martedì 6 dicembre 2016

Il fascino discreto della forma passiva

Dopo la mia accorata difesa degli avverbi in -mente mi sento di scagliare una lancia anche in favore di un'altra specie grammaticale minacciata, la frase passiva.

Basta ascoltare come parlano i ragazzi per rendersi conto che l'uso del passivo nel linguaggio delle nuove generazioni è quasi scomparso. Quando proprio un esercizio li obbliga a scrivere una frase passiva escono esperimenti molto creativi, ma che poco hanno a che fare con la grammatica italiana.
Poi ci si mettono anche i guru della scrittura, sopratutto americani a sconsigliarne l'uso nelle narrazioni. È involuto e appesantisce inutilmente la prosa. Il capofila, in questo, è il buon King, che io assai stimo, ma con cui a volte dissento. Oltre tutto non sono così sicura che questi diktat pensati in una lingua si possano applicare fatti e finiti in un'altra.
La frase passiva è, inutile negarlo, più involuta e pesate di quella attiva. Per dire lo stesso concetto usa più parole, cosa che è considerata ormai quasi da tutti un male assoluto in narrativa.
Il suo scopo, però, è focalizzare l'attenzione del lettore sulla persona, l'animale o la cosa che subisce l'azione.
Qualcuno aveva lasciato una rosa rossa sul comodino a fianco del letto
Concentra subito l'attenzione su "qualcuno" e il mistero che rappresenta.
Una rosa rossa era stata lasciata sul comodino a fianco del letto
Porta la nostra attenzione sulla rosa rossa, che come tale avrà un significato. Il mistero su chi l'abbia lasciata permane, ma siamo più consapevoli dell'importanza della rosa. Abbiamo ben chiaro che è rossa e già la nostra mente ha escuso la nonna come autrice del gesto.

Gli assassini avevano accoltellato l'uomo al cuore
Lo trovo quasi una mancanza di rispetto nei confronti della vittima. Perché concentra tutta l'attenzione sugli assassini, che visualizziamo nell'atto di accoltellare l'uomo, anche se di fatto l'azione è già avvenuta. È come se si parassero tra noi e la vittima, occupando tutto il nostro campo visivo.
L'uomo era stato accoltellato al cuore dagli assassini
Ha un effetto diverso. In questo caso non visualizziamo l'azione, ma il suo effetto. La vittima a terra (presumibilmente), con la lama del coltello che spunta dal petto. Nella nostra immagine mentale gli assassini possono anche non esserci. Tutta l'attenzione è sulla vittima.
A ben vedere si tratta di uno slittamento dell'attenzione non da poco, tanto che io utilizzerei le due frasi in contesti diversi, a seconda se voglia dare più attenzione a chi agisce o a chi subisce l'azione.
La prima frase quando siamo concentrati sugli esecutori:
Gli assassini hanno accoltellato l'uomo al cuore. Solo a un primo sguardo sembra opera di un solo uomo. I lividi al collo e ai polsi della vittima dimostrano chiaramente, mio caro Watson, che erano almeno in due. Uno lo teneva fermo mentre l'altro colpiva.
A Holmes della vittima importa poco o nulla, a lui importa capire l'enigma che l'omicidio comporta e trovare gli assassini. La frase in forma attiva gli viene naturale alle labbra, perché la sua attenzione è concentrata sugli esecutori.
L'uomo era stato accoltellato al cuore, su questo pochi dubbi, considerata la lama che ancora sporgeva dal torace. Notai subito che si trattava un professionista benestante, un avvocato, forse un medico, a giudicare dagli abiti...

La frase passiva, almeno nella lingua italiana, l'unica che conosca abbastanza da pronunciarmi, crea sfumature di significato differenti, focalizzato l'attenzione in modo diverso da quanto fa quella attiva. È di certo più pesante, ma ha uno scopo preciso. Come tutti gli strumenti specializzati va usata a proposito, solo quando serve, proprio come non si usa un cannone per colpire un fringuello.
Però difendiamola (insieme ai poveri avverbi in -mente). A forza di semplificare la prosa a volte penso che ci verrà proposto di scrivere romanzi solo con gli emoticon. 
Voi cosa ne pensate?

23 commenti:

  1. Scrivere romanzi con gli emoticon è un'idea ormai vecchia:
    http://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2016/05/20/news/emoji_pinocchio_la_prima_opera_italiana_in_emoji_cosi_scriviamo_la_grammatica_delle_immagini_-140139831/

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    1. Ecco, lo temevo. Il futuro è nel geroglifico. Neppure quello classico, suppongo, che era una scrittura molto più raffinata di come può sembrare a prima vista...

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  2. La tua analisi mi è piaciuta molto, mi ha donato una prospettiva diversa, sai che non avevo mai fatto caso a questa differenza tra frase attiva e frase passiva. Sono d'accordo, usata bene e nel giusto contesto la frase passiva crea la giusta sfumatura.

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    1. La nostra lingua è ricca di sfumature, di cui a volte finiamo per dimenticarci.

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  3. Ottimo articolo, che oltre a mettere in evidenza la fondamentale differenza tra una forma attiva e una forma passiva dimostra che spesso le cosiddette regole rappresentano vacue generalizzazioni. Mi piace pensare a ogni frase come a un'entità dotata di vita propria, che quindi non può ricadere in inutile cliché. A te può stare bene un vestito che su di me fa ribrezzo. Alla stesso modo, in un periodo può star bene (alla luce dei nostri intenti comunicativi) un avverbio un aggettivo o una forma passiva che altrove stonerebbe.

