"Stenderò il mio rapporto come se fosse una storia. Mi è stato insegnato, quand'ero bambino, sul mio pianeta natale, che la Verità è una questione di immaginazione" U.K.Le Guin - La mano sinistra delle tenebre
lunedì 9 maggio 2022
Trilogia "Cosa resta degli eroi" di Richard K. Morgan - letture
domenica 24 aprile 2022
Le cose crollano - l'alba della letteratura africana moderna
martedì 12 aprile 2022
Caro scrittore che per la prima volta stai partecipando a un concorso letterario
Come vedi ti chiamo "scrittore" e non "aspirante scrittore", perché lo sei già. Lo so che lo sei già. Dobbiamo solo accorgercene noi. Con noi non intendo un noi generico "noi lettori" ma "noi pre giuria dei concorsi letterari". Chi siamo?
Siamo il tuo primo ostacolo da superare, quelli che dobbiamo stabilire se il tuo racconto non sia l'uno su mille che ce la fa, ma l'uno su dieci/venti/trenta che ha la possibilità di farcela.
Il concorso a cui stai per spedire il tuo racconto non ha una pre giuria? Cambia concorso.
Devi sapere, dunque, che i concorsi seri sono conosciuti come tale e quindi la gente partecipa. A centinaia. A diverse centinaia. Serve quindi che qualcuno inizi a separare il grano dalla pula in modo da arrivare a una rosa di finalisti (cinque, dieci, venti, dipende dai casi e dai concorsi) tra i quali la giuria, quella vera e spesso titolata, sceglierà il prescelto. L'Eletto. Siamo, quindi, il livello 1 del videogioco, il mostro appena fuori dalla locanda, il primo ostacolo che il tuo racconto dovrà superare. Per quanto il goblin zoppo sia molto più trattabile di un drago, è comunque il primo mostro da superare. Non lo puoi eludere o ingannare. E anche la sua affettacani arrugginita (tipica arma in dotazione al goblin zoppo) i suoi danni li può fare. Quindi lascia che il goblin stesso ti dia qualche consiglio.
La grammatica ti è amica. Hai la grande idea innovativa? Benissimo. Facciamo dal secondo racconto. Magari anche dal terzo. Tutti i pittori d'avanguardia sono partiti dall'accademia. Lo so, la colpa è nostra, non della tua geniale istanza di rinnovamento della lingua. Ma capiscici. Al centoquattresimo racconto ci parte l'embolo al terzo congiuntivo sbagliato. Di fronte alla punteggiatura atipica non riconosciamo il genio. I nostri vicini, però, potrebbero riconoscere la bestemmia.
È questo il concorso che stai cercando? Cioè, è molto interessante la tua introspezione esistenziale che parte da quella volta che ti sei reso conto di essere andato al lavoro con i calzini spaiati. Ma se il concorso è sul giallo devi darci un giallo. Al centosessantesimo racconto il mistero del calzino scomparso e tutta la sua metafora dello smarrimento interiore ci prende poco. Siamo gente grezza. Se il racconto è horror dacci un horror, se è fantascienza, fantascienza. Siamo gente gretta, che predilige l'ovvio e il prevedibile. Certo. Ma comunque da noi dei passare.
Qual è l'occhio che sta guardando? Chi racconta la storia? Tu? Il demiurgo onnisciente che sta sopra le pagine? Benissimo. Un narratore impersonale che segue i personaggi come un documentarista neutro che deve guardare il leone inseguire la gazzella senza tifare per l'uno o per l'altro e senza conoscere l'esito della caccia? Benissimo. Siamo dentro la testa di un personaggio e guardiamo il mondo con i suoi occhi nonostante la terza persona? Benissimo. Siamo il personaggio, è il suo sguardo che vediamo, la sua voce che sentiamo, in una sorta di estatica comunione mistica? Benissimo. Ma il minestrone no. Le montagne russe narrative in cui da dio onnisciente in tre righe ci incarniamo in uno sguardo per poi rifletterci in un altro e infine frammentarci in infinite identità? Grazie, no. Lo so, lo so, ci sono sperimentazioni, ci sono grandi scrittori. Facciamo al secondo racconto, dai. Questa volta no.
Dacci un finale che sia un finale. Il finale aperto, apertissimo, in cui sta al lettore capire chi è l'assassino, fino magari a sospettare di essere lui stesso il carnefice? Bello, ma facciamo al prossimo. L'horror vago e inquietante, così vago e inquietante che forse c'è un mostro in cantina, forse in cantina c'è un cimitero indiano, forse la cantina esiste solo nella mente del personaggio, forse il personaggio è la cantina, forse il lettore alla fine deve capire di essere una cantina? Bello, ma facciamo al prossimo. Il super paradosso temporale in cui forse il figlio ha partorito il nonno, l'uomo del futuro è stato l'avo fondatore che ha inseminato un ominide per dare origine ai sapiens, ma magari è tutto un sogno dovuto alla peperonata? Bello, ma facciamo al prossimo. Non è un racconto, ma il primo capitolo della tua grande saga in dieci volumi in cui tutto sarà chiaro all'ultima pagina delle cinquecento tre del tomo conclusivo? Abbi pazienza. Un racconto è un racconto, una cosa piccola e finita in sé. Può avere tante chiavi di lettura, un finale moderatamente aperto, ma non può essere un antipasto di un banchetto che non mangeremo mai. Siamo gretti e limitati, dici? Beh, cosa ti aspetti da un globlin zoppo?
