lunedì 20 giugno 2022

Mystfest 2022 - Al Gran Giallo Città di Cattolica


 
Anche quest'anno il Mystfest, il festival del giallo e del mistero della città di Cattolica è stato un turbine di incontri, stimoli, incontri, libri, sorrisi, fotografie e ancora libri, racconti, illustrazioni. Si vedono sogni che diventano realtà e non si può impedirsi di sognare. Ripaga delle ore in colonna per rientrare, dei mille problemi logistici e pratici che già c'erano e che la trasferta ha acuito, ripaga della fatica di aver letto in un mese e mezzo 181 racconti.

La mia veste, anche quest'anno, era infatti quella di membro della pre giuria del Gran Giallo Città di Cattolica, uno dei più importanti, se non il più importante concorso per racconti gialli. Insieme ai miei eroici compagni di avventura abbiamo letto in forma anonima tutti i racconti e stilato delle rapide schede. Incrociando i dati delle schede sono emersi i dieci finalisti, letti, in forma altrettanto anonima dalla super giuria di qualità composta da Franco Forte, Simonetta Salvetti, Barbara Baraldi, Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni, Carlo Lucarelli, Valerio Massimo Manfredi e Ilaria Tuti. Un meccanismo che tutela al massimo il concorrente e che permette davvero al talento di emergere. 
Anche l'esperienza di lettura immersiva di racconti anonimi è estremamente interessante, ad ogni file aperto potrebbe esserci il nuovo Camilleri oppure un ragazzino delle medie che scrive un racconto per la prima volta. Non è una battuta. Alcuni racconti mi avevano dato proprio l'impressione di essere stati scritti da ragazzini, non per la prosa, che era corretta e scorrevole, quanto per l'impaginazione che era uguale a quella di tanti lavori che ricevo in veste di prof. E infatti sul palco è stato assegnato un premio speciale alla più giovane concorrente: una ragazzina di quinta elementare, autrice per altro di un racconto pregevole. Forse sarà lei la nuova Camilleri, tra qualche anno.
Ogni edizione, poi, i racconti sono un piccolo specchio dell'Italia. Questo è il terzo anno che lavoro in pre giuria. L'anno scorso i racconti erano per lo più tristi. Pochi raccontavano direttamente il covid, ma quasi tutti parlavano di morte e di perdite. Un 10% o forse più del racconti aveva un protagonista alle prese con elaborazione del lutto per la morte del figlio. Quest'anno, con questo difficile tentare di uscire dall'emergenza solo per trovarci al cospetto con una guerra, c'è stato un ripiegamento verso temi più leggeri. Pochissime (magari pregevoli, ma pochissime in termini numerici sul totale) storie di criminalità organizzata, quasi tutte storie intime, storie di tradimenti. Un 10% dei racconti aveva all'incirca questa trama: lei tradisce lui, rimane incinta, l'amante lo viene a sapere, va in panico e la uccide. La cosa curiosa è che non ricordo un singolo racconto su oltre 200 dell'anno scorso con una trama simile. Ci devono essere correnti sotterranee, un sentire comune che in qualche modo emerge. Inconsciamente, forse, vorremmo una storia di corna come maggior problema da affrontare.
Su 181 racconti, poi, è un privilegio trovare quelli che ti rimangono dentro quelli che sei stato onorato di leggere. Non tutti destinati a vincere, a volte per delle concause di motivi, troppo eccentrici rispetto al genere, non abbastanza articolati, ma tutti in grado di regalare emozioni.
Vorrei quindi ringraziare tutti gli autori finalisti (più qualcun altro che però per me rimarrà sempre anonimo) per i racconti e le emozioni:

Per fortuna non toccava a me scegliere il vincitore. Quest'anno, esattamente come i precedenti, sarei stata in difficoltà. Se un racconto arriva in finale a un concorso così vuol dire che è piaciuto e anche tanto. Infatti la cosa più bella è andare a dire agli autori quanto mi sia piaciuto il racconto. L'unico problema è che io sono davvero poco fisionomista, se non ho mai incontrato quella persona, l'ho vista in alto sul palco e poi la incontro nella penombra della sera non è detto che la riconosca!

