lunedì 12 dicembre 2016

Sulla consapevolezza di far letteratura – scrittevolezze


Come scrivevo nel post Il testo di canzone come testo letterario, il mio commento al nobel per la letteratura di quest'anno, non posso dire di conoscere davvero Bob Dylan. In questi giorni, devo dire, ho fatto un po' di compiti a casa. Attendendo la pappa notturna della pupa, verso l'una, guardo parecchi documentari, Sky Arte, il mio compagno d'attesa preferito, me ne propone parecchi a temi musicale e non è mancato neppure quello sul novello nobel. Pensando anche al film Io non sono qui (bello ma impegnativo), mi sono fatta del buon Bobby l'idea di un uomo di rara antipatia, ma che quando tocca penna e chitarra (o anche solo una delle due cose) ha un tocco magico. Del resto il genio è difficile che vada a braccetto con la simpatia.
Quest'impressione è stata se possibile rafforzata dal suo comportamento in occasione del premio. Non è andato a ritirarlo senza addurre spiegazioni, con un atteggiamento che trasuda spocchia (poi, chissà, non è un ragazzino, magari ha dei guai di salute che non vuole divulgare). Però ha mandato al suo posto la gran dama del rock, che ha stile in abbondanza per entrambi, Patty Smith e ha scritto un discorso di rara immediatezza e dai non pochi spunti di riflessione.
Da vero autore di canzoni, ha il dono della concisione e arriva subito al punto (se volete leggerlo, uno dei tanti articoli che lo riporta è questo).

Tutto ruota sul cosa sia la letteratura, cosa il fare letteratura e la consapevolezze degli autori.
Si sorride al passaggio in cui Dylan sottolinea che forse Shakespeare, scrivendo l'Amleto non avesse come primo pensiero "diventerà un'opera immortale?" ma "rientrerò nelle spese? Dove lo trovo un teschio da usare come oggetto di scena?". Si sorride, ma probabilmente ci ha azzeccato.

Quanto può essere davvero consapevole un autore del valore letterario o artistico di ciò che sta producendo?
La storia è piena di autori che sono morti senza ottenere il giusto riconoscimento per essere poi magari rivalutati postumi. Vi dice niente il nome Morselli
Quando pensiamo a casi simili tendiamo a focalizzarci sulla cecità di chi stava loro attorno e non sull'autostima distrutta di questi autori che sono morti convinti di non valere niente.
C'è anche chi era assai consapevole del proprio valore, peccato poi sia passato alla storia per opere che lui stesso considerava minore. Il caso più eclatante è il buon Petrarca che puntava tutto sulle sue opere in latino, mentre secoli dopo siamo ancora qui a studiare le sue poesiole in volgare. Per non parlare del fatto che Dante era molto più preoccupato, probabilmente, per la politica e l'esilio che non per la Commedia.
le vie della letteratura sono spesso imperscrutabili, sopratutto per chi le traccia.

Questo mi porta a una serie di considerazioni che si possono riassumere come:
L'ultimo problema che dovrebbe porsi un autore è la propria importanza letteraria
Perché non sta all'autore stabilirla. Sta alla platea dei lettori, in un arco di tempo un essere umano non può sperimentare. 
Il problema che un autore dovrebbe porsi è fare il proprio lavoro creativo al meglio, perseguendo con tutto se stesso i propri fini comunicativi e cercando di arrivare a un pubblico.
Tutto il resto non gli compete.
Per questo mi irrito quando trovo autori, affermati o esordienti che fossero, che si atteggiano a grandi letterati. Loro sì che fanno letteratura e noi, buoi, non li capiamo, loro sì che perseguono fini più alti, invece che compiacere il pubblico (cosa che, ad esempio, secondo me al buon Shakespeare stava anche a cuore). Mi irritano, lo ammetto, i sedicenti poeti vati di ogni tempo o chi ha la ricetta pronta per l'alta letteratura.
Tra i più grandi letterati di ogni tempo c'è chi si è occupato non poco di accontentare il pubblico o il mecenate, chi è morto povero e sconosciuto, chi era apprezzato solo da pochi, chi era estremamente consapevole dei suoi mezzi e chi si sarebbe messo a ridere se gli avessero detto che lo avrebbero studiato a scuola.
L'unica cosa che li accomuna è l'impegno che ci hanno messo nel completare le loro opere, che poi è l'unica preoccupazione letteraria che un autore dovrebbe avere.
Voi cosa ne pensate?
O siete sicuri del vostro posto nell'Alta Letteratura?