Dacci una storia, uno sguardo o un personaggio. Possibilmente tutto di questo, ma almeno una cosa. Cosa ci rimane in testa a lettura finita? Cosa ci farà ricordare proprio il tuo racconto tra le centinaia? Basta un guizzo, un lampo d'emozione, un personaggio per cui tifare, un motivo per girare pagina. Perché ti dirò la verità. Al duecentosedicesimo racconto siamo stanchi. La tentazione di leggere solo le prime dieci righe è enorme. Siamo pigri, dici? Beh, siamo al duecentosedicesimo, direi che siamo stanchi. Siamo umani. Quindi se il tuo genio sta nel narrare la noia in modo noioso, beh, forse riuscirai ad annoiarci. Tieni desta la nostra attenzione e forse riuscirai a passare.
Dopo tutto noi siamo goblin zoppi un po' particolari. Quello che desideriamo è essere sconfitti da un racconto degno. Che ci rimanga dentro anche mesi, anni, dopo la lettura. Qualcuno a cui inchinarci e da far passare. Qualcuno di degno di andare ad affrontare i draghi.
Buona fortuna!
Piccole note finali per i lettori abituali.
Portate pazienza, ho poco tempo per tutto, compresa la web sfera. Vi penso, vi leggo anche se spesso non commento.
Per chi volesse, ecco un nuovo capitolo (ancora non passato al vaglio di nessun goblin zoppo) de L'assedio degli angeli
martedì 29 marzo 2022
Da dove nascono le storie
venerdì 18 marzo 2022
Libri di donne per il mese delle donne
Non è una scelta consapevole, ma negli ultimi tempi sto leggendo (o ascoltando) molti più libri scritti da donne, molto diversi tra loro. Ma marzo è il momento migliore per presentare tre tra le mie ultime letture.
Karoline Kanmartedì 8 marzo 2022
L'autunno dei cinghiali assassini
Come si racconta una pandemia?
Posso mai io raccontare tutta una pandemia? No, ovviamente. L'autunno scorso, però, ho preso una decisione. Avrei raccontato la pandemia che mi si stava scatenando intorno. E gli eroi della mia storia sarebbero stati dei ragazzini, quelli che vedevo ogni giorno, i miei alunni. Eroi silenziosi e bistrattati, chiusi in casa, con le loro aspirazioni sociali o sportive negate, con regole sempre più ostili da seguire a scuola. La zona rossa, in cui si va a scuola solo se si ha Bisogni Educativi Speciali, se no si segue da casa. E in entrambi i casi si è scontenti.
Mentre prendevo questa decisione c'è stato un alluvione, che si è portato via parecchie cose, un ponte importante vicino a dove abito, ma anche un cimitero. Ecco, quella era una meravigliosa idea per un racconto. Che sarebbe stato un horror che iniziava con un cimitero portato via da un alluvione.
Poi i miei genitori si sono ammalati di covid e io sono finita in quarantena a casa loro. Ne siamo usciti tutti. Io in quei quindici giorni avevano preso accordi per prendere un gattino e avevo finito il racconto. Ha quindi una genesi avventurosa ed è stato scritto "in tempo reale", aggiornando gli eventi narrati all'ambientazione che intanto si evolveva.
A scuola stiamo lavorando sul progetto "Capsula del tempo", vogliamo fare una cassetta da aprire in futuro per ricordare questi anni strani, dolorosi e a tratti surreali. Se ne facessi una io ci metterei dentro questo racconto.
Per me è importante, per come è nato, per cosa racconta, perché, insieme a un racconto scritto poco dopo, ha dato il via a una serie di nuove narrazioni che spero vedranno via via la luce (una che mi inorgoglisce particolarmente vedrà la luce tra qualche mese).
Credo, in tutta onestà, che sia un buon racconto, uno di quelli che invecchierà bene e che, leggendolo anche tra qualche anno, farà appassionare alle avventure di Tom e Lars e farà riflettere su quanto abbiamo vissuto.
Voi però leggetelo ora!
Nel link qui sotto trovate tutti i formati in cui è disponibile (cioè tutti o quasi)
L'autunno dei cinghiali assassini
Delos Digital - collana Innsmouth
Come sempre, un grazie speciale a tutto lo staff di Delos Digital e in particolare a Luigi Pachì, che si è occupato di questa pubblicazione.
venerdì 4 marzo 2022
Tutto troppo vicino
Questa foto è di mercoledì 23 febbraio.
I bambini, mia figlia e i miei due nipoti giocavano in cortile vestiti da carnevale, piccola compensazione delle tante feste anche quest'anno cancellate a causa covid. Io, mia cognata, docente di lingua e letteratura russa ,e la vicina ucraina discutevamo della situazione. La Russia che avrebbe allentato la tensione con la promessa che l'Ucraina non sarebbe entrata nella NATO e il riconoscimento dell'autonomia di Crimea e Donbass. Preoccupazione presente, ma moderata.
Lunedì la mia vicina era quasi in lacrime. Sua mamma, circa ottant'anni, che abita a quattro ore d'auto dalla Polonia ha dormito in cantina. Non si era messa in macchina giovedì al deflagrare del conflitto: alla sua età non se l'era sentita di mettersi in auto. Così lontana dal confine russo non pensava che il conflitto la raggiungesse e, per lo stesso motivo, sua figlia non era partita per recuperarla. Ora suonavano gli allarmi e la benzina scarseggiava.
Mercoledì a casa del figlio della vicina è arrivata una mamma con due bambine, stessa cosa da una conoscente di un collega.
