sabato 14 novembre 2015

Piovono Libri – Memorie di Adriano


I miei pensieri, come quelli di tutti, sono a Parigi.
Venerdì sera, quando ci è arrivata la notizia degli attentati, ero al Gruppo di Lettura, dopo una giornata impegnativa, e si stava parlando in quel momento, proprio di tolleranza religiosa.
Non trovo altro modo di reagire a questi attacchi che ricordare quanto c'è di meglio nel nostro mondo occidentale, ivi compresa la letteratura e la libertà di pensiero.
Quindi, ora che Memorie di Adriano, libro francese per me importantissimo, rimarrà per sempre legato nei miei ricordi anche agli attentati di Parigi, non riesco a trovare altro modo di reagire che parlare di cultura e di libri, il meglio del nostro tutt'altro che perfetto mondo occidentale.

MEMORIE DI ADRIANO
In brevissimo, per chi non lo conoscesse.
Pubblicato nel 1951, questo romanzo si propone come una lettera confessione scritta dal morente imperatore Adriano al suo erede designato, il diciassettenne Marco Aurelio. L'imperatore ripercorre tutta la sua vita, mescolando la narrazione degli eventi con riflessioni filosofiche. Al centro dei suoi ricordi e dei suoi rimpianti c'è anche l'amore e la tragica morte di Antinoo. 

Memorie di Adriano e il gruppo di lettura
Io dico che la prosa di Memorie di Adriano ha la densità del plutonio (e a me piace così), il gruppo di lettura suggerisce che è come cemento. C'è chi è stato zavorrato da questo cemento come una vittima della mafia gettata nel mare ed è annegato entro pagina 40.
Le prime pagine, più involute, più dense, o semplicemente dall'impatto forte e un po' straniante, hanno fatto selezione e c'è chi non le ha superate.
Pensavo che il mondo si potesse dividere tra chi ama e chi odia questo libro, ma, forse si può dividere tra chi lo ama (magari di un amore contrastato) e chi si ferma prima di pagina 40.
Per chi le ha superate, infatti, per lo più è stato amore. Solo due lettrici non l'hanno apprezzato (una si può più precisamente dire che ha odiato Adriano, più che il libro in sé).
Qualche considerazione alla rinfusa.

È un libro immersivo. Se non anneghi zavorrato, ti prende e ti porta lì, nella Roma di Adriano, ricordarsi che è stato pubblicato nel 1951 da una donna è, a tratti, difficile. L'autrice si scopre solo a tratti e ci sono pochi passi che, seppur belli, ricordano al lettore che siamo comunque dentro un libro del novecento. Almeno per il mondo occidentale, tratta temi universali che gli fanno trascendere l'epoca in cui è stato scritto e quella in cui è ambientato.

Bisogna ricordare che è comunque un romanzo. Di Adriano personaggio storico sappiamo molto in fatto di atti pubblici e leggi, di lui si conservano frammenti di poesia, le opere pubbliche e private fatte costruire, ma non sappiamo nulla di cosa pensasse davvero. L'Adriano della Yourcenar è al 100% un personaggio narrativo, di quei pochi che hanno la forza per imporsi al lettore come persone reali.

Adriano ha empatia zero. Non è in grado di amare, né di capire a livello epatico chi gli sta intorno. La moglie ha tutte le ragioni per odiarlo. Antinoo ci fa una tenerezza infinita, povero caro, nei suoi confronti Adriano ha la crudeltà indifferente dei peggiori tra gli uomini, per poi struggersi e disperarsi dopo la sua morte. Rimane un grand'uomo sotto molti aspetti. La struttura stessa del romanzo chiede al lettore di dare un giudizio che non sia storico, ma umano. Qualcuno lo condanna senza appello, la maggior parte si astiene.

Il mondo romano, presentato all'apice della sua potenza, un po' ci fa invidia. Ha infrastrutture infinitamente più efficienti di quelle dell'Italia di oggi.

