domenica 29 novembre 2020

All'origine della violenza contro le donne – una questione (anche) di linguaggio


 Alla fine di novembre partecipo spesso a iniziative per l'eliminazione della violenza contro le donne e spesso scrivo qualcosa in merito.
Quest'anno avevo deciso di non farlo. In parte perché mi sembra che alla fine si rigirino sempre gli stessi discorsi, in parte perché poi la giornata dedicata finisce per diventare una delle tante "giornate della" in cui si deve fare qualcosa (sopratutto a scuola o a livello istituzionale), bisogna far vedere che lo si è fatto e poi si va avanti come niente. Tuttavia tra la cronaca mi ha servito talmente tante polemiche, talmente tante cose da farmi venire l'ulcera, che alla fine vale la pena di ribadire qualche concetto.
Un po' tutti, penso, ci siamo imbattuti nella vicenda "della maestra che faceva filmini hard" (e già in questa definizione c'è tutto il necessario per una bella ulcera perforante). Ricapitoliamola per i due o tre eremiti che non ne sono al corrente. Una giovane donna si ritrare/si fa ritrarre come le pare e piace per piacere suo e del di lei compagno. Il di lei compagno, però, una volta diventato ex, divulga i filmati agli amici. Seguono una serie condivisioni fino a che una signora vede il filmato e riconosce la donna come una maestra d'asilo. Corre dalla dirigente scolastica, la quale decide di licenziare la maestra perde il posto. Segue lungo processo che (sia Lode) dà ragione alla giovane donna. Arrivano quindi gli articoli e, con essi, le polemiche. Non c'è singolo post o trafiletto sull'argomento in cui il genio di giornata a un certo punto non abbia detto "certo che lei avrebbe anche potuto evitare di farsi filmare". E in tutto questo secondo me c'è, anche, il cuore del problema.

Perché la violenza contro le donne non sono solo le uccisioni, le percosse e le minacce, quelle sono la punta di un iceberg enorme alla cui base c'è il "lei avrebbe potuto evitare..." e questa affermazione galleggia sul semplice quanto mortifero presupposto, cioè che la donna possa essere solo oggetto e non soggetto della propria sessualità.

Perché alla fine è tutto lì il problema. 
Proviamo a invertire i ruoli nella storia della maestra. Un uomo si fa un filmino ammiccante con la fidanzata. Dopo essere stato mollato lei divulga le immagini alle amiche. Seguono commenti sulla sua prestanza. Il filmato arriva al marito di una di loro. Il povero malcapitato viene fatto oggetto, al peggio, di battute, più o meno pesanti, sul fatto che ce l'abbia piccolo. Oppure viene ammirato. Nel primo caso la questione si può fare sgradevole e potrebbe dare origine a una denuncia da parte della vittima. Dubito che il suo posto di lavoro sia a rischio.
I commenti, più o meno malevoli, riguarderebbero il modo in cui lui è soggetto (forte o debole a seconda della propria prestanza) della propria sessualità e della presunta qualità dell'oggetto di essa (più o meno gnocca la ragazza). Potrebbe uscire anche un "lui avrebbe potuto evitare", ma solo se l'uomo fosse ritenuto un soggetto troppo debole per esporsi.
Lei, tutte le lei del mondo, invece sono ritenute solo possibili oggetti e, come tali, vanno incontro alla pubblica riprovazione ogni qual volta si espongono come soggetti.

Alla fine è un meccanismo banalissimo. Vi ricordate come parlano della propria sessualità gli adolescenti? Io, ahimè li ascolto, quando loro non se ne rendono conto. I maschietti parlano di come gli si rizza, per quanto gli si rizza, per quali motivi gli si rizza. Le ragazze parlano di come attirare l'attenzione del ragazzi, di quali ragazzi attirare l'attenzione, come fare con loro.
Pensate all'utilizzo del verbo baciare. 
Un ragazzo non dirà mai o quasi che "è stato baciato", ma sempre che "ha baciato".
Una ragazza generalmente non ha problemi a dire che "è stata baciata".
Lui soggetto.
Lei oggetto.