Tutte le guerre sono crudeli allo stesso modo e tutte le vittime sono solo vittime. Non si può fare una classifica della sofferenza e queste persone di cui sono a conoscenza sono molto meno allo sbaraglio di molte altre. E tuttavia persino nel Vangelo esiste un concetto di prossimità come propria area di influenza. Fa parte della nostra natura umana essere più colpiti da ciò che è vicino. E qui le cose si stanno facendo tutte troppo vicine.
Non riesco a rimanere serena ed equidistante in questo momento. Giovedì scorso a scuola i ragazzi volevano approfondire la situazione. E io, scellerata, ho ripetuto il mio mantra "andiamo direttamente alle fonti". Andiamo a leggere una traduzione affidabile del discorso di Putin. Ok. Da che l'ho fatto sono disposta ad ascoltare tutti i i discorsi sugli errori dell'occidente (e a dare anche ragione) solo nel momento in cui nessuno più mi minaccerà con le armi atomiche.
Detto questo, rimane il fatto che non c'è una classifica del dolore. Una mamma russa in ansia per un figlio al fronte di cui non ha notizie è vittima tanto quanto chi scappa senza avere notizie dei propri cari. Sono ignorante in materia. Lo ammetto. Ho bisogno di pensieri semplici. Se hai perso la tua casa per la guerra sei un profugo e stai dalla parte delle vittime da aiutare. Non importa che lingua parli, ucraino, russo, afgano, fosse pure venusiano.
Intanto si moltiplicano iniziative di dubbio buon senso o addirittura di dubbia onestà. Per una raccolta di beni di prima necessità indetta dal comune e che ha uno scopo e una destinazione precisa, iniziano raccolte fondi per soldi che finiranno chissà a chi per chissà cosa. Per azioni di boicottaggio più o meno sensate, ma di cui comunque vedo il senso (rimuovere gli atleti russi dalle competizioni sportive può far sorgere domande di patria ma tutela anche gli atleti stessi che non possono essere obbligati a prendere posizioni né essere esposti a gesti inconsulti) e altre che di senso non ne hanno proprio. Davvero non è il caso di parlare di autori russi? Davvero bisogna accostargli degli autori ucraini? E quindi? Sempre un libro di un autore tedesco e uno di autore ebreo? Uno statunitense e un cubano? Uno cinese e uno tibetano? Facciamo piuttosto vodka e coca cola, che la capisco di più e, di questi tempi anche l'alcol ha il suo richiamo (nota per genitori di miei alunni: non sono astemia, ma non mi sono mai ubriacata, tranquilli).
È tutto troppo vicino perché sia "solo una delle tante altre guerre per cui non hai mosso un dito" (che poi, che dito mai potrei muovere che abbia un effetto, per questa o altre guerre?). A scuola io e una mia collega abbiamo deciso di parlarne in compresenza. Perché se non rimane l'elefante nella stanza. Non ha senso studiare il settecento, i torti e le ragioni nella rivoluzione francese e non dedicare nemmeno un minuto ai fatti che comunque imperano nella nostra informazione. E tuttavia è difficile trovare le parole giuste, le distanze giuste. Per questo lo facciamo insieme, per correggerci a vicenda, compensarci, cercare di fare in modo che il buon senso prevalga.
Non so bene che buon senso possa prevalere. È tutto troppo veloce e troppo vicino. Ma alcune cose le so.
Leggere e conoscere una cultura non fa mai male. Ci vogliono più conferenze che parlino di libri. Russi. Ma anche armeni, nigeriani, equadoregni. Leggere e parlare di libri non può mai fare male. Chi perde la propria casa e fugge va aiutato, a prescindere dal colore della pelle, della lingua e dalla provenienza. Confondere una parte per il tutto è sempre sbagliato. Un singolo non è una nazione o uno stato. Come io sono italiana, ma non mafiosa, così è assurdo parlare di ucraini nazisti o di russi guerrafondai. Tutto ciò è di una banalità disarmante e tuttavia posso solo raccomandare a me stessa quello che raccomando ai miei alunni quando stanno scrivendo una risposta di storia o di geografia. Parti dall'ovvio, non dare nulla per scontato, non dimenticarti le basi. Neppure quelle dell'umanità.
Se qualcuno non si fosse ancora stancato di leggere qualcosa di mio, ecco il nuovo capitolo del L'assedio degli angeli.
Tra qualche mese qualcos'altro di mio arriverà su carta. Poche pagine, ma di cui sono davvero felice, perché significa, almeno una volta, almeno con un racconto, stare a fianco dei giganti.
martedì 22 febbraio 2022
Crescere nella pandemia
Ci sono piccoli fatti di per se insignificanti che però fungono da campanelli d'allarme.
Nelle ultime settimane a scuola sto raccogliendo strani indizi che suscitano domande che sto condividendo con amici e colleghi alla ricerca di una chiave di letture.
