lunedì 21 novembre 2022

Proviamoci ancora: scrivere fantascienza


 Ecco qui.
Quella che si vede in fotografia è la schermata dell'ultima pagina del romanzo che venerdì ho inviato al Premio Urania, il principale concorso italiano per romanzi inediti di fantascienza.

Mentre preparavo la busta mi ha colto una sensazione di malessere inusuale. La sensazione che questo sia il mio ultimo tentativo a disposizione. Perché la vita mi incalza sempre più e c'è un limite alle energie che si possono incanalare in qualcosa che, il più delle volte mi da come risposta: "brava, ci sei quasi". Probabilmente la sensazione è dovuta per lo più alla stanchezza che sto provando in questo momento, che nulla a che fare con la scrittura. Forse c'è anche un po' del retrogusto dell'attesa del responso dell'ultimo concorso a cui avevo partecipato (vedasi due post fa) che ancora una volta mi ha detto che il traguardo era lì, abbastanza vicino a poterlo toccare, quasi.

Tutto ciò è ingiusto nei confronti del romanzo che stavo inviando, che è il mio primo tentativo di romanzo di fantascienza e che quindi non deve vedersela con nessun pregresso. Anzi, dovrei amarlo per quello che è: un esperimento che può funzionare oppure no.

La cosa che onestamente dovrei dire che la fantascienza è il genere più faticoso che abbia mai sperimentato.
Il giallo richiede rigore, il fantasy attenzione ai dettagli e inventiva, la fantascienza richiede dedizione. Più dedizione di qualsiasi altra cosa.
Quello che invio è il testo su cui ho lavorato di più in assoluto, conta quattro revisioni complete e due parziali e probabilmente ne necessiterebbe una terza.
Ho già scritto di fantascienza, qualche mese fa su Urania è uscito un mio racconto, ma un romanzo pone delle difficoltà tutte diverse e, almeno di questo caso, di un ordine del tutto differente.

La fantascienza, è lapalissiano dirlo, unisce il fantastico alla scienza. Ha cioè una base di plausibilità che non può essere trascurata. È un genere che lavora sul perché delle cose. 
In un fantasy fatto bene bisogna ragionare sul ruolo di ogni elemento: qual è la nicchia ecologica dei draghi? Come mangiano, quanto mangiano? Cosa comporta a livello ecologico, storico ed economico il fatto che un drago debba mangiare così tanto? Però tendenzialmente si può evitare di soffermarsi sul fatto che a livello meccanico un drago in realtà non possa volare. Una bestia di quelle dimensioni risulta troppo pensante per alzarsi da terra. In un fantasy i draghi possono valere. Anche senza ali.
Ecco, nella fantascienza questo non può capitare. Bisogna sapere perché i draghi volano. Come possiamo risparmiare peso, quanto grandi devono essere le ali? E se sputano fuoco perché lo fatto? Quali sono i processi chimici che portano alla produzione di fiamme. Non importa se il drago appare tanto o poco. Nel fantasy bisogna preoccuparsi delle conseguenze del drago, nella fantascienza il drago va spiegato. Ma, ovviamente, non bisogna appesantire la narrazione con la suddetta spiegazione.

La fantascienza, ho scoperto, è un genere che vive di dettagli e che richiede dedizione totale. 
Per questo romanzo ho fatto una revisione per le basi scientifiche generali su cui si basa la storia. Ho fatto una revisione per la plausibilità dei costrutti sociali. Ho fatto una revisione per l'aspetto biologico. Venerdì sera, giorno dell'invio, ero ancora lì che mi interrogavo sull'infiammabilità di alcuni gas. Ci sarà magari un modo per cui degli organismi viventi possano produrre elio?

Da questa esperienza di scrittura la mia stima per i grandi della fantascienza è cresciuta in modo esponenziale. Perché capisco il lavoro di introspezione psicologica, la ricerca stilistica dei grandi della letteratura, ma forse non si ha davvero idea del mazzo che deve farsi l'autore di fantascienza per costruire i suoi futuri lontani. Non ho mai scritto niente che richiedesse questa mole di documentazione. E, attenzione, uno dei miei romanzi editi è ambientato nel 1881/1882, fatto con in mano le carte geografiche dell'epoca e incentrato sulle innovazioni tecnologiche di quegli anni. Per questo ho letto alcuni saggi di fisica quantistica, ho cercato di approfondire alcuni aspetti della teoria della relatività e mi sono guardata tutta una serie di documentari sulle plausibili forme di vita extraterrestri.
Quando di questo è approdato sulle pagine? Molto poco in realtà.

