venerdì 30 maggio 2014

Dietro le quinte - le foto dei fiori

Da tempo volevo fare un post un po' retrospettivo, anche per raccontare cosa significhi per me il blog.
Nel 2012, quando Inchiostro, fusa e draghi è nato, è sbocciato insieme a questa foto.


Era stata scelta senza un motivo particolare. Ero da poco tornata da Londra, giornate inaspettatamente soleggiate, le visite tutte deviate verso i giardini. Il colore di queste ninfee stava bene con lo sfondo del blog.
Poi mi sono resa conto le immagini, in un blog, anche se parla di parole, non sono secondarie. Certo, potevo mettere splendide foto trovate in rete e libere di essere riutilizzate (basta impostare l'apposito filtro di google per selezionare le immagini a seconda della licenza), ma non sarebbero state mie. E poi come si fa a trovare sempre un'immagine che sia appropriata all'argomento, quando si parla di tecniche di scrittura? Qual è l'immagine giusta per il Narratore o per i Dialoghi?
Nel frattempo ero stata in Scozia, terra magica di castelli, natura, pecore e, inaspettatamente, fiori.


A partire da questa foto, che corredava un post sul racconto breve, ho deciso che, nei limiti del possibile, tutti i post legati alla scrittura avrebbero avuto la foto di un fiore.
A quel punto si è trattato di scattare. 
Non è sempre facile fotografare i fiori. Innanzi tutto bisogna averli e per questo d'inverno non tutti i post hanno avuto (e avranno) i loro fiori. Certo, si può sempre entrare da un grossista per rubare un'immagine. Cosa che ho puntualmente fatto...


Quando anche i fiori ci sono bisogna impostare la macro e tenere la macchina (o più spesso il cellulare) perfettamente fermo. Il rischio che venga sfocata è sempre dietro l'angolo. E anche quando la mano è immobile o la macchina appoggiata, può arrivare un colpo di vento nel momento peggiore... 
Questo perenne safari fotografico, però, a permesso a me, che non so nulla di botanica, di scoprire i fiori.
Ne ho trovati di bellissimi negli orti botanici...


... Ma anche nel giardino di casa.


Ma sopratutto mi è piaciuta la possibilità di accostare qualcosa che per definizione rimane, la parola scritta, a qualcosa di effimero e destinato a svanire.
Di più, sono diventata più sensibile alla caduca bellezza dei fiori. Il bocciolo di oggi cade appassito domani. La bellezza del fiore va afferrata subito. 
Nella vita frenetica di oggi, il blog mi ha permesso di prendermi delle pause. Posso dire "fermi tutti, devo fotografare quel fiore per il blog!" E nel mentre mi prendo il mio tempo per gustarmelo. Mi godo il fiore e la sua bellezza. Da quando raccolgo foto di fiori per il blog sono molto più consapevole della bellezza che mi circonda.
Non sono una fotografa. Non ho il tempo per diventarlo. Le mie foto di fiori sono spesso tagliate (ma vi assicuro che il più delle volte bisogna mettersi in posizione improbabili per scattarle) e lo studio della luce e dell'esposizione mi è oscuro quanto l'antico persiano. Spero però che la bellezze dei fiori basti a valorizzarle e inviti anche voi a far caso a tutti i piccoli squarci di bellezza che ci circondano.
La mia foto preferita, tra tutte quelle pubblicate nel blog?


Questo fiore l'ho trovato in Sardegna, su una spiaggia, in pieno agosto, in mezzo ai turisti. Mi ha commosso la sua fragilità, il suo sembrare un bucaneve fuori stagione. Dolce e ostinato allo stesso tempo. Subito, mentre scattavo la foto, ho pensato che i miei sogni di autrice sono esattamente così, fragili e ostinati. Desiderosi di fiorire, nonostante tutto.

mercoledì 28 maggio 2014

Scrittevolezze - Secondari ma non troppo


Quando per la prima o le prime volte si inizia a costruire una storia l'attenzione è tutta concentrata sul fuoco dell'azione e sui protagonisti. Il rischio è quello di trascurare tutto ciò che vi è a margine. 
Tanto i personaggi secondari sono, appunto, secondari, no?
SBAGLIATO!
Pensiamo ai Promessi Sposi. Alzi la mano a chi pensa subito a Renzo e Lucia. Don Abbondio e la Monaca di Monza sono personaggi che rimangono molto più impressi, che si sono guadagnati uno spazio immortale nell'immaginario degli italiani. C'è persino Perpetua che ha finito per dare il nome a tutta una categoria di persone. A ben vedere, I promessi sposi deve il proprio successo molto più ai personaggi secondari che ai protagonisti.
Prendiamo La serie di Montalbano. Chi non ricorda subito Catarella, quello che sbaglia sempre i nomi? E nel Signore degli Anelli è proprio Frodo il personaggio più carismatico?
La saga di Harry Potter quanto deve ai suoi mille personaggi secondari?
Sono sicura che adesso tutti voi stiate pensando a qualche personaggio secondario particolarmente simpatico o, al contrario, assolutamente odioso, che ha fatto la fortuna di romanzo, un film o una storia a fumetti.

Quali sono le caratteristiche di un buon personaggio secondario?

Pochi tratti ben definiti
Un personaggio secondario, che magari appare spesso, ma sta poco in scena non ha spazio per mostrare mille sfaccettature. Il suo carattere deve essere ben definito in pochi tratti. L'autore deve averlo chiaro in testa e saperlo riassumere in una/due righe. Pensiamo a com'è ben tratteggiato don Abbondio nella frase "vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro". Di lui non sappiamo molto, neppure ci interessa, il suo carattere è chiaro: è vigliacco e sceglie sempre la strada più facile.
Come autori, conviene perdere un attimo di tempo per scegliere bene il carattere dei personaggi secondari in modo che risultino altrettanto chiari al lettore.

Poche caratteristiche riconoscibili
Un buon personaggio secondario ha dei tratti (attenzione, non più di uno o due) del fisico o del carattere che lo rendono immediatamente riconoscibile. Catarella sbaglia sempre i nomi. Sempre. Per libri, libri e libri. Ben prima che il lettore abbia imparato a riconoscerne il nome, riconosce il personaggio è "quello che storpia i nomi". Stando sempre nel commissariato di Montalbano, Fazio è quello "con la sindrome dell'anagrafe" che infarcisce sempre le proprie relazioni di dati anagrafici inutili. Stessa cosa succede nel commissariato parigino di Adamsberg dove c'è il poliziotto violento e razzista, la poliziotta fortissima dal nome dolce e così via.