Le cose sono andate all'incirca così. Dopo il solito ciclo di lezioni mi appresto a correggere le verifiche di geografia. Ora geografia è di solito una materia "amica". Piace, permette di immaginare viaggi, esperienze, si presta a mille approfondimenti e collegamenti interdisciplinari. Non è una materia che in generale metta ansia, né io voglio che lo sia. Deve essere una di quelle materie in cui più o meno tutti, se ne hanno la volontà, possano cavarsela, dove sono più propensa ad aggiungere piuttosto che a togliere. Insomma, per andare male bisogna proprio impegnarsi. E poi le classi di questi anni sono le migliori che si potessero sognare di questi tempi. Neppure so più come si fa a mettere una nota disciplinare. Quindi nell'assoluta non volontà di infierire ho confezionato una verifica sulla Germania che prevedesse una lettura di cartina (con possibilità di consultare quella del libro) e delle domande sul passato della Germania, studiato attraverso video, film, giochi di immedesimazione. Una di quelle verifiche in cui ci sia aspetta di distribuire otto a pioggia. Ed ecco quindi la mia costernazione nello scoprire che Berlino si trova nella Pianura Padana, Vienna sta in Germania, il muro di Berlino era alto 550 m o anche 155 km. La cosa più strabiliante era che le risposte erano del tutto indipendenti dallo studio. La cartina era data e ben leggibile. Il discorso sul muro di Berlino poteva essere sostanzialmente corretto fino alle dimensioni dello stesso.
L'esperienza mi ha insegnato che alcune risposte deliranti hanno origine dal fraintendimento di qualcosa di effettivamente detto o fatto in classe, ma qui si andava troppo nel mondo parallelo perché l'origine fosse quella. Qualche giorno dopo mi trovo a parlare della dominazione austriaca su Milano. Tra dove insegno e Milano ci sono circa 40 minuti d'auto. Ho pertanto la malaugurata idea di chiedere a che punto della strada si scavalli dal Piemonte alla Lombardia, per far capire come da noi si fosse in un altro stato. Al piovere delle risposte inizio a segnare alla lavagna i paesi che secondo loro si incontrano tra il Lago d'Orta e Milano. C'è chi ci fa fare il gran tour del Piemonte e chi punta diretto verso la Svizzera. Salta fuori che la maggior parte di loro a Milano non c'è mai stata. Oppure ci sono stati da bambini, nel mitico e lontano mondo pre pandemia.
Ormai viviamo da due anni nella bolla pandemica. Due anni di viaggi mancati, di prossimità, affetti stretti, tamponi e mascherine. Due anni di DaD a singhiozzo. Per me sono due anni tra i 40 e i 42, ma per loro sono due anni tra i 10 e il 12, tra l'infanzia e l'adolescenza. Due anni in cui il virtuale ha sopravanzato il reale, cui Milano è lontanissima, può stare accanto a Berlino, tanto sono entrambe irraggiungibili. Due anni di esperienze mancate. Ieri un'alunna commentava un libro letto ambientato a Londra. Si stupiva di leggere di suoi coetanei (quasi 13 anni) che andavano da soli in metropolitana o salivano sulla ruota panoramica. Lei la città non ricorda di averla mai vista e la sola idea le fa paura, il luna park è un'esperienza lontanissima, dell'infanzia e di un mondo forse ormai finito. Fino a qualche anno fa gli alunni di seconda media spasimavano per visitare Londra o Parigi, ora è un sogno irraggiungibile. Non solo, queste città generano più paura che desiderio.
Li osserviamo giocare all'intervallo nel grande cortile che per fortuna abbiamo, ben diviso in modo che ogni bolla/classe abbia il suo spazio, e vediamo come giochino come farebbero bambini di 8/9 anni. Fanno tenerezza, giocano a sparviero o a prendersi. Si organizzano, raramente litigano, anche perché i loro rapporti sono strettissimi all'interno della bolla, se si vedono fuori da scuola spesso lo fanno solo tra compagni di classe o addirittura tra quelli seduti più vicini, per limitare i contatti. Poi c'è il contraltare d'ansia. La psicologa scolastica ha l'agenda piena. Abbiamo una percentuale non trascurabile di ragazzi che che faticano a uscire di casa per venire a scuola, incapaci di affrontare il mondo. Siamo una scuola piccola e quindi cerchiamo di non perderli, di andarceli a cercare, di recuperarli, ma stiamo parlando di un ragazzo ogni 20/25 studenti, una percentuale mai vista.
L'unica osservazione che riesco a fare ora è che non si cresce chiusi nella propria camera. Si può apprendere, ci si può istruire, ma non si cresce. Quello che manca a questi ragazzi è il contatto con l'esterno, il confronto tra il personale e il generale. Quel minimo si esperienza empirica che ti ha scattare un campanello d'allarme se stai scrivendo che un muro è alto mezzo chilometro o che Berlino sta verso Pavia. I miei alunni hanno 12/13 anni. Sono abbastanza ottimista sul fatto che ne usciranno. Sono resilienti. Hanno attraversato dolori, quasi tutti la pandemia l'hanno vista da vicino, a molti ha portato lutti. Non sono bimbi viziati. Sono educati e volenterosi. Quello che manca è solo il contatto col mondo esterno. Due anni, però, credo sia il limite massimo che si possa sopportare, specie a quest'età. Perché questa condizione è pericolosa a più livelli. L'adolescenza è l'età della scoperta, del sé, degli altri, del mondo oltre e a volte in opposizione alla famiglia. Non la si può affrontare con il timore per tutto ciò che è esterno. Metà dei ragazzi ha sintomi da ansia da controllo, li abbiamo anche noi adulti, ma dovremmo avere gli strumenti per affrontare la cosa, cosa che non si può pretendere a 12 o 13 anni. Ma mi spaventa ancor di più la difficoltà nel riconoscere il plausibile generata dalla mancanza di esperienze concrete. I miei alunni, poi, sono ragazzi di campagna. Vanno per boschi, si muovono in bicicletta, hanno discrete abilità pratiche. Ma nella loro inesperienza è facilissimo convincerli di qualsiasi cosa. Oggi di un posizionamento improbabile di una città, domani di chissà cosa. Google è l'unico detentore delle verità su un mondo esterno che forse non esiste e che comunque non li riguarda. Perché, ed è la cosa più triste, faticano non solo a immaginare una vita diversa, ma anche a sognarla o a desiderarla. Che l'idea di visitare Londra metta paura forse è peggio di pensare che Berlino stia verso Pavia.
