giovedì 8 novembre 2018

Padrone del tuo destino – racconto a puntate, capitolo 6







San Pietroburgo – Maggio 2002

– Adesso abbiamo smesso di giocare – disse Y. ai suoi tre atleti, riuniti in una delle salette del palaghiaccio. – Sono arrivate le assegnazioni per il Grand Prix Juniores. L’anno scorso avete fatto una stagione di prova. Adesso si fa sul serio e mi aspetto che uno di voi tre vinca il Grand Prix.
G., K. e V. annuirono all’unisono, con gli sguardi seri. G. appollaiato sulla sedia in una di quelle sue posizioni assurde in cui gli arti si attorcigliavano tra loro ma da cui in qualche modo sapeva sempre districarsi, K. rigido e attento, pronto a balzare sull’attenti, V. in apparenza rilassato, ma con le mani che tormentavano il portafazzoletti di peluche. Bene, pensò Y., stavano prendendo la cosa sul serio. Il Grand Prix apriva la stagione internazionale e psicologicamente era un banco di prova fondamentale. Per gli juniores i ritmi erano un po’ meno serrati che per i senior, ma si veniva comunque sballottati per il mondo, costretti a gareggiare ancora sottosopra per il fuso orario e obbligati a dei testa a testa con gli altri atleti. Per esperienza, Y. sapeva che le rivalità peggiori nascevano durante il Grand Prix. E, in questo senso, le assegnazioni non li avevano favoriti.
– Partiamo subito con la prima tappa – spiegò. – Sia K. che V. vi parteciperanno, in Francia, a Courchevel, dal 21 al 25 agosto
I due ragazzi si guardarono, V. un po’ spaesato, K. minaccioso.
– G. andrà invece negli Stati Uniti un mese dopo e poi ognuno di voi si farà una tappa diversa, con mia grande gioia, che a ottobre non faccio un fine settimana che sia uno a casa, K. in Germania, V. in Cina e G. in Italia. Tutti e tre avete le carte per arrivare alla finale e sarei molto deluso di scoprire che il vincitore non sta adesso qui in questa stanza.
G. sospirò, stirandosi le braccia.
– Io mi chiamo fuori da questo – disse. – Farò del mio meglio e voglio entrare in finale, ma per vincere devo far fuori i miei compagni di allenamento.
– Puoi vederla come una sfortuna o una fortuna, G. – replicò Y., serio. – Se fossi nato in un qualsiasi altro stato del mondo saresti il migliore della tua nazione. Ma qui ti confronti ogni giorno con il meglio. Se riesci a tenere il loro passo, riesci a tenere il passo di chiunque e non ci sarà nessuno, là fuori, che potrà mai intimidirti.
Il ragazzo fece un sorriso poco convinto nel volto magro e affilato. Non era facile per niente la sua posizione. Lavorava più degli altri due, studiava più degli altri due, era l’unico ad avere dei voti decenti a scuola, e comunque non riusciva a primeggiare. Non era ancora riuscito a fare un triplo Axel come si doveva, mentre gli altri pensavano già a mettevano già nelle combinazioni. Y. al posto suo avrebbe pensato seriamente ad avvelenare il cibo della concorrenza e invece G. cercava in tutti i modi di farsi amici le due primedonne. 
K. invece sbuffò.
– Voglio modificare i programmi – disse. – Sono il più grande e il più bravo. Ho diritto a portare un programma più difficile di quello di V.
– Ah, sì? – replicò il tecnico. – I diritti voi tre ve li conquistate sul ghiaccio. Se potete fare una cosa dovete farla e poche storie. Mi aspetto di vedere il vostro meglio e solo la classifica finale ci dirà chi di voi è il più forte.
K. sostenne il suo sguardo.
– Vincerò io, non certo un bambino con il pupazzetto – sbuffò.
– Hai qualcosa da dire, V.? – chiese Y.
Il ragazzo era rimasto per tutto il tempo a fissare il peluche, ma ormai il tecnico lo conosceva abbastanza per sapere che stava ribollendo di rabbia.
– Voglio partire nel libero con una combinazione con due tripli – disse, alzando lo sguardo. – Triplo Lutz e triplo Toe Loop.
Yakov lo guardò perplesso.
– Non è che sia proprio il tuo cavallo di battaglia, il Lutz – commentò. – Ma sei libero di provarci. K?
– Io lo faccio dopo l’Axel il triplo Toe Loop.
Con una difficoltà ancora maggiore della combinazione proposta da V.
– Molto bene. La sfida è aperta.
I due ragazzi si fissarono senza parlare.
Nessuno dei due sarebbe progredito in quel modo senza l’altro. E tuttavia Y. doveva capire anche quale fosse il momento di fermarli, per evitare che si distruggessero a vicenda.
– Adesso filate a cambiarvi, vi aspetto in pista tra dieci minuti.