Mi intrigano alcune sperimentazioni degli ultimi anni (come La quinta stagione) dove l'aspetto fantascientifico "classico" non è, almeno a una prima lettura, preponderante. Dove la storia, le dinamiche sociali e tra i personaggi prendono decisamente il sopravvento. Un mondo narrativo dove la fantascienza sociale incontra il romanzo d'avventura e i personaggi contano più del "e se" della fantascienza classica.

Quindi alla fine quello che ho scritto è un romanzo di fantascienza che termina con una citazione dalla Divina Commedia, che sembra molto poco fantascienza, senza astronavi o super computer.

Non so ovviamente come andrà, essendo un esperimento è plausibile che possa non essere riuscito e anche il mio piccolo gruppo di lettura mi ha dato giudizi contrastanti ("è strano", "non si capisce bene che sia un romanzo di fantascienza").
Però ci provo. Ancora una volta. Magari per l'ultima volta. Però ci provo ancora.

Alla fine tutti sogniamo di tornare a riveder le stelle.

domenica 6 novembre 2022

Il peso delle medaglie


 

Di solito cerco di tenermi lontana dalle ultime polemiche, riservando il blog allo scopo per cui è nato, parlare di di libri ed i scrittura. Tuttavia, da ex atleta, educatrice e appassionata di sport, mi sento di dire la mia su quanto sta succedendo (non solo) nella ginnastica ritmica.

I fatti sono noti a tutti, credo. Non una, ma una serie di atlete, facenti parti della nazionale della ginnastica ritmica, in alcuni casi con importanti palmares alle spalle, hanno accusato gli allenatori di essere state vessate e derise e oggetto di pesantissime pressioni psicologiche. Al centro spesso il peso, eccessivo di pochi etti, motivo che giustificava pubbliche derisioni. A pioggia stanno uscendo tante altre segnalazioni, spesso relative a centri tecnici assai meno blasonati, con oggetto anche delle bambine. Personalmente non credo neppure che la situazione sia circoscritta alla sola ginnastica ritmica.

Per approfondire il discorso, è necessario fare alcune necessarie premesse. Lo sport agonistico è un affare crudele. Non lo si fa per divertirsi (o non solo) né per rimanere in salute, l'obiettivo è portare risultati. Il proprio corpo è il proprio strumento di lavoro e pertanto bisogna averne una cura maniacale. A volte, tuttavia, nonostante tutta la passione, l'impegno e i sacrifici non si è conformi alle aspettative. Io insegno alle medie e la fascia d'età 11-14 anni coincide per molte discipline al momento in cui si inizia a fare sul serio. Nonostante mi sembra che l'atteggiamento degli allenatori sia in generale incoraggiante e sempre più società accolgono volentieri i ragazzi e le ragazze che vogliono continuare a praticare pur senza far parte del gruppo d'élite, ogni anno qualcuno vive il piccolo dramma di non essere più titolare, non venire più convocato, non essere più all'altezza. L'agonismo purtroppo non fa sconti e andare avanti significa mettere la pratica prima delle amicizie, il divertimento e in molti casi anche lo studio. Significa sottoporsi a diete e conoscere la realtà dell'infortunio. Lo so, ci sono passata, dai 15 ani 20 anni tutte le mie giornate erano focalizzate sugli allenamenti e le gare e tutto il resto si incastrava dove si riusciva, se si riusciva. Per chi fa questa vita, gli allenatori sono dei. Il loro compito specifico è portare l'atleta oltre quelli che riteneva i propri limiti e alcuni per farlo ritengono che ogni mezzo sia lecito. Per fortuna il confine tra rigore e prevaricazione ai più è chiaro.