L'evoluzione psicologica non sempre è necessaria
I personaggi secondari servono anche a rassicurare il lettore, a farli sentire a casa. Abbiamo detto che la loro caratteristica principale è la riconoscibilità, quindi non è necessario che abbiano un'evoluzione psicologica, niente schema in tre atti per loro, non sono coprotagonisti. Don Abbondio non diventa coraggioso al termine dei Promessi Sposi. Catarella non va a fare un corso di dizione. Il saggio Elrond, ne Il signore degli anelli non diventa avventato.
Nell'arco di un romanzo un personaggio secondario può avere un'evoluzione in una sola delle sue caratteristiche. Legolas e Gimli, l'elfo e il nano de Il signore degli anelli passano dal non sopportarsi a diventare grandi amici, ma altro di loro non sappiamo.
Se si lavora su un arco più lungo, di più romanzi, i personaggi secondari possono acquisire pian piano importanza, si scopre qualcosa di loro, ma con calma, senza snaturarli. Difficilmente cambieranno radicalmente. Alcuni di loro rimarranno sempre uguali a loro stessi. Nella saga di Harry Potter Neville viene presentato all'inizio come personaggio secondario e poi, romanzo dopo romanzo, acquisisce spessore e introspezione fino a diventare, a tratti, un comprimario. Il guardiano Gazza, invece, rimane sempre uguale a se stesso, irascibile e untuoso. Così la McGranitt rimane severa, ma dal cuore d'oro per tutti e sette i libri della saga.

Voi cosa ne pensate? Quali sono i vostri personaggi secondari preferiti?

PS: che rabbia quando uno scrittore affermato ti pubblica un romanzo ambientato dove tu ambienti i tuoi. Con la differenza che tu ci vivi e lui no! Questo lago sta iniziando ad essere un po' troppo affollato dagli scrittori!
(Con tutta la stima per l'autore in questione che sicuramente avrà scritto un ottimo libro)

lunedì 26 maggio 2014

Le prime righe di una storia


Ieri sera, finalmente, ho scritto le prime righe di "Una storia piena di streghe".
È sempre un momento strano, di bilanci, propositi, speranze e paure.
Ho sempre paura di iniziare una nuova storia. E se poi non riesco a finirla? E se poi fa schifo? Se mi porterà via un sacco di tempo e poi non uscirà mai dal mio computer? E se non sono più capace di scrivere? 
Sono circa venti giorni che non scrivo. In parte perché mi sono ammalata, in parte perché ho lavorato sulla trama, la sinossi e i personaggi. Venti giorni sono sufficienti per farmi venire il panico da "non mi vengono più le parole". Che poi è sempre così, ogni volta. Arrivo a un punto in cui prendo un bel respiro e mi dico "va be' inizio come viene, giusto per rompere il ghiaccio. Tanto poi l'inizio lo rifaccio." Statisticamente l'inizio, che sia di racconti o di altro, è poi la parte che modifico meno.
Mi sono resa conto, non senza stupore, che questo è il quarto romanzo che inizio su questo computer.
Niente strani programmi di gestione, per me. Uso il mac e quindi mi basta il fedele Pages, che è l'equivalente di word. Fedele perché in quattro romanzi non si è mai impallato o chiuso inaspettatamente. Neppure una volta. 
Creo una cartella, scelgo una sigla e poi si comincia, un file per capitolo. Così è nato, ieri, 3PM01, il primo file/capitolo di "Una storia piena di streghe".
I suoi fratelli stanno abbastanza bene. Il più vecchio (sigla CD) sono sempre più convinta che non vedrà mai la luce, ma è anche grazie al suo piazzamento al Tedeschi, l'anno scorso, che gli altri possono esistere. SH è quello che vedrà la luce a ottobre (e in questo caso capire per cosa stia la sigla non è difficile). 
"Una storia piena di struzzi" è invece il fratello maggiore di "una storia piena di streghe" e il loro destino è strettamente legato. Forse, non saprò nulla delle possibilità di "Una storia piena di struzzi" prima di aver completato questo. Perché questi sono i tempi dell'editoria. Si scrive di corsa e poi si aspetta. Si revisiona di corsa. E poi si aspetta.
Adesso si corre. 
Le ansie spariscono con le prime righe. 
Perché è bellissimo iniziare un romanzo nuovo. Sono come i primi momenti di una corsa. Dopo un attimo di caos iniziale, sembra di avanzare senza alcuna fatica. I crampi, la stanchezza e i cali di zucchero arriveranno. Si sa che arriveranno, ma percorrendo i primi metri non ci si pensa. All'inizio la corsa è solo gioia. Esattamente come la scrittura.
E quindi si parte. C'è qualcuno che scende lungo una scala umida, con una torcia in mano. È il mio personaggio che scende, ma lo faccio anch'io, mentre mi inoltro nell'oscurità della narrazione.

sabato 24 maggio 2014

I personaggi in cui più mi riconosco


Quante volte leggendo abbiamo trovato noi stessi in personaggi altrui?
Questi sono i personaggi che, nel bene e nel male, mi assomigliano di più.

Eccomi qui, Lady Oscar c'est moi, per motivi molti più sottili del mio ovvio essere un maschiaccio biondo.
Oscar non sceglie di crescere come un maschio, le viene imposto, anzi, da bimba viene convita di essere maschio. Fosse per lei, chissà, forse sarebbe diventata una leziosa pianista tutta trine e merletti.
Mia madre era una sessantottina di ferro, femminista fino al midollo. Mi ha vietato le gonne, ha impedito alle solerti nonne di farmi fare i buchi alle orecchie (sono come gli anelli al naso delle mucche!). Da piccola vestivo sempre in abiti unisex, portavo i capelli cortissimi e pare che il mio primo giocattolo sia stato una ruspa. Ricordo ancora la gonna rosa che mettevo di nascosto solo quando ero in vacanza dai nonni!
Proprio come Oscar ho finito per apprezzare la libertà di pensiero che comunque questa formazione mi ha dato e che, oltre tutto, nonostante i timori della nonna, non mi ha neppure impedito di trovar marito. Come Oscar, ho imparato a sapermela cavare in fretta e, all'occorrenza, so badare a me stessa. Non sono certo tra quelle donne che non vanno mai da sole alla toilette. Da sola ho vissuto all'estero (in Corsica, non proprio un paese per donne) e ho viaggiato fino al Perù. Certo, alcuni aspetti della vita femminile ancora mi sfuggono. I tacchi, gli ombretti e gli smalti per le unghie sono cose che guardo con perplessa invidia. Da un lato li riconosco come inutili condizionamenti culturali, dall'altro rappresentano un mondo che ignoro e un po' mi spaventa.
E ogni tanto, nel mio abbigliamento sportivo fa capolino, quasi come una rivolta, il rosa confetto.