Ci colpisce la tolleranza del paganesimo antico, l'incapacità di Adriano di capire l'estremismo religioso dei monoteisti, ma anche la sua consapevolezza che tra fanatismo e buon senso è, spesso, il fanatismo a prevalere. Ragioniamo sul fatto che ci venga sempre proposto, a livello storico, il monoteismo come un passo avanti culturale, comunque. Lo è stato davvero? Davvero la tolleranza intrinseca nel paganesimo antico post sofistico, che non si contrapponeva alla ricerca scientifica e all'indagine sull'uomo, che accettava i più diversi credi, era peggio dei mostri generati dai monoteismi? Queste riflessioni ci colgono proprio insieme alla notizia degli attentati di Parigi. 
Rimangono domande a cui, probabilmente, non c'è risposta.

MEMORIE DI ADRIANO E TENAR
Abbiamo ragionato a lungo, ieri, sull'età in cui questo libro andrebbe letto. Chi l'ha letto da adulto ha fatto notare che un adolescente o un giovane non ha la maturità per seguire i ragionamenti di Adriano, oltre alla crudezza intrinseca di alcuni passaggi.
In tre, però, abbiamo letto questo libro intorno ai 20 anni e tutti e tre lo abbiamo amato moltissimo.
Per me è stato uno dei libri più importanti di sempre.

Adriano si rivolge al diciassettenne Marco, un bravo ragazzo cresciuto in modo molto protetto. La sua intenzione è fargli arrivare la propria vita addosso come una carica di legione (la mia espressione "come un treno in corsa" poco si sposa con l'ambientazione), sconvolgerlo e obbligarlo a confrontarsi con un modo diverso e più vasto di vedere il mondo.
Quando io ho letto questo libro ero come Marco Aurelio, una ragazza cresciuta protetta, senza particolari traumi alle spalle e proprio per questo, credo, il romanzo mi è deflagrato dentro, creando lacerazioni e nuovi punti di vista.

Questo romanzo è, innanzi tutto, un inno alla complessità dell'animo umano. Adriano è un uomo dagli innumerevoli aspetti, interessi, "vario e multiforme", contraddittorio. Persino più complesso della maggior parte delle persone con cui ha a che fare. Tale complessità di pensiero è la sua forza.
Per me, che sono una persona dalla vita semplice, ma dal pensiero complesso e contraddittorio è stata una presa di coscienza non da poco. C'è un passo preciso in cui il giovane Adriano pensa di lasciare Roma e di andare a vivere con i barbari. Sa che non lo farà mai, ma il fatto di desiderare ciò che ai suoi compagni fa ribrezzo, lo rende "diverso da loro per sempre".
Negli anni in cui leggevo questo libro, mi sentivo spesso sola, di una solitudine che poco aveva a che fare con quello che facevo, con il mio essere una studentessa e un'atleta ben inserita. Leggendo quelle pagine, per la prima volta, ho capito che erano i miei pensieri, la mia attitudine a seguire percorsi mentali diversi a rendermi "diversa". E che, a meno di non cercare attivamente e con le antenne ben tese, degli animi simili ai miei, lo sarei stata per sempre. Ho capito anche che va bene così. Non è una colpa. 
Spesso si dice, per lodare una persona, "è semplice". Io non lo sono, non lo sarò mai, ma non è una cosa che ho scelto, la complessità di pensiero mi appartiene.

Un animo complesso non è facile da giudicare. Adriano cerca un giudizio. Alla fine del libro io non so darlo. Posso, di volta in volta, condannarlo o assolverlo per questo o quel pensiero, per questo o quel comportamento. Ma la sua anima non sta a me giudicarla. Non posso farlo neanche nella vita. Dalla lettura di questo libro mi sono sempre sforzata di capire l'altro, ma non nel giudicarlo, se non nel contingente. Non è un atteggiamento facile da tenere, né che porti molta simpatia. La gente, di solito, vuole che ci si schieri, sempre, pro o conto. Basta vedere le faide che si creano nei posti di lavoro. Io mi rifiuto. Non può essere la mia via, quella del giudizio. Ci possono essere di comportamenti da sanzionare o da premiare. Ma come posso dire io con leggerezza che uno è una bella o una brutta persona? Mi rifiuto di giudicare un personaggio di fantasia, figuriamoci una persona reale.

Questo libro, credo, mi ha aperto gli occhi sulla complessità dell'uomo. Sulla bellezza dei pensieri diversi dai nostri. Sul fatto che vedere qualcosa da un altro punto di vista, che magari non condividiamo, anche che consideriamo del tutto sbagliato, è pur sempre arricchente.