La seconda premessa è che il peso è un fattore non secondario in molte discipline non solo nella ginnastica ritmica. Il mio amato pattinaggio di figura è spesso scossa da scandali simili (alcune pattinatrici hanno rilasciato interviste agghiaccianti). Essere leggeri è un vantaggio in moltissime discipline, se ci pensate di sicuro non avete mai visto un maratoneta che non fosse magrissimo, così come un saltatore d'asta. 

La terza premessa è che, secondo me, in qualsiasi gruppo umano un 10% di cretini è endemico. In qualsiasi sport almeno il 10% degli allenatori, quindi, è un cretino e si permette comportamenti inappropriati, tanto più pericolosi perché rivolti per lo più a giovani o a giovanissimi. In generale lo sport è, da questo punto di vista, assai meno controllato dell'educazione. Un allenatore può permettersi frasi e comportamenti che porterebbero enormi guai a qualsiasi insegnante o educatore. 

Detto questo, le interviste delle ragazze che ho letto hanno delle specificità, che ritrovo in interviste analoghe di pattinatrici artistiche (sopratutto estere) e di ginnaste (per lo più estere). Ci sono delle condizioni, a mio avviso, che rendono alcuni ambienti più a rischio di altri e, in realtà poco hanno a che fare con le caratteristiche della disciplina.

Innanzi tutto le vittime sono sempre ragazzine molto giovani. Sempre femmine. Eppure il peso è importante in un sacco di sport. Ma ecco, ora immaginate la scena. Campo di atletica, un saltatore d'asta barbuto sui vent'anni o più, a cui venga detto di togliersi i pantaloni e correre in modo che tutti possano vedere il suo "grasso sedere da maialone". Come prosegue la scena nella vostra mente? Probabilmente con l'asta usata per malmenare l'allenatore o gli sguardi perplessi, tutt'altro che complici degli altri atleti presenti. Al saltatore verrà probabilmente spiegato perché deve perdere peso e gli verrà fatto conoscere un nutrizionista. Sempre che la perdita di peso sia la questione. Perché la questione a me sembra sia il potere, e la sudditanza psicologica in cui queste giovani donne devono stare. A 15, 16, 17 anni una ragazza è un soggetto debole che si controlla con più rapidità e più efficacia tramite la paura e l'umiliazione. Il peso è solo un pretesto facile e a portata di mano. Pesare un'atleta 4 volte al giorno è del tutto inutile a qualsiasi fine pratico, serve solo a tormentarla. Le ragazze, poi, ahimé, reagiscono "meglio" a questi trattamenti. Sono più resilienti, più inclini a sentirsi in colpa, meno pronte a denunciare dei coetanei maschi, che è più facile che se ne vadano sbattendo la porta (magari da tecnici più sensati).

La seconda cosa che mi salta all'occhio è che in questi casi le ragazze in questioni vengono sempre trattate come se fossero intercambiabili. L'importante non sono loro, è la squadra. Le vittorie sono della squadra, dello staff, non loro. C'è un ricambio veloce al vertice e le ragazze sono messe le une contro le altre per primeggiare anche a scapito delle più elementari norme di autoconservazione. Attenzione, se si ha davvero trovato "un metodo" questo è un sistema estremamente efficace. Le ragazze vendono spremute per non più di un paio d'anni fino al totale logoramento psicofisico e poi si passa ad altre. Gli allenatori stroncano sul nascere delle personalità dominanti, le star sono loro, i tecnici, non le atlete, la cui autostima deve anche per questo essere tenuta bassa. Le atlete non devono mai pensare di essere uniche e speciali, in caso contrario detterebbero legge, esprimerebbero personalità e i rapporti di forza verrebbero rovesciati. Questo sistema non prevede stelle che brillino per più di un paio d'anni, atlete simili non sono né cercate né desiderate. Per questo l'infortunio non è un momento spiacevole ma fisiologico della vita dell'atleta, ma un errore imperdonabile dell'allieva da scartare. Non c'è il tempo materiale per attendere il fisiologico recupero. La scuola, lo staff non aspettano, un'altra medaglia, vinta da un'altra atleta deve essere appesa alla bacheca. 