Come il commissario parigino di Fred Vargas sono una spalatrice di nubi.
Ho lo stesso modo di ragionare per libere associazioni, al di fuori da ogni schema razionale. Nella mia mente si formano immagini buffe e surreali e le suggestioni si sovrappongono alla realtà tangibile. Proprio come Adamsberg sono incapace di associare nomi e facce di persone incontrate da poco o viste di rado e quindi incasello nella mente i conoscenti per strane associazioni, dando loro dei soprannomi che, dentro di me, li identificheranno per sempre ("Il cannibale" ad esempio è una persona che una volta mi ha parlato degli Anasazi, che praticavano cannibalismo, lui è mitissimo, con abitudini alimentari assolutamente nella norma, ma sarà per sempre "Il cannibale"). Allo stesso modo do soprannomi a luoghi o situazioni o oggetti ( ad esempio non esiste il navigatore satellitare, ma San Navigatore degli Spersi). Come Adamsberg ho bisogno di muovermi, camminare o correre per pensare. In questi giorni di convalescenza per la bronchite la corsa mi è ancora vietata e non riesco a scrivere...
Curiosamente, Adamsberg è l'esatto opposto dell'altro mio indagatore preferito, Sherlock Holmes, a cui assomiglio assai meno, se non per la stessa attitudine a sopportare la noia (che si misura in nanosecondi).

È il personaggio a cui ho rubato il nome, appare nella saga di Earthsea (o Terramare) della mia amata Ursula Le Guin.
Sembra una comune donna di campagna, Tenar. Cura le capre e le galline (le capre a me mancano, ma le ha lo zio, vale lo stesso?), fa le frittelle (mi vengono meglio le torte), conduce una vita del tutto normale. Semplice, però, non vuol dire banale. Tenar da ragazza è stata sacerdotessa delle Tenebre. Sa guardare negli occhi draghi e principi e ha per marito l'ex arcimago.
Forse Tenar, più che il personaggio che sono, è quello che vorrei essere. La promessa di un equilibrio non ancora completamente raggiunto. Una via che comunque ho iniziato a percorrere con la scelta di una vita in campagna che non è abdicare ai miei interessi culturali, ma la scelta consapevole di avere un cuore geografico in cui mettere radici. Un osservare il mondo dalla periferia, ma con sguardo attento a vedere i chiaroscuri. 
E di certo ogni tanto i draghi mi capita di contrarli. E il Nik è quantomeno un arcimago.

E voi in quali personaggi letterari vi riconoscete?

venerdì 23 maggio 2014

Letture - Fumetti diversi

La fine dell'anno scolastico si avvicina, incombono le relazioni finali, l'aggiornamento delle graduatorie e gli esami. Tra gite e feste della scuola ci si alza all'alba e a sera la palpebra cala sulle parole troppo fitte. È tempo di fumetti. Ve ne segnalo due davvero diversissimi, ma che ho trovato deliziosi.

Viene dagli USA questa improbabile storia d'amore portata in Italia da Bao Editore.
Lui ha i cornini come un satiro, lei le alucce da angioletto e le loro genti si stanno facendo la guerra in lungo e in largo nella galassia. Di finire come Romeo e Giulietta, precocemente morti, però non hanno alcuna intenzione, anche perché c'è una giovane vita (con i cornini e le alucce) a cui badare. E allora si fugge, tra ideali e pragmatismo, ha cercare una vita possibile in mezzo alla galassia in guerra.
Tantissimi personaggi strampalati e poetici, dal fantasma baby sitter al cacciatore di taglie non del tutto senza cuore col gatto gigante come compagno, per una storia che ha fascino, ritmo e ironia. Oltre che degli splendidi disegni.
Io che non sono un'amante dei fumetti made in USA l'ho trovata adorabile.

È 100% francese, invece, Cronache Birmane di Guy Delisle, in Italia grazie a Rizzoli Lizard. Si tratta del diario illustrato di Guy, con il figlio in Birmania al seguito della moglie, che lavora per MSF. Si tratta quindi di uno sguardo privato di chi non è un turista, ma neppure un attivista, su un paese prigioniero della dittatura. Le strisce di Guy alternano le sue avventure di papà a quasi tempo pieno, piccole imprese personali e considerazioni sulla Birmania. Il tutto con un tono lieve, dolce e autoironico che ricorda quello del nostro Eriadan. Una lettura piacevole, che alterna sorrisi e riflessioni.

mercoledì 21 maggio 2014

Scrittevolezze - Passione e ossessione


Ciclica torna la domanda su cosa sia quel quid che porti un autore a distinguersi dalla massa e a farsi notare tra mille altri. Di solito a questo punto viene fuori la parola "talento".
Ora non è che io non creda a prescindere al talento, ma è che questa parola ha un significato talmente nebuloso da renderla inutile. E comunque il talento, se esiste, è una capacità innata che da sola, tuttavia, non basta. 
Quando facevo atletica ero di certo quella con meno talento tra le ragazze della mia squadra. Mi ammalavo più di loro, facevo più fatica e ottenevo risultati minori. Però ho portato a casa un campionato regionale individuale e più partecipazioni alle nazionali. Ero più regolare negli allenamenti, più attenta a non farmi male e ottimizzavo le prestazioni in gara. Non sono diventata una campionessa, ma ho un bellissimo ricordo delle trasferte per le gare nazionali e di un ottavo posto nei 3000 metri di cui sono ancora orgogliosa. Immagino che ciò che vale nello sport debba valere più o meno ovunque.
La predisposizione naturale non basta, ci vuole altro.
Cito sempre una frase che ho sentito da uno sceneggiatore di fumetti professionista, Alex Crippa:
"Per fare questo di mestiere non basta essere appassionati, bisogna essere ossessionati".
Io penso che in questo ci sia più di un pizzico di verità.
Ripenso ancora alla mia esperienza sportiva. Ero meticolosa, puntuale, appassionata, ma non ossessionata. Una ragazza che faceva il mio stesso liceo e praticava anche lei corsa di resistenza, a volte si addormentava sui banchi. Andava a correre con ogni condizione climatica. La sua vita, la sua alimentazione, le (poche) uscite con gli amici, tutto era subordinato all'atletica. Io sono andata alle nazionali. Lei ha partecipato ai campionati europei (forse anche a un mondiale di corsa in montagna).
La passione non basta neppure in scrittura. Ci vuole qualcosa in più, una sorta di pensiero fisso che perseguita dall'alba al tramonto. Che porta smontare e montare i testi. Andare a cercare gli autori che ci piacciono e a carpirne il segreto. A utilizzare il tempo libero per andare a fare sopralluoghi nelle location delle nostre storie, a seguire corsi, a incontrare autori. A scrivere, scrivere e scrivere. Sacrificando cene, hobby, cinema e altro.
Non penso che l'ossessione sia una cosa positiva. L'ossessione sconfina nella patologia. Eppure credo, temo, che sia necessaria.
Scrivere per passione va bene, benissimo, ma se si vuole davvero uscire dal circuito della scrittura amatoriale credo non basti.
Attenzione, non so se ne valga la pena.
A suo tempo, per l'atletica, ritenni che non ne valesse la pena. Volevo studiare, laurearmi, viaggiare. Ho corso da appassionata, mi sono divertita e non ho rinunciato a niente. Ma non ho mai fatto una gara internazionale.