30 commenti:

  1. Bypasso l'aspetto del come mi ritengo dal mio modesto angolino da romanziera con la propria operina chiusa ancora nel cassetto e la drammaturgia portata in palcoscenico. Ecco, non saprei esprimermi a riguardo, ritenendomi una "scribacchina" e nulla di più.
    Continuo a pensare che il premio a Dylan sia stato un azzardo ancora non comprensibile, ma questo è un parere mio. La sua reiterata arroganza rafforza in me la mia opinione.
    Mi piace la tua riflessione sui tanti geni incompresi. Fa pensare il fatto che non conosceremo mai forse migliaia di geni che non sono mai venuti "allo scoperto". Peccato.

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    1. Forse quello a Obama come azzardo è stato pure peggio...

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    2. Il signor Dylan è antipatico, questo è fuor di dubbio, il premio non è, però, alla simpatia. Il non andare alla cerimonia non so se sia stata arroganza o altro, alla fine la Smith ha fatto un figurone e il suo discorso mi è comunque piaciuto, quindi non so. I posteri giudicheranno solo le sue parole e non la sua simpatia e forse avranno l'oggettività che a noi manca.
      PS: sicuro il nobel a Obama "sulla fiducia" è stato peggio.

      PPS: io più che altro spero che i vari Morselli da lassù abbiano la possibilità di vedere che finalmente qualcuno le loro opere le ama.

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  2. Da parte mia,trovo il discorso "per posta" consolante: ha mitigato l'idea di spocchia che mi ero fatta inizialmente, parendomi modesto, rispettoso e sensato, anche se forse sono le mie ormai scarse aspettative a farmelo parer tale.
    Per il resto credo che per un Nobel artistico qual è quello della letteratura sia tanto più difficile vincerlo quanto più ad esso si punta: scrivere sperando di vincere un Nobel porta a mio avviso a imitare chi è riuscito nella missione in precedenza privando il prodotto letterario del requisito fondamentale per vincere tale premio e cioè l'innovazione. DA questo punto di vista è più semplice vincere un Nobel scientifico, perché il desiderio di scoprire qualcosa di veramente innovativo porta a puntare a certi ambiti di ricerca e partecipare a certi progetti di squadra,e, benché molte importanti scoperte siano avvenute per caso, al giorno d'oggi è più facile che una scoperta innovativa avvenga consapevolmente dopo anni di progettazione. Per le arti non è così, sono convinta che in questo ambito le vere innovazioni arrivino quasi per caso e per lo più inconsapevolmente da parte di chi le porta.

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    1. Io credo che anche gli scienziati da nobel non pensino al premio, ma a fare bene il loro lavoro

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    2. Eh,vero , ma sono sempre influenzata dall'immagine di J D Watson, notoriamente persona orribile, intento a sgraffignare gli studi di Rosalind Franklin per raggiungere Nobel e Fama prima del buon Pauling...

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  3. L'importante è che l'Alta letteratura non cerchi il suo posto dentro di me... :P

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  4. Io sono sicuro di avere (ultimamente con qualche difficoltà ahimè) il desiderio di raccontare, intrattenere e far riflettere. Posti nell'Alta Letteratura non ne vedo, se fosse quello a spingermi avrei dovuto mollare già anni fa.

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    1. Raccontare, intrattenere e fra riflettere mi sembrano ottimi obiettivi, che hanno già dentro di loro qualcosa di alto.

