mercoledì 18 novembre 2015

Una questione di stile – scrittevolezze


Leggendo questo bel post di Marina, mi sono resa conto di quanto poco, all'interno delle mie scrittevolezze abbia parlato di stile letterario.
In parte perché lo stile è qualcosa di impalpabile. Qualcuno parla, e forse preferisco, di voce di un autore. Quella cosa che ci fa riconoscere un testo come suo, ce lo fa amare o odiare anche a prescindere dal cosa racconta.
Me ne sono occupata poco sul blog perché la tessitura delle frasi nei testi narrativi è una delle poche cose che mi venga un po' d'istinto. Me ne preoccupo. Me ne preoccupo tantissimo, sopratutto quando voglio ottenere effetti particolari, ma un po' meno di altri aspetti. Mi è stato detto così tante volte "la scrittura è matura, ma le svolte della trama... Il tema trattato... La nostra linea editoriale... Il protagonista non ci convince..." che ho finito per concentrarmi anche qui sul blog così tanto su trama, personaggi e tecnicismi vari, da trascurare un po' la variabile dello stile.
Vediamo un po' di occuparcene adesso.

LO STILE È ANCHE LA RISULTANTE DI DIVERSE SCELTE TECNICHE
Chi narra la vicenda?
Qual è il narratario della vicenda?
Qual è il lettore ideale?
L'arco degli eventi narrati è breve o lungo?
Queste sono scelte tecniche strettamente interconnesse a quelle stilistiche.
Una storia narrata in prima persona rivolta a un pubblico adulto di duecento pagine che narri un'unica notte di passione è per sua stessa natura scritta in modo diverso da una storia che narri una vita intera (magari quella del protagonista della prima storia), raccontata da un narratore onnisciente e rivolta a un pubblico di ragazzi. Magari ci sarà quella notte di passione che ha cambiato la vita del protagonista, che sarà, però descritta in modo diverso, con parole diverse, da punti di vista diversi.
Su questi aspetti non so davvero mettere un confine preciso, dove finisca la tecnica volta alla maggior efficacia della storia e la scelta stilistica.
Io, ad esempio, su storie lunghe, prediligo la prima persona o la terza limitata, non mi metterei mai a scrivere 60000 battute con narratore onnisciente. Fino a che punto le mie storie lunghe sono ottimizzate da questa scelta a livello tecnico e fino a che punto è una scelta stilistica? Probabilmente sono due istanze che si devono incontrare a metà strada. 

LO STILE È UN ABITO DI CUI CI DOBBIAMO VESTIRE
E in cui dobbiamo stare comodi.
Osserviamo il nostro abbigliamento.
Per fare cose diverse, indossiamo, nei diversi momenti della giornata, abiti diversi. Non andiamo in ufficio con gli stessi abiti con cui andiamo in palestra (a meno che il nostro luogo di lavoro non sia una palestra), né con quelli con cui usciamo a cena. Tuttavia c'è un minimo comune denominatore. Chi è attento alla moda e all'estetica anche in abbigliamento sportivo non rinuncerà al capo di marca e all'accostamento di colori. C'è chi anche per una normalissima giornata di lavoro mette il tacco alto e chi, come me, predilige scarpe basse e pantaloni anche in situazioni eleganti. Ognuno si sente a proprio agio con il proprio stile.
Nella scrittura è uguale. Cambiando storia cambiamo strumenti, ma dobbiamo sempre utilizzare un registro stilistico che ci faccia sentire a nostro agio.
Dobbiamo capire se ci sta bene addosso una scrittura Gucci, piuttosto che una scrittura Desigual, piuttosto che bancarella del mercato.
Come per l'abbigliamento c'è un più o meno adatto all'occasione, ma non un giusto o sbagliato.