Il Mystfest non è solo questo, ovviamente.
Quest'anno c'era un sacco di fantascienza, genere che io amo molto e uno degli incontri più emozionanti è stato quello con Franco Brambilla, il copertinista di Urania. Che tu sia un mostro sacro o un esordiente, lui farà sempre la copertina centrata su quello che hai scritto, spesso, per i mostri sacri, più belle e più coerenti di quelle delle blasonate edizioni in lingua originale.
Mi ha grandemente affascinato il gruppo di autori della collana Segretissimo, una collana di romanzi di spionaggio che non ho mai letto e che non so se mai leggerò, che nasconde un gruppo di autori super appassionati in grado di disquisire di giubbotti antiproiettili, calibri di armi in dotazione alle forze speciali e inquietanti scenari geopolitici. E non immaginateveli tutti come ex agenti segreti appena tornati dal fronte, possono essere ragazze, giovani autori timidi, oppure scrittori ben scafati anche in un sacco di altri generi. Certo che contro di loro in una rissa non mi mettetevi mai, neanche contro chi ha un aspetto davvero inoffensivo. Sono tra i massimi esperti italiani di esplosivi!
Come sempre mi sono innamorata dell'inaspettato. Sono partita per comprare dei libri e ne ho acquistati (anche) degli altri. Ecco quindi una grapich novel. L'autore vietnamita, nato in un campo profughi tailandese, si è trasferito con la famiglia negli USA, con tutte le difficoltà del caso, ma non fa una triste storia su una difficile integrazione bensì racconta un comig out felice. Perché, dice, bisogna passare l'idea che quando riveli qualcosa di te alle persone che ami, quello deve essere un bel momento.


Succede poi che vai a una presentazione di due autori che conosci e stimi (Andrea Franco e Diego di Dio, ciao, siete nella lista di letture), ne incontri un terzo mai sentito. Pensi che il suo libro sia perfetto per un amico che fa il compleanno. Solo che poi nel rientro ti trovi in coda in autostrada, non stai guidando e quel libro di cui ignoravi l'esistenza è il più in alto nello zaino. E niente, arrivi a casa e lo hai finito e non vedi l'ora di leggerne il seguito.


Se invece qualcuno vuole leggere qualcosa di mio, ecco un nuovo capitolo.

venerdì 10 giugno 2022

Quello che ritroveremo tra dieci anni

 

Ogni anno scolastico è un'epopea a se stante.

Quello 2020/2021 è stato un poema eroico di stampo omerico, con sempre nuovi pericoli da superare, difficoltà imprevista, ostacoli all'apparenza insormontabili. Un anno fa siamo arrivati a giugno esausti, ma con una sorta di euforia interiore la sensazione di avercela fatta, di aver raggiunto una qualche Itaca interiore.

Il problema di tornare a Itaca è che si scopre, sempre, che nel frattempo Itaca è cambiata, le persone che la abitavano sono invecchiate, Argo si regge in piedi il tempo di salutarti prima di spirare e tu stesso non sei più quello che è partito.

Non siamo più, tutti quanti, quelli che sono partiti a inizio pandemia. Questo è stato l'anno scolastico in cui abbiamo dovuto fare i conti con noi stessi, con le voragini createsi negli animi, con la diffidenza verso il futuro. Un anno in cui i ragazzi si sono trovati troppo da vicino a fare i conti non solo con i lutti, ma con la loro stessa mortalità, in cui, nel momento in sembrava ci si potesse riaffacciare alla vita abbiamo dovuto invece affacciarci alla guerra. Una guerra che ha per noi la faccia dei profughi arrivati per alcuni giorni nella nostra scuola. Sguardi spersi, difficoltà a comunicare, nostalgie che non siamo in grado di consolare.

Quest'anno è stato, in gran parte, il viaggio eroico dei ragazzi attraverso la terra desolata del loro animo. Non ho messo neppure una nota sul registro, non ho alzato la voce, ma per la prima volta nella mia carriera da prof mi sono trovata a gestire degli attacchi di panico (trovandomi grandemente impreparata), dei pianti scoppiati senza apparente motivo. Ho dovuto fare i conti più con gli sguardi spenti che con la vivacità da arginare.

Per lasciare una traccia di tutto questo, probabilmente nella speranza di seppellirlo, l'ultimo giorno di scuola abbiamo interrato una capsula del tempo. Una scatola che sarà aperta tra dieci anni, nel 2032, piena di materiali che possano permettere ai ragazzi del futuro di capire questo nostro tempo.

I miei alunni hanno scritto ai ragazzi del futuro e io, grazie a quelle lettere, ho finalmente capito, almeno un po', la terra desolata in cui si stanno muovendo.