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  5. La frase su Shakespeare, più o meno, Helgaldo me la disse nel febbraio del 2015. Per dire, eh, che a volte non c'è bisogno di scomodare Svezia e rock star. ;)

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    1. Sì, proprio perché condivisibile il discorso di Bob non è il massimo dell'originalità. Avevo già dato ragione a Hel e la do anche a Bob.

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  6. A me capita il contrario: mi irrito quando trovo autori, soprattutto aspiranti, che giudicano gli affermati, e soprattutto l'alta letteratura. Da Manzoni, a Buzzati, a Calvino, al prossimo premio Strega. Danno del tu a Sciascia e guardano con la dovuta spocchia chi pubblica con Mondadori. Non riconoscono nessuna gerarchia letteraria, si sentono alla pari di Salinger, anzi meglio (Il giovane Holden è una cagata pazzesca, come la corazzata di Villaggio). Trattano da pari loro qualsiasi nome della letteratura e anche dell'editoria contemporanea che vive della propria scrittura. Anche se dicono di essere umili scribacchini, in fondo non sentono il bisogno di imparare da un professionista della scrittura, che è quasi sempre un venduto a un editore e scrive libri banali e zeppi di refusi, per cui sono meglio loro.

    Sono gli stessi che non riconoscono l'universalità di Bob Dylan in campo musicale, o di Dario Fo per fare due nomi, frutto dell'impegno di una vita dedicata all'arte che però a loro non interessa. In fondo basta mettersi due ore alla sera davanti al pc dopo l'ufficio per produrre letteratura migliore o nelle peggiori delle ipotesi ugualmente valida.

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    1. Temo che siano diversi comportamenti di esemplari della stessa specie che vanno gridando "io sì che faccio letteratura, tutti gli altri al rogo!".
      Credo poi che se qualcosa ha successo è perché risponde a un bisogno del pubblico, magari non un bisogno elevate (rassicurazione, conferma delle proprie idee), magari anche indotto, ma non penso che si debba sminuire quel bisogno. Quell'autore ha saputo, magari in modo non raffinato, intercettare un bisogno e ha riempito un vuoto. Rosicare non serve a nulla (credo ci farò un post, il confronto con te è sempre stimolante).

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  7. Mi è piaciuto molto il discorso di Dylan, in effetti molti grandi autori probabilmente non sapevano di fare letteratura e molti sono morti senza avere il giusto riconoscimento se non dopo la morte.

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  8. Il mio posto nell'alta letteratura? Come un meteorite in testa: possibile, ma decisamente improbabile. Quando scrivo spero di produrre qualcosa che lasci una forte emozione in chi legge, possibilmente non di disgusto. Vorrei raccontare belle storie. Magari ogni tanto scrivere un articolo bello e saggio come questo. Voglio scoprire di più di Morselli 😊

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    1. In realtà anch'io voglio scoprire di più di Morselli, anche se ultimamente sto un po' arrancando con le letture.
      E mi piace l'immagine del meteorite e il possibile, per quanto non probabile, e non cercato.

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  9. Umiltà e tanto studio. Chi critica gli altri ferocemente o si mette al paro di effettivi scrittori passati con la S maiuscola, non ha ben capito che infangando qualcuno ( contemporaneo o no) emerge. Seppure è necessario lo studio e seguire chi ne sa più di noi. Nessuno è nato imparato.( mi piace questa frae).Troppi ci marciano sopra per aver avuto possibilità di pubblicazione. Non significa nulla. PubblicaRe a volte è fortuna e non bravura. Essere bravi per me è più quello che studia, scrive tutti i giorni, anche se ancora acerbo, forse perché ha fatto altri studi, o perché scrive in modo altenante, non come professionista. Ce ne sono di nascosti. Poi ce chi se la tira solo per aver pubblicato un libro ( wow) e chi tace continuando a scrivere e a migliorare. Il Nobel a chi non è del ramo ( inerente al settore del suddetto premio) è meritato. Nessuno di noi fa quella professione. Non siamo poeti o scrittori con busta paga. Quindi? A chi critica dovrebbe pensare che fa altro di lavoro , ma nessuno gli punta il dito se pubblica un libro. Idem per un cantautore o attore. Se vince il Nobel un motivo ci sarà.