PS: ieri sono andata a cercare un futuro per le mie storie. Non so che cosa ne uscirà dall'incontro di ieri, ma è stato comunque un pomeriggio da "Cenerentola al ballo", con la possibilità di parlare delle mie storie con quelle che probabilmente erano le persone più competenti che mai mi potrà capitare di incontrare. Se non dovesse uscirne altro, almeno ho sognato in grande. E già questo non ha prezzo.

PPS: se n'è andata Mary Stewart
Ovunque tu sia, grazie per avermi fatto ascoltare la musica delle stelle, mentre dormivo insieme a Merlino nella grotta di cristallo.

domenica 18 maggio 2014

Geocaching!


Finita la quarantena da bronchite, oggi mi sono concessa ben un quarto d'ora d'aria. E l'ho impiegato cercando un tesoro!
Ci sono cose strane e magiche che avvengono appena oltre il nostro campo visivo, che intersecano la realtà quotidiana e di cui rischiamo di non accorgerci mai.
Io ad esempio non sapevo che ci sono persone che nascondo, spesso in siti di importanza storica o paesaggistica, delle scatolette con dentro dei piccoli tesori. Chi le trova è invitato a lasciare un messaggio, se lo desidera può prendere con sé uno dei tesori e lasciarne un altro per i prossimi giocatori.
Quello che non solo non sapevo, ma neppure lontanamente immaginavo è che di queste scatolette ce ne sono in giro tantitissime in tutti i continenti e che questa grande caccia al tesoro globale si chiama geocaching
Come potete controllare sul sito, ogni scatoletta è registrata e sono segnate le sue coordinate.
Quello che ancora meno mi aspettavo era scoprire che il tesoro più vicino si trova a esattamente cinque minuti a piedi (e in piano) da casa mia.
Quindi, attenti e circospetti, a mezzogiorno in punto, io e il Nik ci aggiravamo intorno al perimetro di una chiesetta romanica come provetti ladri o moderni avventurieri di D&D. 
E con infinito orgoglio, dopo una ricerca piuttosto breve (il geocaching si rivolge a famiglie con bambini e io e il Nik abbiamo decenni di esperienza pregressa nella ricerca di tesori su svariati mondi inesistenti) eccoci con la nostra prima scatoletta in mano. Da bravi avventurieri abbiamo documentato l'impresa con la foto di cui sopra e la firma sull'apposito modulo all'interno della scatola. Nessuno dei tesori ci interessava, ma ho donato ai futuri cacciatori la mia gomma con il gatto.
Abbiamo scoperto che la scatoletta era lì da anni e decine di persone, sia italiane che straniere, prima di noi l'avevano aperta senza che nessuno in paese sospettasse una simile attività.
Il Nik ovviamente si è appassionato alle regole, parla già il gergo specifico e vuole preparare un tesoro speciale con una missione.
Io mi limito a constatare che senza uscire dal comune ho altre due scatoline da trovare. Purtroppo c'è da far salita per raggiungere i siti e quindi prima il fiato deve migliorare (sono un'ex podista al momento ridotta col respiro di un ottuagenario dedito al sigaro cubano dall'età di due anni, che tristezza!).
In ogni caso, come sempre, non conta il tesoro, ma il sentirsi parte di un'avventura!
Per tutte le informazioni: www.geocaching-italia.com