Nella nostra zona il covid ha colpito duro. Molti di loro hanno avuto l'esperienza di essere in casa con i genitori malati, che non riuscivano ad alzarsi dal letto. Spesso dovevano badare ai fratelli più piccoli. Alcuni di loro hanno perso i nonni, ma non mi ero reso conto che molti hanno temuto di perdere i genitori, che stavano male nella stanza accanto alla loro. Si sono trovati di colpo investiti della responsabilità degli adulti e sopratutto hanno toccato la fragilità degli adulti a cui ora, spesso, nascondono il proprio malessere per non aggravare il loro. Perché quando finalmente sono usciti dall'isolamento si sono accorti di essere passati senza accorgersene dall'infanzia all'adolescenza. I miei alunni sono entrati in lockdown a 10/11 anni, hanno frequentato la prima media a singhiozzo, in pratica hanno ripreso a vivere a quasi 13 anni. I loro corpi e le loro menti sono cambiati in questo tempo sospeso. Ora si sentono in parte derubati di un momento che non potrà più tornare, in parte inadatti al loro nuovo presente. Gli sport e le attività lasciate a 11 anni non si possono riprendere a 13 come se niente fosse. C'è chi non si sente più capace, chi tradito dal proprio corpo, chi non riconosce più se stesso e gli amici di prima. Percepiscono come iper giudicante il mondo virtuale in cui avevano trovato rifugio eppure faticano a muoversi in quello reale.

E noi, gli adulti, invece di accoglierli con un abbraccio, critichiamo la loro mancanza di entusiasmo, ci stupiamo per la loro apatia e intanto apparecchiamo per loro un mondo che si preannuncia sempre peggiore. Rimproveriamo loro la mancanza di ottimismo mentre risuonano le notizie di bombardamenti vicino alle centrali nucleari.

Se la caveranno. Lo so che se la caveranno. Una delle cose che nonostante tutto siamo riusciti a fare, l'anno scorso, è stato ascoltare in diretta l'ultima testimonianza di Liliana Segre. Lei ci ha ricordato che a tredici anni si è fortissimi, si può resistere quasi a tutto. Ma non è detto che sia facile.

Non so come sarà il mondo tra dieci anni, anch'io fatico a guardare il futuro con ottimismo. Spero di esserci quando la cassetta sarà dissotterrata. Spero di avere contatti con qualcuno di quei ragazzi che allora avrà 22/23 anni. Spero di riuscire a contattare almeno qualcuno per dire loro che abbiamo aperto quelle buste. E ci siamo ricordati di quanto loro siano stati coraggiosi nell'attraversare quella terra desolata in cui si era trasformata la loro Itaca.



Se qualcuno volesse inoltrarsi in un futuro alternativo (ma non per questo ottimista) ecco un nuovo capitolo de L'assedio degli Angeli

mercoledì 1 giugno 2022

Il mio racconto "La nave di Hilde" su Urania "L'ultimo cerchio del paradiso"


 Sono ancora qui!

Chi lo avrebbe mai detto? Io, ad esempio, ad un certo punto ne ho dubito. Perché Maggio è, sempre, "il mese che uccide tutti i prof". È una corsa a ostacoli tra i documenti da compilare, tutti in ordine e tutti bene (alcuni hanno dei non trascurabili valori legali nel remoto caso in cui qualche famiglia facesse ricorso). Quest'anno poi ho anche pescato un paio di non trascurabili carte imprevisti tipo "mio papà si rompe un ginocchio e si prende, di nuovo, il covid" o "arrivo in classe di alunni ucraini con evidenti tracce di stress post traumatico e non parlanti alcuna lingua a me nota", questa da leggersi anche come "chi lo avrebbe mai detto, ti trovi a spiegare Napoleone con il traduttore di Google!". Maggio quindi è stato incasinato e surreale, come ormai è tipico della mia vita, ma un po' più del solito. Però sono ancora qui. E, lo posso scrivere nero su bianco, su Urania.


Su Urania di giugno, infatti, in coda al romanzo "L'ultimo cerchio del Paradiso" c'è un mio racconto, La nave di Hilde.

Non farò finta di non esserne super felice e orgogliosa. Io pubblico poco, pochissimo. Pubblico poco per vari motivi che dipendono principalmente da me. Come autrice voglio fare l'autrice, non l'ufficio stampa, l'addetta alle pubbliche relazioni, la promoter. Non propongo i miei scritti ad editori che non si occupino di questi aspetti. Peggio. Non propongo i miei scritti per pubblicazioni che non stimo. Io, nel mio piccolo, quel poco che faccio, voglio che stia là dove sono i miei miti. E i miei miti in fatto di fantascienza oggi si chiamano Le Guin, McMaster Bujold, Jemisin, McDonald, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Di ciascuno di questi autori ho almeno un volume appartenente a una collana di Urania. Quindi che uno dei miei racconti stia su Urania è, né più né meno, uno dei sogni della mia vita che si realizza. Poi, sia chiaro, mi crea anche tantissima ansia da prestazione. Perché il racconto non è in coda a un romanzo qualsiasi, ma uno inedito in Italia, per cui c'è non poca attesa, come testimoniano i commenti al Blog di Urania. Il che giustifica il mio entusiasmo e la mia paura. Non prego che il mio racconto sia letto. So già che verrà letto. Devo "solo" sperare che piaccia.


