non solo superba ma ispirante: mi ha dato infatti una spinta verso la storia che sto scrivendo attualmente, che infatti presenta molte differenze tra i capitoli pari e quelli dispari (anche se nel mio caso non sono salti temporali). Se non è diventato uno dei miei libri preferiti all'istante, poco ci è mancato :) !

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    1. Sì, l'effetto è quello! La traduzione della nuova edizione è sempre quella storica di Riccardo Valla o è nuova?

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    2. Ho controllato, la traduzione è sempre la sua :) .

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  4. Io il titolo italiano lo trovo efficace. Sarà perché all'epoca in cui uscì divenne in breve tempo un titolo-manifesto.
    Mi stupisce tuttavia sapere della possibile esistenza di un "Quelli di Anarres", perché nei miei ricordi questo titolo proprio non esiste.

    E' comunque davvero difficile descrivere l'impatto che ebbe questo libro all'epoca della sua prima pubblicazione, a cui assistetti in diretta. Tutti ne tessevano le lodi e lo vedevi ovunque ti giravi, in tutte le vetrine di librerie come nelle edicole delle stazioni. Davvero strano che io, da appassionato di fantascienza, non mi sia convinto a leggerlo in quegli anni lontani.

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    1. Ah, io sono evidentemente di un'altra generazione... Ho letto per la prima volta l'edizione Tea dei primi anni 2000. È bello sapere che era così diffuso. Il titolo alternativo dovrebbe appartenere a una vecchissima edizione Nord, o, almeno, così dicono le mie fonti...

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  5. Io ho letto "Quelli di Annares" preso dalla biblioteca della mia città lo scorso anno, con copertina tutta dello stesso colore (che non ricordo... blu scuro o nero?) e senza codice isbn, ricordo bene la cosa perché mi stupì che non ne avessero un'edizione più recente da dare in prestito. Era, se non sbaglio, della nord e la traduzione era buona, perlomeno quella del titolo!

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    1. È bello sapere che non sono una visionaria e quel libro esiste!
      (Per altro non ne ho trovato foto...)
      La traduzione nord di Riccardo Valla a me piace molto, titolo a parte, ma sono curiosa di scoprire se ce ne sono altre in circolazione...

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  6. Vero, ricordo che mi creò qualche grattacapo per l'inserimento in Anobii (non aveva neanche l'isbn!)... e alla fine optai per caricare un'edizione di quelle standard. Ad ogni modo aveva molto probabilmente una sovracoperta persa negli anni, perché mi sembra impossibile che il libro sia uscito con la copertina completamente a tinta unita e il titolo solo in prima pagina!

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