venerdì 16 maggio 2014

Perché non scrivo più romanzi fantasy


Considerando che questo blog si chiama "Inchiostro, fusa e draghi" questo post è il racconto di sconfitta, di una dura presa di coscienza e alla fine di un nuovo cammino.
Sono una lettrice onnivora, ma il fantasy, per me, ha sempre avuto un posto speciale. Da bambina ho navigato tra le isole di Hearthsea e ho percorso avanti e indietro il Verdecammino. Più tardi ho appreso che luce e ombra non hanno confini così netti, specie guardando la penombra di Darkover, percorrendo i confini di Westeros o ascoltando i resoconti dai Sei Ducati. Per questo, quando ho iniziato a scrivere, ho pensato che avrei scritto fantasy. Grandi romanzi fantasy.
E ci ho provato, tre volte.
Col primo era chiaro anche a me stessa che non facevo sul serio. Non aveva un titolo, aveva una trama sfilacciata come poche, ma aveva delle idee. Il che, come punto di partenza, non è male.
Il secondo Il drago nel medaglione era una bella storia per ragazzi. L'avessi scritta, che so, negli anni '50, non sarebbe stata neanche male. Mi sono divertita a idearla e aveva un paio di idee, ma nulla che le permettesse di farsi notare tra mille altre.
È stata la terza storia a spezzarmi il cuore. Perché in Lord Corvo c'erano i migliori personaggi che mi fossero capitati per le mani.
Quello che mi attirava davvero, nello scrivere fantasy era proprio la possibilità di mettere in scena personaggi con contraddizioni potenti, quasi shakespeariani. Poter far esplodere i conflitti al massimo della potenza. In un fantasy un odio può letteralmente scatenare una guerra. La posta in gioco è sempre massima e questo vuol dire poter portare i personaggi davvero al limite, dove danno il meglio. Il nucleo di personaggi che stava al centro della storia era fantastico e più lo osservavo e più ne trovavo altri meravigliosi ai lati. La storia, tuttavia, non funzionava.
E alla fine, dopo la seconda riscrittura, prima di iniziare la terza, ho capito che non era solo la trama il problema, il problema era il fantasy, intorno a cui mancavano tre elementi di base:
- La capacità di tenere desto il senso del meraviglioso
Non c'era nulla di innovativo nella mia ambientazione. Nulla in grado di far rimanere il lettore senza fiato o di fargli percepire lungo la schiena il brivido dell'ignoto. Se non riuscivo a creare qualcosa di straordinario ai miei occhi, come potevo sperare di poterlo fare per lo spettatore?
- Un sistema innovativo di magia
Come funziona la magia? Perché alcune persone riescono a fare degli incantesimi o comunque a produrre degli effetti magici e altre no? Questa è una delle domande principali per uno scrittore di fantasy. E, anche qui, le mie risposte non erano soddisfacenti. Mentre nuovi autori, come Sanderson, intessevano storie con sistemi di magia coerenti e assolutamente inediti, io di fatto scopiazzavo opere altrui.
- Un sentire "cosmologico"
Io volevo scrivere una bella storia. Una bella storia su persone interessanti, che magari cercano di migliorare il fazzoletto di mondo che è dato loro da vivere. Ma il fantasy è sempre stato anche "un discorso sui massimi sistemi". Non è necessario che sia la lotta tra Bene e Male, ma credo che la maggior parte dei buoni fantasy abbiano comunque la vocazione a indagare sulle costanti dell'uomo. Quasi tutti i buoni fantasy che ho letto ruotano intorno a temi universali. La morte come una parte dell'equilibrio per la saga di Herthsea, il desiderio di potere per Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco,  il senso della religione per la trilogia dei Mistborn. 
La mia, alla fine, era e rimaneva una storia privata, che interessava forse un regno, magari mezzo continente, non il destino di interi mondi.

Stabilita questa mancanza di base, e risalita dalla depressione del "quindi le mie storie non vedranno mai la luce", ho cercato di capire l'origine di questi problemi. Il che è stato piuttosto sorprendente. 
Alla fine sono arrivata alla conclusione che mi mancavano questi elementi perché di loro non mi era mai importato molto. Fin dall'inizio a me erano piaciuti i personaggi. E che sarebbero continuati a piacermi anche senza la magia e il meraviglioso. Se loro avevano davvero qualcosa da dire, forse potevano continuare a dirmelo, in un altro contesto.
Ho dovuto rassegnarmi al fatto che non sarei mai diventata una grande scrittrice fantasy, perché mi manca qualcosa, forse la forza immaginifica per creare un mondo nuovo.
Sono un demiurgo imperfetto. 
Forse, posso trovare la magia che già c'è in questo mondo e raccontare quella.
Ho iniziato un lavoro di "spoliazione" per capire cosa esattamente mi importasse delle storie e dei personaggi e preparare i nuclei narrativi così individuati a una sorta di trasloco. 
La cosa curiosa è, per citare il film preferito del Nik che "si può fare".  Sia io che padre Marco siamo consapevoli che una volta lui abitava in un altro mondo e uccideva draghi, del resto "i draghi hanno solo cambiato aspetto, se adesso non sputano fuoco e non hanno artigli e scaglie non vuol dire che non esistano".

Scrivo ancora racconti fantasy. A volte, nella piccola dimensione del racconto, quel senso di meraviglioso un poco emerge. A volte semplicemente me ne frego e torno nel mio mondo imperfetto, per guardare più da vicino questo o quel personaggio.
E forse, in fondo in fondo, sogno ancora di poter scrivere, un giorno, un grande romanzo fantasy.

mercoledì 14 maggio 2014

Visioni - Agents of S.H.I.E.L.D


Non so se sia stata la maledizione del dinosauro del Salone del Libro o di qualcun altro, fatto sta che sono a casa con la bronchite, la febbre che si è tanto affezionata e le capacità intellettive ridotte al 10% della già scarsa funzionalità. Per fortuna c'è il telefilm Agents of S.H.I.E.L.D. che in queste condizioni è perfetto e lo si gusta al meglio. E quindi via di recensione.

Lo SHIELD è un'agenzia segreta che si occupa di cose strane in giro per il mondo, strutturata più o meno come si immaginano i servizi segreti italiani. Per metà è collusa e per metà funziona a compartimenti stagni non comunicanti.
Poco prima che questi problemi strutturali vengano al pettine, al non-si-sa-come-resuscitato agente Coulson viene affidata una squadra di pronto intervento assortita come sono sempre assortite le squadre in un qualsivoglia telefilm (il genio, l'esperto informatico, i picchiatori e il solido capo). A disposizione hanno un super aereo segreto (il pulmino) dotato di ogni comfort (compreso il vetro di bellezza che viene rotto quasi a ogni puntata) e diavoleria tecnologica.
All'inizio c'è una missione dopo l'altra e se invece di un manufatto alieno ci fosse un morto ammazzata potremmo tranquillamente essere dentro a un qualsiasi poliziesco procedurale, con tutti i personaggi ben stretti al loro stereotipo. Poi però qualcosa inizia a non tornare e, quando proprio non ci speravi più, la serie ingrana.
Nulla di trascendentale, eh, non facciamoci illusioni, ma a un certo punto inizi a capire che c'è una sceneggiatura dietro che stava giocando con te (al punto di far battezzare un personaggio Mary Sue) e che c'è sempre un altro segreto.
La serie funziona un po' da ponte con i film dell'universo Marvel e, mi dicono gli esperti, traghetta da Avengers a Thor2 fino all'ultimo Capitan America. Quindi chi ha visto i film sa esattamente che colpo di scena aspettarsi e a che punto, ma è comunque un elemento ben gestito. Il montaggio a volte fa cadere braccia e le coreografie delle scene d'azione spesso sanno di "minimo sindacale", tuttavia da un certo punto in poi la storia fila e regala a ogni puntata quaranta minuti di relax celebrale.
Se poi si è bloccati in casa con la febbre è perfetta.