In conclusione, no, queste accuse non vanno prese alla leggera. Ma hanno poco a che fare con la disciplina in sé, quando con il disturbo narcisistico di persone messe in condizioni di potere. Le ragazze sono "vittime perfette", giovani, con una scarsa propensione alla denuncia, una bassa autostima e un disperato desiderio di compiacere gli allenatori. Proprio per questo non credo che siano casi circoscritti allo sport di vertice.

Due consigli, quindi, per i genitori che si trovino a instradare i pargoli allo sport. La ginnastica ritmica, il pattinaggio e qualsiasi altro sport ritenuto "a rischio" sono discipline bellissime e non c'è nessun motivo razionale per starci lontani. Però, in qualsiasi disciplina, ci si può porre alcune domande. Come sono trattati gli atleti non di vertice? C'è spazio per loro, hanno la possibilità di continuare per puro divertimento? Com'è il clima all'interno della squadra? Come vengono trattati gli atleti infortunati? C'è attenzione, ci sono medici e fisioterapisti convenzionati o sono considerati una colpa dell'atleta? È possibile assistere agli allenamenti?

E per chi pensa che tutto sommato un allenatore sia giustificato ad andare un po' oltre per amore di risultato, lascio le parole di un'allenatrice di uno stato notoriamente cattivissimo, la Russia, Tamara Moskvina, che a più di ottant'anni è ancora in grado di guidare i propri pattinatori verso le medaglie olimpiche: "Ritengo di avere una proprietà di linguaggio tale da riuscire a spiegare cosa non vada nell'esercizio di un allievo senza scadere mai nell'insulto".

mercoledì 2 novembre 2022

A Lucca Comics and Games con Scrittori si Diventa (anche questa volta ci sono andata vicina)



Nell'ultimo mese ho trascurato il blog in modo indegno.
In parte perché ottobre è, almeno nella mia scuola, il mese più faticoso dell'anno, persino peggio di maggio. Ci sono i progetti da presentare, con tutta la parte economica da controllare, confrontare con il budget a disposizione e far approvare, ci sono le programmazioni, quale che sia il nome con cui sono note adesso, i piani personalizzati, c'è sempre almeno un corso di aggiornamento, più i normali consigli di classe e collegi docenti. Questo ottobre, poi è stato un po' più complicato del solito per tutta una serie di vicissitudini famigliari con le quali non vi tedierò. Ma ero anche in attesa di una risposta scrittorea, vincolata al silenzio, con le dita incrociate.
Non è andata, ma anche questa volta ci sono andata vicino, abbastanza per sognare.
Il mio primo tentativo di romanzo per ragazzi è arrivato in finale al concorso indetto da Salani "Scrittori si diventa".
Non è la primissima volta che un mio scritto arriva in finale a un premio importante, ma questa volta c'era il fatto che i finalisti fossero solo cinque e quindi, lo ammetto, qualche film in testa me lo sono fatta, un po' più del solito. Non è andata e sono sicura che sia giusto così. Il premio è stato vinto da Ilaria Prada con il romanzo "La boutique dei ricordi", che non vedo l'ora di leggere!

La cosa più particolare di questa esperienza è stata l'essere tenuti al segreto più assoluto, dal momento che le opere finalista sarebbero state lette in forma anonima.
Avevo partecipato al concorso senza particolare convinzione, dal momento che mi sembrava che una certa sfortuna si fosse abbattuta sul progetto. Avevo contattato un'editor specializzata che aveva già lavorato nella narrativa per ragazzi per la revisione, ma poi lei aveva dovuto rinunciare alla collaborazione per motivi di salute. Dopo di lei un'altra serie di editor specializzati mi ha dato buca/non mi ha risposto e quindi mi sono trovata a navigare a vista in un mondo che so avere regole di scrittura sue proprie e in cui non è così facile inventarsi. Una casa editrice di cui mi fido mi aveva promesso una risposta in un tempo talmente lungo da demoralizzarmi un po' e, infine, ho mancato per pura ignoranza il premio letterario dedicato da quello stesso editore. Insomma, ho inviato al concorso Salani senza una reale convinzione, nella speranza di rientrare nella lista dei 20 semifinalisti. Mi ero completamente persa il fatto che la lista dei 20 semifinalisti non sarebbe stata resa pubblica e quindi ho dato per scontato di non esserci rientrata. E, invece, ai primi di settembre ho trovato in aula insegnanti a scuola il comunicato stampa di Salani con le cinque opere finaliste e tra i titoli ho riconosciuto il mio. Solo a sera ho letto la mail ufficiale che mi raccomandava il silenzio, cosa a cui mi ero comunque attenuta per mera incredulità.