Era in ritardo, ok. I dieci minuti erano passati e V. avrebbe dovuto essere già in pista e non diretto ai distributori nell’atrio del palaghiaccio. È che aveva bisogno di schiarirsi le idee. E di caramelle alla menta. Poche cose non potevano essere migliorate dalle caramelle alla menta, quelle gommose, a forma di ditale, con la polvere di zucchero sopra. Ne teneva sempre un pacchetto infilato dentro al portafazzoletti, per averle a disposizione e evitare che gli venissero fregate. Non che ce ne fosse davvero il rischio, era solo una vecchia abitudine dei tempi in cui poteva trovarsi a scuola senza neanche l’ombra di un mozzicone di matita nell’astuccio. Si cacciò subito una caramella in bocca. Non aveva una gran voglia di andare in pista a schiantarsi con il Lutz. Era di gran lunga il salto che gli veniva peggio. Peggio perfino dell’Axel, che richiedeva più forza e concentrazione. Non avrebbe avuto davvero difficoltà, lui, a mettere a punto la combinazione che aveva proposto K. e questo era proprio il motivo per cui sapeva di doversi concentrare sul Lutz. Perché il Grand Prix voleva vincerlo. Non per battere K. Non gliene importava niente di lui, non davvero, anche se sul momento poteva essere irritante.
«Chi è quello?» avevano chiesto in molti, alle nazionali, la stagione precedente, quando era arrivato secondo. E lo avevano chiesto gli amici del fratello di E, due settimane prima, alla festa. E le risposte che aveva sentito sussurrare erano una variazione del tema: «il siberiano. Vive con l’allenatore perché pare che il padre sia un poco di buono. Era in istituto». Non era una cosa che volesse rinnegare, ma non sopportava le illazioni che seguivano, sopratutto quelle che aveva sentito a casa di E. «Tua sorella se lo porta in casa? Con tutto quello che si potrebbe portare via?». Non sarebbe stato molto più semplice se la risposta alla domanda «Chi è quello?» fosse diventata «Quello che ha vinto il Grand Prix Juniores al primo tentativo, a quattordici anni». Le illazioni sarebbero state diverse. «Y se lo tiene stretto, eh, il campioncino, non vuole neppure che stia in pensionato, vive con lui». «Ah, non era la stessa competizione che ha vinto anche tua sorella?». Sarebbe stato tutto più facile. E se avesse vinto abbastanza, a un certo punto non gliene sarebbe importato più niente a nessuno delle sue origini e certo avrebbero smesso di preoccuparsi per l’argenteria. Persino Y, i primi tempi, aveva tenuto tutti i cassetti e tutte le ante chiuse a chiave. Come se, per altro, appena arrivato a San Pietroburgo avesse già saputo come e dove rivendere gioielli e cucchiaini d’argento.
– Eh, ragazzino, hai intenzione di ignorarmi ancora per molto?
V sobbalzò, sentendo la voce di E.
Lei stava entrando in quel momento. Aveva indosso una banalissima tuta da allenamento, non era truccata, aveva i capelli raccolti in uno chignon e persino gli occhiali riposavista. Era l’E che lui era abituato a vedere tutti i giorni, bellissima così com’era. Non la ragazza nell’abito scintillante, con le labbra virate al violetto e le ciglia lunghe il doppio della sera della festa, con cui non sapeva bene come interagire. Non sapeva neppure dire se gli piacesse. Di certo non quanto gli piaceva ora.
– Non ti sto ignorando, pensavo che non mi volessi tra i piedi, non quando hai… B?
Il ragazzo con cui aveva ballato, che era al primo anno di università e certo non indossava vestiti di seconda mano. Lui era rimasto a guardarli inebetito, mentre il fratello di E, con quei suoi occhi così uguali a quelli della sorella, lo prendeva in giro e gli passava quella maledetta canna.
E. si strinse nelle spalle.
– Non sono abbastanza elegante per lui. E non ho abbastanza tette – disse, accennando al petto quasi piatto.
– A me piaci così.
Gli si avvicinò e gli passò una mano sulla guancia.

– Bene. Quindi vedi di smetterla di ignorarmi. Io odio essere ignorata.

CURIOSITÀ SULLE LAME DEL RACCONTO:
I nostri baby pattinatori hanno all'incirca l'età di Carolina Kostern che, infatti, V. e G. nel mondo reale avrebbero incontrato nella gara in Francia. Sì, ho controllato date e location dell'edizione juniores del 2002.
Il Grand Prix è la competizione principale della prima metà della stagione di pattinaggio. In pratica ogni atleta fa due gare in giro per il mondo e poi, intorno all'8 dicembre, c'è la finale, che assegna il primo premio importante della stagione.  Il Grand Prix Juniores si svolge da agosto ai primi di ottobre, quello Senior a ottobre e novembre, mentre la finale avviene all'interno dello stesso evento. In questo momento è in corso l'edizione 2018 e se volete avere un'idea di come stia andando, consiglio l'aggiornatissima pagina fb dell'ISU. Tra l'altro questo fine settimana esordisce nel circuito l'italiano Matteo Rizzo (nel pattinaggio di coppia alcuni italiani hanno già ben figurato nelle scorse settimane).
Questo vuol dire che un giovane pattinatore di belle speranze a 13 o 14 anni è già sballottato in giro per il mondo quasi ad ogni fine settimana. Non oso neppure immaginare quanto possa essere stressante.
Gli elementi tecnici che i nostri progettano di fare sono il top delle possibilità per gli juniores di quegli anni (un grazie a Manu che mi ha smontato i programmi di un paio di mondiali juniores d'annata).

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