La mia conoscenza di matematica è basica e il mio prof di fisica era notoriamente un imbecille ("è stato messo al classico così ha poche ore e non fa danni"), eppure la fisica avanzata mi affascina. Non riesco fino in fondo a seguire le formule, le capisco a malapena se spiegate passo a passo, ma mi affascina l'infinitamente piccolo e il mondo delle particelle subatomiche. Non mi perdo mai gli articoli a riguardo su Le Scienze, anche se spesso devo limitarmi a introduzione e conclusioni perché la parte dimostrativa è davvero oltre le mie possibilità.
L'infinitamente grande lo mastico ancora meno, ma guardo volentieri i documentari divulgativi anche se le varie teorie su come funzioni l'universo e cosa ci sia oltre, raccontate senza quella solida base di calcoli e osservazioni sperimentali, sembrano tutte un po' strampalate, più dalla parte della filosofia che della scienza.
C'è chi dice che gli universi siano infiniti. Non ho idea se questa teoria abbia basi più solide di altre né se le nostre menti siano davvero in grado di comprenderla.
Infiniti.
Vuol dire, però, che ogni possibilità è contemplata.
C'è un universo in cui è tutto esattamente così com'è qui, solo che il mio gatto è tutto nero invece che bianco e nero, un universo in cui è tutto come qui tranne che gli alberi hanno le foglie azzurre e un universo in cui le nostre storie esistono esattamente come le abbiamo pensate.
Se sono infiniti è necessariamente vero, suppongo, se la logica non mi inganna, che ci sia un universo in cui le cose vanno esattamente come noi le abbiamo scritte.
Personalmente, e consapevole che la mia opinione conta meno di nulla, non sono entusiasta della teoria degli universi infiniti.
Tuttavia voi non avete mai l'impressione che la storia che scrivete esiste già, tutta intera, da qualche parte?
La mia impressione soggettiva non è quella di inventare, decidere e pianificare una storia, anche se poi nella prassi mi metto lì e pianifico, ma di focalizzare sempre meglio qualcosa che già c'è.
Ad esempio i miei personaggi nascono sempre già con un nome. Come se io li incontrassi per la prima volta per strada e facessimo le presentazioni. È ovvio che in quel momento non so quasi niente di loro, ma scopro in contemporanea il loro aspetto, il loro nome e qualcosa del loro modo di fare. Se devo ragionare su come chiamare un personaggio, o è un personaggio davvero di nessuna importanza, una comparsa da tre battute o c'è qualcosa che non va nella storia.
Immagino che questa sensazione sia dovuta anche al fatto che ho degli universi narrativi ricorrenti. Ho le mie storie di Sherlock Holmes, che sono coerenti tra di loro e raccontano del mio Holmes e del mio Watson (del resto se gli universi sono infiniti, infinite sono anche le varianti di Sherlock Holmes e sicuramente esiste anche la mia).
Ho le mie storie gialle, più o meno ambientate nel qui e ora e comunicanti tra loro (anche se avendole pubblicate a pezzi e bocconi, un racconto qui e uno là, questa interconessione interna di fatto non si vede).
Ho un corpus di storie ambientate in epoca romana, il più piccolo e trascurato, ma magari un giorno lo riprenderò in mano.
Ho il mio mondo fantasy.
I racconti del tutto indipendenti a ben vedere sono minoritari, mentre quasi sempre mi muovo all'interno di un universo narrativo che ho già calpestato in precedenza.
Così mi capita spesso di osservare (e scrivere) qualcosa che è in apparenza una contraddizione o una nota incongrua. Poi ci torno su, magari anni dopo e mi rendo conto che invece aveva perfettamente senso. Come, se, appunto, vedessi meglio qualcosa che già era così fin dall'inizio.
Ho appena finito di scrivere un racconto del mio universo fantasy che era in lista d'attesa da anni (ne ho ancora uno in quella lista d'attesa, poi avrò scritto tutto quello che mi ero promessa di scrivere anni e anni fa) ed è, tra le altre cose, la storia di una spada.
La prima volta che ho visualizzato un personaggio di quell'universo narrativo aveva in mano una spada che non avrebbe dovuto avere. Perché aveva uno zaffiro nell'elsa, cosa che la connotava come una spada dinastica, eppure lui non era un membro della famiglia reale né aveva ricevuto quella spada dalle mani del sovrano (che tuttavia sapeva che era in suo possesso e non diceva nulla). Ho scritto un intero romanzo, anni fa, con per protagonista un personaggio che ha in mano una spada che a logica non dovrebbe avere.
È stato solo dopo che ho capito (scoperto? inventato?) il perché. Non era per nulla un caso, quella era la spada del sovrano precedente e c'era tutta una serie di motivi perché non fosse finita nelle mani del suo legittimo erede, che invece ne usava un'altra (la cui storia è finita nel racconto appena terminato).
Più o meno la stessa cosa mi è capitata con lo Stradivari del mio Sherlock Holmes (prima o poi verrà pubblicata la storia in cui si racconta come è arrivato nelle mani di Sherlock) e con il povero di bulldog di Watson, che non ho potuto salvare, perché, guardando bene, era come se la sua storia fosse già stata scritta.
Razionalmente posso dire che probabilmente alla base di queste incongruenze ci sono delle intuizioni narrative che poi, ragionandoci su, finisco per dipanare, trovando un modo per far incastrare gli eventi narrati l'uno nell'altro. Tuttavia mi rimane anche forte l'impressione di avere uno spiraglio verso un mondo in cui queste storie esistono, bisogna solo avere la pazienza di osservare bene ed essere capaci di raccontarle nella giusta maniera.
Non mi piace l'idea che gli universi siano infiniti. Ma, se è così, allora le nostre storie, da qualche parte, esistono. E noi dobbiamo sono mantenere questa sorta di connessione con l'altrove e osservare bene per poi raccontarle a dovere. Ecco, questo è un pensiero che mi spiace già di meno.
Voi non avete mai questa sensazione?