Per chi volesse una storia (solo un po') meno angosciante, ecco un nuovo capitolo de L'assedio degli angeli.
domenica 13 febbraio 2022
Paolo e Francesca (quelli di Dante) nella canzone italiana
Torno alla blogsfera dopo quel periodo di tormenta scolastica che sono gli scrutini. Per quanto della scuola io mi lamenti diffusamente anche qui, per le condizioni folli della scuola pandemica, per la burocrazia malevola e degna delle peggiori maledizioni che la affligge e a volte anche per le situazioni surreali che mi trovo a gestire, insegnare mi piace molto. E mi piace anche per motivi poco ovvi. Non mi annoio mai e, con la scusa di preparare delle lezioni, a volte posso dedicarmi a esplorare argomenti che piacciono principalmente a me. A intervalli regolari i miei alunni si trovano a cerca dei riferimenti letterari nelle canzoni. L'idea pedagogica alla base è che la letteratura è sempre viva, parla a tutti e diventa patrimonio culturale comune. La verità è che per me è un'occasione per approfondire il mondo della canzone italiana e per scoprire qualcosa di nuovo. Lo avevo già fatto per Ulisse, adesso l'ho rifatto per Dante.
In realtà quello che ho proposto ai miei alunni è stato un gioco molto più circoscritto. Cercare delle canzoni che contenessero un esplicito riferimento al famosissimo passo dell'Inferno dedicato a Paolo e Francesca, capire la canzone e dire con quale personaggio dell'episodio il cantante si immedesima nella canzone.
Ecco i risultati.
JovanottiClementino
Claver Gold, Murubutu e Giuliano Palma
Inferno
Questa è fuggita all'attenta ricerca dei miei alunni. Abbiamo di nuovo il punto di vista di Paolo e c'è l'idea del peccato inevitabile e dell'Inferno come unico luogo sicuro dell'amore.
Alla fine è inevitabile concludere che non solo Dante parla a tutti e può ancora emozionare, ma è comunque lui il più moderno. È lui che la storia di Paolo e Francesca la fa narrare a Francesca. E ci regala così una splendida figura di donna, gentile e peccatrice insieme, disposta a pregare per Dante, ma non a pentirsi, che non è sedotta né seduttrice, ma che sceglie Paolo a dispetto di tutti, anche di Dio.
Se volete leggere qualcosa di decisamente meno alto, qui il nuovo capitolo de l'Assedio degli angeli
sabato 29 gennaio 2022
Facciamolo strano (in narrativa)
Difficile presentarlo se non come un libro-game per adulti. C'è un romanzo con un mistero e le note a margine di chi lo sta leggendo, più tutta una serie di allegati che aiutano a risolvere gli enigmi. L'oggetto in sé è meraviglioso e dà lustro a qualsiasi libreria.
Anche questo romanzo ricorda la struttura del libro-game. C'è un tizio che rimane imprigionato in un "altrove" che ha la forma di una magione nobiliare inglese particolarmente triste. Sa che alla sera Evelyn Hardcastle sarà uccisa e lui deve scoprire chi è il colpevole. La giornata si ripete sempre uguale, è lui a cambiare, trovandosi ogni giorno in un corpo differente. Del suo passato non ricorda nulla, ma se troverà l'assassino uscirà dal loop e forse troverà se stesso, ma ha solo sette "vite" per riuscirci.
Ho acquistato questo romanzo molto intrigata dalle premesse. Un giallo il cui punto di vista sia interamente affidato ad animali che osservano quanto accade agli esseri umani.
Ada è una giovane nigeriana che ben presto si trova a vivere all'estero. Dentro di lei, però, abitano degli spiriti. O forse Ada ha problemi psichiatrici e una personalità scissa. Di certo sono questi spiriti/personalità a raccontare la storia che si dipana tra Africa e USA.
lunedì 17 gennaio 2022
A volte ritornano – Un altro giro di DAD
La fine delle vacanze di Natale ha riacceso i riflettori sulle scuole.
Il primo effetto è che tutti si sono sentiti in dovere di dire la loro, sopratutto quelli che a scuola non ci vanno da ere geologiche. Così si è sentito tutto un valzer di ipotesi. Centri commerciali aperti per saldi, ma scuole chiuse. DAD per tutti, che fa bene. DAD per nessuno perché fa danni. Niente DAD, recupero a giugno, magari anche a luglio o ad agosto, quando ci si rende conto che quasi tutti i docenti a giugno fanno esami. E comunque i prof sono quasi tutti attaccati al loro stipendio (come ha risposto un docente, il nostro però è un amore platonico, vista l'entità dello stesso), non hanno voglia di lavorare, se la DAD non funziona è perché non si sono aggiornati e via così.
Premesso che ciò che penso della DAD in qualsiasi sua forma, alternata, integrata, carpiata e (sempre) arrangiata, è riassumibile in "tutto il male possibile" alla fine ciò che è stato partorito un regolamento di rara complicazione. Sei contatto? Sì, ma quanto sei contatto? Sei vaccinato? Sì, ma quanto sei vaccinato? Sei bambino? Sì, ma quanto sei bambino? Sei positivo? Sì, ma in quanti siete positivi in classe? Il tutto va frullato in arcani calcoli, invocazioni a divinità del grande oltre e il risultato è il destino della classe e quello del singolo, dato che le quarantene sono diventate di una durata assai variabile. Questo è in teoria.
