sabato 29 agosto 2020

Verso la ripartenza


 

Ecco, questa sono io che guardo il nuovo anno scolastico, senza la più pallida idea di cosa ci sia sotto la nebbia.

Girando per la rete, sembra che ognuno abbia la propria certezza, sappia additare con sicurezza i colpevoli. Come al solito a me le certezze mancano e i miei desideri confliggono. Voglio sicurezza e una scuola che sia davvero scuola, sia per mia figlia che per me. Voglio sicurezza, ma anche la mia vita di prima. Ho letto che solo il 10% della popolazione, anche potendo, vorrebbe tornare al vecchio stile di vita. Beh, sapete una cosa? A me la mia vita, così com'era strutturata dopo 40 anni di tentativi, piaceva. Mi piaceva il mio lavoro per come si svolgeva (in classe). Mi piaceva vedere gli amici almeno una volta alla settimana. Mi piaceva che mia figlia facesse sport e frequentasse altri bimbi. Tutto molto banale e piccolo borghese, certo, ma mi piaceva. Però mi piace anche non finire all'ospedale e sopratutto non veder finire all'ospedale nessuno dei miei cari, grazie tante.

Quindi sono consapevole che i miei desideri confliggano e ho questa sensazione di inoltrarmi in un periodo in cui non mi piacerà fare ciò che è giusto fare. Poi c'è la nebbia che avvolge la scuola.

Sia agli atti. Ringrazio il cielo di non essere preside, di non essere vicepreside, animatore digitale, responsabile di alcunché e di arrogarmi il privilegio di potermi lamentare di decisioni che non devo prendere io.

domenica 23 agosto 2020

Letture – Cannibali e re

 

Quando studiavo archeologia sentivo spesso dire che archeologi e antropologi studiano quasi le stesse cose, ma non si capiscono. Ora che sono un'archeologa in disarmo e leggo spesso di archeologia ne comprendo il perché. Immaginiamo un archeologo che studi un villaggio preistorico, saprà quante persone usavano ogni capanna e ogni tenda. Saprà dove andavano in bagno, troverà anche i loro rifiuti e ne starà estasiato perché così capirà cosa mangiassero e con che frequenza. Se trova il cranio di uno di loro arriverà a definirne i tratti del viso. Di quel dato individuo saprà quindi quanto era alto, cosa mangiava, di quali malattie soffriva, come si vestiva, con che oggetti è stato sepolto. Non saprà mai cosa pensasse, se si è sposato per amore o per costrizione, quali dei adorava, se non a grandi linee, cosa pensasse di loro. Non saprà se quel singolo villaggio avesse usanze comuni con altri, se fosse alleato o nemico, se riconoscessero già una qualche forma di autorità di tipo regale. In generale, sono domande a cui gli archeologi, sopratutto i preistoricisti, si fanno poco. Si innamorano del particolare. Di quell'accampamento di cui possono ricostruire la vita quasi passo a passo, di quell'individuo di cui quasi possono accarezzare il viso. Dell'uomo del Similaun l'archeologo guarda il DNA, la tecnologia dell'abbigliamento, lo stato di salute. Non sa e poco si chiede come si chiamano gli dei che adorava, se li adorava. L'antropologo, a quanto leggo, guarda invece il generale. Le costanti del comportamento umano. Agli occhi dell'archeologo è affetto dalla "sindrome della teoria del tutto".