PS: vien quasi da consigliare di iniziare a vedere la serie dalla metà, per togliersi la parte più noiosa.
PPS: ma secondo voi chi fa le pulizie sul pulmino? Chi stira le camice? Tireranno a sorte?

lunedì 12 maggio 2014

Metti un dinosauro alla fiera del libro

Sabato ho fatto l'annuale escursione al Salone del Libro di Torino, la Disneyland di una lettrice scribacchina come me.
Premettendo che la giornata è stata divertente e piacevole, ricca di incontri e di acquisti (a una prof si scalda il cuore quando incontra al Salone i propri alunni, arrivatici spontaneamente), mi è rimasto un retrogusto di tristezza.
Già, perché nonostante l'arrivo in tarda mattinata, trovare parcheggio non è stato un problema, code all'entrata non se ne sono viste e di ressa proprio non c'era l'ombra. Perché lamentarsi allora, si vede che finalmente tutto funziona? Perché mi è sembrato, forse è stata una sensazione mia, che ci fosse molta meno gente dell'anno scorso. 
Anche gli editori erano meno. Sempre spaziosi e ben fornitigli stand dei grandi editori, resistono alcuni minori, ma tanti editori anche non microscopici quest'anno non hanno messo lo stand.
Così, se da un lato mi fa piacere vedere la mia Interlinea con un bello stand centrale su cui molti si sono fermati a curiosare, non posso che constatare che la mia lista degli acquisti non è stata completata perché gli editori che cercavo non c'erano, pur essendo presenti nelle scorse edizioni. E non si tratta di micro editoria, ma di editori comunque abbastanza noti e ben distribuiti che, semplicemente non ce l'hanno fatta a permettersi lo stand. Così, quando ci siamo imbattuti in una replica a dimensioni reali di uno scheletro di dinosauro (che, intendiamoci, è sempre bello e arreda un sacco) non abbiamo potuto evitare di immaginare gli organizzatori, alle prese con le defezioni.
 – Eh, sì, quest'anno ci sono meno stand.
 – Cosa facciamo perché non si noti?
 – Mettiamoci un bel Gigantosauro, che ai bimbi piace e occupa un sacco di spazio!
Di sicuro non è andata così, ma l'impressione era quella.
L'editoria a pagamento, invece, sta benissimo, tanto che l'impressione era di girare in un posto con la serietà in centro e le trappole ai lati (distorsione di percezione dello spazio da giocatrice di d&d). Anche qui, forse sono prevenuta io, ma mi pareva che tanti, tantissimi degli stand laterali fossero occupati da editori a pagamento e venditori di vari servizi editoriali, con poche sopravvivenze di piccoli editori serissimi.
Quindi ecco, al di là della personale bella giornata, mi è rimasto un senso di tristezza e di catastrofe imminente (ben esemplificata anche qua dal dinosauro famelico) che ho cercato di esorcizzare con tanti acquisti. Ovviamente un libro sui dinosauri era d'obbligo, ma ho cercato di spaziare dai manuali di scrittura ai romanzi per ragazzi, nel piccolo e inutile tentativo di dare il mio contributo alla cultura e all'editoria.

venerdì 9 maggio 2014

Vocabolario per aspiranti scrittori


Ricordo la prima volta in cui andai a una fiera del libro, a 19 anni, con i miei primi racconti nel cassetto e il sogno della scrittura. Come avrei desiderato, allora, un piccolo vocabolario per imparare a districarmi nel mondo dell'editoria!
Ecco quindi quello che avrei voluto sapere allora, in rigoroso ordine alfabetico.


Agenzia di servizi editoriali
Si tratta di professionisti (si spera) che aiutano a migliorare il testo. Si occupano di valutazione, editing e, per chi vuole auto prodursi, di impaginazione, grafica e conversione nei formati e-book.
Non aiutano direttamente a pubblicare. I servizi sono sempre a pagamento.
Vi sono, come in tutti i campi, veri professionisti e dilettanti allo sbaraglio.

Agente letterario
Fa da tramite tra l'autore e l'editore. Si occupa di presentare i libri all'editore e segue l'autore nella trattativa per il contratto editoriale.
Di solito un agente guadagna una percentuale sui guadagni dello scrittore. Tuttavia, se si è dei signori nessuno e ci si vuole proporre a un agente a volte si paga una tassa di lettura, anche sostanziosa.
I buoni agenti letterari segnalano sempre sui loro siti gli autori che seguono e le case editrici con cui collaborano.


Anticipo
È la quota che l'editore paga all'autore prima della pubblicazione del libro. Anche se il libro non vendesse, l'autore non dovrà restituire l'anticipo. Per autori esordienti o che pubblicano con piccoli editori spesso si tratta di una piccola cifra, a volte non viene proprio prevista.

Codice ISBN
È un codice specifico per ogni libro e che permette di identificarlo. Di fatto un libro è tale se possiede un ISBN. Il codice ISBN non ha alcuna influenza sulla distribuzione e il pagamento per ottenerlo dovrebbe essere a carico dell'editore.

Contratto editoriale
È quello che scrittore ed editore stipulano prima della pubblicazione del libro. Vi sono segnalate varie cose tra cui:
- per quanto tempo l'autore cede i propri diritti.
- quale percentuale l'autore guadagna e quando verrà pagato
- tiratura della prima edizione (opzionale)
- eventuali impegni futuri tra autore ed editore (opzionale).
Se il contratto prevede che sia l'autore a pagare o che debba acquistare della copie NON firmate se non dopo averci pensato MOLTO MOLTO bene.

Corsi di scrittura
Cicli di lezioni sulle principali tecniche di scrittura. Salvo rari casi, sono tutti a pagamento. 
Non sono delle strade preferenziali per la pubblicazione. Anche se a tenerli c'è un autore affermato o un editore, tranne rari e fortunati casi, i corsi si fanno per imparare, non per pubblicare.

Distribuzione
Come arriva il libro in libreria? Lo porta un distributore, che è un'entità spesso distinta dell'editore. Non tutti gli editori si appoggiano a un distributore e non tutti i distributori sono uguali.
Informatevi bene su questo punto che spesso è il tallone d'Achille della piccola editoria (non sempre, però).

E-book
Libro digitale. Non è necessariamente un testo autoprodotto. Molte case editrici pubblicano sia in cartaceo che in digitale, alcune solo in digitale. In questo caso i rapporti tra autore ed editore andranno regolati da un contratto esattamente come per il cartaceo. Per le edizioni digitali di solito le percentuali sono un po' più alte rispetto al cartaceo, a compensare il minor costo dell'opera. In Italia le vendite di e-book rappresentano il 3% delle vendite totali di libri.