La pratica?
Ogni mattino arriva, in un'orario variabile da mentre stai andando a scuola a dopo due ore che sei in classe, l'aggiornamento ufficiale. Pallino, Caio e Sempronia seguono da casa, Pallino ha il papà positivo, Caio il compagno di calcio, Sempronia non si sa. Ma a questo punto il tam tam mi ha già detto che Sempronia ha fatto un rapido casalingo che è risultato positivo e attende quello ufficiale. Ovviamente privacy alla mano nessuno dovrebbe sapere niente, ma Sempronia a scritto a Tizia, che lo ha detto a Cosina, che l'ha rivelato al compagno che a questo punto lo sa tutta la scuola. La privacy è la prima vittima di Omicron.
A questo punto iniziamo a preparare il collegamento per Pallino, Caio e Sempronia con annessa invocazione al Grande Oltre perché tutto funzioni. Intanto il gruppo a scuola... Non ho idea di cosa faccia il gruppo a scuola perché io sto invocando potenze infere per far apparire i tre Distanziati sulla Lim della classe. Il Fato mi ha dotato di ragazzi giudiziosi e comunque non ho alternative.
Il collegamento si attiva. Inizia l'abituale seduta spiritica. Pallino mi senti? Bzzz... Bzz... Caio mi vedi? Sempronia... Qui arriva la parte più surreale. Quella in cui almeno uno dei Distanziati del giorno non sta bene ma "mi connetto lo stesso, prof, che almeno è compagnia". Questo dà un senso a tutto. Cerchiamo di essere per i Distanziati una tacca più interessanti del soffitto della stanza in cui sono in isolamento. Sento che è una lotta dura. C'è sicuramente una crepa sul quel soffitto che a tratti è più interessante della mia voce, ma mi impegno per sconfiggerla.
Inizia quindi la lezione mista. Quella in cui devi passare tra i banchi a controllare i presenti e in contemporanea scrivere ai Distanziati e in contemporanea controllare il volume perché tutti sentano tutti. Ah, il volume. Ovviamente indosso la mascherina FFP2 carpiata e rinforzata che non lascia passare niente, sopratutto la voce. Quindi sono microfono munita. Quel tipo di microfoni che a me fanno molto "Non è la RAI" dei tempi d'oro. Che però fa interferenza con il microfono del computer collegato alla LIM. Quindi c'è un punto preciso in cui tutti sentono. Appena più lontano dal computer e i Distanziati sono persi. Appena più vicini e partono dei fischi inenarrabili che potrebbero in effetti essere le lamentele degli antichi del Grande Oltre, giustamente disturbati da tutte le mie irripetibili imprecazioni.
E poi, quando la lezione è in qualche modo partita, arriva il momento più temuto. Oltre a Pallino, Caio e Sempronia ci sono altri 2/3 assenti di cui ci sono notizie vaghe e non verificabili. Ciccio si è fatto male. Tizia mi ha detto, ma non mi ricordo se faceva il vaccino o il tampone, una cosa così. Una cosa così. Peccato che entri la segretaria ad avvisare che un membro della classe è risultato positivo. La privacy è già morta, tanto è evidente che Tizia ha fatto il tampone e non il vaccino, visto che Ciccio nel frattempo ha scritto sulla piattaforma il perché e il percome della sua assenza e lo stato di salute della sua famiglia fino al cugino di quinto grado.
Però Tizia è positiva ed è stata in classe nelle 48 ore precedenti. Il ripetente, l'unico di tutta la classe che non è sempre stato più che ligio sull'uso della mascherina sbianca. "Secondo lei qualcuno morirà?". Acc... Cerco le parole per rassicurarlo. Non faccio a tempo a chiedermi se ho raggiunto lo scopo, che ha un'altra domanda. "Ma per la merenda che facciamo?". Forse temeva la morte per inedia. In effetti è una bella domanda. Mandiamo la segretari a chiedere, perché l'unica certezza è che ora tutta la classe deve indossare la FFP2. Chi non l'ha con sé chiede se deve andare a casa. Il fatto che più tardi ci sia verifica è solo una curiosa coincidenza. Qualcun altro mi chiede se i genitori hanno fatto bene a non vaccinarlo.
A questo punto l'ora sta per finire e un'anima bella mi domanda se c'è una proroga alla scadenza al lavoro di gruppo che nel mentre avrebbero dovuto svolgere. Quindi, mentre le fanciulle si lamentano della minore bellezza delle loro FFP2 rispetto alle chirurgiche arcobaleno che sfoggiavano prima, inizio a ricapitolare. Il gruppo uno è tutto presente. Il gruppo due condivide con Pallino e Caio, che tanto sono autonomi nel lavorare da casa su file condiviso. Sempronia e Ciccio sarebbero autonomi, ma una ha la febbre, l'altro è infortunato. Tizia sappiamo che è positiva, ma non abbiamo idea di come stia. "Prof, ma questo non può essere l'ultimo voto del quadrimestre". No, non può essere, è evidente. "Brzz... Brzz... Ma mica interrg..Zggart...ftang...". No, è evidente, se no evochiamo il grande Chtulu. Scappo prima di rivelare l'unica soluzione possibile: farsi bastare i voti già presenti con un arrotondamento a favore di studente. E comunque ho la mascherina sempre indosso da 5 ore, ho sete, fame ed è decisamente il momento di andare a fare un tampone.