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    1. Più duro lavoro per tutti. Non si conosce nessun grande, in nessun campo che non abbia faticato e lavorato sulle proprie opere. Al di là del talento serve dedizione e perfezionismo. Sull'umiltà non so. È una qualità che stimo molto, ma riconosco che ci sono grandi che ne sono privi (Dylan in primis direi).

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  10. Guido Morselli era un grande, l'ho scoperto da pochi anni e sto leggendo le sue opere, davvero uniche, per stile e per storia. Suo è il primo contributo italiano alla letteratura apocalittica (Dissipatio H.G.).

    Comunque sul Nobel a Dylan sono scettico, e molto. Ma lo hanno dato a Obama e per me questo è davvero ridicolo. Il premio Nobel per la pace a uno che ha detto "abbiamo l'esercito più potente del mondo". E che per la pace non ha fatto nulla. Obama come Madre Teresa? Ma per favore.

    Comunque, tornando al discorso, per me ha fatto bene a non andare a ritirare il premio, mi pare abbia detto che avesse altro da fare, poiché è in linea con la sua persona. Al suo posto avrei fatto lo stesso.

    Concordo anche con molti sedicenti poeti e romanzieri che si autoconvincono di fare letteratura, ancor prima di aver conquistato un pubblico mondiale (e sottolineo mondiale) che li acclama.

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    1. Credo che, d'accordo o no, il premio a Dylan abbia stimolato il dibattito culturale, cosa di cui c'è sempre bisogno.
      Quello a Obama è stato dato alle intenzioni, purtroppo prematuramente, visti i risultati.

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  11. Io non solo credo di valere nel panorama letterario come il due di picche, ma non mi considero nemmeno una scrittrice. Non ancora, per lo meno. Però ho ben chiara la volontà di mettere insieme due intenti:
    1) scrivere dei romanzi non dico di gran valore, ma di buona qualità, perché il panorama editoriale è pieno di romanzi poco curati, e mi sembra una presa in giro ai lettori;
    2) fare in modo che questi piacciano al pubblico, e che il pubblico riceva da loro qualcosa, almeno a livello emotivo. Questo perché non scrivo per me, scrivo per comunicare. Ho sempre ritenuto importante farlo, con i modi e i mezzi che ho a disposizione. A volte sembro un po' irruente nell'esprimere il mio pensiero, ma è perché amo tantissimo ciò che faccio. :)

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    1. Credo che tu abbia ben esplicitato quello che io intendo come "fare il proprio lavoro creativo al meglio"

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  12. Hai parlato anche per me: alla nostra portata c'è lo scrivere al nostro meglio, il resto non esiste. Come ogni autore soddisfa il suo amor proprio, essendo umano, è una questione di importanza unicamente personale. Gli esiti finali restano sempre misteriosi.

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    1. E fa parte del gioco, temo, accettare questo mistero

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  13. Su Morselli oggi ho trovato questo:
    http://www.altrianimali.it/2016/12/14/milioni-mosche-non-possono-sbagliare/

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    1. Una mia amica ha fatto la tesi di laurea su Morselli e il poveretto è morto pensando di non valere nulla...

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  14. Scrivo romanzi rosa ironici e fantascienza romance, sono automaticamente fuori dall'Alta Letteratura. La M. ragazzina sarebbe rimasta male all’idea di non poterci rientrare, la M. di oggi è consapevole di ciò che scrive, contenta perché non le sembra di produrre pastrocchi, ma storie. Sono felice quando chi mi legge sente qualcosa. Non è Alta Letteratura, ma mi dà belle emozioni. :)

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    1. Se c'è una cosa che dobbiamo imparare dal nobel di Dylan è che nulla è automaticamente fuori dall'Alta Letteratura.

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