Non ho vinto, ma, passato il momento della distruzione dei film mentali non posso che essere comunque felice. Intanto sono arrivata lì con la mia prima produzione lunga post pandemia. Il che dimostra almeno due cose. Anche in questa nuova fase della mia vita riesco a scrivere decentemente. Questo romanzo così particolare con cui mi sono messa alla prova in un territorio nuovo non solo non fa schifo, ma è stato (in parte è ancora, dato che c'è un'opzione di acquisto ancora in essere) degno di attenzione da parte di un editore big.

E comunque ho vinto. Ho vinto una scusa per andare a Lucca con tutta la famiglia e la partecipazione all'evento di gala con premiazione della serata di sabato al Teatro del Giglio, dove ho visto e ascoltato una quantità impressionante di mostri sacri, da Milo Manara al direttore degli Uffizi (sì, insieme, sullo stesso palco a discutere di tavole di fumetti e Botticelli senza soluzione di continuità).



 Lucca è, sempre, per me un posto magico, il cui livello di magia aumenta in corrispondenza della fiera. Quest'anno, nell'edizione dedicata alla speranza, nessuna delle mie aspettative è andata delusa. Nonostante la folla e la comprensibile stanchezza di chi ci lavorava abbiamo trovato sempre gentilezza, disponibilità e, cosa non secondaria se ci si muove con una bimba di sei anni, bagni puliti e senza attese. Abbiamo vissuto una Lucca a misura di bambino, trascurando la parte più propriamente editoriale, ma mi sono divertita come non mai.
Vi regalo tre momenti top.

1 - Vale la pena di andare a Lucca con un bambino anche solo per assistere alle lezioni dell'accademia Jedi
I bambini vengono vestiti, armati di spada laser e poi portati in un suggestivo chiostro medioevale dove dei Jedi in costume provvedono al loro addestramento. E devono essere pronti perché i Sith possono attaccare da un momento all'altro! Tra location, costumi e musica sembrava davvero di essere in un film.

2 - Il mio eroe, nonostante il mio animo antimilitarista, è stato un soldato. I bambini avevano infatti la possibilità di provare alcuni mezzi speciali militari. Venivano forniti di visore 3D per simulare la guida. Il soldato controllava su un monitor quello che i bambini stavano vedendo e, quando arrivavano su un terreno sconnesso, faceva ondeggiare il mezzo per simularne il procedere. A mano. Per ogni bambino. Dalle 9 del mattino fino alla sera. Santo subito.

3 - Come raccontavo sopra ho partecipato come spettatrice alla sera di gala e premiazioni al Teatro del Giglio. Sul palco si mescolavano con strani intrecci autori, direttori di musei e creatori di giochi. Ecco. Strani intrecci davvero. Gli autori, sopratutto quelli giapponesi, erano tutti elegantissimi, ci hanno ricordato che quel teatro ha visto l'esordio di Puccini e mostrato quanta cultura alta ci sia nel fumetto, occidentale o orientale che sia. I creatori di giochi... Si sono presentati per lo più nella classica tenuta nerd: maglietta, barba e capelli incolti, tatuaggi, fisici non troppo statuari. Sono saliti sul palco con la grazia di un equipaggio vichingo che si appresti a depredare una cittadina, con i modi pacati da festa della birra... E sono andati a stringere la mano al direttore del Museo Egizio di Torino iniziando a dissertare di geroglifici e di gioco nell'antichità. 
Perché Lucca è, più di qualsiasi altro posto al mondo, il luogo dove non si deve mai giudicare qualcuno dall'apparenza. Se sei lì è perché hai almeno una passione in comune con qualsiasi altro presente. Come ci è stato ricordato durante la serata, Lucca è speciale perché le persone quando ci vanno sono felici. Felici di incontrasi e condividere le proprie passioni. Europarlamentari, direttori di musei o creatori di giochi che siano.