In tutta onestà, dopo questa bella giornatina ritengo che fosse meglio la DAD per tutti? No. Comunque no. Perché almeno c'è la speranza del ritorno in classe, perché ormai ho perso il conto degli alunni con problemi ansiosi. Perché è assurdo che i centri commerciali siano aperti per i saldi e che le scuole siano chiuse. Perché il confronto diretto, la condivisione delle paure, la richiesta estemporanea di informazioni e rassicurazioni sono molto più facili in presenza e valgono più delle nozioni. Però è pur vero che ho classi di una correttezza esemplare, ancora poche assenze tra i colleghi e quindi non mi sento di dire che la mia posizione sia l'unica giusta.
E poi magari domani riesco davvero ad evocare un Grande Antico.
PS:per quanto tutto ciò nella sua globalità sia reale, ogni riferimento a persone precise è fittizio.
PPS: se qualcuno vuole una storia altrettanto fantasy, ma diversa, c'è il nuovo capitolo de L'assedio degli angeli
venerdì 7 gennaio 2022
La preistoria è donna – letture
Sono laureata in archeologia del neolitico e ogni volta che apro un testo delle elementari e leggo i capitoli dedicati alla preistoria rischia di partirmi un embolo.
Al di là del fatto che sulla neolitizzazione gli autori sono fermi alla preistoria (battutona) della scienza e ignorano l'influenza di cosucce tipo la fine di un'era glaciale e almeno trent'anni di studi, i capitoli del "come si viveva" fanno accapponare la pelle. Uomini cacciatori e donne raccoglitrici la fanno da padrone, con illustrazioni che mostrano donne sul fondo delle caverne o delle capanne circondate da figli e fieri uomini barbuti intenti ad abbattere i mammut. Sono sempre uomini quelli che nelle illustrazioni dipingono le caverne e tutti coloro rappresentati come capi. Sappiamo da almeno trent'anni che la situazione era molto più articolata, ma non riusciamo a mettere le piume ai dinosauri, figuriamoci se riusciamo a revisionare la figura della donna nella preistoria.
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Se non hai la barba il mammut non lo cacci. Bonus se sei a torso nudo nella neve |
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Se non sei uomo il mammut non lo dipingi |
Questo libro, scritto da Mrylene Patou-Mathis, un'esperta di neandertal, vuole distruggere una volta per tutte questi stereotipi. Ci riesce? Non come avrei voluto, purtroppo.
Partiamo da quello che "ci dice la scienza", ma ve lo spiego io e non l'autrice. Purtroppo non ho la pretesa, ma la certezza di essere più chiara.
La donna nella preistoria - quello che sappiamo
Partiamo da un dato. Sulla società preistorica sappiamo poco. Società preistorica è già un errore. Per il solo homo sapiens il paleolitico (il periodo precedente all'agricoltura) è durato circa 30000 anni. Fate un po' voi quante culture ci possono essere in 30000 anni. Quindi tutte le osservazioni si riferiscono a quanto ritrovato, a quei singoli casi in quei singoli luoghi.
Il primo dato importante è che nel paleolitico il dimorfismo sessuale era minore. In particolare altezza e sviluppo muscolare erano simili. Stando ai resti scheletrici studiati sia uomini che donne camminavano molto e avevano muscolature sviluppate. Nei neandertal in particolare sia uomini che donne avevano la muscolatura delle braccia particolarmente sviluppata e simile a quella che si osserva oggi nei lanciatori di giavellotto. Supponendo che non fossero olimpionici, è plausibile che sia uomini che donne cacciassero con la lancia. Per quanto riguarda i sapiens, la muscolatura "da lancia" è presente in alcuni scheletri maschili e in pochi femminili (tra quelli ritrovati). Sia uomini che donne, però, avevano muscolature possenti e sembrano aver avuto accesso a una dieta ricca di proteine (in molti momenti della storia le bambine sono state nutrite meno e/o con cibi meno proteici). Molte delle sepolture ritrovate hanno un corredo, oggetti che si suppone che siano preziosi, pietre non presenti in quella zona, collane fatte con canini di cervo e cuffiette fatte con conchiglie (in zone in cui quei molluschi non vivono). Lo stesso corredo si trova sia nelle sepolture maschili che quelle femminili. Quindi dai resti scheletrici non possiamo dire che le donne si occupassero solo dell'accudimento né che avessero un ruolo subalterno.
Pochissimo possiamo dire sulla cultura del paleolitico europeo, però abbiamo un certo numero di oggetti artistici tra pitture, statuine di pietra, d'osso, avorio e argilla cruda. La maggior parte di questi oggetti rappresenta animali. Al secondo posto ci sono le figure femminili, spesso con grandi seni, a volte con ventri prominenti (incinte?), altre stilizzate. Le figure maschili riconoscibili come tali sono una minoranza di casi. Ci sono scene di caccia in cui solo alcuni personaggi hanno gli attributi maschili in evidenza, gli altri personaggi, quindi, potrebbero essere femminili. Possiamo concludere che nel mondo mentale dell'epoca, quale che fosse, la donna c'era ed era importante.