Tutto ciò è prettamente, puramente culturale. Lo sappiamo tutti, lo sappiamo fin dalla notte dei tempi che è una finzione. Che le donne hanno preferenze, desideri, pulsioni come qualsiasi altra creatura sessuata. Però la nostra cultura ci condiziona a far finta che non sia così. Ci condiziona fin dall'infanzia. Siamo tutti condizionati e gli effetti, a guardarli da fuori sono fin surreali. 
 E quando una donna si pone come soggetto della propria sessualità fa sempre scandalo.
Immagino che sia la signora che è corsa dalla dirigente scolastica e la dirigente scolastica stessa avessero ben chiaro che le maestre non fanno voto di castità. Per quanto ne so è una categoria che si riproduce senza particolare difficoltà. Ma evidentemente nel 2020 è comunque cosa che non va sbandierata. Sopratutto se la suddetta maestra si mostrava (in un video che non era nato per diventare di pubblico dominio) come soggetto attivo della propria sessualità. Sia mai! Lo scandalo da prevenire, ovviamente, non era dei bambini (fascia 3-6), ma dei genitori, che, andando a recuperare il pargolo non avrebbero potuto non immaginarla nuda. E non si può. Si sa, una donna che agisce all'interno della propria sessualità lo può fare solo in un ambito lavorativo ben preciso. Che guarda caso può essere usato anche come insulto. Figlio di gigolò non l'ho mai sentito dire a nessuno.

In questa storia, grazie al cielo, non ci sono né morti né feriti e per questo la possiamo analizzare anche con tono più leggero. Grazie al cielo la vittima non era così ingenua e indifesa e, perso il lavoro, non si è buttata da un balcone ma è andata da un avvocato. Qualcun'altra reagisce invece nel primo modo.

Il problema della violenza sulle donne non è (solo) di chi uccide o picchia.
Non è (solo) di generazioni cresciute senza alcuna educazione emotiva, uomini pieni di muscoli, ma che non sanno reggere un abbandono o un tradimento senza sentirsi giustificati a una vendetta.
Non è (solo) in una società patriarcale ancora radicale che vede ancora la donna come sottomessa.
È anche di un condizionamento che è linguistico e culturale insieme. Da un verbo baciare al passivo quando un soggetto è femminile.

È da qui, credo, che dobbiamo partire per scardinare il sistema. Con l'uso quotidiano del linguaggio. In un continuo ribadire verbale, sopratutto quando parliamo a dei giovani, che anche la donna può essere soggetto.
Le principesse baciano il principe.
La ragazza corteggia. Sceglie. Ama. Lascia.
A dispetto di come si veste e del lavoro che fa vive la propria sessualità (si spera) con piacere e gusto e la condivide (nei limiti della legge) come le pare con il/la proprio/a partner.
Non può essere così difficile.
Partiamo dalle principesse. Iniziamo a dire che baciano loro il principe, perché a loro quel principe piace, così come piace il bacio.
Perché ricordiamoci che il linguaggio plasma il nostro pensiero, e il nostro pensiero plasma il nostro mondo.

Scusate lo sproloquio da vecchia prof di lettere.

Per chi volesse qualcosa di decisamente più leggero, ecco qui Racconto di Pratile – Capitolo due

26 commenti:

  1. Il linguaggio è importante, ma alla base ci deve essere l'educazione della persona e una condotta morale. Proprio oggi leggevo di un ventitreenne che ha abusato di due cugine dodicenni, mi sentivo male mentre leggevo la notizia...

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    1. L'educazione è in gran parte verbale. Se certo è deleterio predicare bene e razzolare male, bisogna anche cercare di predicare bene.
      (Poi, certo, alcuni fatti di cronaca sono proprio oltre, lì si va nella psicopatologia, credo)

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  2. Condivido questo scritto dalla prima all'ultima parola. Il linguaggio condiziona il pensiero e viceversa.
    Proprio l'altro giorno parlavo al telefono con un'amica: mi confidava che occuparsi di due bambine piccole, oltre a lavorare (insegna inglese), è molto faticoso, ma tutti i parenti le dicono che è molto fortunata perché suo marito "aiuta in casa" (nel senso che sparecchia).
    Le ho chiesto: scusa, ma perché di te non dicono che sei brava perché "aiuti in casa"? Chi ha detto che il lavoro domestico spetta a te e non a lui?
    Dopo una pausa ha risposto "Ma lo sai che hai ragione? Non ci avevo mai pensato."
    Appunto.