Quindi la prima domanda per ragionare sul nostro stile è
con quale registro stilistico mi sento a mio agio?
Ad esempio, io non sono dialettofona. Non parlo il mio dialetto, non ho orecchio per i dialetti. Sarei terribilmente innaturale nel cercare di riprodurre una parlata regionale per più di qualche frase. Non sarei a mio agio. Meglio lasciar perdere.
Almeno nella scrittura possiamo scegliere l'abito che più ci piace, senza problemi di costo. Tanto vale sentircisi a proprio agio.

Quale impressione stilistica voglio dare?
Ci sono molti modi per essere eleganti, così come ci sono molti modi per essere sportivi. Però, almeno, dobbiamo sapere come vogliamo essere. 
La nostra prosa vuole essere elegante e raffinata o aggressiva e scioccante?
Attenzione questo non ha molto a che vedere con il contenuto. Ho appena finito di (ri)leggere Memorie di Adriano, dove in modo elegantissimo si raccontavano anche cose terribili, stragi, omicidi,  rapporti amorosi non propriamente sani.
D'altro canto si può scrivere con aggressività e turpiloquio anche situazioni normalissime e nient'affatto disturbanti.
Vogliamo mettere a suo agio il lettore, parlandogli da pari, o creare distanza?
Vogliamo che si senta avvolto dalla storia o che ogni due righe debba controllare un termine sul vocabolario?
Solo sapendo quale impressione stilistica vogliamo dare al lettore potremo ottenere un effetto definito.

LA VESTE STILISTICA DI TENAR
Rispondendo a Marina ho scritto d'istinto che la mia veste stilistica ideale sono certi abiti Armani.
Ok, mi sono scoperta su alcuni vezzi di abbigliamento (che, per lo più, non mi posso permettere). Però, sì, credo che questa sia la veste stilistica che desidero per i miei testi.
Una prosa che non si faccia notare per bizzarrie particolari, ma che risulti elegante, dalla tessitura simile a quella della seta. Che avvolga con morbidezza il lettore. Che sembri semplice a una prima lettura, ma poi sveli la sua raffinatezza.
Non voglio sconvolgere (almeno non con lo stile), né spaventare.
Non mi spiace, quando è possibile, una certa eleganza un po' retrò, un "finto ottocentesco" svecchiato delle sue ampollosità.
Salvo che quando devo far parlare determinati personaggi evito termini volgari o dialettali, perché non mi appartengono e non mi sentirei a mio agio nell'utilizzarli e cerco di limitare anche l'uso di vocaboli troppo ricercati, anche se ho un certo gusto per l'utilizzo di termini desueti (con disperazione dei miei alunni, che dicono che "parlo difficile").

Qual è, invece, la vostra veste stilistica?
Mi raccomando, giocate il più possibile con l'abbigliamento. Ditemi come vorreste cucire il vostro stile, quale stilista della prosa vorreste essere.

33 commenti:

  1. Già in passato, in un post, avevo paragonato il mio modo di essere scrittrice al mio stile di abbigliamento. Per curiosità, sono andata a ripescarlo. Il ventiquattro aprile, scrivevo questo:

    "Il mio modo di vestire e il mio stile di scrittura rappresentano due diverse modalità espressive della mia personalità. Pertanto, non c’è da sorprendersi se un po’ si somigliano. [...] In questo momento, un venerdì come tutti gli altri in ufficio, indosso un semplicissimo paio di jeans e una camicia bianca con disegnate sopra tante scarpette coloratissime. Ai piedi, un paio di decolleté beige, con il fiocchetto. Ieri invece portavo un vestito nero, scarpa bassa e una collana lunga fin quasi alla vita. [...] In poche parole, parto sempre da una base semplicissima e la arricchisco dettagli che donano personalità, pur senza apparire volgari o grossolani. Allo stesso modo, quando scrivo, cerco di utilizzare poche parole, ma che sappiano colpire."

    Sono passati sei mesi, e l'intento di base non è cambiato. Come non è cambiato il mio look. Oggi: maglioncino scuro, jeans con il risvolto, stivaletto tacco 10 e piumino A FIORI!