Letto ora, a 35 anni, mi dato, è ovvio, un'impressione diversa. Ne ho apprezzato di più i contenuti. Ho  seguito meglio i ragionamenti di Adriano, ho colto di più e meglio il gioco storico. Mi ha straziato il suicidio di Antinoo, molto di più di allora, quando pensavo che le persone si suicidassero solo nei libri o nei film. 
Tuttavia, se lo avessi letto ora per la prima volta, mi sarebbe piaciuto, ma non mi avrebbe cambiato la vita. Non mi avrebbe sconvolto e un po' scandalizzato. Tutto sommato, credo che a vent'anni sia giusto leggere qualcosa in grado di sconvolgerci e un po' scandalizzarci, in grado di cambiare il nostro modo di vedere il mondo.

Vorrei sapere cosa pensa di questo libro chi l'ha letto, oppure quale libro ha cambiato la sua visione del mondo quando aveva vent'anni.

10 commenti:

  1. L'ho abbandonato a 23 anni quando iniziai a leggerlo perché il mio ragazzo dell'epoca di chiamava Adriano. Dio, quanto ero cretina.
    Sandra

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    1. Secondo me vale la pena di riprenderlo in mano. È davvero un libro che ti sta consiglio, credo che adesso potresti adorarlo

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  2. Anch'io, come credo tu sappia l'ho abbandonato. Indigestibile. E di norma non sono uno che abbandona i libri a metà. Ho letto dei mattoni inimmaginabili.

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  3. Io l'ho letto al liceo e l'ho adorato. Non a caso l'ho inserito nella lista dei miei top 100 preferiti ancora dopo molto tempo. Lo trovo un libro immenso, con una prosa ineguagliabile. La vicenda di Antinoo mi aveva ferito moltissimo, ricordo che quando la mia insegnante di storia dell''arte ci mostrava le sculture che Adriano aveva fatto realizzare di lui stavo male.

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  4. L'ho letto al liceo, quando avevo 16 anni e l'ho adorato. L'autrice è riuscita a farmi appassionare alla figura di Adriano nonostante all'epoca non avessi simpatia per la storia. Alla fine, quando ne abbiamo parlato in classe (solo in 3 su 21 lo avevamo finito), per me è stato una doccia fredda quando la prof ha detto "a volte sembra proprio scritto da Adriano in persona, peccato non sia così".
    Io mi ero affezionata a lui a un punto tale per cui per me l'autrice non esisteva più. C'erano solo Adriano, la sua vita, i suoi pensieri e i suoi desideri.
    Probabilmente ero troppo giovane per comprendere i contenuti morali e filosofici del libro e per seguire i ragionamenti di Adriano, però l'ho amato davvero, non per niente rientra ancora tra i miei libri preferiti. Senza contare che Adriano si rivolge al diciassettenne Marco Aurelio, quindi mi piace l'idea di averlo letto a un'età analoga a quella del reale destinatario della lettera, per quanto una sedicenne degli anni 2000 sia per forza di cose differente per mentalità, cultura ed esperienze di vita.
    Riguardo alla prosa con la densità del plutonio, devo dire che non mi ero lasciata scoraggiare, perché di questa autrice avevo già alle spalle "l'opera al nero", letto nella mia fase di profondo interesse per l'alchimia e la ricerca della pietra filosofale.

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    1. Sia tu che Cristina rafforzate la mia ipotesi che sia un libro da leggere nella tarda adolescenza. Non a 14 anni, certo, ma prima dei 25. Letto a quell'età ha una forza emotiva unica. Da adulti se ne apprezzano altri aspetto, ma da adolescenti si è in tutto e per tutto come Marco, investiti, travolti e fatti crescere dalla vita di Adriano.

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    2. Non ho letto "Memorie di Adriano" ma un libro che ho letto a 18 circa e che ha influito molto sulla mia visione della vita è stato La nausea di Jean Paul Sartre, certo che non era una visione leggera. Però mi hai incuriosita con Memorie di Adriano.

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    3. La nausea è tra l'elenco dei libri papabili per il gruppo di lettura. Magari mi capiterà di leggerlo a breve!

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