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  3. Sono contenta che tu abbia deciso di parlarne perché io questa storia della maestra filmata non l'avevo sentita ed è importante condividere la sua esperienza, soprattutto il lieto fine che la solleva di ogni colpa.

    Per quanto riguarda i baci, a me dan da fare le serie originali di Netflix e i film che puntano ad attirare un pubblico giovanissimo perché le ragazze sono troppo, troppo disinibite e danno un'idea esagerata dell'arrapamento che si prova a 15 anni. Io personalmente mi son sviluppata tardi e ero molto più arrapata a 30 anni che a 15, e mi dà noia vedere queste perette acerbe che a metà appuntamento non ci stanno più dentro e si lanciano avidamente sul fortunato malcapitato (allocco sempre più nerd) che rimane esterrefatto vedendosi strappare le mutande.

    Per quanto riguarda i fatti di casa di cui parla Giorgia, qui in Canada per fortuna c'è molta più parità dei sessi, la mia teoria è che lasciando il nido molto prima (in genere a 18 anni) i maschi si abituino a mettere la pizza congelata in forno e gettare i vestiti nella lavatrice. Non c'è da aspettarsi che si impegnino in ricette complicate o che dividano i bianchi dai colorati, ma almeno non si aspettano di venire a casa della palestra e sedersi a tavola apparecchiata (mi riferisco a una storia successa veramente a una mia amica italiana dove il marito si è arrabbiato perché lei aveva fatto la pasta invece lui stava facendo questa dieta per sviluppare i muscoli e l'ha spedita a comprare i calamaretti o una cosa del genere e ha aspettato seduto sul divano col cellulare che lei tornasse e glieli preparasse). What??!!??

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    1. Allucinante!
      Vedi, a mio marito non verrebbe mai in mente di comportarsi così (mangerebbe la pasta e basta, oppure uscirebbe a comprarsi questi calamari); eppure è tutto fiero di dire che "mi aiuta in casa", senza accorgersi che, così dicendo, sottintende che il lavoro domestico spetterebbe di diritto a me.
      E' proprio una questione di linguaggio, di abitudini pervasive, talmente radicate nell'uso che neanche una persona sensibile se ne accorge.

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    2. Scusate mi inserisco nella vostra discussione sul "marito che aiuta in casa" fornendo la mia personale esperienza anche se so che può suonare come una difesa d'ufficio della categoria.
      Sono un marito ed un padre che lavora da autonomo (al giorno d'oggi direi che tenta di lavorare ma non divaghiamo) mia moglie lavora nella scuola con tutto quel che attualmente ne consegue ed abbiamo un pupo che va all'asilo. Nella nostra vita quotidiana ci dividiamo più o meno equamente i compiti della casa e della gestione del pupo, nello specifico facciamo a turno per pulire / rassettare la cucina / far partire e svuotare la lavastoviglie, anche nel portare e prendere il bimbo siamo abbastanza intercambiabili. Stessa cosa per le pulizie (anche se sono meno efficace di lei) la gestione della lavatrice e la stenditura / stiratura dei panni. Mi rifiuto solo di cucinare per evitare a tutti una corsa all'ospedale anche se una pasta con l'olio so farmela e so riscaldare una pietanza dal frigo. Adesso che ho esposto le mie competenze posso parlare di cosa penso sulla questione: certo non mi sento un "eroe", anche perchè fare i lavori di casa non mi pesa troppo, non mi sento sminuito per il fatto che faccio i lavori di casa, in quanto non li reputo lavori "da donne" ma solo lavori utili affinchè tutti, me compreso, possano stare bene in un ambiente decente e confortevole. A volte però faccio il confronto con mio padre (classe 1939) e gli uomini della sua generazione che in casa non alzavano quasi mai un dito al massimo facevano le riparazioni o lavoravano l'orto e tenevano il giardino e devo dire che mi fa uno strano effetto, forse una parte di me vorrebbe maggior riconoscimento per quel che faccio almeno nella stessa misura in cui, giustamente, lo vuole una donna. Credo che in fine dei conti la questione stia tutta nel volere vedere l'altra persona ed il valore di quello che fa a prescindere da quello che si fa!
      Un saluto e grazie per la pazienza!

