venerdì 16 febbraio 2018

Lo strano caso di Star Trek Discovery – parte seconda

Lo avevo già scritto a metà stagione e non posso che ribadirlo dopo l'episodio finale. Quello di Star Trek Discovery è uno strano caso.
Così strano che andrebbe osservato con curiosità da chiunque si occupi di scrittura, perché le sue stranezze stanno tutte lì, nella scrittura e nel gioco con gli spettatori.

Ogni storia si basa su un patto tra autori e fruitori. In qualche modo noi spettatori conosciamo le regole entro cui gli autori devono giocare e ce ne andiamo offesi in caso di fallo. Se poi si parla di un universo narrativo condiviso le regole sono più ferree e più esplicite.
Quando scrivo di Sherlock Holmes non posso far apparire in scena il mio personaggio a Londra in compagnia del dottor Watson nel 1893. Perché nel 1893 Holmes è dato per morto, può apparire in solitaria in Tibet, ma non con Watson a Londra. Il 221b di Baker Street ha un modo tutto singolare di non esistere. Non esiste, ma guai a sbagliare il posto di una mensola. Le lettere finiscono pugnalate sopra al camino, non altrove.

Quello di Star Trek è un universo condiviso con le sue regole esplicite e non. È un universo futuristico ottimista, che mostra l'umanità al suo meglio e ha una gestione dei conflitti in più possibile non sanguinosa. 
Quando è stata annunciata questa nuova serie è stato annunciato, anche, che sarebbe stato in linea con quanto visto nelle altre serie, serie classica in particolare.
E poi ecco i primi episodi.
La protagonista causa la distruzione della propria nave trascinando tutti in una guerra sanguinosa. Poi finisce su una nave che viaggia con una tecnologia di cui non c'è traccia nelle altre serie. Con un comandante che sembra non disdegnare per niente la forza bruta.
La rete e i fan si scatenano.
Che ne è dell'ottimismo di fondo?
Ma questo capitano Lorca che sembra essere uscito da un altro universo narrativo?
Ma quale utopia di convivenza, che qui tutto sembra spingere al massacro finale?
Sinceramente i primi episodi sono sembrati un deliberato suicidio. Un suicidio ben fatto, tirato a lucido, ma che sostanzialmente ha fatto urlare i fan "questo non è Star Trek".
Ora, a serie conclusa io immagino gli sceneggiatori spiegarla così ai produttori:
– Allora, metà del fan ci abbandoneranno prima dell'episodio 4. Ma chi resisterà sarà in nostro potere fino alla fine.
Perché è così che è andata.
Al di là del giudizio globale sulla serie, a livello narrativo è interessante vedere come qui si proponga allo spettatore l'esatto opposto di quello che lui si aspetta e su questo slittamento si giochi tutto.

SPOILER ALLERT

Il personaggio che "ma è impossibile che sia capitato lì per caso, cosa si sono fumati gli sceneggiatori?" non era lì per caso.
E persino il capitano Lorca che sembrava uscito da un altro universo narrativo era, in effetti, originario di un altro universo narrativo.

E così a un certo punto lo spettatore attento ha iniziato a fiutare nelle dissonanze un disegno voluto e ha iniziato a giocare con gli autori.
Perché era questo che gli spettatori volevano. Trattare per una volta lo spettatore non come un decelebrato, ma come un risolutore di enigmi. Ci hanno fatto fiutare le dissonanze per farci capire che era un inganno.
Da primo terzo in poi le lamentele degli appassionati, in rete, si sono tramutate in ipotesi. Ci siamo accorti che gli autori giocavano con noi e abbiamo iniziato a ribattere.
E allora questo capitano così anomalo aveva per forza qualcosa da nascondere. E il personaggio capitato troppo opportunamente sicuramente qualcos'altro. E la tecnologia che doveva sparire (non è ancora sparita del tutto, in effetti, ma lo farà...)
Nello scorso post ero a metà visione. Le carte si stavano scoprendo, pregustavo e prevedevo i colpi di scena (alla fine li ho azzeccati quasi tutti, tranne il destino dell'imperatrice) e parlavo di una serie affascinante ma poco coinvolgente emotivamente.
A tre episodi dalla fine l'unico personaggio a starmi simpatico, per cui tifavo, era Lorca, quello che si è rivelato un impostore arrivista proveniente dall'universo ombra.
E nell'ultimo episodio, retorico, senza dubbio, invece questi maledetti sceneggiatori mi hanno preso anche sul lato emotivo. Costruendo un finale volutamente anticlimatico. Dove nulla va come nei soliti film americani, neppure gli ultimi di Star Trek (quanto mi ero arrabbiata quando lo scontro al vertice Spock/Kahan si era risolto a pugni in faccia...). I conflitti non scoppiano, gli amanti non si incontrano, nessuno si sacrifica eroicamente, i nemici vengono salutati civilmente e nessuno diventa capitano. Di colpo, sul finale è tornato quell'ottimismo umanista, anche se venata da una malinconia che lo rende più vero, che alla fine è l'essenza di Star Trek.