    Mi piace accostare una base semplice a un dettaglio colorato o che comunque attira l'attenzione e dà personalità alla mise. Quando scrivo è lo stesso. Cerco di essere semplice (mi sto proprio esercitando ad "asciugare" lo stile) ma ogni tanto arricchisco il tutto con qualche frase più raffinata, o parola ricercata, seppur coerente con il punto di vista adottato.

    Un'altra affinità fra il mio modo di vestire e il mio stile letterario è questa: compro prevalentemente capi di marca, ma senza andare su capi troppo ricercati. Allo stesso modo, il mio stile non è dei cinesi, ma non è nemmeno una Balenciaga originale da 1200 euro: è un capo sì di classe, ma alla portata di molti, seppur non di tutti. Se dovessi scegliere un marchio, direi qualcosa tipo Liu Jo, Elisabetta Franchi o Celine B: hanno uno stile giovanile, ma al contempo raffinato. Però non potrei mai rinunciare ai jeans della Diesel (praticamente uso solo quella marca lì).

    Anche io ho sempre ricevuto più osservazioni tecniche che stilistiche. All'inizio, quando mi sentivo dire "scrivi bene", mi sorprendevo. Poi ho capito, leggendo i romanzi in self, che non è poi così scontato ...

    P.S. Da donna a donna: di Armani ho comprato di recente una t-shirt e un paio di ballerine (entrambe nei saldi estivi) ma è una marca che, non so per quale motivo, mi veste male. I pantaloni in particolare hanno una forma che non è adatta a me per niente.

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    1. Direi che riconosco lo stile che descrivi in quello che ho letto di tuo.
      PS modaiolo: per ovvi motivi economici i miei capi Armani sono pochissimi, anche perché non è la linea Emporio quella che amo (ahimè), ma certe camice color perla, certi rasi...

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    2. Io e te, Chiara, dovremmo farci una bella passeggiata insieme, a braccetto! Vieni anche tu, Antonella? :D

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    3. Dovremmo organizzarla, magari in estate, una blog gita!

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    4. Avevamo avuto una mezza idea l'anno scorso, io e Salvatore, però poi non siamo riusciti a organizzare. Per il momento, potremmo creare un gruppo wats-app!

      P.S. Io compro anche molto in Outlet e, in generale, sono una fanatica del materiale e del rapporto qualità prezzo. Questo c'entra con la scrittura? Chissà... :-D

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    5. Attenzione alla qualità.
      Per me la comodità e la funzionalità per lo scopo viene prima di tante altre cose. Immagino che anche questo abbia a che fare con la mia scrittura.

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    6. Esatto! Più volte mi è capitato di non comprare abiti che pur mi piacevano perché erano di poliestere o affini. Questo, più che la mia scrittura, forse riguarda l'acquisto dei libri, perché cerco la qualità anche nella letteratura di genere e leggo pochissimi romanzi in self.
      L'attenzione al rapporto qualità/prezzo potrebbe essermi utile se mai, in futuro, deciderò di auto-pubblicarmi. Posso spendere tanto per un prodotto di oggettivo valore (un cappotto, un paio di scarpe, un abito da cerimonia) ma se un golfino in misto lana costa 100 e passa euro, quando potrei trovarlo uguale da Benetton a 40 euro... tanti saluti! ;)

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  2. Sono contenta che il mio post ti sia piaciuto, anzi sono contenta che abbia ispirato il tuo, molto completo e ben spiegato.

    Capo d'abbigliamento ideale? A me piace vestire casual, sto quasi sempre in jeans e dolcevita, quando per comodità non indosso un bel pantalone di tuta accoppiato a una felpa con il cappuccio. Niente tacchi, niente tonalità di colore forti, niente capi appariscenti, le minigonne un tempo, sì ai leggins, no categorico ai tailleur.
    Se faccio un parallelo con la mia scrittura, direi che non mi piacciono le forme baroccheggianti, i linguaggi artificiosi, l'uso di una terminologia troppo ricercata, mi piace la semplicità.
    Quando dico che amo stare in tuta significa che il completo dev'essere carino, non devo sembrare una sciattona che per stare a casa indossa una cosa qualunque; così la mia scrittura è lineare, senza fronzoli, ma non banale o improvvisata (almeno vorrei che fosse così).
    Tengo alla larga tutto ciò che non mi viene naturale (anche se ho fatto delle prove per capire fin dove potessi arrivare): magari a un matrimonio non mi presento in jeans, significa che so adeguarmi; potrei riuscirci anche nella scrittura? Forse, ma non è ciò che voglio.