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    3. Io, a differenza di mia nonna (ma anche di mia suocera, che appartiene alla generazione successiva), oltre a crescere un bambino e sbrigare le faccende domestiche ho anche un lavoro. A nessuno è mai venuto in mente di dirmi brava per questo. Alla lunga, la fatica non riconosciuta rischia di diventare un fardello troppo pesante da reggere.
      Un altro esempio: l'estate scorsa, al mare, mia mamma (persona intelligente e molto sensibile al tema della disparità uomo-donna) ha commentato ammirata "guarda che bravo quel papà, gioca coi bambini per far riposare sua moglie!". Mi sono guardata intorno: c'erano un sacco di mamme in acqua coi bambini (e padri sulla sdraio), ma lei non ci aveva fatto caso (è normale, è il loro compito), mentre aveva subito notato il papà. Era bravo quel papà? Certo. E le mamme intorno a lui? Certo. Però siamo abituati a considerare istintivamente un merito la fatica del padre, e un dovere quella della madre.
      In definitiva, penso che tu abbia ragione: abbiamo tutti bisogno di sentire riconosciuti i nostri meriti, o almeno l'impegno che ci mettiamo. Vivremmo molto meglio :)
      Scusate se sono andata fuori tema!

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  4. @ Giorgia, Lisa e Mist, sull'uomo che aiuta in casa.
    È una questione che non ha mai fatto parte della mia esperienza. Mio papà, con tre fratelli più piccoli e una mamma spesso malata è sempre stato abituato a fare i lavori di casa. Mio marito sta fuori casa più di me e quindi i lavori sono in proporzione, ma durante il lockdown, quando eravamo entrambi in telelavoro ognuno faceva il suo. Insomma, quando mi raccontano cose come quella dell'amica di Lisa mi sembra assurdo e invece è ancora mentalità diffusa in Italia che la casa si dovere femminile in cui il marito al massimo "aiuta". Francamente la cosa mi sembra che sminuisca l'uomo. Mio padre si è sempre fatto un vanto delle sue abilità domestiche che lo rendono autosufficiente e lo stesso discorso lo faceva mio marito, non è che si possa passare dalla tutela della mamma a quella della moglie, come fossero esseri privi di libero arbitrio, no? Eppure mi rendo conto che sono una minoranza gli uomini che la pensano così.

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    1. Aggiungo che io sono stata in isolamento due settimane lontano da casa. È vero che mia suocera ha aiutato parecchio, ma come ce la saremmo cavata come famiglia se mio marito non avesse saputo lavare, stendere e cucinare? Come può reggere una famiglia con un uomo inetto? E se la moglie finisce in ospedale?

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  5. Mi sono resa conto che questa cultura e il linguaggio con cui essa si è sviluppata, le varie favole con principi e principesse, i figli di puttana che non sono mai figli di gigolò, non tramonteranno mai del tutto. sono pessimista: il mondo non cambierà mai, parlarne ci fa sfogare, forse qualche sentenza comincia a darci ragione, ma lo zoccolo del pregiudizio e del luogo comune resterà duro.

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    1. Secondo me l'idea che "non cambierà mai" è il modo perfetto per non far cambiare le cose. Mia nonna materna era di estrazione borghese, eppure per lei la laurea era un sogno impossibile, anche avere un lavoro proprio che le piacesse (esperienza che ha provato in tempo di guerra) una cosa incompatibile con il suo status di moglie di un professionista. Mia mamma si è laureata, ha sposato un uomo appartenente a un altro ceto sociale senza neppure rischiare di essere diseredata (oddio, forse un po' l'ha rischiato). Io sono stata invitata a fare della mia vita quello che volessi. Sono passate tre generazioni. Mia nonna non ha studiato ma ha smesso di parlare a sua figlia come se studiare non fosse adatto a una donna e sicuramente mia mamma è stata incoraggiata più verso lo studio che verso la caccia al marito. Insomma, le cose cambiano. Tre generazioni da un punto di vista storico non sono così tanto. Figlio di puttana forse rimarrà un insulto, almeno nell'immediato, ma se pensiamo che le cose non possano cambiare. Beh, di certo non cambieranno.