Editing
Perfezionamento del testo sia da un punto di vista contenutistico che stilistico. Dovrebbe sempre essere fatto prima della pubblicazione a spese dell'editore. Vi sono tuttavia delle Agenzie di Servizi Editoriali che, a pagamento, possono fare l'editing a un testo a prescindere dalla pubblicazione

Editore
Colui che si occupa della stampa, della distribuzione e della promozione di un testo a proprie spese. L'autore riceverà una percentuale del ricavato (diritti d'autore) secondo le modalità espresse nel contratto editoriale.

Editore a pagamento (EAP)
Editore che si fa pagare per pubblicare o chiede all'autore di pagare l'editing o di comprare un tot di copie. Chi scrive è contraria a questo genere di editoria, che tuttavia è legale e non costituisce truffa. Spesso gli EAP sono carenti dal punto di vista della distribuzione e della promozione.

Inedito
Testo che non è mai stato reso pubblico precedentemente. Spesso perché un testo sia considerato inedito non deve essere mai apparso sul web neppure su un sito personale dell'autore.

Liberatoria
A volte, per la pubblicazione di un racconto in un'antologia dove non vi è un pagamento in denaro, viene chiesto di firmare una liberatoria e non un contratto. Spesso l'autore deve garantire che l'opera sia inedita e si impegna a non pubblicarla altrove per un tot di tempo, l'editore si impegna a stampare un tot di copie dell'antologia e a regalarne un tot all'autore.

Percentuale diritto d'autore
È la quota del prezzo del libro che spetta all'autore. Per le edizioni cartacee, in generale, questa quota varia da un minimo del 5% a un massimo del 12%. In alcuni contratti la quota varia a seconda delle copie vendute, in pratica più si vende e più si guadagna. Sugli e-book le quote si aggirano intorno al 25-30%

Promozione
Modalità per pubblicizzare e far conoscere il libro. È auspicabile che si crei una sinergia tra autore ed editore in modo da ottimizzare i risultati. Di solito un editore può occuparsi di comunicati stampa e in generale di contatti con la stampa, organizzazione di presentazioni, book trailer. Tutto ciò è a spese dell'editore

Self-publisher
Chi mette la propria opera sul mercato senza un editore. Si può fare sia per edizioni cartacee (si fanno stampare le copie tramite una stamperia o un servizio di print-on-demand, si acquista il codice ISBN e ci si occupa della vendita) sia per e-book. Tutte le spese e tutti i ricavi sono dell'autore. 

Se mi segnalate cosa ho dimenticato, posso arricchire il vocabolario o dedicarvi un secondo post.
E con questo ho inaugurato una nuova rubrica - Praticamente


mercoledì 7 maggio 2014

Scrittevolezze - Sinossi, maledette sinossi


Arriva per tutti gli scrittori e gli aspiranti tali il momento di scrivere una sinossi. E in quel momento, di solito, si scatena il panico.

Cos'è una sinossi?
Come si spiega in questo bel post di Giordana Gradara la sinossi altro non è che il riassuntone della propria opera, scritto in modo da mettere ben in evidenza gli snodi della trama e le caratteristiche tecniche dell'opera. Non c'è una lunghezza predefinita, ma è bene bilanciare completezza e sintesi. In pratica una buona sinossi, dove non altrimenti specificato deve essere più corta possibile pur senza omettere nessuna svolta significativa.

A cosa serve?
È buona norma allegare sempre la sinossi alla propria opera quando la si invia a un editore. A volte, gli editori chiedono proprio la sinossi e solo alcuni capitoli.
Quindi la sinossi serve all'editore per avere un'idea dell'opera senza doversela leggere tutta. Con il riassunto della trama e alcuni capitoli di esempio per vedere come un autore scrive, l'editore può farsi un'idea dell'opera e capire se è aderente alla propria linea editoriale. Se sì, l'editore chiederà all'autore l'opera completa. Quindi, se non è vero che una buona sinossi fa da sola la fortuna di un romanzo spesso una cattiva sinossi ne pregiudica la pubblicazione.

Ma la sinossi si fa prima o dopo aver scritto un romanzo?
Dipende. Io, come altri scrittori e aspiranti tali, all'inizio prima scrivevo il mio "capolavoro" e solo dopo, per l'invio all'editore, mi mettevo all'opera sulla sinossi, che quindi veniva fatta a posteriori. A dispetto del fatto che dovevo solo riassumere qualcosa che già avevo scritto, mi facevo un sacco di problemi e scrivere una buona sinossi mi sembrava impossibile.
Poi, quando si è trattato di progettare l'apocrifo sherlokiano, l'editore mi ha chiesto di vedere la sinossi prima che io iniziassi a scrivere. E, mentre la preparavo, ho capito una cosa strana, cioè che spezzare il momento dell'ideazione della trama da quello della scrittura mi aiutava perché potevo concentrare le energie. Prima sullo scheletro della storia e poi sullo stile. L'apocrifo, in effetti l'ho scritto in metà tempo rispetto a qualsiasi cosa avessi fatto prima.
Per "una storia piena di struzzi" ho quindi fatto lo stesso e anche in questo caso i tempi si sono ridotti e mi sono anche goduta di più il momento della stesura, perché ormai i problemi di trama erano tutti risolti.
Adesso il destino di "una storia piena di streghe" si giocherà tutto, credo, proprio sulla sinossi perché in basa ad essa c'è qualcuno che esprimerà (o non esprimerà) un interessamento.
Infine, mi è recentemente stata chiesta la sinossi anche per un racconto per un'antologia. Se la sinossi non dovesse piacere, il racconto non lo scriverò proprio.
La sinossi può essere quindi preparata anche prima dell'opera stessa, in questo modo oltre che a uno strumento promozionale diventa anche uno strumento di lavoro per l'autore.

E se non riesco a scrivere la sinossi?
Mi è stato detto, una volta, che più si ha davvero la piena padronanza della propria storia e in meno parole si riesce a presentarla. Credo sia vero, se si è davvero padroni della storia se ne conosce il cuore e si sa distinguere tra ciò che è essenziale e ciò che è accessorio.