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    1. Molte "regole di scrittura" poi vengono tradotte pedissequamente dall'inglese. Io non conosco abbastanza quella lingua per capire quanto vi funzionino, ma di certo l'italiano ha caratteristiche sue proprie che vanno rispettate, oltre che una ricchezza che gli autori dovrebbero preservare, invece che limitare. Infine sono d'accordo con te. Ci deve essere quella frase e quella parola al giusto posto. Quella e non un'altra.

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    2. A maggior ragione: le regole tradotte da un'altra lingua devono essere utilizzate in modo flessibile. Mi vengono in mente, forse per deformazione professionale, le norme UNI sulla qualità: se alcune sono tassative ed universali, altre sono più delicate, quindi strutturate in modo da fornire delle indicazioni di carattere generale, poi adattate alle singole realtà aziendali. :)

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    3. Il buon senso va applicato in ogni campo

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  4. Bello questo post. Non solo perché va coraggiosamente contro corrente, ma perché esplora in profondità le possibilità della lingua.
    Come tu hai già detto nel post sugli avverbi, se la lingua offre certa forme un motivo ci sarà.
    Credo che questo valga anche per il passivo: l'importante è utilizzare la lingua con consapevolezza e non fare scelte a priori dettate dalle mode.

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  5. Trovo abbastanza strano il fatto che “l'alleggerimento” di una lingua sia accettato anche da un'altra, soprattutto se si tratta di due idiomi che vengono da ceppi linguistici così diversi e che ricorrono a strategie grammaticali e comunicative completamente differenti. Dunque, per farla breve, a me la forma passiva piace. Se usata come deve essere usata, non appesantisce ma affascina, focalizza l'attenzione sul fatto che l'autore vuole sottolineare e non su chi lo compie. Per cui, sono d’accordo con te. :)

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    1. Io trovo strano che si voglia a tutti i costi alleggerire una lingua. Ci sono momenti per un linguaggio leggero come una velina e altri per prose avvolgenti come piumoni invernali.

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  6. Molto, molto interessante. Mi sono imbattuto spesso in questo genere di necessità.

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    1. Sì, ogni frase deve avere il suo perché. Non è facile, però...

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  7. Un articolo molto interessante, così come quello sugli avverbi in -mente.
    Se non ricordo male le lezioni di linguistica, cercare di semplificare e alleggerire la lingua è una cosa che facciamo naturalmente (eccolo!, il -mente! Ma lo voglio usare).
    Oggi ascoltando parlare alcuni miei amici mi rendo conto che si creano dei veri e propri tagli alle parole, che altro scopo non hanno se non quello di fare il minimo sforzo nel parlare. Ad esempio mia nipote mi dice di "stare tra" e che "si è fatta una certa", e davvero non capisco perché.
    Il succo del discorso è che forse sostituire le parole più lunghe ed eliminare i tempi più complessi è nella nostra natura. Se guardiamo alla lingua che veniva usata nell'ottocento già notiamo un fortissimo cambiamento, e cosa potrebbe succedere all'italiano fra altri duecento anni? Perderemo alcune parole, come è già accaduto, accorceremo le frasi e limiteremo i tempi verbali (qualcuno alzerà la mano e dirà: "Tanto il passato remoto non lo usa mai nessuno").
    Già lo stiamo facendo, ma anche se è un processo naturale è un processo giusto?

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    1. Credo che, almeno in parte, lingua parlata e quella scritta non debbano coincidere. Non al 100%. Sono coloro che scrivono che, con molta più coscienza di causa, stabiliscono cosa rimane in uso e cosa cade nel dimenticatoio nella scritto. Un esempio è proprio il passato remoto, che continua a vivere benissimo nella lingua scritta. Credo sia una responsabilità specifica di noi che scriviamo capire cosa è ampolloso e cosa ha una sua utilità nella lingua scritta.

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  8. Giustamente anche le frasi passive hanno un loro ruolo, e danno una sfumatura diversa al testo. Anche di queste finezze è fatta la sensibilità alla lingua, che va oltre le "regole".

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    1. A volte le regole sembrano tagliate con l'accetta, risposte facili a problemi complessi, il rischio è di finire per scrivere testi dal sapore preconfezionato.

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  9. In effetti l'inglese è una lingua molto più asciutta della lingua italiana, a partire dalla punteggiatura. Gli anglosassoni usano molte meno virgole di noi, ad esempio, e ignorano quasi totalmente l'uso del punto e virgola.
    P.S. Magari la rosa rossa era stata proprio lasciata dalla nonna! :-)

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    1. Cosa che ci stupirebbe e sarebbe un bel colpo, la rosa rossa della nonna.
      Non conosco abbastanza l'inglese per pronunciarmi, ma la nostra è una prosa che può essere anche ariosa e musicale, a volte l'eccesso di semplicità finisce per mortificarla (parola di una che scrive semplice)

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    2. Potrebbe essere anche un bel titolo per un racconto di mistero: "La rosa rossa della nonna". ^_^

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  10. Mi trovo pienamente d'accordo, come col post sugli avverbi e la recensione di "On writing".

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