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    2. Visto che siamo in tema di esperienze coi nonni, mi ricordo il mio che quando doveva insultare qualcuno, le rare volte chelo faceva, usava un termine che io non ho mai dimenticato e che a questo punto credo ripolvererò: "Figlio d'ignoti!"

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  6. Avevo sentito la storia di questa insegnante nel programma di Gramellini, il racconto mi ha fatto accapponare la pelle e mi ha dato enorme sollievo sapere che alla fine lei abbia vinto la causa, ma l'idea di quello che ha dovuto passare mi ha lasciato un gran disagio interiore.
    Hai ragione, la donna "soggetto" da fastidio e, nel linguaggio, viene vista come un soggetto passivo ed è davvero fastidioso sentire certe argomentazioni sulle donne, "se l'è andata a cercare" "come eri vestita" "che bello, tuo marito aiuta in casa". Bisogna cambiare e cominciare dal linguaggio costituisce un inizio, poi bisogna cambiare anche la mentalità delle donne stesse, tanto è vero che la denuncia del caso della maestra è partita da una donna, questa parte della storia è quella che mi ha disturbato di più.

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    1. In realtà temo di aver cantato vittoria troppo presto, pare che il processo sia ancora in corso. Quanto al contesto più generale, il linguaggio è specchio di ciò che pensiamo e plasma il pensiero di chi ci ascolta, quindi cambiare il linguaggio è aprte del cambiare mentalità

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  7. Le donne a volte sono le peggiori nemiche di loro stesse, purtroppo!

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  8. Condivido ogni sillaba e rilancio: io credo che si possa cambiare. Non penso sia un'utopia perché sento che al 99% cambiare le cose dipende da noi donne.
    I nostri ruoli in rapporto al maschio: figlia, sorella, fidanzata, moglie, madre, collega. Ogni ruolo è se ci pensiamo delicatissimo e può essere cruciale. Da figlia e sorella, se nasci e cresci in una famiglia maschilista come la mia famiglia d'origine, sai che tua madre governa la casa e tuo padre porta il cibo in tavola e paga le bollette. Tuo fratello non si rifà il letto, non apparecchia né sparecchia la tavola, non fa la spesa, tutte cose che faccio io sorella. Il passaggio è nel ruolo "fidanzata", quando si esce e si va nel mondo. Se si afferrano certi princìpi fin da subito, si sceglie un uomo che non è un maschilista. Io, per esempio, me ne sono scelto uno che è cresciuto fra donne molto forti e con un padre che collaborava in casa. Il modello era positivo ma io tendevo a porlo su un piedistallo e lui ha acquisito qualche grado di maschilismo. Solo molto dopo ho capito e corretto il tiro, oggi posso dire di vivere da tempo un perfetto equilibrio, ma devi essere chiara ogni giorno se hai un passato da maschilista. Insomma, io ho toccato entrambe le esperienze e dico che si può cambiare, e si può contribuire a cambiare questi pessimi e distruttivi modelli. Dipende da NOI DONNE, non dagli uomini.

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    1. Per gli uomini credo sia un passaggio ancora più impegnativo, perché si deve passare alla consapevolezza che l'uomo femminista è un uomo più indipendendente e quindi per certi versi più forte. Ma non sono molti gli uomini che fanno questo passaggio da soli. Quando ero più giovane lo credevo, poi sono incappata in uomini incapaci di farsi un caffè nella propria cucina (!). Quindi sì, noi donne dobbiamo per prime impegnarci per cambiare le cose. È una faticaccia, ma non c'è altra via.

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  9. Condivido in pieno; questi sono gli esempi in cui il linguaggio deve contribuire all'evoluzione. Sinceramente trovo irrilevante la presenza di asterischi e chioccioline al posto della vocale finale a femminile o al maschile. E' alla sostanza che bisogna badare, non alla forma (che a volte è essa stessa sostanza, ma non sempre).

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    1. Su asterischi e chioccioline non ho ancora un'opinione precisa, ma perché no? Di certo non mi infastidiscono. Per quanto riguarda il linguaggio, però, vale più la frase della sola parola e più il testo della frase. Sono l'insieme delle parole che diciamo che possono cambiare qualcosa, forse. Da sola, la chiocciolina è solo un vezzo.

