lunedì 8 ottobre 2012

Scrittevolezze - Lavorare su personaggi non originali - tra fonti e stereotipi


Scrittevolezze è la rubrica che si occupa di questioni di scrittura.
Non ha alcuna pretesa di autorevolezza. Di solito parto da un problema che sto affrontando (e che magari non so risolvere) per offrire uno spunto ad altri scrittori e aspiranti tali.

Di questi tempi sto lavorando su personaggi non miei. Mi sono gettata nell'Antica Roma e quando ne riemergo vado dalle parti di Baker Street, dato che sto imparando a scrivere gialli e l'apocrifo Sherlockiano mi sembra un ottimo modo per farlo.
Il problema principale con questi personaggi è che oltre alle fonti primarie, abbiamo a che fare tutto un substrato di idee più o meno apocrife che si sono sedimentate sul personaggio, fino a renderlo irriconoscibile. L'esempio di Sherlock Holmes è tipico. Tutti abbiamo in mente un tizio impassibile col cappellino e la pipa. Peccato che Doyle, che l'ha inventato, non gli abbia mai messo in testa il cappellino, gli abbia fatto fumare di tutto, non necessariamente la pipa e che non l'abbia descritto poi così impassibile. Quando nel 2009 uscì la nuova versione cinematografica, molti si stupirono (sconvolsero) per un Holmes che faceva incontri di boxe clandestini. La cosa buffa era che quel film si era allontanato parecchio dal personaggio letterario, ma su quel particolare aveva ragione. L'Holmes di Doyle fa boxe e sembra proprio il tipo da non disdegnare anche incontri illegali. Il particolare, dunque, era aderente alle fonti, ma non al substrato sedimentatosi.
Più difficile ancora è quando vado a lavorare sull'Antica Roma. Al momento, tra i vari personaggi ho per le mani Giulio Cesare, arcinoto. L'idea che ne abbiamo in mente è una via di mezzo tra i vecchi ricordi del De Bello Gallico e il Giulio Cesare di Shakespeare. Un tizio sui 50 anni famoso per le imprese belliche. Peccato che io scriva di un Giulio Cesare a 22 anni. Le fonti storiche ce lo descrivono come un giovanotto alla moda, cagionevole di salute, più interessato a pettegolezzi e amori che alla carriera militare che, di fatto, non esisteva proprio.
E qui sorge il problema. Scrivere rimanendo fedeli alle fonti, alla propria interpretazione del personaggio (indispensabile per muoverlo in maniera coerente) e tuttavia farlo rimanere riconoscibile al lettore. Nel caso particolare dell'Antica Roma, dove, per via dell'ambientazione ho un sacco di personaggi famosi molto giovani, il mio tentativo è cercare di raccontare dei ragazzi che potrebbero diventare gli uomini che abbiamo in mente, ma che non lo sono ancora. E, cosa più importante, che non sanno che avranno quel destino. Il mio Giulio Cesare non può prevedere che un giorno si troverà a conquistare le Galli e a diventare padrone di Roma. Cicerone vorrebbe diventare un oratore famoso, ma non ha garanzie di successo, Catone Uticense sicuramente non vorrebbe sapere di dovere morire suicida.
Qualcun altro di voi ha lavorato con personaggi storici o non originali? Che problemi ha incontrato?

2 commenti:

  1. E' una questione interessante. Non mi sono mai posta il problema visto che di solito invento del tutto i personaggi, però credo che per un personaggio storico (o letterario ecc.) non sia necessario restare fedeli all'idea comune, anzi di certo è più stimolante per il lettore trovarsi di fronte a nuovi aspetti non stereotipati. Penso che quello che conti sia l'autorevolezza con cui presenti questi aspetti, la credibilità che riesci a trasmettere. Tra l'altro l'idea del tuo libro è carina e interessante e di certo comporta il mostrare lati inediti di quei personaggi storici, proprio perché sono giovani.

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  2. Il problema è che, secondo me, se il personaggio è presentato in modo troppo diverso dallo stereotipo che uno ha in testa, può generare un rifiuto nel lettore. Come il solito, credo, tutto sta a calibrare bene aderenza alle fonti, originalità e senso comune. E non è facile...

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