Non sappiamo molto su chi facesse cosa nei clan paleolitici. Sappiamo che nella Francia delle grotte dipinte doveva esserci una certa divisione dei ruoli. Le pitture hanno una qualità tale che presuppongono artisti specializzati. Non abbiamo la più pallida idea di chi fossero, se giovani, vecchi, maschi o femmine. Ci sono studi sulle dimensioni dei negativi delle mani presenti in molte grotte per determinare il sesso dell'artista, ma sull'affidabilità non ci metterei una mano altrui su una candela, figuriamoci la mia sul fuoco (le donne sarebbero ben rappresentate).
Se andiamo avanti verso il presente le cose si complicano. Vendiamo che in passato le tombe venivano sempre attribuite a uomini se erano presenti delle armi. Poi sono spuntate le analisi genetiche e ops, alcuni di quei re, principi e cavalieri erano regine, principesse e cavallerizze. Questo è particolarmente vero per il nord Europa e le steppe euroasiatiche. In questo momento si stanno studiando in modo particolare le sepolture della Scizia, dove pare ci fosse una sorta di casta di donne guerriere e provette cavallerizze (a oggi abbiamo una trentina di tombe che contenevano con certezza donne cavallerizze che avevano ricevuto traumi in battaglia).
Insomma, sono sostanzialmente d'accordo con la tesi di fondo del saggio. La storia e la preistoria sono state studiate per lo più da uomini immersi o cresciuti in una società maschilista e questo sguardo ha condizionato le loro conclusioni. È già una trentina d'anni che gli scienziati segnalano che non è così, ma al grande pubblico questo non è arrivato. Questo saggio vorrebbe essere proprio un ponte tra le ricerche moderne e l'immaginario collettivo, ma...
La preistoria è donna – una critica spero costruttiva
È molto triste per me criticare un libro su cui avevo grandi aspettative e di cui condivido i contenuti. Però questo saggio ha dei problemi e credo che sia il caso di metterli in luce.
Innanzi tutto il tono generale. La parte dedicata agli studi sul paleolitico è solo un capitolo, per quanto sia il più corposo è circa un quarto del totale. Prima c'è una lunga carrellata sulla cultura misogina che intride l'occidente (piuttosto impressionante devo dire), poi una carrellata veloce sullo stato degli studi per il periodo che va dal neolitico all'era cristiana e infine una conclusione. Il problema è che il capitolo sulla preistoria è un altro testo.
Il primo e i due capitoli finali sono quel saggio divulgativo che suppongo questo testo vuole essere. Alla portata di tutti, ben documentati ma necessariamente poco approfonditi, scritti con un linguaggio tale da poter essere letti con una buona cultura di base, ma non necessariamente specialistici. Il capitolo sul paleolitico, invece, dove l'autrice nuota nelle sue acque, è estremamente specialistico. Si fa riferimento a una serie notevole di opere d'arte, sepolture, immagini parietali senza uno straccio di apparato iconografico e con una descrizione sommaria. Si dà per scontato che il lettore quei reperti o quei siti li conosca. Perché in effetti sono molto famosi, se si ha una laurea in materia. Ma se inizio a parlarvi del corredo del Principe dei Balzi Rossi dando per scontato che lo conosciate, delle differenze tra le varie "veneri" gravettiane segnandole solo con il sito di ritrovamento, senza un'immagine, o delle differenze tra tra i resti ossei di Qafzeh e quelli de La Chapelle aux Saint senza segnalare dove si trovino questi posti e la (notevole) differenza di datazione le persone in grado di seguirmi calano. Fare confronti iconografici tra pitture parietali a memoria (non sono immagini immediatamente reperibili su google) non è facilissimo per me che quelle pitture le ho studiate, figuriamoci per il lettore medio. È un gran peccato, perché ovviamente quel capitolo è quello più interessante e quello che avrebbe dovuto arrivare di più.
Mi ha poi molto indispettito il perdersi dell'autrice in ipotesi basate sul nulla. Non me lo aspettavo, essendo l'autrice una studiosa di fama. Purtroppo sulla preistoria ci sono un sacco di cose che semplicemente non sappiamo e su ciò che non sappiamo, a mio parere, sarebbe meglio tacere. Possiamo lanciarci in suggestioni, ma devono rimanere tale. Non ci sono prove di una società matrilineare nella preistoria (che non vuol dire che non ci sia stata, solo che non ci sono prove), non ci sono prove che le "veneri" fossero realizzate da donne per le donne. Non ci sono prove del fatto che la società paleolitica fosse pacifica e priva di conflitti. Non ci sono prove per un sacco di suggestioni, in cui l'autrice si dilunga, a volte sfiorando il ridicolo. Che per tutto il paleolitico (ricordiamo 30000 anni per i soli sapiens) non ci si sia mai resi conto del ruolo del maschio nella procreazione ma che questo sia avvenuto solo nel neolitico osservano il bestiame non ci credo neppure se si alza uno scheletro paleolitico a spiegarmelo di persona. Insomma, l'autrice finisce per prestare il fianco alle critiche che sono state mosse già in passato a studi femministi sulla preistoria, volare troppo di fantasia. Di questo mi spiace tantissimo, anche perché i dati sono assai più interessanti delle ipotesi vaghe.
Insomma, attendevo con trepidazione questo libro che speravo fosse un saggio epocale, chiaro e in grado di dare una bella rinfrescata all'immaginario preistorico. Che non sia così mi spiace.
Presto mia figlia inizierà le elementari e spero, ma dubito, che possa trovare sul suo libro illustrazioni di questo tipo:
Ricostruzione artistica basata sui resti scheletrici di una cacciatrice preistorica amerinda da poco ritrovata. |