martedì 23 maggio 2017

Nella testa di un serial killer



A volte gli esperimenti creativi nascono dalle situazioni più comuni.
Un autore, si sa, deve riuscire a mettersi nella testa di qualsiasi personaggio. Non è obbligato a scrivere 1000 pagine dal punto di vista di qualcuno che odia, ci mancherebbe (e chi ci riuscirebbe?). Tuttavia secondo me nella cassetta degli attrezzi di uno scrittore deve esserci proprio questo, la capacità di vedere il mondo dagli occhi altrui. Anche da quelli più lontani e scomodi.

Partendo dal presupposto che nessuno di voi sia un serial killer oggi vi propongo una sfida: riuscita a mettervi nella testa di un serial killer, almeno per una decina di righe?
Io ci ho provato per caso, cogliendo la sfida del Miniplot di Michele. Devo dire che è stato strano e inquietante. Non mi ci sono divertita, ma ho trovato tecnicamente utile togliere per un istante qualsiasi giudizio morale per un esercizio di immedesimazione. Non è detto che non riutilizzi questo abbozzo di personaggio per un racconto (in cui, sia chiaro, trionferà il bene).

Quindi oggi vi sfido a calarvi per una decina di righe nella testa di un serial killer. Vediamo cosa ne esce e raccontatemi come vi siete sentiti!

Ecco quello che è uscito a me (rielaborato rispetto alla versione originale):

Della bambina di dieci anni prima – mi chiedevo disperato – che cosa era rimasto? Qualche ciocca di capelli scolorita, che ancora mi rigiravo tra le dita. Era impossibile ormai definirne il colore. Il castano ramato che mi aveva incantato era scomparso del tutto. 
Rimaneva una foto ingiallita che ero riuscito a scattare mentre la studiavo all’uscita della scuola. Anche in quella il colore di capelli si era ormai perduto e anche la memoria faticava ormai a focalizzarne la tonalità esatta.
Rimaneva la catenina d’oro, che portavo ancora al polso, nascosta sotto l’orologio. Dieci anni e nessuno se n’era mai accorto…
Avevo giurato che non sarebbe mai più successo. Troppo il rischio per un piacere così effimero. E per dieci anni ero vissuto ricordando la sensazione di quell’uccisione, il sale dei miei giorni.
Ma il ricordo svaniva e ogni giorno, rincasando dal lavoro, mi fermavo sempre più a lungo davanti alla scuola…

18 commenti:

  1. Questo tuo post capita a fagiolo! Inutile dire che nella testa di un serial killer ci sono entrata grazie al mio giallo e non è stato affatto semplice restarci per un po' al fine di capire la sua psicologia. Per fortuna il bene vince sempre, almeno nei libri. Aspetto il tuo racconto ;-)

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  2. Ti ricordi? Una volta, sempre in uno di questi esercizi di Michele, ho provato anch'io a mettermi nei panni di un serial killer, ma non mi viene proprio in mente in quale. Se lo ritrovo, magari, lo continuo: non mi era venuto male.

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    1. Fa niente se il killer, per il momento, ha ucciso solo la moglie? Lo avevo scritto per un esercizio.
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      Era la terza notte che non chiudevo occhio. Mia moglie non si era neppure accorta che soffrivo d’insonnia ultimamente. Il sonno si spezzava a metà nottata fino ad arrivare sveglio per ora di colazione. Il dottore mi aveva prescritto un farmaco nuovo. Ieri sera non l’ho preso. Mi sono vestito e ho camminato fino al bosco. Una lunga camminata mi avrebbe stancato. Il fiato si spezzò, le gambe cominciavano a cedere. La quercia mi sostenne per il tempo di riprendere fiato. La casa era lontana. Avevo camminato più di quanto immaginassi. Se mia moglie si fosse svegliata, non sarei stato vicino a lei. Come avrei potuto spiegare la mia assenza? La sua irrequietezza di questi giorni mi spaventava. Non avrebbe ammesso che mi fossi allontanato da lei. La portai con me. Non riesco a capire le sue urla quando le ho detto di star zitta. Sarà stato il mio tono stranamente alto di voce o forse la corda stretta alle mani non era di suo gradimento. Mi sono ripreso e ti sei quietata. Ho scavato tanto e dopo ti sei placata. Ho messo più terra per coprirti bene. Mi ricordavo che eri freddolosa. Se ti fossi ricordata il golfino, non avrei dovuto coprirti così. Non potevo portarlo io; avevo già la pala per scavare e te da trainare. Sotto la quercia non hai più motivo di agitarti. Peccato che non potevi vedere le stelle. Stanotte mi paiono più luminose.


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    2. Marina, ripostalo qui, ti va?
      Tiziana, mi ha inquietato un sacco il tuo brano! Immagino sia un bene...

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    3. Passa la selezione, allora. Molto psicologico.
      Romanticismo sotterrato. Avevo avvertito già a casa di Michele che mi piace la mia vena macabra. :D

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    4. wow, brava Tiziana, ha inquietato molto anche me!