La nave di Hilde

Da dove nascono i racconti? Dall'inconscio, ovviamente, dallo scantinato della mente, dove le idee fermentano e poi risalgono con la loro forma già concreta fino alla mente cosciente. Ma a volte c'è qualcosa, un fatto concreto che permette di aprire la porta che conduce in cantina e permette al racconto di uscire con più facilità. In molti casi per me è un'arrabbiatura. Un'arrabbiatura specifica, quando ho a che fare con una storia di cui secondo me è stato buttato il potenziale. Quando si risveglia prepotente la parte meno trattabile del mio carattere che urla a gran voce "io però l'avrei fatta meglio". "Ah sì?" ribatte la Beghina, l'organizzatrice della mia mente, "Allora fallo".

Nel caso specifico questo racconto viene da un film La nave sepolta . L'idea di base mi sembrava bellissima, sopratutto per me che ho studiato archeologia. C'è una nave sepolta nel tuo giardino. Qualcuno deve tirarla fuori. Non si sa cosa c'è dentro. Non si sa cosa c'è dentro di te, cosa verrà fuori da te mentre scavi la nave. Bellissimo. Il film l'ho lasciato a metà. Una noia abissale. Lunghissimo, come sono lunghissime e prolisse le storie oggi che vanno sulle piattaforme e sembra che il montaggio se lo siano tutti dimenticati.

Facciamo una cosa più breve, quindi. Però che bella la nave che emerge pian piano. Aliena col suo provenire da un altro tempo. Aliena, con il suo provenire da un altro tempo. A forma di manta, non di nave. Non è bellissimo un relitto a forma di manta che fluttua nello spazio? Cosa dare per poterci salire, per essere la prima salirci? Che cosa ci scoprirei di me stesa? Quanto è pericoloso? Ed eccola emergere dal mio inconscio, già completa, la bellissima nave che viene da un altro tempo che fluttua nello spazio e la piccola storia che ci gira intorno.

Un amico mi ha chiesto quanto questo racconto sia ispirato alla canzone La casa di Hilde di de Gregori. Non lo so. Ma ovviamente conoscevo anche la canzone e una parte nella fermentazione dell'idea deve pur averla avuta.

So invece da dove viene un personaggio, l'unico personaggio che io abbia preso (quasi) pari pari dalla realtà. Il gatto Calibano è il gatto di mio marito (Orlando Calibano Nerone, Primo del Suo Nome):



E Calibano ci presenta una chicca che voglio condividere con voi, il libro che sto terminando: I sogni si spiegano da soli della mia amata Ursula K.Le Guin.

Perché in qualche modo gli scritti della Le Guin arrivano a me sempre al momento giusto, né prima né dopo. Da bambina quelli per bambini, da adolescente quelli da adolescente e da adulta sempre quelli giusti. E così ora in questa raccolta di scritti è arrivato a me il piccolo saggio sulle madri scrittrici. Che mi ricorda, ci ricorda, che è un falso mito quello che i libri siano "figli" e come tali escludano la possibilità di altri figli. Che le donne possono essere madri, rimanere senza figli e dedicarsi alla carriera, anche intellettuali o possono essere madri e dedicarsi alla carriera intellettuale. Essere madri e scrittrici, buone o pessime, come madri e come scrittrici a seconda del proprio talento e del proprio impegno e non pessime per forza in una cosa, dato che si è anche l'altra.

È stato bello, oggi, leggere queste frasi:

"I bambini piccoli mangiano i libri. Ma poi sputano dei pezzetti che possono essere incollati (...) e quindi la cosa è sì, terribile, ma non così terribile".

E quindi oggi, proprio oggi, esce nella collana che pubblica i miei miti letterari, un racconto confezionato secondo le indicazioni del mio Mito letterario: incollando i pezzettini (di vita, di idee) smangiucchiate da mia figlia nel bel mezzo di una pandemia mondiale.


Per chi volesse leggere qualcos'altro (sempre fatto a partire da pezzettini masticati e incollati), c'è il nuovo capitolo de L'assedio degli angeli