Tenar e le sue sinossi.
Le mie sinossi non sono brevissime. È difficile che riesca a stare sotto le 5 cartelle (non pagine!), ma in generale cerco di riassumere la trama così come la incontra il lettore (se intreccio e fabula non coincidono, anche nella sinossi non coincideranno). Sottolineo i nomi dei personaggi principali e allego per ciascun personaggio una breve presentazione (max 5 righe) a cui a volte aggiungo poche righe estrapolate dall'opera. Allego una presentazione simile per le ambientazioni principali.
Se l'opera è scritta in terza persona con focalizzazione interna e c'è un cambio di focalizzazione cerco di farlo capire dal riassunto senza esplicitarlo. Se invece la narrazione è in prima persona lo dichiaro esplicitamente perché, secondo me, i riassunti vanno sempre fatti in terza persona.
Nella prima pagina, inoltre, prima della sinossi vera e propria, cerco di riassumere il cuore dell'opera in non più di 3/4 righe.
Non so se questo sia il modo migliore di procedere, ma io mi trovo abbastanza bene. Questo lavoro lo faccio prima di scrivere il romanzo, ottengo così una sorta di "manuale d'istruzione" per la mia storia, da consultare in corso d'opera. 
La sinossi, ovviamente, non è scolpita sulla pietra, mentre scrivo posso modificare la trama rispetto al piano originale. Se lo faccio modifico subito anche la sinossi. In questo modo riesco a valutare i contraccolpi che la variazione ha sul piano generale dell'opera ed evito di dover riscrivere alla fine la sinossi per l'editore.
Per "una storia piena di streghe" sono proprio in questa fase di lavoro. Eventi da posizionare uno dopo l'altro, tre punti di vista da alternare e decidere come alternarli. Solo quando avrò finito inizierò con la scrittura vera e propria.

Voi come ve la cavate con le sinossi?

lunedì 5 maggio 2014

Verso nuovi progetti



Il primo di maggio è partito ufficialmente il progetto "una storia piena di streghe", con la stesura della sinossi. Entro il fine settimana, consigli di classe permettendo, dovrei scriverne le prime righe.
È un momento strano, quello dell'inizio di un progetto, pieno di entusiasmo misto a timore. C'è una storia che mi piace, personaggi che voglio incontrare o ritrovare, il desiderio forte di mettersi alla prova. E poi le domande-tarlo. Sarò in grado di scriverlo? Uscirà una schifezza? Troverà mai una casa?
Troverà mai una casa? è, in questo momento, la domanda principe, non solo per la storia piena di streghe.
In questo momento ho ripreso a fare presentazioni de LA ROCCIA NEL CUORE e la domanda che salta sempre fuori è se scriverò altro, se avrà un seguito, domande sempre poste col verbo al futuro. 
La verità è che LA ROCCIA NEL CUORE è stato seguito già da tre romanzi completi, il thriller storico, l'apocrifo sherlockiano e "una storia piena di struzzi".
I tempi dell'editoria hanno poco a che fare con i tempi di lettura e sono pieni di incertezza.
Si invia un romanzo che, nel migliore dei casi, viene valutato mesi dopo. Sempre nel migliore dei casi viene edito mesi e mesi dopo la valutazione. Nel migliore dei casi passa un anno.
L'apocrifo sherlockiano è forse un esempio del migliore dei casi. Terminato ad agosto 2013, il libreria se va tutto bene a ottobre 2014, come il suo protagonista, è un ragazzo che ha bruciato le tappe.
Tutto il resto è più indeciso e più vago.
Tra un paio di settimane, se va tutto bene, andrò a un incontro per decidere il futuro di "una storia piena di struzzi" e, di riflesso, al suo seguito "una storia piena di streghe". Inutile dire che la parola chiava per descrivere il mio stato d'animo è ansia. Da un lato c'è l'enorme privilegio di parlare di un progetto in nascendo e il desiderio forte di sognare. Dall'altro la paura di ripiombare nella nebbia e ricominciare tutto da capo. Invio, attesa, contatto, attesa.
Obbiettivi prendibili è la definizione chiave, in questo caso, cioè porsi degli obbiettivi che possano essere realizzati. È inutile sognare di diventare la nuova Camilleri o cose simili che non sono alla portata del mio talento. Il problema è che non so quali siano per me gli obbiettivi prendibili.
I miei libri in libreria, in una libreria qualsiasi, alla portata del lettore qualsiasi, credo.
Storie scritte bene, a cui potersi appassionare, con personaggi che rimangano dentro. Storie che lascino nel lettore il desiderio di averne ancora e ancora.
Per il primo, c'è poco che io possa operativamente fare, la realizzazione del secondo, invece, è tutta in mano mia. Non mi resta che mettermi a scrivere.
E chiedere a voi quali sono i vostri "obbiettivi prendibili" per i progetti di scrittura (e non solo). 

venerdì 2 maggio 2014

Letture - Io ti perdono


Di Elisabetta Bucciarelli

L'estate scorsa, la lettura di Dritto al cuore mi aveva molto colpito. Recuperato anche il precedente Io ti perdono posso affermare che Elisabetta Bucciarelli è tra le mie gialliste italiane preferite.
Mi piace la sua scrittura sincopata, che tende a saltare dei passaggi. Niente scene di raccordo, con lei, ma tante istantanee piene di fascino che spetta al lettore cucire insieme. 
Non è una scrittura predigerita, quella della Bucciarelli, richiede impegno e attenzione. Del resto le trame si inerpicano per i sentieri di montagna e in quelli dell'animo, i più difficili da affrontare.
L'ispettore (ci tiene al maschile) Maria Dolores Vergani viene contattata dal parroco del paese di montagna in cui andava in vacanza da bambina. C'è una mezza verità, un segreto brutto di cui l'uomo è al corrente, che ha a che fare con bambini spariti nei boschi e poi ritrovati. Vorrebbe occuparsene, Maria Dolores, ma altre indagini e altri impegni la inchiodano a Milano, mentre il suo istinto le dice che qualcosa di oscuro si aggira invece tra i boschi apparentemente idilliaci della Val d'Aosta.

È un bel personaggio, Maria Dolores, che emerge più qui che non in Dritto al cuore, dove altri le rubano la scena. Adottata, fatica a trovare una sua dimensione emotiva e allo stesso tempo combatte tenacemente per la verità, quale che sia. Come tutti i personaggi ben scritti ha una forte personalità, che forse non apprezzo appieno. Non penso che sarei amica di Maria Dolores o, almeno, avrei la tentazione di darle una strigliata per il suo modo erratico e indeciso di affrontare i sentimenti.
I bei personaggi, del resto, sono belli anche perché ci si può litigare.

Qualche dubbio me lo lascia invece lo svelamento finale. Una dinamica interpersonale che a pelle mi sembra poco plausibile, ma forse mi sbaglio. Forse è un mio modo per scacciare la sensazione di sporco che, volutamente lascia addosso.

Io ti perdono è un bel libro. A volte si può non essere d'accordo con la protagonista, ma non si riesce a interrompere la lettura.