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    5. Grazie a voi. Sono entrata nella testa del killer. :D

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  3. Solo i bambini odiosi non si divertono a giocare a palla. Odiosi e ingrati. Ma come: porto il pallone, mi metto in porta e - soprattutto - concedo l'uso del mio giardino! Il mio adorato giardino, con quelle due coppie di piccoli aceri che sembrano piantati apposta per fare le porte.
    Non mi vengano a dire che non gli piace, perché so che non è vero: ci vengono sempre. Quando non sono in casa, è naturale. Solo che venerdì scorso si sono sbagliati: hanno tirato il pallone più forte, fino nel retro, e Giampietro, il più coraggioso, è venuto a cercarlo. Mi ha trovato che svasavo le begonie. Credete forse che io sia uno di quelli che sbraitano: "Ve la buco, quella palla". No, certo che no. Anzi, ho invitato Giampietro a scendere. Non ditemi che non sono gentile. È davvero un peccato che lui non sia venuto oggi. Anzi, è già da qualche giorno che non si fa più vedere in giro.
    «Mi scusi, signore, quel pallone non rimbalza» si lamenta quello più vicino.
    «Per forza» sibilo, «dovete calciare più forte. Forte abbastanza da fargli schizzare gli occhi dalle orbite.»
    Sghignazzo.
    «Ma, signore: è una palla, non una testa.»
    «Già, già» borbotto.
    Che ne possono sapere questi mocciosi, che non sono neppure messicani, della leggenda di Popol Vuh?

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    1. Wow!
      (Riscopriamo i giochi tradizionali...)

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    2. Non so. Forse il problema vero è che mi sono anche divertito :P

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    3. A volte è catartico. Vedi le brutte cose che faccio a volte succedere agli studenti nei miei racconti...

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  4. Sì, ce lo vedrei come brano estratto e riportato sulla fascetta per incuriosire il potenziale acquirente.
    Privo di riferimenti troppo crudi ma con le evocazioni sufficienti ad aprire scenari inquietanti.

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  5. Io nella testa di un serial killer ci sono entrato veramente cara Tenar. Non è come credi tu non è un romanzo. Non c’è nulla di consequenziale in quello che pensa. Tutti credono che uno di loro sia dotato di un quoziente intellettivo alto che gli permette di pianificare uno o più delitti senza lasciare tracce. Nei film ha sempre una camera segreta di solito sotterranea con un arsenale di lame affilate per tagliare a pezzi le vittime. Oppure che prima di uccidere la vittima la stupri in preda a una pulsione sessuale incontrollabile. Invece è uno di noi che va al supermercato e compra i sofficini l’insalata già lavata in busta i pomodori la pasta fresca. Paga con il bancomat e mette i prodotti nel sacchetto quando non è il negoziante stesso ad imbustarglierli perché è un signore già sui sessanta gentile e sorridente. Poi esce dal Buongustaio e si incammina lentamente verso la piazza, con la borsa degli alimentari. Si siede a un tavolino al sole al Piccolo bar e ordina un caffè. Gli piace osservare la gente che passa guarda l’imbarcadero l’isola. Quando è stufo se ne va a casa. Gli piace osservare le donne con i capelli lunghi che percorrono la piazza. A volte ne segue una con lo sguardo ma non sa dirne il motivo se glielo chiedi. Ne ha vista una interessante ieri in tuta di ginnastica era di fretta. L’ha percepita con la coda dell’occhio poi il sole glielo ha accecato poi l’ha ritrovata. Ecco lei è la prossima ho deciso.

    Helgaldo

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    1. Il serial killer della porta accanto è sempre il mio preferito!

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  6. Era questo il brano, Michele mi ha aiutato a scovarlo. Te lo ricordi? Era l'incipit di una storia dal titolo: "La pietanza dei gattini" della Biblioteca Scarparo.

    Il cibo è tutto, il cibo è vita, è sopravvivenza e quando ami una creatura la guardi mentre si sazia perché a saziarsi è lo spirito.
    Il leone azzanna la sua preda, il ragno succhia i tessuti del suo pasto intrappolato nella ragnatela: quanta perfezione nelle fauci che dilaniano la carne, quanta poesia nei tessuti che si sciolgono e vengono assorbiti.
    L’istinto individua la vittima, il fiuto comanda l’azione.

    Darla Madison tirò su la saracinesca del Pet Market.
    L’uomo appoggiato alla macchina la vide entrare, schiacciò sotto lo stivale la sigaretta e attraversò la strada. Il desiderio si annidò nelle cavità interne del suo stomaco come un piccolo dolore: quel giorno la pietanza per i suoi amabili gattini aveva i capelli neri e un bellissimo sorriso.

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    1. No, ammetto che non lo ricordavo, quindi l'ho riletto con ancora più piacere. A volte non riesco a leggere tutti gli esercizi svolti sul blog di Michele ed è un peccato, perché mi perdo delle bellissime cose come questa.

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