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  10. È un caso in cui ognuna deve fare la sua parte, senza proclami ma con i fatti, soprattutto per fare un terreno favorevole per le nuove generazioni. Le ragazze non dovrebbero crescere sentendo parlare di parità ma viverla, semplicemente (e smetterla di iscriversi ai licei linguistici, ma questa è una mia fissazione personale e abbastanza insensata). Per la storia della maestra, ammetto che non avevo pensato che, rovesciando le parti, il posto di lavoro di lui non sarebbe stato a rischio. E invece la questione è tutta lì - oltre che nel fatto che, davvero, ci facciamo un po' troppo i cazzi degli altri)

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    1. Perché no i licei linguistici? (Io sono negata per le lingue, ho sudato sul greco e il latino, sapendo che, grazie al cielo, non li avrei mai parlati, quindi ho ammirazione per chi sceglie il linguistico, che da noi è gettonato anche dai maschietti). Per il resto che dire? Per vivere la parità bisogna anche narrarla, raccontarla, in modo che parola e azione coincidono, perché il problema è proprio quello. A parti invertite lui avrebbe avuto magari qualche presa in giro, ma il posto di lavoro sarebbe rimasto intoccabile.

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    2. A St. Mary Mead il liceo linguistico è una scuola a indirizzo soprattutto femminile, ma immagino sia una perversione locale. In realtà ho una certa allergia al liceo in generale. Il tecnico linguistico, per esempio, riscuote la mia incondizionata approvazione 😁 (a tutti i poeti manca un verso, figurarsi alle blogger!)

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    3. No, qua la scuola femminile (per cui ho avversione) è il liceo delle scienze umane. Invece io sono una classicista fin nel midollo e cerco sempre di traviarli sulla strada del greco antico (ma ci riesco poco)

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  11. Ho pensato a lungo se partecipare alla discussione, visto la tematica alquanto scottante.
    Anch'io, come Antonella, credo che dire "non cambierá mai niente" sia la porta aperta per la stasi, l'immobilitá. Bisogna credere al cambiamento che desideriamo, le nostre idee e i nostri sogni forgiano il mondo. Inoltre, volevo introdurre uno sguardo da un paese diverso. Sono quasi 12 anni che vivo in Germania, e qui la paritá tra uomini e donne, soprattutto per quanto riguarda la realtá domestica, quella lavorativa é un'altra cosa, ha raggiunto un livello diverso rispetto all'Italia. Gli uomini partecipano, attivi, alle incombenze casalinghe, spesso quanto o piú delle donne. Quello che invece mi lascia perplessa, e che non vorrei arrivasse in Italia, é l'aggressivitá delle donne nei confronti dell'altro sesso, che all'interno di una relazione si stanno quasi trasformando nel sesso debole. Non é l'evoluzione che immagino, ecco. Credo che l'energia femminile sia forte abbastanza per imporsi con dolcezza, fermezza, e non con il pugno duro.
    Detto questo, confesso che tra le pareti di casa mia "vizio" il mio marito tedesco, che sicuramente ha parecchi vantaggi dall'aver sposato un'italiana rispetto a una sua conterranea...

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    1. Ciao,
      grazie per aver partecipato alla discussione!Qua la realtà domestica è spesso desolante, nel senso che mio marito è visto come un marziano per il semplice motivo di sapersela cavare in casa e io come una bestia rara perché so interloquire se si parla di scienza o di fantascienza. Sull'aggressività femminile non ti saprei dire. Spesso c'è quella che chiamo "la sindrome del cane piccolo", l'aggressività data dall'insicurezza e dalla paura che vengano messi in dubbio i risultati ottenuti e posso capire che molte donne si trovino in questa situazione. Infine non voglio in alcun modo giustificare un'aggressività che, per altro, non conosco, ma non penso che una donna deve per forza essere dolce. Ognuno deve avere il diritto di vivere con correttezza il carattere che ha, conosco donne con un sacco di pregi e che tuttavia non sono per nulla dolci. La cosa strana è che alcune di loro se ne fanno una colpa, mentre è semplicemente un loro modo di essere.

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