Finite tre relazioni su quattro! Prima di ributtarmi in valutazioni e scrutini, mi regalo una pausa per il blog.
Il blog di Daniele,
Penna Blu offre sempre spunti interessanti.
In questi giorni si discute della difficoltà e della fatica di scrivere. Le risposte sono state varie e articolate e questo, ovviamente, è solo il mio punto di vista.
Da quando ho quindici anni il mio sport è la corsa di resistenza, sono stata un'agonista anche abbastanza agguerrita, adesso sono un'amatrice piuttosto spompata. Continuo, però, ad amare correre e camminare. Se ho un momento libero sono fuori, in mezzo al verde, nonostante sia allergica a quasi tutto ciò che cresce e abbia una rotula anarchica che va dove vuole lei.
Correre è fatica? Sicuramente sì.
Ci sono momenti che si vorrebbe crollare, lì, all'istante, collassare, ma bisogna continuare, se non altro perché si è a chilometri da casa e nulla, se non le proprie gambe, possono riportarci a casa.
Ci sono le ripetute. Si corre al massimo delle proprie capacità per 500, 1000 metri e quando si arriva si sa che, tempo che il cuore si riallinei a un battito sostenibile, si riparte.
Ma nessuno mi ha mai obbligato. E' una fatica scelta, autoimposta e pertanto piacevole. Per un attimo in cui si crede di morire, ce n'è un altro in cui la corsa è pura gioia e si ha la sensazione di essere nati per questo. Ci sono gli scorci imprevisti e imprevedibili, come quello della foto, che ripagano mille volte il sudore.
Nessuno mi ha obbligato a scrivere. Se lo faccio è esclusivamente perché per me è fonte di piacere. Perché ho delle storie da raccontare, che hanno incantato me, che spero possano incantare gli altri. Quando mi metto al computer e inizio a scrivere è una mia scelta, come quando infilo le scarpe da corsa e lo faccio con un sorriso sulle labbra. Pregusto il momento, magari, per tutta una lunga giornata lavorativa. Questo non vuol dire che non sia un piacere faticoso. Un racconto ben strutturato ha alle spalle una serie di riscritture paragonabili elle ripetute che stanno dietro a una buona performace agonistica. Ci sono le volte in cui si crolla. Ci sono le storie abbandonate, esattamente come ci sono le salite mai terminate.
E poi c'è una questione di responsabilità. Se corro come faccio ora, giusto per svagarmi, esco di casa senza cronometro, non devo rendere conto a nessuno, quando la fatica è troppa, semplicemente smetto. Era diverso quando facevo agonismo. C'era un allenatore che dedicava due ore di ogni sua giornata alla nostra preparazione. Gratuitamente. C'era una società che pagava le trasferte e, se il caso, il pernottamento. C'erano i compagni di squadra (anche nella corsa di resistenza ci sono gare a squadre) che magari dipendevano dalla mia performance per partecipare o meno a una gara nazionale.
Avevo una responsabilità precisa verso ciascuno di loro. E allora non si poteva più ragionare in termini "se sono stanco mi fermo". Bisognava dare il massimo, che nel mio caso non bastava certo per andare alle olimpiadi, ma alle nazionali sì. Sforzarsi ogni volta di raggiungere e superare il proprio limite. Anche se poi venivano i crampi. Anche se poi c'era la forza di uscire con gli amici. Anche se poi a fronte di tanto sforzo la gara non andava.
Eppure ho un ricordo estremamente piacevole dei miei anni di agonismo. Se mi chiedono se vale la pena di fare atletica leggere a livello agonistico, io non ho dubbi. La corsa, per me, è gioia.
Stessa cosa vale per la scrittura. Se scrivo per me, per il mio diario, anche per il mio blog, che leggono giusto un paio di amici, va bene tutto. Ma se ho l'ambizione di essere letto, allora è una questione di responsabilità. Verso il lettore che ha diritto ad avere il miglior testo possibile. Verso la mia storia che ha diritto a essere resa nel modo migliore. Verso, se è il caso, l'editore che ha creduto e investito su di me.
E allora c'è la fatica che comporta il cercare di superare i propri limiti. Ci sono le ore passate a litigare con un racconto. Le domeniche trascorse a correggere le bozze. I "non ce la farò mai" e poi riprendere ancora e ancora. Lo sconforto per i rifiuti editoriali e la consapevolezza che l'unica via d'uscita è scrivere meglio.
Eppure, tutto questo, non nega il piacere. La scrittura, per me, è fatica e gioia.
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In queste giornate di "monachesimo scolastico" il mio libro è andato avanti da sé. Del resto, ormai è una creatura indipendente, dotato di vita propria. La stampa locale continua a parlarle (è uscita una recensione sulle pagine vercellesi di La Stampa e su Eco Risveglio) e c'è una bella segnalazione sul sito di
RiLL