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    1. Ecco, sì, nella scrittura possiamo vestirci davvero con lo stile che vogliamo.
      Io nella vita sono assai sportiva e la cura dell'abbigliamento è limitata all'essenziale, diciamo al livello base di presentabilità. Quando scrivo narrativa vorrei essere un poco più elegante. Un semplicità tutt'altro che banale.

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    2. Sai Marina che neanche a me piacciono i tallieur e i completi in generale? Anche quando mi sono laureata avevo gonna e giacca diverse. Stavano bene insieme, ovviamente, ma non era un tallieur. Eppure ne avevo provati una trentina. Che ne pensi, posso ricondurre questo gusto a un rifiuto generale dell'eccesiva formalità, nella scrittura come nella vita?

      Altra cosa che non mi piace è l'abbinamento camicia bianca - pantalone nero, perché mi ricorda la divisa dei camerieri... Non so però come questo c'entri con la mia scrittura!

      P.S. Oggi gonna nera, stivale senza tacco, dolcevita color "boh" (un misto fra il fucsia e il bordeaux: ciclamino?) e collanona coloratissima che richiama la maglia... sempre fedele a me stessa! :-p

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    3. Ecco, invece io prima penso se devo andare nella seconda, che, sopratutto alle prime ore, è gelida, o nella terza che è caldissima. Penso a quanto dovrò camminare e poi scelgo gli abiti. Il colore è l'ultimo dei problemi che mi pongo...

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    4. Certo, anche io faccio i ragionamenti caldo/freddo, praticità ecc. Però con un pizzico di vanità ti dico che troppo scura sembro Morticia, quindi evito il total-Black oppure lo ravvivo... :-)

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    5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Il mio stile è quello che puoi leggere sul blog: odierei far aprire il dizionario ai miei lettori, trovo l'uso di paroloni una inutile ostentazione.
    Però amerei avere una certa classe anche se scrivo cazzi e vaffanculi, quindi diciamo che come nella vita vera, i jeans Energie e nel caso un maglioncino. Che può diventare felpa slabbrata o comincia elegante :)

    Moz-

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    1. Mi piace il tuo stile che oscilla tra felpa e maglioncino!

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  4. Anni fa su un treno di ritorno dalle vacanze incontrai una bimbetta molto sveglia, aveva 7 anni e dopo tipo mezz'ora di conversazione mi disse: ho capito come sei, tu sei il tipo che ama fare gli abbinamenti di colore, se compri una maglia in un negozio e i pantaloni in un altro cerchi di combiarli e sei felice se sono dello stesso colore." PERFETTA DESCRIZIONE rimasi di sasso. Io sono quella dell'abbinamento, scarpe con collana ad esempio, quindi ho un segno preciso che mi caratterizza, mi indentifica.Sono quella che va al mercato e ha occhio per l'affare sommerso in mezzo a mille capi di fuffa, Sono quella riconoscibilissima e credo lo sia anche il mio stile scrittorio, Ho molte cose Benetton, dove mi servo da secoli amen. Se fossi ricca penso che mi servirei da una sarta per capi su misura, scegliendo le stoffe nei negozi di tessuti dove da sempre mi perdo (ho la mamma sarta) e la passamaneria e i bottoni in merceria, per i modelli un nome solo MARFY potete googlare. Sandra

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    1. E questo come si riflette nella scrittura?
      (Cioè, io che ho letto i tuoi libri riconosco facilmente delle linee comune, ma come ci lavori consapevolmente?)