Al di là del fatto che la serie mi è piaciuta, quello che mi è piaciuto davvero è il gioco rischioso e spudorato degli autori con le aspettative degli spettatori. Farli arrabbiare, convincerli pian piano a giocare con loro, fino a stringerli nelle spire della loro storia.
Alla base di tutto c'è una scommessa. Una scommessa sull'intelligenza dello spettatore e anche, sì, sulla sua pazienza. Alla base c'è sicuramente non solo una conoscenza del proprio pubblico, ma anche una stima di fondo.
Noi, quando scriviamo, quanto stimiamo il nostro pubblico? Quanto lo invitiamo a giocare con noi?

10 commenti:

  1. Non riesco a immaginare di intrattenere un rapporto di questo genere con il lettore. A pensarci, non ho mai avuto pastoie nello scrivere le mie storie; forse le ho proprio schivate.

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    1. In realtà abbiamo tutti pastoie (se vogliamo chiamarle così, anche quando non ne siamo consapevoli, credo. Stabiliamo tutti un patto con il lettore, stabiliamo delle aspettative che possiamo rispettare o tradire. Qui si gioca a tradirle per poi recuperarle sul finale e l'ho trovato un esperimento interessante.

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    2. Certo, il patto con il lettore c'è sempre; ma mi veniva da domandarmi se per caso non schivo tutte le altre pastoie. Per esempio nelle mie storie non esistono date, né dettagli chiaramente databili; i luoghi spesso non sono reali, e quando lo sono comunque i personaggi viaggiano, per cui non possono calarsi a fondo del posto dove sono. Hai stimolato una riflessione ancora in corso. :)

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    3. Ovviamente devi valutare per il tuo percorso, secondo me per certe storie una localizzazione più precisa, pur con tutte le pastoie che ciò comporta, è un valore aggiunto.

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  2. Nelle "Postille a Il nome della rosa", Umberto Eco scriveva che le prime 100 pagine del libro potevano servire a selezionare i lettori. Nel senso che "se tieni duro, sei degno di leggerlo". Pochi scrittori, ovviamente, possono/vogliono permettersi di fare altrettanto.
    Se si fa parte di un franchise come quello di Star Trek, si ha l'apparente paradosso che "ci si può permettere" di tradire impunemente le aspettative del pubblico.
    In altre parole, ci sarà sempre quella base di fan irriducibili pronti a seguire tutto fino in fondo, anche solo per poterne discutere (o per poterlo criticare ferocemente) con altri fan.
    Ma è anche vero che si rischia. Il film n. 5 è universalmente odiato. La serie Enterprise è stata cancellata dopo 4 stagioni, e non 7 come ormai era diventato normale all'epoca.
    Eppure, nonostante tutto, ci saranno sempre quelli che andranno avanti a seguire una serie anche solo per vedere "come va a finire".
    C'è anche da dire che, se siamo all'interno di un universo narrativo come quello di Star Trek o di Star Wars, è difficile che un fan se ne faccia mancare una parte.
    È (ovviamente) il mio caso, inutile dirlo :)
    La cosa che più mi ha dato fastidio (oltre all'ennesimo inspiegabile cambiamento dei Klingon), è stata la rete di spore. Faceva sconfinare tutto un po' troppo nell'ambito del fantasy.
    Ma per il resto, come hai detto tu, ho resistito per vedere dove andavano a parare.

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    1. Ecco, la rete di spore non si può sentire. Come ha sintetizzato mio marito "l'universo ha un problema di micosi". Confido sparirà del tutto entro la seconda stagione. Per il resto devo dire che sono contenta di dove sono andati a parare

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    2. Spero anch'io che riescano a spiegare in modo adeguato come la rete sparisce, o perlomeno perché non se ne parla più ai tempi di Kirk. Ricucire i pezzi che non sempre combaciano è un tipico problema dei prequel. Questo naturalmente esclude l'antimicotico.

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  3. Commento ora perché stavo proprio terminando di vedere questa serie tv con mio figlio. A me non è piaciuta per nulla, l'ho definita senz'anima a partire dai personaggi e soprattutto la protagonista che aveva un carisma pari a zero. Ha ripigliato fiato proprio negli ultimi episodi con quei bei colpi di scena, ma devo dire che è lontana anni luce da Star Trek The Next Generation, ma anche da Deep Space Nine. Non penso proprio che vedrò un'altra stagione.

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    1. Ecco, invece a me con il tempo ha preso. La trovo ancora molto celebrale e poco empatica e non credo amerò mai la protagonista, ma nel complesso l'ho trovato un azzardato esperimento riuscito.

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