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    2. il vero problema, cara Tenar, è che ho poca consapevolezza di come arrivo al risultato. L'ironia è spontanea e lavoro su un'ironia appunto che non risulti mai sforzata, se cerco la battuta di solito poi tocca buttarla in fase di revisione. Nella scrittura credo si noti la semplicità alias banco del mercato, con una certa cura però, banco sì, ma non banco qualsiasi. Sandra

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    3. Mi sembra un lavoro ragionato. Che poi ti venga d'istinto è un bonus.

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  5. Forse è una questione di terminologia, ma mi sembra che quello che - a tratti - chiami "stile", sia per me "tecnica". Per utilizzare la tua metafora, secondo me lo stile non è il vestito che indossi, ma il modo in cui ti muovi e cammini.

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    1. Sì, quello che cercavo di dire che stile e tecnica non sono del tutto distinguibili. Il punto di vista, ad esempio, è sia tecnica che stile. Il lessico è sia tecnica che stile. Lo stile, del resto, è, anche, il saper piegare la tecnica a fini estetici.

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  6. Come ho già detto a Marina, io per ora tendo a "cambiare abito" di volta in volta secondo la necessità della storia e della narrazione, quindi il mio stile scrittorio è quanto mai mutevole. In un certo senso una cosa inconsciamente voluta visto che uno dei miei primi modelli è stato Pessoa coi suoi eteronimi...

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    1. Rimarrà comunque qualcosa che sia profondamente tuo. È evidente che non posso scrivere un apocrifo sherlockiano come scrivo un racconto fantasy, tuttavia credo che un tocco, una voce, un sentire comune rimanga.

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  7. In effetti anche per me lo stile è un concetto piuttosto vago che mi è difficile definire.
    Immagino che si tratti di un mix di scelte tecniche e preferenze che definiscono un autore, che riescono a trasmettere una determinata sensazione propria dei libri di quello scrittore (spero di essermi spiegata questa volta xD).

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    1. Sì, anch'io la penso così (quindi direi che ti sei spiegata)

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  8. Nemmeno io sono dialettofona, anche se mi piacerebbe esserlo. Ho una memoria fotografica, per nulla uditiva.

    Con lo stile d'abbigliamento casco male, tuta e cappuccio non sono firmate :D

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    1. Bello tuta e cappuccio (che poi, nella vita di tutti i giorni è spesso il mio abbigliamento)

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  9. Ammetto di seguire, a modo mio, la moda. Lego i capelli in strane cipolle, adoro i vestitini, i leggings e gli anelli, tanto che mi ci coprirei una mano intera. Però, bada bene, vorrei essere invisibile, motivo per cui ho spesso i jeans.
    Così, nella scrittura, mi piacerebbe avere uno stile neutro, che racconta privandosi di tratti predominanti e riconoscibili, ma non è così. Vorrei essere invisibile, ma non lo sono affatto, ed è per questo che secondo Marina o piaccio molto o non piaccio per niente.
    Insomma, desidero l'invisibilità ma credo non mi stia così bene addosso. :)

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    1. Beh, è proprio dei grandi autori essere odiati o amati. Cosa che suppongo non sia così facile da vivere.

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  10. Amo molto i vestiti Armani perché elegantissimi nella loro sobrietà (ma non me li posso permettere neanch'io) hai reso bene il concetto del tuo stile.
    Riguardo al mio stile, sicuramente sono incapace di inserire il dialetto nella mia scrittura, quindi non mi ci metto neanche. Mi piace avere una scrittura semplice e lineare, almeno ci provo. Anche nella moda mi piace la semplicità e la praticità, su di me, amo l'eccentricità negli altri.

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    1. Semplice e pratico mi piace molto, ho capito, però, che non è affatto facile avere una scrittura così.

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  11. Nella realtà vesto uno "stile" tra l'hip-hop e il boscaiolo svizzero, ma nella scrittura... non so, forse cerco una semplicità che non sia povera e abbia un sapore definito.

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    1. Bella la semplicità non povera. E difficile da ottenere...

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